Rassegna stampa 10 giugno

 

Castelli: 59.012, è record di detenuti; Sappe: non ce la facciamo più

 

Rai News 24, 10 maggio 2005

 

"Diciamo che con l’arrivo dell’estate e insieme all’anticiclone delle Azzorre, arriva anche l’attenzione sulle carceri".

Il ministro della giustizia Roberto Castelli non rinuncia all’ironia per commentare l’allarme lanciato da alcune forze politiche dell’opposizione (i Radicali, ndr) sull’affollamento nei penitenziari italiani.

Ma poi dichiara: la situazione nelle carceri italiane è "allarmante". L’origine di molti problemi resta l’affollamento degli istituti penitenziari: mai così alto come in questo momento. Per questo il governo sta lavorando a interventi "urgenti" per rimediare a una situazione "pesante", dice Castelli in conferenza stampa a Palazzo Chigi al termine del Consiglio dei Ministri.

"La situazione delle carceri italiane è assolutamente indegna di un paese civile", ribadisce il deputato verde Bulgarelli: la popolazione detenuta è ormai prossima alle

60.000 unità, ci sono oltre 17.000 detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili, la situazione igienica e sanitaria è ormai al collasso, con un detenuto su 10 sieropositivo al virus dell’Hiv e il dilagare di malattie come l’epatite C e la tubercolosi.

Ma l’attacco più duro a Castelli arriva dal sindacato della polizia penitenziaria. Il segretario generale del Sappe (Sindacato autonomo di Polizia penitenziaria) Donato Capece parla chiaro: "Non sappiamo più dove mettere i detenuti - spiega Capece - letti a quattro castelli, materassi per terra, igiene e sanità inesistenti, pericolo costante di epidemie". "Prevediamo un’estate bollente - sostiene il responsabile del Sappe - se non si mette mano a misure e a provvedimenti di decongestionamento. Il personale della Polizia penitenziaria nonostante tutta l’abnegazione e lo spirito di sacrificio, non ce la fa più. Non sono nemmeno assicurati i sette giorni di ferie estive e già in alcuni istituti non viene garantito il riposo settimanale che è quasi mensile".

Ancona: morto il detenuto che tre giorni fa tentò il suicidio

 

Ansa, 10 maggio 2005

 

È morto stamani nella rianimazione clinica dell’ospedale di Torrette di Ancona Andrea Novelli, il detenuto di 33 anni che il 7 giugno scorso aveva tentato di impiccarsi con un lenzuolo nella sua cella del carcere di Montacuto. Le sue condizioni erano subito apparse disperate. Novelli era stato condannato in secondo grado a 14 anni di reclusione per aver ucciso a bastonate, a Sirolo, un vicino di casa. L’imputato era stato riconosciuto dai giudici seminfermo di mente.

I dati del Ministero della Giustizia: dal 2001 ad oggi suicidi in calo

 

Adnkronos, 10 maggio 2005

 

Il numero dei suicidi dietro le sbarre, dall’inizio della legislatura ad oggi, è in diminuzione. Nel 2001 sono stati 69 i detenuti che si sono tolti la vita (12.5 casi per ogni 10mila detenuti), nei primi mesi di quest’anno invece i casi di suicidi in carcere sono 25 (con una proiezione annuale di 10.1 casi ogni 10mila detenuti). È quanto emerge dai dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, diffusi dal ministero della Giustizia dopo le polemiche di questi giorni sulle condizioni all’interno dei penitenziari italiani. Dati che si discostano anche da quelli riferiti dal Garante per i detenuti di Roma Luigi Manconi.

Italia: carceri o cimiteri? 2 mila morti in 12 anni, di Dimitri Buffa

 

L’opinione on line, 10 maggio 2005

 

A maggio del 2005 altri 11 individui hanno perso la vita nel circuito penitenziario italiano. Cinque si sono suicidati, tre sono morti per malattia, uno di overdose e due per cause da accertare. Le cronache dal "di dentro" sono in pratica uno stillicidio quasi quotidiano. Che il paese accetta senza vergogna come se nelle galere si vivesse in un mondo a parte dove la civiltà non è mai arrivata. E le statistiche pubblicate dal sito internet di Ristretti Orizzonti, sicuramente una delle fonti migliori e più aggiornate in materia, dato che ogni mese compila un dossier dal titolo tanto significativo quanto triste ("Morire di carcere"), parlano di oltre 650 morti per suicidio dal 1992 al 2004 (stima per difetto) e di circa altri 1.400 morti per cause naturali.

Che poi tanto naturali non sono visto che si tratta per lo più di overdose da eroina, che almeno in carcere non dovrebbe circolare, di Aids, i cui malati in carcere non dovrebbero stare anche perché nessuno li cura, e in genere di stenti e di malasanità. Una discarica sociale in cui, quando ci si finisce per un motivo o l’altro (quasi ogni città d’Italia ha un motto come quello capitolino che dice che "chi non sale quei tre gradini non è romano") nessuno può dare la garanzia che il biglietto non sia stato di sola andata.

Insomma una "spoon river" che tanto ci ricorda le tristi ballate di Fabrizio de Andrè, dove però gli accenti romantici lasciano il posto allo squallore e alla disperazione. D’altronde se è terribile morire dietro le sbarre viverci può essere quasi peggio dato che la sovrappopolazione, tra un dibattito sull’amnistia e la clemenza e un’inutile legge come quella sull’indultino, è rimasto pressoché invariato a quota 59 mila presenze per strutture che al massimo potrebbero ospitarne 40 mila. L’Italia può consolarsi di non avere il più alto tasso di suicidi rispetto alle medie europee, visto che i suoi 11 su 10 mila sono ben sotto i 24 dell’Austria o anche dei 14 dell’Inghilterra, della Grecia e dell’Irlanda. E persino dei 13 della Lituania. Ma è abbastanza da idioti consolarsi così, con i numeri. Con quelle poche statistiche che paradossalmente sembrano favorevoli. Secondo la filosofia del "beati monoculi in terra caecorum". Dove poi questa "terra caecorum sarebbe il vecchio continente.

