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Grazia: critiche a valanga su Castelli, anche dal centrodestra
Il Messaggero, 21 giugno 2005
Dice che non la firmerà mai, la grazia a Sofri. Ma se la Corte Costituzionale dovesse stabilire che il potere di questo atto di clemenza spetta al capo dello Stato, un autografo dovrà pure mettercelo sul provvedimento del Quirinale. La pensa così Gaetano Pecorella, avvocato e presidente forzista della Commissione Giustizia: "Se la Consulta dice che è un atto esclusivo del presidente della Repubblica, il ministro ha il dovere istituzionale di firmare". E aggiunge: "Quella di Castelli è una presa di posizione politica, in linea con le sue precedenti affermazioni. Ma la firma della grazia rientra tra le sue funzioni e dovrà firmare, magari controvoglia, se la Corte decide che la responsabilità politica è del capo dello Stato mentre al ministro spettano solo compiti di verifica formale". Come Pecorella, la pensano molti parlamentari, esperti di diritto e di entrambi gli schieramenti. È il caso di Olivero Diliberto, ex Guardasigilli e leader dei Comunisti Italiani: "È una posizione assurda, un conflitto così aspro non si era mai verificato". Secondo l’ex ministro di Giustizia, nel caso di Sofri "c’è un accanimento ad personam solo verso questo tipo di detenuti; se si fosse trattato di un detenuto di Tangentopoli sarebbe stato tutto diverso". È critico anche l’attuale sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali, di Forza Italia: "Rispetto la posizione del ministro Castelli sulla questione della grazia per Adriano Sofri, ma non la condivido. Io al suo posto avrei controfirmato il decreto del presidente della Repubblica". In ogni caso, ha precisato Vitali, "quella del ministro è una decisione personale e non una decisione collegiale del Governo". Più esplicito Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori: "La presa di posizione del ministro della Giustizia contro la grazia ad Adriano Sofri è un atto di arroganza politica e umana; io non mi sarei mai permesso di togliere la possibilità al presidente della Repubblica di scegliere secondo la sua saggezza, e quindi firmerei comunque anche se non fossi d’accordo. La decisione spetta al capo dello Stato e la presa di posizione di Castelli dimostra, oltre che nessun rispetto istituzionale, arroganza politica e umana". Tuttavia, l’ex pm di Mani Pulite ha detto di essere contrario a "questa divinizzazione di Sofri, come se fosse una vittima. Non dimentichiamo mai che Sofri è in carcere per la morte di un commissario di Polizia, ed è quest’ultimo la vera vittima". A non stupirsi più di tanto per l’atteggiamento del Guardasigilli Castelli, è il costituzionalista Paolo Armaroli: "Nulla di nuovo sotto il sole; sono almeno tre anni che il ministro della Giustizia non ritiene di contrifirmare gli atti di Grazia a favore di Sofri e Bompressi, nella convinzione che questo potere non è potere assoluto del Capo dello Stato ma deve essere condiviso ad substantiam anche dal Guardasigilli". Secondo Armaroli, "questo tira e molla, durato fin troppo tempo, non poteva avere altro sbocco che quello di un ricorso alla Corte Costituzionale da parte di Ciampi". Tuttavia, afferma il giurista, non si tratta di un atto di guerra del Quirinale verso il ministero della Giustizia: "Non è una inizativa-contro; ma una iniziativa per fare definitivamente chiarezza su questo intricato affare. Le carte giuridiche che ha in mano Castelli sono particolarmente solide. Questo però non significa che la Corte Costituzionale, entrando nel merito del conflitto, gli dia ragione. Anzi è possibile e forse addirittura probabile, che la Consulta dia ragione al Quirinale. Ma in questo caso sono proprio curioso di sapere come se la caverà Castelli, che in ogni caso non dovrebbe dimettersi". Sofri: da oggi al lavoro esterno, farà il bibliotecario alla "Normale"
Repubblica, 21 giugno 2005
