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Telefono Azzurro: circa 60 bambini reclusi con le loro mamme
Asca, 17 giugno 2005
Molti bambini e adolescenti italiani, stranieri e nomadi, vivono direttamente o indirettamente per un periodo della loro vita l’esperienza del carcere avendo un genitore e, in alcuni casi entrambi, detenuto. Su una popolazione detenuta di circa 56.000 soggetti, più di 20.000 uomini e donne sono anche genitori di uno o più bambini. Le donne rappresentano il 4,6% dell’intera popolazione detenuta, di queste si contano 52 con prole e 24 in stato di gravidanza. I bambini reclusi con le loro mamme sono circa 60. Sono i dati diffusi oggi da Telefono Azzurro in un convegno a Roma in occasione dei 18 anni dell’associazione. Tra tutti i bambini figli di detenuti, ve ne sono alcuni (al di sotto dei tre anni) detenuti insieme alla loro mamma all’interno di spazi che dovrebbero essere, anche se spesso non lo sono affatto, idonei e adeguati al loro sviluppo psicofisico. Altri che settimanalmente affollano le sezioni preposte in visita ai genitori/parenti detenuti, costretti ad attendere a lungo il momento del colloquio e a vivere il colloquio stesso in un ambiente spesso buio e disagevole. "Il bambino e l’adolescente che entrano in carcere - spiegano gli esperti di Telefono Azzurro - si trovano a convivere in una situazione che non sono sempre in grado di comprendere, che non sempre sono preparati ad affrontare e che non è sempre tutelante nei loro confronti. Lo stesso rapporto con il proprio genitore rappresenta non solo un bisogno/diritto fondamentale indispensabile per un’armoniosa crescita del minore, che non può ignorato o negato e che deve essere il più possibile favorito e migliorato, ma rappresenta anche un percorso in linea con gli obiettivi risocializzativi della pena per quanto concerne il genitore-detenuto. La possibilità di relazionarsi con chi esiste fuori - e oltre - il carcere è peraltro un presupposto e, al tempo stesso, uno strumento fondamentale ai fini del percorso trattamentale e del reinserimento sociale, che deve, quindi, essere agevolato favorendo l’entrata in istituto e l’attivazione esterna di soggetti volontari e di figure del privato sociale, nonché dei servizi del territorio. Il progetto "Bambini e carcere" di Telefono Azzurro si propone pertanto di valorizzare la genitorialità rappresentando anche per il detenuto un’opportunità: per crescere come persona in qualità di genitore, con la consapevolezza che l’aiuto, la facilitazione sul piano della relazione con i propri figli sia importante anche per la crescita equilibrata di un minore che dovrà imparare a comprendere, accettare e vivere positivamente una situazione familiare così particolare; per utilizzare al meglio la possibilità di vedere i propri figli in carcere attraverso un setting privilegiato in cui le modalità, gli spazi e i tempi sono maggiormente adatti ad accogliere i minori; per riconoscere l’affettività come diritto della persona detenuta, poiché se sente riconosciuta come portatrice di diritti, certamente è più stimolata a riconoscere anche i suoi doveri. Studiato a sostegno dei bambini e adolescenti figli di genitori detenuti, il progetto si articola in due modalità diverse, non sempre contemporaneamente presenti nello stesso istituto. Il "Progetto Nido" si rivolge ai bambini che fino al compimento del terzo anno di età possono vivere all’interno del carcere con la mamma detenuta; i volontari aiutano ad accudirli, giocano con loro, li accompagnano fuori facilitandone l’accesso alle risorse del territorio (parchi, spazi gioco ecc.) e laddove possibile agevolano l’inserimento in asili nido comunali esterni, in vista del distacco previsto all’età di tre anni e che non sempre coincide con l’uscita della madre. Il "Progetto Ludoteca" prevede l’allestimento, per i bambini che si recano in carcere a far visita a un genitore, di un ambiente strutturato e attrezzato in modo consono alle loro esigenze, tale da attenuare almeno in parte l’impatto con la struttura penitenziaria. La ludoteca è il luogo in cui allentare le tensioni dell’attesa del genitore, dell’incontro e infine del distacco, con l’aiuto dei volontari, che accolgono i bambini e le loro famiglie, propongono attività di gioco, interagiscono con adulti e bambini facilitando il crearsi di un’atmosfera familiare e distesa. Questo progetto favorisce lo stabilirsi di una positiva relazione genitore-detenuto/bambino, necessaria sia per un’armoniosa crescita del figlio che per il