Sempre più spesso queste notizie non trovano affatto posto sui giornali e, per portare avanti il dossier, dobbiamo affidarci alle informazioni che arrivano dai volontari, o dai parenti dei detenuti.

Dal 2001 alle cifre ufficiali sui detenuti morti e sugli atti di autolesionismo nelle carceri non viene dato alcun rilievo (un Protocollo di intesa tra Istat e Ministero della Giustizia, datato 12 luglio 2002, prevede la "rilevazione semestrale degli eventi critici negli istituti penitenziari": sarebbe naturalmente interessante conoscere puntualmente le cifre relative a tali eventi).

Invece dalle carceri italiane arriva, con inesorabile puntualità, la segnalazione di tutti gli spettacoli musicali e teatrali, delle gare sportive, dei concorsi di poesia e di pittura, e via dicendo: evidentemente (e, dal punto di vista dell’istituzione-carcere, comprensibilmente) a molti piace che del carcere arrivi un’immagine "addolcita", che però è troppo parziale rispetto a una realtà, ben più complessa di come appare dalle pagine dei giornali. Giustamente l’ampio studio di "Ristretti Orizzonti", un sito curato da un ex detenuto, Francesco Morelli, che è ormai più attendibile di qualsiasi esperto ministeriale o del Dap, rimarca che "una rassegna stampa sul carcere" equivale a un elenco di "molti articoli che sembrano proprio note contabili".

"C’è il numero totale dei detenuti, di quelli che sarebbero di troppo rispetto alla normale capienza, degli stranieri e dei tossicodipendenti, per finire con gli autolesionisti ed i morti suicidi."

"Questa catena di cifre - è la laconica considerazione che viene fatta dall’estensor del dossier riassuntivo di dodici anni di disgrazie - ricorda tanto le cronache di guerra, con le dimensioni degli eserciti, dei corpi speciali di combattenti e, infine, con il bilancio di morti e di feriti."

E il capitolo dedicato alla stampa dal dossier in questione non è affatto tenero, anzi abbonda di una sorta di logico cinismo sprezzante del politically correct tra giornalisti. Ecco uno stralcio significativo: "La sensibilizzazione della società riguardo agli emarginati, al carcere e alla devianza, è un’impresa faticosissima, anche volendoci mettere tutta la professionalità e l’inventiva possibili. Figurarsi se l’impegno si limita all’indispensabile, se ci si accontenta di "riempire la pagina" rimasticando sempre gli stessi concetti, magari giustissimi, ma talmente logori che ormai annoiano anche noi detenuti, che pure siamo i diretti interessati. In questo modo chi non è detenuto, parente o amico di detenuti, volontario od operatore penitenziario, legge del sovraffollamento delle carceri come potrebbe leggere della migrazione delle oche canadesi… non gliene frega niente, in pratica!" Poi una rivelazione non del tutto inattesa: "Abbiamo ripassato tre anni di rassegna stampa sul carcere per raccogliere notizie e commenti sui cosiddetti "eventi critici" in ambito penitenziario: i suicidi, le morti per malattia, gli autolesionismi, etc.: molti articoli del 2003, anche di opinionisti intelligenti, anche di politici e operatori in gamba, sono pressoché identici a quelli che gli stessi hanno scritto nel 2001 e poi ancora nel 2002... è vero che i problemi non sono tanto cambiati, però è anche vero che così l’informazione perde di vivacità (necessaria per cercare di coinvolgere i lettori) e l’analisi socio-politica del fenomeno fa ben pochi progressi."

Parole sante in un Paese dove i politici si riempiono la bocca a giorni alterni o di invocazioni ridicole alla tolleranza zero dicendo di farsi portavoce della richiesta di sicurezza che viene dal popolo, promossa quasi a "grido di dolore" di risorgimentale memoria, o di pietismi prelettorali di solito evocati da chi si dice sensibile alle parole proferite da questo o da quel Pontefice in nome di un luogo comune che vuole gli italiani tanto ma tanto buoni. Invece, visto che vogliamo ragionare per sondaggi o per statistiche, non siamo buoni per niente.

Magari buonisti sì, con tanta ipocrisia mielata, con tanta gente che si batte il petto in chiesa, disposta a tutto pur di salvare embrioni, quasi a nulla invece per ottemperare quell’obbligo morale tanto cristiano che era contenuto nella frase di "visitare i carcerati". La gente quando va in galera, se non ha alle spalle una famiglia più che presente, finisce parcheggiata per anni in un dimenticatoio che porta tutti i reclusi fuori dallo spazio e dal tempo. Nella migliore ipotesi si passano 20 ore al giorno seduti su un letto a fare le parole crociate e ad aspettare che tristissimi pasti vengano serviti in orari teutonici e scandiscano la fine di una giornata di noia mortale nell’attesa dell’inizio di un’altra che sarà uguale e pure peggio.

Gli educatori sociali non esistono più e quando pure li si trova spesso usano le carceri come trampolini mediatici per apparire in tv e fare fortuna come psicologi, sociologi o consulenti. In queste condizioni che ci sia qualcuno che abbia paura di trattare troppo bene i detenuti alloggiandoli come in un grande hotel risulta paradossale. Quasi una sorta di esercizio di sadismo intellettuale su dei poveri Cristi.

Carceri piene e rischio di epidemie: 17mila detenuti di troppo

 

Tg Com, 10 maggio 2005

 

Quasi 60mila detenuti rinchiusi dietro le sbarre di 206 istituti penitenziari italiani. Il 30% dei prigionieri è formato da tossicodipendenti o ex, un altro 30% è composto da extracomunitari. Carceri italiane sempre più a rischio per la diffusione di malattie infettive. I dati parlano di una concentrazione di persone infette per diversi tipi di malattie, di 10 volte superiore tra i detenuti rispetto alla media.