Il giudice di sorveglianza di Pisa ha dato la sua autorizzazione al lavoro esterno per Adriano Sofri. L’ex dirigente di Lotta Continua, condannato a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, lavorerà nella biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa. Già da domani o da mercoledì prossimo Sofri dovrebbe prendere servizio nella biblioteca, dove si occuperà della catalogazione di alcuni fondi privati, fra cui quelli di Sebastiano Timpanaro ed Eugenio Garin, che di recente hanno arricchito la biblioteca della Normale che, con i suoi 800mila volumi, è la più grande, a scaffale aperto, d’Europa. La vicenda di Sofri, insieme a quella di Ovidio Bompressi, accusato con lui dell’omicidio del commissario Calabresi, è tornata alla ribalta in questi giorni per il conflitto tra il Guardasigilli Castelli e il capo dello Stato. Il primo ha più volte ribadito che si opporrà alla concessione della grazia per Sofri (che non l’ha mai chiesta) e Bompressi (che l’ha sollecitata per motivi di salute). Ciampi ha chiesto il parere della Corte Costituzionale in merito al rifiuto del ministro della Giustizia, che non ha controfirmato la richiesta di grazia. Sofri gode già del beneficio previsto dal codice penitenziario per cui può passare due giorni al mese a casa. Il beneficio è regolato dall’ordinamento penitenziario che prevede, agli articoli 61 e 61 bis, la possibilità di ottenere permessi che vengono concessi nell’ambito del programma rieducativo previsto dallo stesso ordinamento. Dopo un quarto di pena scontata, scatta automaticamente per i detenuti, se non ci sono gravi motivi ostativi, il permesso per lasciare il carcere e tornare a casa. Il beneficio concesso a Sofri non è piaciuto all’’Associazione familiari delle vittime del terrorismo e della mafia. "Sofri è un detenuto a 5 stelle: camera con vista, sala personale per le conferenze stampa, per i suoi compagni, possibilità di tornare a casa due volte al mese , lavoro garantito, angolo scrittura...", ha dichiarato il presidente Bruno Berardi, che poi si è rivolto direttamente al detenuto: "Vorrei chiederti, caro Sofri, ma di che ti lamenti, sei trattato e coccolato come un bambolotto, servito e riverito. Ti hanno dipinto come un martire da beatificare del XXI secolo". Berardi conclude: "Tu stai in una torre d’avorio, e non ti manca neanche la solidarietà del capo dello Stato". Roma: convegno "Quale futuro per i dirigenti di polizia penitenziaria?"
Adnkronos, 21 giugno 2005
"Quale futuro per i ruoli direttivi e dirigenziali del Corpo di Polizia Penitenziaria": è il tema al centro del convegno organizzato per domani a Roma dall’Anfu, l’associazione che riunisce i funzionari della Polizia penitenziaria. Ai lavori, presso la Scuola di Polizia di via di Brava, interverranno il sottosegretario alla Giustizia Luigi Vitali, esponenti politici (tra gli altri, Maurizio Gasparri di An, Cesare Marini dello Sdi, Gianclaudio Bressa della Margherita e Ciro Alfano dell’Udc), il direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tinebra e il suo vice Di Somma, il direttore dell’Istituto superiore di studi penitenziari Maria Luigia Culla. Saranno presenti anche i leader dei tre sindacati delle Forze di Polizia aderenti alla Consulta Sicurezza: il Sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe), quello della Polizia di Stato (Sap) ed il Sapaf per la Polizia ambientale forestale. "I compiti degli appartenenti al ruolo dei commissari della Polizia penitenziaria -spiega Donato Capece, presidente dell’Anfu- vanno sicuramente rafforzati rispetto a quelli che, ad oggi, attribuiscono identiche funzionari agli appartenenti al ruolo degli ispettori, riconoscendo chiaramente funzionari di direzione, di indirizzo e di coordinamento. La figura del commissario è nata dall’esigenza di creare una qualifica direttiva per il Corpo che, proprio per la posizione gerarchica sovraordinata, deve garantire un’attività di direzione; i commissari non possono essere relegati a semplici collaboratori di altri quadri direttivi". Amnesty: nei cpt italiani gli stranieri subiscono maltrattamenti
Reuters, 21 giugno 2005