recupero degli affetti all’interno del nucleo famigliare. Gli Istituti penitenziari coinvolti sono a Milano San Vittore e la II Casa di Reclusione di Bollate, Sanquirico a Monza, Le Vallette a Torino, Sollicciano a Firenze, Le Dogaie a Prato, Dozza a Bologna, Rebibbia Nuovo Complesso a Roma, Carcere Demaniale e Casa Circondariale a Padova, San Donato a Pescara, C.C. di Massa Carrara e Poggio Reale a Napoli (in via di allestimento); all’interno dei suddetti istituti si sono allestiti nidi, ludoteche interne e ludoteche negli spazi verdi. Sono stati inoltre attivati i primi contatti presso gli istituti di Bari, Catania, Reggio Emilia, Trento e Verona. Giustizia: Ass. Diritti Civili; serve atto coraggio di governo e parlamento
Ansa, 17 giugno 2005
"Oggi, di fronte al dramma delle carceri, occorre un atto di coraggio del Governo e del Parlamento italiano". È quanto sostiene in una nota il leader del Movimento Diritti Civili, Franco Corbelli, circa la situazione nelle carceri italiane. Secondo Diritti Civili nelle carceri italiane si trovano oltre 60 mila detenuti, 14 mila in più della capienza prevista; ci sono state oltre 1.800 morti negli ultimi 12 anni (650 suicidi e 1.200 morti per cause naturali); ed anche 60 bambini reclusi insieme alle loro mamme. "I dati agghiaccianti dei detenuti - ha concluso Corbelli - e dei morti in carcere devono far riflettere tutti. I detenuti che perdono la vita in cella sono quasi sempre persone povere, sconosciute, arrestati anche per piccoli reati, gente senza volto, sepolti vivi delle prigioni. È una strage che un Paese civile ha il dovere di fermare". Giustizia: 82 nuove carceri costruite dal 1971 a oggi; 14 in cantiere
Ansa, 17 giugno 2005
Sono 82 gli istituti penitenziari costruiti dal 1971 ad oggi, con finanziamenti pari a quasi tre miliardi di euro; 14 sono quelli per cui è prevista la realizzazione su 25 programmati; 59 le vecchie carceri dismesse e sostituite; 28 quelle in tutto o in parte ristrutturate; 16 quelle da ristrutturare; 2 quelle di prossima attivazione oltre a edifici destinati al personale carcerario. Questa la situazione dell’edilizia penitenziaria illustrata nella relazione inviata al Parlamento dal Ministero della Giustizia. Le opere sono state realizzate con i finanziamenti pubblici erogati con legge, oppure attraverso la permuta dei vecchi istituti, e la locazione finanziaria. Degli istituti ancora da realizzare - si legge nella relazione del capo del dipartimento dell’ Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tinebra - nove verranno costruiti con fondi pubblici, due, a Trento e Bolzano, con lo stanziamento di fondi da parte delle rispettive amministrazioni provinciali e due (Varese e Pordenone) con lo strumento della locazione finanziaria.Con 81 miliardi di lire stanziati nel 1996 sono stati costruiti autorimesse e strutture per l’alloggiamento del personale destinato alle traduzioni e le caserme per gli agenti a Le Vallette di Torino, al Pagliarelli di Palermo, a Ragusa e a Pisa. Con ulteriori 21 miliardi di lire dal 1997 al 1999 sono stati costruiti edifici per le attività lavorative e di trattamento attenuato dei detenuti nel carcere di Rebibbia a Roma e nella casa di reclusione a Castelfranco Emilia. Spoleto: dalla Casa di Reclusione arriva "l’Epidemia del bene"
Spoleto Online, 17 giugno 2005
Il carcere non è un argomento da salotto e spesso non è argomento neanche da quotidiano, si preferisce allontanarlo o lasciarlo sottinteso, forse non doveva essere mio il compito di parlare dello spettacolo, messo in scena dai detenuti oggi pomeriggio, al quale abbiamo assistito insieme ad un numeroso pubblico di reclusi, ma come in altre circostanze credo sia importante che "fuori" al di là dei cancelli, si sappia. Dei detenuti si parla solo quando si comportano male, quando trasgrediscono le regole carcerarie o compiono reati durante le misure alternative alla detenzione. Della loro opera per tornare persone, normali, attraverso la propria opera quotidiana di studio e lavoro spesso di ricerca per riuscire ad attraversare il ponte verso la libertà, e per molti solo quella della mente, non ne parliamo mai, della possibilità di recupero e dei numerosi successi nei percorsi alternativi alla detenzione, non ne veniamo informati, perché la società per bene, non vuole che i propri rifiuti tornino indietro. Il bene ed il male… il tema trattato dallo spettacolo "l’epidemia del bene" , messo in scena oggi all’interno del penitenziario di Spoleto, le due facce della società una per bene l’altra