Alcuni studi coordinati dall’infettivologo Giovanni Rezza, direttore del centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità (Iss) e condotti in collaborazione con il Ministero della giustizia, mostrano che il 7.5 % dei detenuti nelle carceri italiane è sieropositivo, il 38% risulta positivo al test per l’epatite C e addirittura il 50% risulta essere entrato in contatto con il virus dell’epatite B mentre il 7% presenta l’infezione in atto.

"Pensiamo - dice Rezza - che i sieropositivi nelle carceri possano essere uno su dieci detenuti". Inoltre, il test cutaneo per evidenziare la presenza del virus della tubercolosi, è risultato positivo nel 18% dei detenuti. "Essere postivi ai test - spiega Giovanni Rezza - non significa che ci si ammalerà per forza, ma non dobbiamo nemmeno sottovalutare il rischio di una diffusione massiccia delle malattie infettive tra la popolazione carceraria".

La diffusione delle malattie infettive va anche collegata al sovraffollamento delle carceri. Le persone detenute nei 286 istituti di pena sono circa 59mila in condizioni igieniche estremamente precarie: solo nel carcere di Rebibbia attualmente quaranta persone non hanno un posto letto assegnato e dormono tutte assieme su materassi per terra nelle stanze adibite alle attività comuni. La diffusione delle malattie infettive è un problema di sanità pubblica, insistono gli esperti. Un’impresa particolarmente ardua data anche la resistenza da parte dei pazienti detenuti ad aderire alle terapie.

"Lo spaventoso numero di reclusi in Italia impone una immediata presa di posizione delle forze politiche affinché si ridiscuta in Parlamento al più presto di amnistia e indulto". Così Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone che si batte per i diritti in carcere. "Il nostro sistema penitenziario - spiega Gonnella - non può reggere numeri di questa portata. Ci sono ben 17 mila persone in più rispetto ai posti letto regolamentari". "Si tratta - aggiunge - di persone che vivono in condizioni di detenzione ai limiti della legalità. Infatti, il regolamento del 2000 che prevedeva modifiche strutturali tendenti ad umanizzare la vita interna è rimasto sulla carta".

Catania: agente penitenziario si toglie la vita a fine turno

 

La Sicilia, 10 maggio 2005

 

Un agente di polizia penitenziaria, un 39 enne di Acireale, sposato e padre di tre bambini tutti in tenera età, si è ucciso ieri mattina sparandosi un colpo alla nuca con la propria arma di ordinanza: una Beretta calibro 9. Teatro del suicidio la sala controllo video del casa circondariale di Giarre dove l’uomo prestava servizio da oltre un decennio. Il drammatico gesto è stato compiuto ieri, attorno alle 6. L’agente si trovava da solo davanti ai monitor della consolle e stava per concludere il turno, quando, per motivi sconosciuti, si è puntato l’arma alla testa esplodendo un unico colpo. Soccorso dal collega che gli avrebbe dato il cambio, l’uomo è stato trovato riverso sul pavimento in un lago di sangue.

Trasportato all’ospedale S. Isidoro con una ambulanza del 118, i sanitari del pronto soccorso, attese le gravissime condizioni in cui versava l’agente, lo hanno immediatamente intubato e poi trasferito al Cannizzaro di Catania dove purtroppo l’uomo è giunto cadavere a seguito di una emorragia cerebrale. Il direttore del carcere, dott. Milena Mormina non riesce a dare una spiegazione plausibile al gravissimo gesto, descrivendo l’agente di polizia penitenziaria come "un uomo dal carattere aperto e altruista, che in tanti anni di servizio non aveva mai mostrato segni di intemperanza con i colleghi e ancora meno con i detenuti". L’uomo, peraltro, era molto riservato e non parlava dei suoi eventuali problemi esterni, compresi quelli familiari. Sull’episodio il magistrato di turno ha come da prassi aperto un fascicolo e, pur apparendo inconfutabile l’avvenuto suicidio, non è escluso che possa richiedere un esame autoptico.

Brescia: 90mila euro in 3 anni per il reinserimento dei detenuti

 

Giornale di Brescia, 10 maggio 2005

 

Carceri sovraffollate e penitenziari in crisi, un problema di antica origine che presenta spesso lacune derivate dalla scarsità di personale soprattutto in ambito rieducativo. A questo proposito, la provincia di Brescia e l’associazione "Carcere e territorio" hanno stipulato, ieri in Broletto, una convenzione riguardante i processi rieducativi e di reinserimento sociale dei detenuti di Verziano e Canton Mombello. "Una firma quella apposta oggi in calce alla convenzione che si rivela di particolare rilievo - ha commentato il presidente della provincia Alberto Cavalli - che rinsalda il rapporto tra carcere e comunità e contribuisce alla seria rieducazione del detenuto".

A disposizione 90 mila euro in tre anni per l’Associazione "Carcere e territorio" che, dal 1997 si occupa del reinserimento (e non solo) dei detenuti bresciani. L’obiettivo primario sembrerebbe quello di garantire un solido percorso riabilitativo favorendo quelle situazioni che permettono l’alternativa alla detenzione: incentivi e risorse per l’abitazione, il lavoro e la formazione, in modo da favorire un più rapido reinserimento dei singoli individui nella società, ma, soprattutto, per impedire la reiterazione del delitto. "La situazione è drammatica - commenta Carlo Alberto Romano, presidente di "Carcere e territorio" - a noi spetta il compito di individuare le strade da battere e, dove fosse possibile, incentivare maggiormente le risorse per migliorare il servizio". I maggiori problemi legati al reinserimento sono dovuti più che altro alla mancanza di alcuni dei requisiti base che garantiscano una valida alternativa alla detenzione: lavoro e abitazione.