Amnesty International ha diffuso oggi un rapporto secondo il quale immigrati illegali in Italia hanno denunciato di esser stati picchiati, sedati ed imbavagliati dalle autorità italiane durante le pratiche di espulsione. "L’Italia sottopone a detenzione un numero sempre crescente di richiedenti asilo, in violazione degli standard del diritto internazionale dei rifugiati", dice il rapporto dal titolo "Presenza temporanea, diritti permanenti" presentato oggi a Roma dall’associazione per i diritti umani. Il documento denuncia una serie di violazioni dei diritti umani cui i cittadini stranieri vengono sottoposti durante la detenzione nei Centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta), esprimendo preoccupazione circa la possibilità che problemi simili possano verificarsi anche nei centri di identificazione. Nel rapporto, il gruppo smentisce le affermazioni del governo italiano secondo il quale il numero di reclami nei centri di detenzione temporanea sono in calo, segnalando invece "consistenti" prove di abusi. Molti episodi riguardano casi di detenzioni non necessarie, l’impossibilità di presentare domanda d’asilo e la mancanza di accesso a consulenza legale nei centri, che si occupano della possibile espulsione degli immigrati, ha detto il gruppo. Il ricercatore di Amnesty Nerys Lee ha citato un caso giudiziario nell’Italia meridionale in cui i detenuti hanno accusato le autorità di gravi abusi dopo un tentativo di fuga da un centro nel novembre 2002. "Un uomo, dopo aver subito sputi, schiaffi, manganellate ed esser stato costretto a mangiare carne di maiale cruda, è stato denudato e costretto per diverse ore a stare in un cortile esterno d’inverno", ha detto Amnesty nel rapporto. Poiché vi è una crescente restrizione dell’accesso ai Centri di permanenza, e le richieste avanzate da Amnesty International sono state sinora rifiutate, per quanto non sia possibile confermare la totale veridicità di tutte le denunce concernenti i centri, queste sono rese credibili dal loro numero, coerenza e regolarità, e dalle conclusioni degli organismi intergovernativi e di serie organizzazioni non governative nazionali e internazionali, dice l’associazione. "Gli Stati detengono la potestà di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione dei cittadini stranieri dal proprio territorio. Essa, tuttavia, deve essere esercitata nel rispetto delle leggi e degli standard internazionali in materia di diritti umani e di diritti dei rifugiati. L’esercizio della sovranità statale non può avvenire a scapito dei diritti umani fondamentali dei richiedenti asilo e dei migranti, qualunque sia il loro status giuridico", dice Amnesty. Dopo recenti gravi episodi di violenza e stupro commessi da immigrati illegali, il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu ha accusato nei giorni scorsi gli immigrati di esser autori di oltre la metà di tutti i reati in alcune regioni, negando vi siano stati abusi nei centri. Il governo non ha commentato questo rapporto ma aveva detto in passato che le richieste di asilo vengono vagliate attentamente. Amnesty, tuttavia, afferma che i centri di detenzione in sé sembrano essere solo un aspetto del problema, insieme con espulsioni affrettate che vedono spedire rapidamente in Africa migliaia di immigrati, compresi possibili richiedenti asilo. Il precedenza l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati aveva accusato Roma di violazioni delle leggi internazionali, avendo impedito a suoi funzionari di incontrare gli immigrati prima della loro deportazione. Amnesty ha detto anche che ci sono immigrati che hanno denunciato di aver subito somministrazioni eccessive di sedativi da parte delle autorità, mentre alcuni hanno denunciato di esser stati imbavagliati durante l’imbarco sugli aerei, col rischio di morire soffocati. Una pratica questa che ha giù causato decessi in Austria, Belgio, Germania e Svizzera, e che è stata vietata dal Consiglio Europeo. Grazia: Ciampi ed il Cavaliere uniti nelle critiche contro Castelli
L’Opinione, 21 giugno 2005