per male, che si sostengono e si alimentano, non può scomparire il male, non ci sarebbe più il bene. Graziano Petrini è il regista di "Epidemia del bene" scritto da un carcerato, G. M., e fatta completamente da carcerati attori, scenografi, costumisti, della casa di Reclusione di Maiano resa possibile dalla collaborazione costruttiva, tra tutte le figure che operano nel carcere dai docenti alla polizia penitenziaria alla direzione. Il centro territoriale permanente per la formazione adulta Pianciani e l’Istituto statale d’arte L. Leonardi hanno avviato questo importante laboratorio teatrale con il coordinamento delle insegnanti del centro territoriale permanente, scene e costumi sono stati realizzati all’interno delle due sezioni di scenotecnica e tessitura dell’istituto d’arte sez. carceraria, un laboratorio dove l’attore è anche il costumista e lo scenografo, un laboratorio che mi ha riportato indietro di molti anni, ai festival teatrali di terzo teatro che partivano dalle sperimentazioni di Barba. Milano: arriva Criminal Mouse, il gioco del carcere
Redattore Sociale, 17 giugno 2005
La direttrice del carcere di San Vittore Gloria Manzelli è stata condannata a 30 anni di carcere per "sequestro di persona" (art. 630 c.p.) e l’avvocato Giuliano Spazzali è finito dentro per rapina (art. 628 c.p.) e dovrà scontare sette anni. Niente paura, i due sono innocenti: stanno solo giocando a "Criminal Mouse" in una sala del Circolo della Stampa di Milano dove viene presentato ai giornalisti questo "gioco di percorso" prodotto da Faro, inventato e realizzato dai reclusi di San Vittore in collaborazione con "Ildue.it", col contributo del giornale "Terre di mezzo". Manzelli e Spazzali sono stati coinvolti nella presentazione e fatti giocare sul serio, per alcuni minuti, proprio per sperimentare i meccanismi principali del gioco. È solo un caso che in effetti, compito della direttrice del carcere sia proprio quello di tener "sequestrato" legalmente chi deve scontare una pena detentiva e che gli avvocati siano una categoria, insieme ad altre (commercialisti, commercianti...) scherzosamente accusate di "rapina" nei confronti dei propri clienti. Divertente, comunque, vederli giocare a "Criminal Mouse", il primo e unico gioco in scatola mai scritto e realizzato in un carcere. Per mettersi, almeno per una volta, nei panni dei carcerati e simulare il tortuoso percorso della vita reclusa: dal momento dell’arresto a quello della ritrovata libertà. Il gioco, che ha per protagonista un simpatico topo galeotto a cui capitano le incredibili e normali peripezie di chi è recluso nelle carceri italiane, nasce da un’idea di Emilia Patruno, giornalista e animatrice della redazione di detenuti di San Vittore che partecipano al sito www.ildue.it, ma senza collegarsi ad Internet perché è loro tassativamente vietato, cosa che è del resto oggetto di una delle tante domande ai concorrenti per proseguire il cammino verso la libertà. In questo, infatti, Criminal Mouse ha in sé il valore aggiunto di essere un gioco pieno di realtà, dove le regole le hanno scritte i protagonisti, coloro che quelle regole le subiscono, in carcere: i movimenti delle pedine, i premi e le punizioni, gli imprevisti e le strategie sono ricalcate sulle reali dinamiche che si instaurano in un carcere. E frustrazioni e furbizie, attese e speranze dei giocatori sono le stesse dei detenuti che anelano alla libertà. Ogni concorrente (da tre a sei) comincia con il pescare dal mazzo una "Criminal card", che definisce la pena che deve scontare ciascun giocatore (quelle ad esempio toccate in sorte a Manzelli e Spazzali). E poi ha a disposizione due dadi (uno bianco per andare avanti e uno rosso per tornare indietro e raggiungere una casella "importante") per giocare e raggiungere prima possibile l’ultima casella. Nel lungo cammino verso la casella della libertà si attraversano caselle importanti nel reale percorso del detenuto. Spazzali ha indicato per esempio la 42, indicata come "sintesi", che tiene conto di quello che il detenuto ha fatto in carcere fino a quel momento, di come si è comportato e attraverso la quale può passare alla 45 dove, attraverso la figura del magistrato di sorveglianza, può anche avere dei vantaggi. Ma c’è anche la casella dell’ora d’aria, quella della perquisizione, quella dell’ufficio matricola. Che indicano ad esempio, se si possono pescare carte dai mazzi "freedom card", dove vengono poste domande sulle vere regole carcerarie, rispondendo alle quali è possibile scontare un anno di