Da tempo "Carcere e territorio" si incarica di fare da collettore tra istituzioni carcerarie, associazioni e cooperative sociali che si occupano del reinserimento lavorativo dei detenuti. Di rilevante importanza sembra essere comunque il "fattore abitazione" gestito direttamente dall’associazione che, con i nuovi finanziamenti provinciali, ha intenzione di portare il numero di abitazioni disponibili a 48 unità: "Dobbiamo tenere presente - ha commentato Romano - che una città come Milano che ha una popolazione carceraria decisamente superiore alla nostra possiede 49 abitazioni. Per noi sarebbe un grande passo in avanti". Altra grande lacuna è la mancanza di educatori professionali: "Ne servirebbero 7 - commenta Romano - ma ce ne sono solo 2, uno a Canton Mombello ed uno a Verziano. Proprio per questo abbiamo bisogno di raccordarci al territorio attraverso il supporto e la formazione di operatori volontari (attualmente sono 50, ndr.) che svolgono una funzione fondamentale".

Brescia: emergenza sovraffollamento e carenza di personale

 

Giornale di Brescia, 10 maggio 2005

 

I diritti dei carcerati che, nella Brescia del ventunesimo secolo, vivono in condizioni drammatiche, sono stati al centro ieri di una duplice iniziativa. La casa circondariale di Canton Mombello è stata visitata dai consiglieri regionali Arturo Squassina (Ds) e Osvaldo Squassina (Rifondazione Comunista) e dal deputato bresciano della Quercia Franco Tolotti, mentre il centro sociale "Magazzino 47" organizzava un presidio nel piazzale retrostante il penitenziario.

Si profila un’emergenza nazionale per il sistema carcerario, se è vero che (secondo un recente rapporto del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) i detenuti nelle 206 carceri italiane hanno toccato quota 59.012 e sono in costante aumento (solo a febbraio erano 56.840). Secondo i dati del rapporto, inoltre, sarebbero otto le regioni in cui è stato abbondantemente superato il limite "tollerabile", tra queste anche la Lombardia dove i detenuti sono 8679 a fronte di una disponibilità di 8445 posti. In questa virtuale classifica dei peggiori istituti penitenziari anche Canton Mombello fa la sua figura: secondo quanto raccolto dalla delegazione guidata da Arturo e Osvaldo Squassina rispetto a una disponibilità di 206 posti, il carcere cittadino ospiterebbe circa 480 detenuti (224 italiani e 256 stranieri) che, già la scorsa settimana, stavano per toccare quota 500.

Il sovraffollamento sembra essere uno dei tanti mali che affligge il penitenziario bresciano: "Il problema si ripresenta nelle celle - commenta Osvaldo Squassina - con 10 o 12 detenuti per cella che non dispongono nemmeno dello spazio fisico per poter mangiare". Una questione che si trascina anche nel momento dell’ora d’aria, 4 ore al giorno ridotte a 2 per l’eccessivo sovraffollamento. "È un inferno - sottolinea Arturo Squassina - le celle sono bugigattoli, le condizioni igieniche disperate, alcuni bagni non vengono riparati da tempo e i detenuti non dispongono nemmeno di attrezzature per conservare adeguatamente il cibo, per non parlare dell’impossibilità per molti di accedere alla biblioteca che è presente solo in alcuni bracci".

Oltre al problema del sovraffollamento, si fa sentire anche la carenza di personale: "L’organico effettivo - fa sapere Osvaldo Squassina - dovrebbe essere composto da 364 unità, mentre sono solo 256 gli addetti che operano all’interno della struttura, con 6 medici e 4 infermieri che, nonostante l’impegno, riescono a fronteggiare faticosamente la situazione resa grave dalle precarie condizioni igeniche". La nuova direttrice, Anna Maria Bregoli (assente ieri per ferie) - secondo i due consiglieri regionali - "ha addirittura sospeso una convenzione con la Croce rossa che, con i propri volontari, garantiva un prezioso surplus di manodopera. Intendiamo tornare per incontrare di persona la direttrice - fa sapere Arturo Squassina - dato che alcuni dei problemi che affliggono i detenuti sembrano facilmente risolvibili". Le colpe additate vanno oltre il perimetro della casa circondariale: "Ci sono delle evidenti responsabilità dell’Asl che non fa nulla di fronte all’emergenza igienica - conclude Osvaldo Squassina - a questo proposito inviterei il direttore sanitario Carmelo Scarcella a passare un giorno a Canton Mombello e a provare i servizi igenici". Francesco Apostoli

Iraq: 6.000 detenuti iracheni in condizioni disastrose

 

Aprile online, 10 maggio 2005

 

Gli Stati Uniti detengono nelle carceri in Iraq moltissimi prigionieri iracheni privandoli dei diritti giudiziari. L’Onu ha stilato un rapporto che è stato firmato dallo stesso Kofi Annan, che afferma: "aver detenuto i prigionieri senza che essi potessero aver la possibilità di fare ricorso ad un tribunale, viola il diritto sacrosanto che ogni persona ha di aver un avvocato o un regolare processo in un tribunale che possa dimostrare la propria colpevolezza o innocenza".

Nel documento viene, inoltre, puntualizzato che la detenzione prolungata senza accesso ad un avvocato o un giudice è proibita dalle leggi internazionali, anche durante lo stato di emergenza. La situazione è così grave che nel rapporto Onu "una delle più grandi sfide nel campo dei diritti umani in Iraq". Il numero dei detenuti, sia senza diritti, e quindi in uno stato di disperazione totale, che in condizioni igieniche e sanitarie disastrose, è di 6.000. In tutto ciò vi è stata la visita nel paese iracheno sia di Straw che di Solana e di altri due commissari europei, i quali hanno incontrato i vertici iracheni. Il diplomatico britannico Straw ha avuto anche un colloquio con il presidente iracheno Jalal Talabani. Questo incontro indica la volontà che ha l’Onu di poter aiutare la nascita di uno stato democratico in Iraq, mentre quest’ultima nazione invierà 40 persone in delegazione a Bruxelles, e come deciso vi sarà una rappresentanza permanente Onu a Baghdad, sperando che si interessino anche delle situazioni dei penitenziari iracheni in un prossimo futuro.