Per una volta lo scontro tra poteri dello Stato trova una via giuridica per risolversi. La Consulta, infatti, si esprimerà entro la prima metà di luglio sul potere di grazia, nel senso se esso sia esclusivo del Capo dello Stato o se la controfirma del Guardasigilli abbia la funzione di attestare la paternità dell’atto e la "conseguente assunzione di paternità politica", come ha scritto nel suo bel ricorso in favore di Ciampi l’Avvocato generale dello Stato, Ignazio Francesco Caramazza. In attesa della deliberazione della Corte Costituzionale il ministro Castelli come al solito va molto al di là del seminato parlando con la stampa alla buvette di Montecitorio di effetti devastanti se la Consulta darà ragione all’uomo del Colle, addirittura afferma che "se la Corte dice sì a Ciampi, verrebbero riconosciuti al Presidente della Repubblica poteri enormi che neanche il Presidente degli Stati Uniti si sogna". È l’ennesima esternazione hard core di un Guardasigilli più ligio alle indicazioni di partito che ad un minimo di liberalismo che la sua carica dovrebbe suggerire, è contrario a tutto Castelli, all’amnistia, alla grazia, all’indulto, nessuna pietà insomma per il condannato in questo paese: naturalmente poi il problema di dove materialmente fargli scontare la pena sembrerebbe una cosa secondaria, dato che le carceri scoppiano e lo stesso ministro ha ammesso di dover ricorrere all’espulsione di migliaia di extracomunitari condannati per ovviare alla bisogna. A differenza di altre volte il Cavaliere ora si schiera col Colle, difendendo la futura decisione della Consulta dato che "la Costituzione è accettata da tutti noi come legge fondante dei nostri sistemi". È una posizione molto apprezzabile, soprattutto in questo momento in cui è passato alla Corte Costituzionale il candidato della Casa della Libertà Luigi Mazzella e quindi un altro problema sta per essere risolto. Ciò che invece si trova in un’inaccettabile posizione di stallo è proprio la riforma della giustizia, vittima di continue mancanze del numero legale in Parlamento, se ne è accorto persino Amato che propone l’idea di una "convenzione costituzionale" che riscriva una parte del titolo V della Costituzione. Giustizia: "La legge del taglione", di Girolamo Grillo (Vescovo di Civitavecchia – Tarquinia)
Il Messaggero, 21 giugno 2005
La legge del taglione, che noi tutti riproviamo e vituperiamo, era, all’epoca, una conquista di civiltà, nel senso che, almeno, metteva un po’ di ordine in quello che oggi definiremmo una specie di "far west" esistente tra le popolazioni. È stata sempre rilevata l’esigenza di mettere un freno all’istinto di vendetta di fronte al male ricevuto o subito. Ed è proprio nella natura dell’uomo e della stessa convivenza stabilire un ordinamento sociale possibilmente pacifico, tranquillo e, comunque, non soggetto a ritorcimenti individuali. Tale necessità è avvertita non poco specialmente nei periodi di crescita della criminalità organizzata o meno e specialmente quando ci si avvede che i rimedi, cui fanno ricorso sia le forze dell’ordine che la stessa Magistratura, non sempre sono adeguati e protettivi. Non poche situazioni negative, proposte e riproposte anche dalla televisione e dai giornali, ci lasciano alquanto conturbati soprattutto perché potrebbero degradare la visuale giuridica della pace sociale. Da più parti si invoca maggiore coercizione. Eppure è risaputo che comando e coercizione in quanto tali non possono costituire la base di alcun dovere e il diritto assume un carattere normativo soltanto se si radica in un valore. La coercizione è solo il mezzo per realizzare il valore della norma. È un dato ineccepibile che, in un’epoca come quella attuale, in cui la società sta vivendo come una lacerazione nel campo dei valori, non ci sia stata anche una forte perdita della tradizionale opera educatrice della famiglia, della scuola e della stessa Chiesa. Si ha l’impressione così che tante persone e specialmente i giovani (ecco l’aumento continuo della microcriminalità) siano evasi dalla cultura di un tempo, perdendo ogni identità. Il problema di fondo, quindi, è questo cambiamento di valori che ha inciso negativamente sulla formazione dei giovani e specialmente sulla mentalità di tanti individui, diventata più liberatoria. È così che si è pervenuti ancora una volta all’"occhio per occhio, dente per dente), alla tentazione, cioè, di delegittimare qualunque intervento giuridico e di farsi giustizia con le proprie mani. È nell’interesse dei responsabili della collettività fare di tutto per cercare di ottenerne il recupero, al fine di dare più fiducia a tutti i cittadini, succubi di un certo smarrimento, del senso della giustizia e della legalità. Lo stato e le istituzioni in genere, quindi, non possono restare inermi e indifferenti di fronte a quanto di incongruente si presenta anche di primo acchito al senso comune: criminalità organizzata nei vari settori (dalla droga al sesso) e microcriminalità vanno assolutamente poste sotto controllo non soltanto dalle forze dell’ordine, ma anche soprattutto dalla ripresa della funzionalità degli organi primari del sistema pedagogico-educazionale. lunedì 20 giugno 2005 Pisa: Sofri fa il bibliotecario all’università; la Lega: "scandaloso"