carcere; dal mazzo "imprevisti", perché in carcere ce ne sono tanti. E anche dal mazzo "evasione", perché tra le opzioni che un giocatore può prendere in considerazione nella sua strategia di gioco c’è anche la fuga, perché la tentazione di tagliare la corda, quando si è privati della libertà, è sempre dietro l’angolo. È una eventualità comunque estremamente ardua, possibile solo rispondendo a domande molto difficili, e che coinvolge il comportamento anche di altri giocatori. Ma se si fallisce si torna alla prima casella. "È un bel gioco - secondo la direttrice Manzelli - che fa conoscere bene le regole del carcere attraverso il divertimento, regole di cui spesso si ha una conoscenza deviata da pregiudizi e da luoghi comuni. Il carcere è poi sempre alla ribalta delle cronache per episodi negativi: qui viene vissuto con un po’ di allegria e di serenità". Viterbo: reparto per detenuti al "Belcolle", servono più uomini
Tuscia Web, 17 giugno 2005
"Ovviamente, non possiamo che esprimere soddisfazione per la prossima apertura di un nuovo reparto detenuti all’ospedale Belcolle di Viterbo, annunciata dal Garante regionale dei detenuti per il Lazio, Angiolo Marroni". Lo afferma il senatore Michele Bonatesta, presidente provinciale di An. "Tuttavia, se è positivo il raddoppio dell’organico dei medici in servizio nella nuova sezione, che passeranno da due a quattro, - osserva il senatore - l’apertura di questo nuovo reparto comporterà pure un aggravamento dei problemi, come quelli della sicurezza e delle traduzioni, ad esempio, legati alle carenze dell’organico del personale di polizia penitenziaria. Dunque, occorreranno più uomini. Altrimenti, ancora una volta, - avverte l’esponente di An - le esigenze carcerarie a livello nazionale andranno a penalizzare quelle a livello locale e, in particolare, quelle della provincia di Viterbo e del carcere Mammagialla. Questo - conclude Bonatesta - non deve avvenire". Immigrazione: Prefetto Milano; non criminalizzare gli stranieri
Ansa, 17 giugno 2005
"Non si possono criminalizzare tutti gli stranieri perché sarebbe scorretto sul piano culturale e creerebbe al contrario una condizione di disagio e di disequilibrio. È necessario invece contrastare l’immigrazione clandestina da cui vengono la maggior parte dei problemi". Lo ha affermato il prefetto di Milano, Bruno Ferrante, al termine della Conferenza regionale delle autorità di pubblica sicurezza. All’incontro hanno preso parte prefetti e questori lombardi e i vertici di carabinieri e Guardia di Finanza. Si sono analizzati i temi della criminalità organizzata e dell’immigrazione irregolare anche in riferimento ai recenti fatti di cronaca fra i quali l’omicidio di un giovane barista da parte di albanesi nel Varesotto. "Sono temi distinti, ma che hanno punti di contatto - ha spiegato il prefetto milanese - dobbiamo dedicare grandissima attenzione alla criminalità organizzata, alla prostituzione, al traffico di esseri umani e di droga contrastando non solo organizzazioni italiane ma pure quelle albanesi, rumene e ora anche russe e cinesi. Sull’immigrazione abbiamo fatto anche una analisi approfondita riguardo anche a forme di intolleranza e di xenofobia. Il fatto di Varese è gravissimo, ma va risolto con gli strumenti della legge". "Non possiamo illuderci che non vengano più commessi i reati - ha ribadito il questore milanese Paolo Scarpis - anche se bisogna impegnarsi perché siano sempre più prevenuti e repressi. Certo riuscire a individuare e ad assicurare alla giustizia rapidamente i responsabili non può ripagare le vittime, ma può dare una maggiore fiducia ai cittadini perché vuol dire che lo Stato c’è". A margine dell’incontro il prefetto di Varese Alfonso Pironti ha sottolineato che "i clandestini sono un problema molto serio e con aspetti di ordine sociale oltre che di polizia". "I cittadini - ha detto - evitino di dare lavoro a chi non è regolare perché se non ci fossero le occasioni per sopravvivere anche in maniera precaria, clandestinamente, non ci sarebbe la convenienza a venire nel nostro Paese". Anche Pironti ha condannato "le rappresaglie, le vendette e le giustizie private". Alla domanda se vi fossero gruppi organizzati dietro le tensioni e le aggressioni a Varese per la morte del barista, ha risposto: "Non credo, ci sono frange ben individuate: la cittadinanza vive in modo civile, tollerante ed equilibrato. Chi vuole manifestare lo faccia in maniera civile e senza infrangere la legge". Civitavecchia: mostra degli oggetti realizzati dai detenuti