Roma: entro 15 luglio attivo reparto detenuti al "Pertini"

 

Ansa, 10 maggio 2005

 

Sarà attivato entro il 15 luglio il reparto ospedaliero per detenuti dell’ ospedale Sandro Pertini di Roma. Ad annunciarlo, l’assessore regionale alla Sanità, Battaglia chiamato in causa dopo i casi di orecchioni e varicella nel carcere femminile di Rebibbia. Sulla situazione del reparto ospedaliero per detenuti Battaglia ha detto che l’assessorato ha provveduto all’approvazione della pianta organica e dato disposizioni all’Asl Roma B per l’assunzione dei medici e degli infermieri necessari. Per quanto riguarda l’ospedale Belcolle di Viterbo Battaglia ha detto di aver contattato il direttore della Asl Cisbani. "Ho avuto rassicurazioni - ha detto - in merito alla prossima apertura del reparto al massimo entro due mesi. I lavori sono già stati completati ed è in via di definizione la pianta organica". Sulla richiesta dei sindacati di polizia penitenziaria per un incontro urgente l’Assessore conferma la propria disponibilità anche per confrontarsi su tempi e modi di apertura dei reparti.

Busto Arsizio: dopo proteste agenti trasferita la direttrice

 

Varese News, 10 maggio 2005

 

Caterina Ciampioli già da domani potrebbe non essere più alla direzione del carcere di Busto Arsizio. A dare la notizia Annibale Izzo, a nome del sindacato Osapp, (Organizzazione sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria) che ha riportato in serata l’esito di una riunione avvenuta lunedì scorso a Milano con il provveditore delle carceri lombarde Luigi Pagano.

La decisione di trasferire l’attuale direttrice al carcere di Lodi deriverebbe, secondo il sindacato, dalle pressioni che l’Osapp, assieme alle altre sigle sindacali (Uil-Pa, Sappe, Sinappe e Cisl) ha effettuato grazie anche all’interessamento di parlamentari e consiglieri regionali per segnalare la situazione all’interno del carcere.

"Mancanza di medicinali per i detenuti, deterioramento dei rapporti tra agenti di custodia e detenuti stessi, atteggiamenti antisindacali, e ingiustificata durezza verso gli stessi carcerati hanno creato in questi anni una miscela esplosiva che è sfociata nella protesta di qualche settimana fa - ha spiegato Izzo -. Siamo soddisfatti della decisione presa, anche alla luce della lotta che in questi anni abbiamo intrapreso per denunciare questa situazione insostenibile". Ora la struttura di via per Cassano potrebbe passare sotto la direzione ad interim di Carla Santanderea, vice direttrice, che potrebbe già da lunedì subentrare come reggente, in attesa di un sostituto ufficiale. Figura, questa, indicata da fonti sindacali come l’ex direttore del carcere Bustocco Salvatore Nastasìa.

Droghe: boom dei consumi, la "prima volta" già a 11 anni

 

Liberazione, 10 maggio 2005

 

Che il proibizionismo allarghi il consumo e le pratiche illecite era storia nota e non solo agli addetti ai lavori. A leggere le anticipazioni di Palazzo Chigi della relazione annuale al parlamento sulle tossicodipendenze viene così da pensare che l’azione del governo in materia altro non sia che una sperimentata tecnica di marketing da far crepare di invidia qualsiasi pubblicitario.

Perché, intanto, si sta abbassando da cinque anni l’età delle prime esperienze e poi continua a crescere il consumo di tutte le sostanze. La prima "canna" può arrivare a 11 anni, dopo quattro - cinque anni si è già consumatori abituali di "spinelli" con una percentuale altissima - a cavallo del 15% - di cannabis. La media della prima volta è scesa dai 25-34 anni a 15-19. Gente che per una dose il sabato sera è pronta a far debiti, a spacciare a sua volta, a fare sesso in cambio di sostanze. E i prezzi? In calo come per ogni merce di successo: 5 euro per l’eroina, dieci volte di più per la cocaina, 5 massimo 10 euro per una pillola di ecstasy. Ad accorciarsi la durata dello sballo che resta un evento solitario da non mostrare in pubblico, tantomeno in famiglia. Ma gli effetti permanenti dei nuovi mix chimici, continuamente modificati per filtrare tra le maglie delle leggi, si prolungano nel tempo specie se associati al consumo di alcool.

Il rapporto, che sarà noto la prossima settimana, riferisce anche di adulti insospettabili che "si fanno" un paio di volte la settimana conducendo una vita equilibrata e contiene delle vere "chicche" come l’allarme su una minimizzazione sociale dell’uso di marijuana e la descrizione dei trucchi degli spacciatori per fingersi consumatori e godere dei benefici di legge. È dura a morire, in tempi di centrodestra, la leggenda della canna che fa "prima pera", ossia che il consumo di derivati della cannabis crei dipendenza e spiani la via al consumo di sostanze più pesanti. È il vangelo di Fini secondo cui tutto è droga e non ce ne sono di leggere che viene rispolverato anche da Maria Burani Procacccini, matrona di Forza Italia, nota per voler riaprire i manicomi.

Anticipazioni del rapporto sono state fornite ieri al congresso della Federserd Lazio, l’assise degli operatori dei servizi di prevenzione, dove Andrea Fantoma, aspirante direttore generale del dipartimento antidroga di Palazzo Chigi al posto del dimissionario Carlesi, ha annunciato di aver pronta una bozza di piano nazionale. Regina delle sostanze si conferma l’eroina, sebbene in calo almeno nel consumo endovena. La geografia delle droghe vede la cocaina leader nel nord ovest, l’eroina al centro, l’ecstasy al nord est e i cannabinoidi al sud. Nessun accenno al consumo di psicofarmaci che invece si configura nei termini di epidemia sociale indotta dalle politiche governative sulla precarietà. Il ragazzino che si "droga" - si parla di hashish ed ecstasy - è perlopiù figlio di famiglie bene con genitori in carriera. L’adulto è disoccupato o sottoccupato ma sarebbe in crescita il tossico che lavora stabilmente. In leggero calo le morti per overdose - 429 nel 2003 - e i casi di infezione da virus Hiv ma cresce l’incidenza dell’epatite C. Sulla base dei ricorsi al Sert, i consumatori sarebbero 51 soggetti tra i 15 e i 54 anni, schiacciante maggioranza di uomini, ogni 10mila abitanti.