La Provincia di Sondrio, 21 giugno 2005
Il giudice di sorveglianza ha dato il via libera al "lavoro esterno" per Adriano Sofri: e subito torna ad infuriare la polemica. "Povero commissario Calabresi, chissà cosa starebbe pensando, lui che ha dato la vita per il Paese, se oggi potesse vedere lo stesso Paese che, attraverso le sue massime cariche, vorrebbe graziare i mandanti del suo assassino e che, per mezzo dei propri uomini di giustizia, concede ad uno di questi mandanti del suo omicidio due enormi benefici, quello di poter tornare a casa per due giorni al mese e quello di poter lavorare in una biblioteca, nel giro di pochi giorni. Ma come sempre chi muore giace e chi si vive si dà pace": così il ministro per le Riforme, Roberto Calderoli. "Ci troviamo di fronte a persone - aggiunge l’esponente leghista - che lo Stato ha condannato come mandanti di un omicidio, dopo tre gradi giudizio e quindi con una sentenza definitiva passata in giudicato, ad una reclusione di 22 anni, e che invece, dopo appena pochi anni, possono godere di simili benefici: un vero detenuto di serie A, rispetto a tanti criminali anonimi responsabili di delitti sicuramente meno odiosi". "Un accanimento giudiziario incredibile, qualcuno nel centro destra vorrebbe una legge speciale punitiva solo per Sofri..." replica per l’opposizione Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera. "Un atto di civiltà - spiega Cento - nel pieno rispetto delle normative che consentono il graduale reinserimento di un detenuto". "Nessuno contesta la legittimità giuridica del provvedimento adottato nei confronti di Sofri ma qualcuno ci deve spiegare i criteri che hanno motivato la decisione di impiegare in una prestigiosa Università italiana una persona condannata per essere mandante di un omicidio" controbatte Francesco Giro, responsabile nazionale di Forza Italia per i rapporti con il mondo cattolico. Ma che tipo di occupazione andrà ora a svolgere Sofri (63 anni il prossimo primo agosto)? Già oggi, o forse domani, tornerà nella scuola di cui fu allievo oltre 40 anni fa: potrà uscire dal Don Bosco di Pisa, l’istituto penitenziario dove è detenuto, per lavorare alla biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa, tornando poi a dormire in carcere. Questo è possibile perché il giudice di sorveglianza di Pisa ha dato il via libera al lavoro esterno per l’ex leader di Lotta Continua, condannato a 22 anni di reclusione, con sentenza divenuta definitiva nel 2000, per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, avvenuto il 17 maggio 1972 a Milano. Sofri ha già scontato un terzo della pena, condizione imprescindibile per l’applicazione dell’articolo 21 dell’ordinamento penitenziario che regola il lavoro esterno al carcere. L’impiego lo ha poi trovato nella sua vecchia scuola, la Normale, dove, per le sue competenze specifiche, avrà un incarico nella biblioteca, la più grande d’Europa a scaffale aperto. Un lavoro di studio e di catalogazione di libri, non a contatto con il pubblico, nel Palazzo dell’Orologio, sede della biblioteca di lettere, in piazza dei Cavalieri. Un istituto d’eccellenza dove si accede per concorso, "scuola d’elite a base egualitaria" la definisce il direttore Salvatore Settis, che fra i suoi ex allievi annovera presidenti della Repubblica come Gronchi e Ciampi e premi Nobel come Carducci, Fermi e Rubbia. Giustizia: sciopero dei magistrati onorari, 90% di adesioni
Gazzetta del Sud, 21 giugno 2005