Il Messaggero, 17 giugno 2005
Va davvero "Oltre il muro" la V edizione della mostra organizzata dalla direzione della casa di reclusione di via Tarquinia in collaborazione con il Centro territoriale permanente n. 12, la Casa circondariale Nuovo Complesso di Aurelia e l’Istituto d’Arte. Quest’anno, infatti, la sede dell’esposizione sarà la sede della Lega Navale Italiana, sul lungomare Thaon de Revel. La mostra s’inaugura domani alle 12,30 e resterà aperta e visitabile anche per tutta la giornata di domenica. Esposti i lavori di pittura, artigianato e modellismo realizzati dai reclusi. I manufatti saranno in vendita. Cinema: "Sulla mia pelle", film sulla vita dei semiliberi
Il Messaggero, 17 giugno 2005
Tony Zanchi (Ivan Franek) aveva una vita, anche una famiglia, ma dopo anni passati in una cella, non gli resta più molto. Ora, però, è pronto per la riabilitazione: il suo è un regime di semilibertà. Ma si può essere semiliberi? La vita di Tony, che lavora in un caseificio e dorme in carcere, si trasforma in una quotidiana corsa dietro l’orologio, in cui ogni dettaglio è definito per legge nel piano di trattamento del giudice di sorveglianza: la burocrazia tiranneggia ogni secondo della sua esistenza. Sulla mia pelle di Valerio Jalongo tradisce tutta l’esperienza del regista che, a Rebibbia, ha lavorato davvero. E il carcere del suo film sobrio, infatti, è uno dei più realistici degli ultimi anni: non è farsesco, non è troppo efferato, ma nemmeno un luogo da mitizzare, con sottotesti come "dentro si è più liberi che fuori". E Ivan Franek è l’attore giusto per interpretare un uomo che vive il paradosso del detenuto part-time, che deve imparare a fare buon uso della libertà. Con il suo viso sofferto, è capace di spalancare gli occhi davanti alla macchina da presa, per ricordarci che i maestri di questi carcerati in semilibertà siamo noi, noi gente per bene. Ma siamo sicuri che della nostra libertà facciamo buon uso? Brescia: istituito garante comunale dei diritti dei detenuti
Giornale di Brescia, 17 giugno 2005
"Le persone private della loro libertà devono essere rispettate nella loro dignità, che è consustanziale alla persona a prescindere da tutto. Del resto, nel nostro ordinamento la carcerazione non è un sistema afflittivo, ma rieducativo e testo al saldo di un debito". Così il sindaco Paolo Corsini ieri, affiancato dall’assessore alla Partecipazione Rosangela Comini, nel presentare i contenuti di una recente delibera approvata in Consiglio comunale e che prevede l’"istituzione del garante dei diritti delle persone private della libertà personale". La nomina del garante - che avverrà concretamente in autunno e che, nel desiderio del sindaco, potrebbe essere intitolato alla memoria di Gian Carlo Zappa - è solo uno delle ultime decisioni assunte dalla Loggia nel dimostrare attenzione nei confronti dei carcerati. "Abbiamo chiesto al ministero di Grazia e Giustizia di darci indicazioni in merito all’area sulla quale edificare un nuovo carcere, assodato che la sede di Canton Mombello non è più sufficiente e funzionale - ha detto Corsini -. Al Comune il compito di agire sotto il profilo urbanistico per rendere possibile la costruzione: ebbene, dal ministero non abbiamo avuto alcuna risposta". Ancora, il Comune ha reso disponibile anche per la popolazione carceraria tutto il patrimonio librario delle sue biblioteche pubbliche e, infine, ha sottoscritto un accordo con alcune realtà- tra queste una cooperativa aderente al Solco - per la gestione di una struttura "di passaggio" nel quale ospitare persone che, appena uscite dal carcere, hanno bisogno di un aiuto per reinserirsi nel mondo del lavoro. "In questo terreno, l’istituzione di un garante dei diritti delle persone private della libertà personale assume una valenza etica e civile molto forte, perché significa che ci si sforza concretamente per garantire i diritti di uno Stato civile", ha aggiunto Rosangela Comini. Tra i compiti, "rispetto a possibili segnalazioni che giungano, anche in via informale, alla sua attenzione e riguardino violazione di diritti, garanzie e prerogative delle persone private della libertà personale, il garante si rivolge alle autorità competenti per avere eventuali ulteriori informazioni; segnala il mancato o inadeguato rispetto di tali diritti e conduce un’opera di assidua informazione e di costante comunicazione alle autorità stesse relativamente alle condizioni dei luoghi di reclusione". Giustizia: 7.800 i volontari che entrano nelle carceri italiane
Redattore Sociale, 17 giugno 2005