"L’enorme diffusione delle sostanze tra gli adolescenti e l’aumento dei mezzi illeciti per pagarle è il frutto delle politiche proibizioniste in vigore", commenta Paolo Ferrero, della segreteria nazionale di Rifondazione comunista, chiedendo che si cambi registro: legalizzazione e responsabilizzazione sull’uso delle sostanze anziché trasformare un fenomeno sociale in un problema di ordine pubblico. Ma l’opinione pubblica di destra, al contrario, chiede ancora più galera e sostegno alle famiglie (lo fa il Moige, il movimento italiano genitori) che, dal rapporto, escono invece piuttosto malconce: ad accorgersi dell’uso di droghe sarebbero più bravi gli insegnanti che i genitori.

Ma perché si abbassa l’età del primo approccio? Perché i giovanissimi sono precocemente sottoposti a modelli di comportamento per adulti a partire dai consumi televisivi e dall’abbigliamento: "Le dipendenze - spiega la psicologa Anna Oliverio Ferraris - sono il risultato di una società consumistica, vale per le droghe come per lo shopping. Il principio è lo stesso: la ricerca di gratificazioni immediate".

Gusto o sbagliato, riprendendo lo stimolo del movimento antiproibizionista, non dovrebbe essere reato ma i Sert - lo hanno denunciato più voci nel congresso laziale - hanno sempre meno fondi e non sono in grado di affrontare fenomeni come quello delle cosiddette nuove (esistono da vent’anni e passa) droghe. Fantoma, psichiatra in quota An, s’è limitato a rispondere che la competenza è regionale, omettendo di dire che è proprio alle regioni che si tagliano i fondi.

Il governo prova a correre ai ripari all’indomani delle dimissioni di Carlesi, ufficialmente per motivi personali, ma in realtà "segato" dall’arrivo di Giovanardi nel posto che era di Fini. Il valzer delle poltrone, però, blocca per l’ennesima volta i lavori del dipartimento sulla pelle dei consumatori. Schizofrenia di un governo che ha tra le sue fila un ministro come Alemanno che si vanta di aver "stoppato" la campagna contro i super alcolici dell’ex ministro Sirchia.

Genova: muore sotto un treno per sfuggire a inseguimento polizia

 

Secolo XIX, 10 maggio 2005

 

Lo straniero ha schivato per miracolo un convoglio, alla stazione di Voltri, ma non si è accorto dell’altro che sopraggiungeva. Il giovane marocchino era inseguito dalla polizia. Aveva con sé dieci grammi di eroina. Prima di darsi alla fuga è stato visto discutere animatamente con un’altra persona. I ferrovieri di Voltri hanno cominciato a urlare, si sbracciavano ma lui ha risposto con un cenno strano, come dire "sì, sì, ce l’ho fatta". Aveva schivato il primo, di treno, ma non si era accorto che dalla parte opposta ne stava arrivando un altro. È morto per pochi centimetri, Samir Narahoui, marocchino di 36 anni con qualche precedente per spaccio e senza permesso di soggiorno; ? morto, soprattutto, per sfuggire a un controllo della polizia, dopo trecento metri di corsa forsennata sul marciapiede che corre parallelo alla strada ferrata, dopo aver scavalcato la recinzione ed essere piombato sui binari.

Era incappato in un controllo pochi minuti prima e aveva qualcosa da nascondere, come scopriranno gli inquirenti più tardi all’obitorio: 10 grammi di eroina, suddivisi in piccole dosi e imboscati negli slip. Il suo caso rievoca, automaticamente, due molto simili avvenuti a Torino: la sera del 26 maggio il senegalese Mamadou Diagne, spacciatore 26 anni, morì affogato nel Po cercando di sfuggire agli agenti; il 24 novembre del 2004, invece, nel quartiere San Salvario finì il sogno Sadiri Latifa, marocchina di 19 anni, precipitata da un tetto per eludere la retata dei vigili urbani.

Questa tragedia è comunque un concentrato di fatalità, dalla dinamica incredibile, e segna l’epilogo della vita sconclusionata che Narahoui ha condotto nei suoi cinque anni di permanenza in Italia (l’unico indirizzo conosciuto riporta a Treviglio, in provincia di Bergamo) durante i quali ha collezionato due denunce per furto e droga. A Genova era stato controllato una volta sola, nel gennaio dell’anno scorso, e su di lui pendeva un provvedimento d’espulsione. Cosa ci faceva tra Voltri e Prà? Nessuno lo sa ancora spiegare con precisione, e l’unica cosa certa è che scende da un taxi poco dopo le 8.30 all’imbocco di via Sorgenti Sulfuree, stradone non lontano dallo svincolo dell’autostrada. Con lui c’è un coetaneo, un altro magrebino, in mano stringono due bottiglie di birra e discutono con foga alla fermata del bus. Probabilmente si colpiscono, perché sarà la ferita sul sopracciglio della vittima ad attirare l’attenzione di due poliziotti. Sono gli assistenti Massimo Mantellero e Marco Parodi, hanno il grado di assistenti e almeno quindici anni di servizio alle spalle. In forza al commissariato di Sestri Ponente, sono specializzati in lotta agli stupefacenti, specie nella zona del Cep. Capiscono che qualcosa non quadra, si avvicinano e li bloccano entrambi. Samir sa che quel controllo gli costerà un arresto e un po’ di carcere, visti i precedenti. Inizia a scalciare, a divincolarsi e corre, lanciandosi come un pazzo in via Prà, verso Voltri. Mantellero riesce a stargli dietro, lo acciuffa la prima volta e cadono a terra, il marocchino si libera, si rialza e il poliziotto ci prova ancora.