Adesione pressoché totale a Roma e Milano; punte molto alte un po’ ovunque, in particolare in Calabria e in Puglia; fanalino di coda, Napoli, con il 60 per cento delle udienze penali rinviate: tirando le somme, la Federazione dei Magistrati Onorari di Tribunale indica una partecipazione del 90 per cento al primo dei cinque giorni di scioperi indetti contro l’accantonamento della proposta di legge Vitali per stabilizzare il rapporto di lavoro dei circa tremila vice procuratori e giudici onorari, che attualmente decadono dopo sei anni di servizio. La protesta dei magistrati onorari – che amministrano la giustizia penale per reati perseguiti con pene detentive sino a 24 anni di reclusione e decidono controversie civili senza limite di valore – ha provocato, di fatto, lo slittamento di sei mesi delle cause in calendario. A saltare è stato l’85 per cento delle udienze; il restante 15 per cento è stato assicurato in base al codice di autoregolamentazione perché riguardava procedimenti con imputato detenuto o perché prossimi alla prescrizione, o procedimenti civili per condotta antisindacale. "È un risultato molto soddisfacente – dice Paolo Valerio, presidente della Federmot – perché è una protesta preparata con zelo. Anche se non c’è stato nessun segnale da parte del Governo, noi andremo avanti. Pur avendo avuto contatti informali con esponenti della maggioranza che hanno riconosciuto la necessità della riforma della categoria, non si è mai passati dalle parole ai fatti". Valerio ha spiegato che la proposta presentata dal sottosegretario Luigi Vitali, incentrata sulla istituzione di un ruolo di complemento formato da magistrati che svolgono fino al termine della carriera solo le funzioni di primo grado si è arenata in commissione giustizia perché non vi sarebbe la copertura finanziaria di 29 milioni di euro. A causa dello sciopero a Milano le aule con procedimenti per i giudici monocratici sono state chiuse anticipatamente. Milano: Criminal Mouse, ecco il Monopoli di San Vittore
Vivimilano, 21 giugno 2005
Un simpatico topo galeotto recluso in carcere. È il protagonista di Criminal Mouse, il gioco in scatola appena sfornato dai detenuti di San Vittore: un tabellone pieghevole composto da 52 caselle colorate, corrispondenti a diverse situazioni che chi vive in carcere è costretto ad affrontare quotidianamente: dall’incontro con il cappellano al momento del pasto, dall’ora d’aria al colloquio con l’avvocato. Nato da un’idea di Emilia Patruno, giornalista e animatrice del web magazine di San Vittore www.ildue.it, il gioco è stato realizzato con alcuni reclusi dello storico istituto milanese (gli stessi che fanno da consulenti per "Belli dentro", la sit-com ambientata in carcere trasmessa da Canale 5), in collaborazione con l’esperto Aldo Spinelli e la redazione del giornale di strada "Terre di Mezzo". Le regole sono semplici. Ogni partecipante deve decidere la sua tattica di galeotto. Ci sono quattro mazzi di carte: le "criminal card", che definiscono la pena dei vari giocatori (si va da tre a sei); gli "imprevisti", così veri e comuni in prigione; le "Freedom card", con quesiti sul mondo dei penitenziari; le carte "Evasione", perché la tentazione di tagliare la corda, quando si è rinchiusi in una cella, è sempre dietro l’angolo. Si procede con il lancio dei dadi rispondendo a domande a tema. Il punto di partenza è la casella "arresto", la meta finale è la "Libertà". Lo scopo - dicono i promotori, che si sono già aggiudicati una menzione speciale per l’alto valore sociale al premio per inventori di giochi "Archimede 2004" - è di spiegare in modo diretto e divertente l’esistenza di chi vive dietro le sbarre. Che cosa significa essere arrestati, a quante telefonate in un mese ha diritto chi sta in carcere, che cosa mangiano i reclusi... Questioni trattate dagli stessi detenuti tramite dei racconti autobiografici in un diario-libro scritto per l’occasione, venduto assieme al gioco nelle botteghe del commercio equo-solidale oppure on-line, nella sezione shopping di www.terre.it. Prezzo: 19.90 euro più le spese di spedizione. Immigrazione: espulso a fine pena, Mohammed ora rischia la vita
Il Manifesto, 21 giugno 2005