Sono circa 7.800 i volontari che continuativamente entrano nelle carceri italiane durante l’anno: una presenza numerosa anche se in leggera flessione rispetto al 2004, con una prevalenza femminile e la Toscana al primo posto per numero di operatori. Lo evidenzia la "Quarta rilevazione nazionale sul volontariato penitenziario" intitolata "Il carcere di tante carceri in un’Italia di tante Italie", prodotta dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La ricerca verrà presentata domani, venerdì 17 giugno, alle ore 11,30 presso l’ex Hotel Bologna (Senato) in via Santa Chiara, alla presenza del presidente della Conferenza Livio Ferrari, del dirigente generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Maria Pia Giuffrida, del presidente della consulta penitenziaria del comune di Roma Luigi Di Mauro e del direttore Cesiav Guido Memo. La relazione sulla ricerca sarà tenuta da Renato Frisanco, responsabile del settore studi e ricerche della Fivol. A coordinare i lavori ci sarà la giornalista Rai Cinzia Fiorato. "Quello che risulta drammatico, e che le migliaia di volontari denunciano con forza - sottolinea Ferrari - è il sovraffollamento. Al primo giugno si contavano oltre 59.000 detenuti nei 206 istituti, che hanno una capienza complessiva per meno di 42.000 posti, cifra record di sempre per il nostro Paese. Con l’arrivo del caldo dell’estate, come accade da alcuni anni, aumenterà l’emergenza in quanto le celle diventano invivibili sia dal punto di vista umano e soprattutto igienico". "I volontari - conclude il presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia - chiedono un segnale che superi le inutili e sterili chiacchiere finora partorite da questo Governo e dal Parlamento; bisogna fare qualcosa di concreto per ridurre la presenza di detenuti nelle carceri italiane, diminuendo così violenze e morti che tutti i giorni segnano questi luoghi di vendetta, di cui il mondo politico deve sentire la responsabilità oggettiva". Giustizia: Ciampi, Castelli e il conflitto per la grazia
L’Unione Sarda, 17 giugno 2005
La recente decisione del presidente Ciampi di sollevare di fronte alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, a proposito delle proprie prerogative in ordine al potere di grazia, non trova precedenti nella storia repubblicana. Ma il ministro della giustizia infiamma ora la polemica, ammonendo che l’eventuale decisione che riservasse al presidente il potere di grazia avrebbe effetti devastanti perché gli attribuirebbe poteri enormi che nemmeno il presidente degli Stati Uniti si sogna. Il ministro ha perso così una buona occasione per stare zitto, in attesa della decisione della Consulta e per rispetto verso di essa. Il problema sottoposto alla Corte costituzionale non è semplice. Infatti l’art. 87 della Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica il potere di concedere la grazia e commutare le pene, per cui sembrerebbe attribuirgli un potere esclusivo di iniziativa e di decisione. Ma il successivo art. 89 della stessa Costituzione stabilisce che nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Pertanto sinora il Guardasigilli si limitava ad inviare al presidente della Repubblica solo le domande di grazia per le quali esprimeva un parere favorevole. In realtà il problema dei rapporti tra presidente della Repubblica e ministro controfirmante è aperto da decenni, essendo il decreto di grazia da taluni ritenuto sostanzialmente ministeriale, da altri invece di natura presidenziale e da altri ancora qualificato atto a partecipazione uguale. Gli studiosi di diritto costituzionale ritengono prevalentemente che, ove manchi la proposta del ministro, la sottoscrizione di un decreto di grazia da parte del capo dello Stato sarebbe inefficace perché, non conseguendo ad una previa proposta del ministro, non conterrebbe l’assunzione di alcuna responsabilità politica da parte di quest’ultimo. Più recentemente, facendo leva pure sull’art. 681 del codice di procedura penale che stabilisce che la grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta, si è affacciata la tesi che la controfirma ministeriale sarebbe un atto dovuto, perché altrimenti il ministro avrebbe sostanzialmente un potere di veto che esproprierebbe il presidente del potere di grazia. Tuttavia negli ultimi cinquanta anni la prassi costituzionale ha considerato la controfirma un atto di governo, per via della responsabilità politica che con essa assume il ministro. In effetti, sia l’esperienza comparativa straniera, soprattutto quella