Riesce ad afferrarlo per la camicia ma lo straniero se la sfila e lui si ritrova in mano solo uno straccio. Samir Narahoui decide di rischiare, ora, si arrampica sulla recinzione della ferrovia e salta gi?, cadendo dritto sul binario numero due, che mezzo chilometro più avanti entra in stazione. In quel momento, un Regionale appena ripartito dalla sosta si sta dirigendo verso levante e il macchinista nota il nordafricano in lontananza: non va forte, aziona la rapida e lo straniero ha il tempo di rialzarsi e rotolare sulla massicciata. Salvo, pensa lui. Che senza riflettere attraversa pure le rotaie opposte, non si cura dei richiami e anzi, alza il braccio destro: è fatta. L’Eurocity 42 diretto a Nizza però non deve fermare a Voltri, la sua velocità è inevitabilmente più sostenuta. Giorgio Maoloni e Andrea Silvestri, macchinisti genovesi, non possono evitarlo. Narahoui viene colpito di striscio, ma in modo violentissimo e catapultato ad oltre quindici metri di distanza.

Muore sul colpo, stroncato da un trauma cranico e dalle lesioni alla spina dorsale. Mantellero e Parodi, nel frattempo, sono tornati sulla volante, lo hanno perso di vista. Il cerchio si chiude solo quando il 118 chiama la polizia per avvisare che c’è un morto sui binari (la circolazione resta bloccata fino alle 1115): vicino, troppo vicino alla zona dell’inseguimento perché si tratti d’una semplice coincidenza.

Palermo: sit-in dei sindacati della polizia penitenziaria

 

La Sicilia, 10 maggio 2005

 

Un sit-in di protesta è stato organizzato ieri mattina dalle organizzazioni sindacali che rappresentano i lavoratori del settore penitenziario. Con un gazebo davanti all’ingresso del carcere dell’Ucciardone, i manifestanti hanno protestato contro l’ipotesi di chiusura della struttura penitenziaria di via Enrico Albanese e per sollecitare il potenziamento degli organici del personale di custodia in Sicilia. L’iniziativa è di Cgil, Cisl, Uil, Osapp e Sinappe. I sindacati sono contrari all’ipotesi di un progetto che vorrebbe la chiusura dell’Ucciardone per acquisirlo al patrimonio regionale e si sono trovati in disaccordo anche sulla eventuale destinazione d’uso dell’antico carcere borbonico (farne un luogo di testimonianza dell’antimafia per il quale anche il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, si è detto favorevole appoggiando tale progetto dopo avere incontrato una delegazione della Commissione parlamentare "Giustizia"). I sindacati pongono il problema del futuro dei 500 lavoratori dell’Ucciardone nell’eventualità di una dismissione della casa di pena, eventualità che appare decisamente remota e priva, allo stato attuale, di basi. Peraltro, la chiusura dell’Ucciardone è strettamente legata alla possibilità di costruire una nuova casa circondariale. Gli uffici del ministero di Giustizia hanno chiesto al Comune di Palermo di verificare se, accanto al Pagliarelli, c’è la possibilità di costruire un nuovo carcere.

Informazione: "Radio Carcere" domani esce su "Il Foglio"

 

Comunicato stampa, 10 maggio 2005

 

"Radio Carcere", già trasmissione su Radio Radicale a cura di Riccardo Arena, è diventata anche una pagina su "Il Foglio". Il sabato e con cadenza quindicinale nella pagina di Radio Carcere su "Il Foglio" la giustizia penale e il carcere trovano un ulteriore e importante spazio di informazione.

Da sabato 14 maggio e grazie agli interventi di Giorgio Spangher, Nello Rossi e Corso Bovio, si sono già affrontati argomenti importanti del processo penale come la prescrizione, la ragionevole durata del processo e il ruolo delle parti nel processo penale. E si è messa in luce la realtà del carcere San Sebastiano di Sassari e del carcere Poggioreale di Napoli, grazie al racconto di due persone detenute. Il prossimo di Radio Carcere su Il Foglio sarà in edicola sabato 11 giugno 2005. Gli argomenti: Sulla Giustizia: analisi della magistratura in Italia con gli editoriali firmati da Tullio Padovani, Francesco Iacoviello e il contro-editoriale di "Emile". Sul carcere: la realtà dei bambini che oggi in Italia sono detenuti con le loro mamme.

Porto Azzurro: detenuti impiegati nella pulizia delle spiagge

 

Comunicato stampa, 10 maggio 2005

 

La Direzione della Casa di Reclusione di Porto Azzurro, visti i positivi risultati raggiunti, è determinata a seguire il percorso intrapreso, in quanto gli interventi volontari effettuati dai detenuti nei comuni di Porto Azzurro e Rio nell’Elba hanno dato esito positivo non solo da un punto di vista trattamentale ma hanno contribuito a rafforzare il legame tra territorio e carcere che per la società esterna rappresenta un onere ed una risorsa.

Grazie all’entusiasmo con cui hanno risposto i detenuti e gli stessi operatori penitenziari (sia la Polizia Penitenziaria che gli appartenenti a tutte le altre aree) gli interventi hanno dato esito positivo e si sono creati i presupposti per la prosecuzione dell’esperimento. L’11 giugno un folto gruppo di detenuti, supportati dal personale di Polizia Penitenziaria proseguirà l’attività di pulitura e risanamento iniziata a Rio nell’Elba.

Gli interventi potranno favorire il rafforzamento del concetto di esecuzione penale concretamente "riparativa", "curativa" anziché "punitiva", dando ai detenuti l’opportunità di risarcire in qualche modo il danno arrecato alla società ed alla società, agli Enti l’opportunità di contribuire al processo di risocializzazione di che, espiata la pena, a pieno titolo deve trovare una efficace reintegrazione nel mondo del lavoro. Il processo si potrà considerare pienamente riuscito nel momento in cui alle attività di volontariato faranno seguito anche opportunità di lavoro per le persone detenute che hanno titolo di beneficiare di una misura alternativa o del definitivo ritorno nella società.