Ha passato vent’anni nelle carceri italiane di cui otto in "affidamento in prova" lavorando in una cooperativa sociale. E ora che tutte le condanne erano scontate, Mohammed Issa rischia la vita o altri vent’anni in carcere, questa volta in Israele. Tutto è successo mercoledì pomeriggio, quando l’uomo, 43 anni, informatico, originario di Dar’a in Palestina, è stato convocato dal commissariato di San Lorenzo a Roma per la consegna del documento che attestava la conclusione della pena per buona condotta. Mohammed era stato condannato negli anni `80 per l’attentato all’ambasciatore di Giordania. Il diplomatico rimase ferito piuttosto gravemente e Issa fu arrestato e processato quasi subito. Nel consegnargli il provvedimento, mercoledì pomeriggio i poliziotti di San Lorenzo hanno anche comunicato ad Issa che da quel momento era in stato di fermo: in quanto detenuto, seppure in "affidamento", in tutti questi anni Mohammed non ha potuto presentare alcuna domanda di permesso di soggiorno. E secondo la polizia è un clandestino da espellere come tutti gli altri. Trasferito per ventiquattro ore nell’ufficio immigrazione (dove è stato rifocillato solo con un bicchiere d’acqua) ieri sera è stato portato al cpt di Ponte galeria. Secondo gli agenti Mohammed deve essere identificato perché privo di documenti. In realtà la polizia conosce perfettamente la sua identità visto che Mohammed è stato condannato proprio perché "identificato" come l’autore materiale dell’attentato all’ambasciatore di Giordania. Quello che la questura finge di non sapere è che una espulsione amministrativa verso Israele o la Giordania per Mohammed Issa sarebbe una condanna a morte: da quelle parti sono ancora molti a voler vendicare la stagione degli attentati degli anni 80. Il rischio di espulsione era già sulla testa di Issa da anni. Oltre alla pena scontata il tribunale di Roma l’aveva condannato all’espulsione "giudiziaria". Contro quella decisione, però, l’uomo - assistito dagli avvocati Maria Cristina D’Addabbo e Caterina Calia - aveva già presentato un ricorso che sarà discusso il 6 luglio dal tribunale di Sorveglianza. L’attesa per quella sentenza potrebbe impedire che Mohammed sia rimpatriato nelle prossime ore. Ma dopo il 6 luglio la situazione diventerà delicatissima. Anche se quell’espulsione dovesse essere annullata, l’ordine della questura rimarrebbe "operativo". Ad annullarlo potrebbe essere solo il tribunale civile. Preoccupatissimi per lui si dicono i suoi soci, tra cui il presidente della cooperativa sociale Abbaco per cui Mohammed lavora, Mauro Mancini. "Hanno creato un percorso di riabilitazione per poi interromperlo così - dice Mancini - il nostro socio in Israele rischia la vita". Teramo: al carcere di Castrogno incontro con la giunta comunale
Il Tempo, 21 giugno 2005
"È più facile deatomizzare una cellula che rimuovere un pregiudizio". Con questa frase di Albert Eistein un detenuto del carcere di Castrogno ha voluto rappresentare la propria condizione e quella degli altri 350 carcerati (di cui 36 donne) dell’istituto di detenzione teramano. È stata proprio la volontà di essere coinvolti in progetti di reintegrazione sociale che ha caratterizzato l’incontro della giunta comunale con dirigenti, componenti del corpo di Polizia Penitenziaria e detenuti. Un incontro storico, perché mai prima di oggi una intera giunta comunale in forma istituzionale si era recata in visita alle carceri teramane. Dell’intera struttura l’amministrazione ha visitato in particolare le cucine mentre l’incontro si è svolto nel piccolo teatro interno. Ad esso hanno partecipato anche sei detenuti: gli italiani Vincenzo Donvito, Paolo Di Pietro, Giovanni Di Silvestro e gli extracomunitari Arianit Kabashi, Kustim Dul Buhaj, Ahamed Khabouche. Dal dialogo sono emerse le prime prospettive di collaborazione, ispirate alla volontà di creare le condizioni affinché tra detenuti e società possano scaturire scambi capaci di restituire speranze di reintegrazione alimentate dalla consapevolezza pubblica di un riscatto reale e completo. Il Sindaco e l’assessore alla Cultura Mauro di Dalmazio hanno ventilato la possibilità di comprendere anche i detenuti nel cartellone delle manifestazioni della Notte Bianca del prossimo settembre. L’assessore Berardo Rabbuffo, invece, ha avanzato l’ipotesi di coinvolgere i detenuti interessati alla pulizia della città nel corso della prossima Domenica Ecologica, mentre l’assessore ai Servizi Sociali Giorgio D’Ignazio, non ha escluso il ricorso agli stessi per le iniziative di volontariato.
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