inglese, dove già dal XVIII secolo al principio assolutista "il re non può sbagliare" si affiancava la regola per cui "il re non può agire da solo", sia il precedente storico dello Statuto albertino, dove era pacifico che l’atto di grazia, come tutti gli atti del capo dello Stato, doveva essere controfirmato dal ministro che ne assumeva la responsabilità, dimostrano che sarebbe ben strano sostenere oggi, in un regime democratico - parlamentare, la tesi opposta della grazia quale atto sovrano di clemenza, insindacabile e sottratto a qualsiasi responsabilità. Sarà comunque la Corte costituzionale a decidere e sarebbe opportuno evitare nel frattempo le inutili polemiche. Ma sarebbe anche opportuno non pensare solo a Bompressi ed a Sofri, ma pure agli oltre 59 mila detenuti italiani delle patrie galere, visto che secondo il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria queste non sono mai state così sovraffollate (16.000 oltre la capienza massima, con già 30 suicidi solo quest’anno). I carcerati sono stati illusi negli ultimi anni con speranze di amnistia, poi regolarmente dimenticate, ma mi sembra che abbiano almeno diritto a vivere in un ambiente dignitoso. Isili: da un anno è l’unica colonia penale agricola d’Italia
L’Unione Sarda, 17 giugno 2005
Dovrebbero essere tutti come quello di Isili i carceri d’Italia. I detenuti lavorano, percepiscono uno stipendio, l’attività aiuta dal punto di vista economico e soprattutto l’opera di reinserimento di chi ha sbagliato e sta pagando i suoi conti con la società. Quasi quasi verrebbe da non chiamarlo carcere: in effetti anche per legge è una "casa di lavoro all’aperto" e lo stesso direttore, Marco Porcu, precisa che chiamarla carcere "è un retaggio del passato". Campi coltivati, allevamenti e ricoveri per detenuti e guardie carcerarie si estendono per 750 ettari dove compaiono edilizie risalenti all’800. Dal 2004 è l’unico istituto penitenziario che ha una sezione di colonia agricola così come intesa nel Codice Penale, su tutto il territorio nazionale. Gli ospiti? Extracomunitari, tossicodipendenti e spacciatori che stanno per ultimare il loro periodo di reclusione: "In questa struttura - prosegue il direttore - il fine pena non deve superiore ai tre anni". Non tutte i detenuti possono essere trasferiti in un istituti come quello del Sarcidano: "Per ogni candidato deve essere fatta una valutazione di idoneità psico-fisica". Rispetto agli anni Sessanta e Settanta, quando a Isili arrivavano soprattutto persone da riabilitare legate a filo doppio con la realtà agro-pastorale di tutta Italia, adesso i carcerati provengono in larga parte dall’ambiente della tossicodipendenza. "In questo modo - prosegue il direttore del carcere, Marco Porcu - la differente realtà che vive il carcere ha inciso oggi sulla produttività dell’azienda. Oggi non abbiamo manodopera qualificata". Nella colonia è presente un essicatoio per la produzione dei pomodori secchi e fra le attività che vengono proposte rientrano i corsi professionali come muratore, operatori dell’essicatoio e quello ormai istituzionalizzato per l’ottenimento della licenzia media. Per il loro lavoro i detenuti sono retribuiti con una paga che due terzi della paga sindacale. A vigilare su di loro circa cento dipendenti fra poliziotti, guidati dal comandante Giuseppe Atzeni, amministrativi, educatori, operatori del servizio sanitario. "Siamo un microcosmo, un organismo vivente", aggiunge Marco Porcu. Proprio per la caratteristica di questo carcere gli stessi poliziotti non svolgono solo il servizio di vigilanza: "Devono anche organizzare l’azienda agricola e l’allevamento - spiega Marco Porcu - e devono seguire la gestione dell’azienda". La carne, il latte, i prodotti dei campi, il foraggio vengono usati per la mensa dei detenuti e degli agenti di custodia e sono venduti alle stesse guardie carcerarie oppure alle altre strutture penitenziarie della Sardegna e del resto d’Italia. La colonia penale di Isili è una realtà ben inserita nel tessuto sociale di un paese che non l’ha mai vissuta con timore o remore: "Abbiamo un buonissimo rapporto con tutte le istituzioni locali dal Comune alla Comunità Montana, dalle scuole alla biblioteca", dichiara ancora Porcu. Membro attivo di questa realtà è il cappellano, don Giovanni Usai, presente a Isili da ormai ventiquattro anni. Ha vissuto tutti i cambiamenti di questa colonia: "Ci sono aspetti positivi. Ma altri vanno migliorati". La realtà multietnica, multirazziale e multilinguistica che si è profilata nel tempo ha inciso anche sul progetto di evangelizzazione che il cappellano faceva prima con i detenuti cristiani cattolici: "Oggi la proclamazione del messaggio cristiano avviene attraverso l’accoglienza - spiega don Giovanni - quando non ci si pone come nemici ma come persone di fede pur diverse, si trovano punti di incontro". Sonia Gioia Lodi: festa dell’affettività presso la casa circondariale