Bologna: alla "Dozza", in 450 posti, vivono 950 detenuti

 

Redattore Sociale, 10 maggio 2005

 

Malessere cronico delle carceri italiane, condizioni di sovraffollamento: ne sono una prova evidente alcuni istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna, come la "Dozza" di Bologna, dove vivono stipati circa 950 detenuti, il 50% dei quali di origine straniera (il numero di posti ideale è 450). A Modena sono invece circa 430, contro una disponibilità di posti ancora minore. Ecco alcuni dei dati forniti dal Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, Nello Cesari, che ha partecipato questa mattina in Comune alla conferenza stampa di presentazione di "Parole scatenate", raccolta di racconti, pagine di diario, lettere e poesie dal carcere; erano presenti anche la vicesindaco Adriana Scaramuzzino, la direttrice della casa circondariale bolognese, Manuela Cerasani, ed Elisabetta Calari, rappresentante del Sic (Consorzio iniziative sociali).

"La realtà delle carceri italiane - sostiene Nello Cesari - è più che sconvolgente, a causa del sovraffollamento che provoca pericolose commistioni tra detenuti che hanno commesso i reati più differenti e questo non agevola certo il loro reinserimento nella società". L’azione di reinserimento, appunto, è una delle tappe previste dall’ordinamento italiano, che obbliga a un percorso individualizzato del detenuto. Da questa premessa, è nato "Il profumo delle parole", progetto del Consorzio iniziative sociali sostenuto dal Comune e dalla Provincia di Bologna, Regione Emilia - Romagna e dall’Amministrazione penitenziaria. Il progetto ha realizzato una tipografia interna al carcere, già funzionante; nel caso in cui le commesse dovessero aumentare, l’ambizione è di diventare una vera e propria casa editrice. Il libro "Parole scatenate" è la testimonianza dell’attività di questa tipografia, dove lavorano stabilmente tre detenuti.

"Tramite la scrittura - sostiene Adriana Scaramuzzino - si è voluto dare voce e spazio ai sentimenti e alle emozioni di quei detenuti che vivono il carcere come luogo di sofferenza e che hanno la necessità di continuare a lavorare affinché quelle sbarre, che li separano dal resto della comunità, si assottiglino sempre di più". Gli istituti penitenziari, infatti, "non sono dei luoghi avulsi dalla società - aggiunge Nello Cesari - ; al contrario, rappresentano il grande inconscio collettivo, dove vanno a finire tutte quelle problematiche che la comunità vuole rimuovere, ma che non risolve. I detenuti, che vivono in una condizione di debolezza, sono portati a idealizzare in maniera fantastica la propria vita passata, esprimendo sentimenti profondi che hanno bisogno di trovare uno sfogo, un contenitore". E il libro è lo spazio ideale dove raccogliere queste esperienza ma, soprattutto, è il simbolo del lavoro dei detenuti stessi. "Il lavoro - spiega Manuela Ceresani - è il riconoscimento di un ruolo, è ciò che noi siamo e che apportiamo alla comunità, utilissimo per superare lo strappo avvenuto una volta commesso il reato".

Al progetto hanno partecipato le 12 case circondariali dell’Emilia - Romagna, mentre il concorso di scrittura indetto per la realizzazione del libro ha raccolto 70 brani, tra poesie, pagine di diario, lettere e racconti, realizzati da 30 detenuti. Accanto a questa pubblicazione, 10 detenuti delle tre redazioni (penale, circondariale e femminile) della "Dozza", con l’ausilio di alcuni volontari del Sic, realizzano "Ex-tra", il giornale dei detenuti che esce ogni due o tre mesi. In più, le cooperative sociali danno l’opportunità a chi gode di misure detentive alternative (arresti domiciliari) di lavorare. "È necessario trovare altri spazi possibili di mercato - aggiunge Cesari - che sono soprattutto l’orto-vivaistica, il giardinaggio, l’edilizia e la cooperazione, nel quale le possibilità di impiego sono maggiori. Inoltre, è importantissimo non lasciarsi sfuggire i finanziamenti messi a disposizione dal Fondo Sociale Europeo che in Abruzzo, per esempio, hanno permesso di impiegare numerosi detenuti". Anche il Comune di Bologna è impegnato in questo campo con delle borse lavoro di 3-6 mesi, messe a disposizione di chi è agli arresti domiciliari. Infine, il Provveditorato regionale ha in progetto corsi di formazione professionale per detenuti extracomunitari, mentre nel carcere di Bologna sono già attivi i corsi di alfabetizzazione per stranieri, che costituiscono circa il 50-60% del totale della popolazione carceraria in regione.

Cagliari: apre Centro comunale di solidarietà "Giovanni Paolo II"

 

Redattore Sociale, 10 maggio 2005

 

Alla presenza del sindaco di Cagliari Emilio Floris domani, sabato 11 giugno, sarà inaugurato in viale Fra Ignazio il "Centro comunale della solidarietà" intitolato a Giovanni Paolo II. Previsto nel Piano delle politiche sociali, è stato realizzato dall’Amministrazione civica nel convento seicentesco che sino all’anno scorso ospitava la Casa di riposo Vittorio Emanuele II, trasferita nel nuovo complesso di Terramaini. In attuazione di un progetto in cui sono state coinvolte anche le associazioni cittadine impegnate nel sociale, l’antico complesso è stato dotato della mensa e di tutti i servizi necessari per ospitare: un centro diurno e notturno aperto a tutti i senza fissa dimora, anche con problematiche di dipendenza; un centro di accoglienza per donne in difficoltà ed uno per famiglie di carcerati; centro di ascolto con particolare riferimento alle tematiche della tossicodipendenza, dell’alcolismo, dell’usura; banco alimentare e banco farmaceutico; centro per l’accoglienza e per l’affido.

 

 

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