Comunicato stampa, 17 giugno 2005
Sabato 18 giugno presso il carcere di Lodi si svolgerà la festa dell’affettività che vede coinvolti, da una parte i detenuti e dall’altra i figli minorenni. La festa vuole tentare di rinsaldare la relazione genitore/figlio, spezzata dalla detenzione; è finalizzata a privilegiare l’intimità tra nuclei familiari e si articolerà in momenti di gioco, animazione e laboratori per bambini. Hanno contribuito alla realizzazione della giornata la direzione del carcere, il personale di custodia, gli educatori, la psicologa del carcere e una rete di associazioni, in particolare: bambini senza sbarre, Unicef del lodigiano, Co.Ge.D., Punto e virgola, il Bivacco, il Comitato soci Coop Lombardia, ma anche tanti uomini e donne che operano con continuità, da mesi, per l’umanizzazione e la trasparenza della Casa Circondariale di Lodi. Droghe: generale Ragosa rifiuta incarico di capo del Dnpa
Redattore Sociale, 17 giugno 2005
Antonio Ragosa ha rifiutato l’incarico di capo Dipartimento nazionale delle politiche antidroga. La notizia è di questo pomeriggio, dopo che per tutta la giornata era stato data per certa la nuova nomina. A farlo recedere dalla decisione sarebbe stata la situazione venutasi a creare all’interno del Dipartimento, nonché un’interpellanza sulla questione presentata dal responsabile welfare dei Ds, Livia Turco, lo scorso 6 giugno. Un’interpellanza che sollevava più di un dubbio sulle questioni finanziarie e non (convenzioni, gestione del fondo antidroga, consulenze esterne, mancata consegna al Parlamento della relazione annuale del Dipartimento, etc.) facenti capo dal Dnpa. Ma andiamo con ordine. Il generale del Sismi aveva già cominciato a frequentare il Dnpa, ma si è reso conto ben presto del ruolo "leggero" disegnato per lui. Fin dal momento delle dimissioni di Nicola Carlesi, infatti, indiscrezioni facevano riferimento ad una figura che consentisse all’attuale dirigenza di proseguire nel lavoro e lasciasse una certa libertà nelle decisioni da prendere. Non c’è dubbio che Ragosa fosse ben visto da Palazzo Chigi, tanto che lo stesso Berlusconi avrebbe favorito la nomina del generale del Sismi. Tuttavia, egli non avrebbe accettato di fatto il progetto impostato per lui, quello di una figura sostanzialmente di transizione in vista delle prossime elezioni politiche. Ha preso dunque atto delle difficoltà di svolgere il proprio ruolo in maniera autonoma, anche e soprattutto in relazione ad un’altra questione, che di fatto ha inciso pesantemente sulla sua decisione. Presa visione della già citata interpellanza della Turco, infatti, Ragosa non si è ritenuto soddisfatto del chiarimenti avuti. Nell’interpellanza della parlamentare diessina, tra l’altro si chiede al Presidente del Consiglio dei Ministri se sia a conoscenza "della grave situazione; quali interventi intenda mettere in campo per riportare l’azione amministrativa del Dipartimento nazionale per le politiche antidroga entro l’elementare canone del rispetto delle regole, proprie di uno Stato di diritto; se non ritenga che la lotta alla droga, quale priorità dell’azione di Governo, e la tanto sbandierata svolta repressiva, necessaria per arginare il presunto dilagare del fenomeno, non siano risultati, di fatto, strumentali all’attuazione di una ben diversa finalità, consistente nella utilizzazione delle risorse pubbliche con modalità ad avviso dell’interpellante arbitrarie e clientelari, che richiedono un ulteriore approfondimento da parte delle autorità competenti". Antonio Ragosa, dunque, si è presentato a Palazzo Chigi, è tornato al Dipartimento nazionale politiche antidroga e ha salutato tutti. E ora? La questione rimane aperta, ma a meno di ripensamenti la poltrona che è stata di Nicola Carlesi rimane tutt’ora vuota. Interpellata dopo che era trapelata la notizia del rifiuto, la segretaria del Ministro Giovanardi ha smentito qualsiasi ufficialità della nomina di Ragosa; dopo che nei giorni scorsi, però, lo stesso Ministro aveva dichiarato di essere in attesa di concordare con il generale le linee guida della nuova direzione.
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