Rassegna stampa 7 gennaio

 

Giustizia: salva-Previti e ammazza-Gozzini, di Patrizio Gonnella

 

Il Manifesto, 7 gennaio 2005

 

Ameno di due anni dall’approvazione dell’indultino e a circa quattro dal giubileo dei carcerati, sotto il velo della salva-Previti è passata l’ammazza-Gozzini. Grandi discussioni in aula, indignazione a sinistra, sconcerto tra i magistrati, girotondi per strada. Il grande quesito era ed è: riusciranno Cesare Previti, i suoi illustri avvocati e i loro infiniti magheggi a scongiurare condanna e galera? Distratti dall’articolo 6 della proposta Cirielli-Vitali, ossia dalla norma che riduce i tempi di prescrizione, ben pochi si sono accorti che i precedenti cinque e i successivi tre articoli, qualora la Cirielli-Vitali dovesse malauguratamente divenire legge, determineranno ondate di affollamento penitenziario.

La legge Cirielli non è paragonabile alla Cirami o alla legge sulle rogatorie, non si occupa solo di norme di procedura, non intende soltanto favorire tecniche dilatorie di difesa processuale attraverso la riduzione dei tempi di prescrizione del reato. Vuole, invece, imitando il modello americano e le politiche di zero tolerance, aprire una nuova stagione repressiva, questa volta nei confronti di quella miriade di piccoli criminali che abitano comunemente le nostre prigioni. Il ministro della giustizia con orgoglio ha rivendicato gli effetti futuri della legge, ossia il raggiungimento di quote record di detenuti. In effetti il ministro ha ragione, i detenuti cresceranno a dismisura.

Non si tratta di proclami o di propaganda padana, la Cirielli è la peggiore delle leggi possibili: aumenta le pene per piccoli e grandi criminali, toglie discrezionalità ai giudici, toglie di mezzo le misure alternative. È la vera controriforma dell’ordinamento penitenziario. Ancora più incisiva del pacchetto antimafia del 1990-1991, quello che introdusse i famigerati 4 bis e 41 bis nella legge penitenziaria, la Cirielli mira a colpire tutti i recidivi, qualunque sia il reato commesso. Da una fotografia delle carceri italiane si evince qual sia la composizione socio-penale dei detenuti: il 30% è composto da migranti, un altrettanto 30% da tossicodipendenti e sempre un 30% è dentro per reati contro il patrimonio.

Non ci sono dati statistici attendibili sulla recidiva, né l’Istat né l’amministrazione penitenziaria li raccolgono e diffondono. Chiunque però conosca il mondo penale e quello penitenziario, e frequenti per ragioni professionali tribunali e carceri, sa perfettamente che una grandissima parte della popolazione reclusa è in galera non per un solo fatto bensì per un cumulo di piccoli reati che, tra loro sommati, producono pene medio-lunghe. Si tratta di quella criminalità diffusa che vive di piccoli espedienti, dimenticata dalle politiche sociali, marginalizzata nelle città, e contro cui si sono indirizzate le campagne stampa e elettorali degli ultimi anni.

"Sicurezza è libertà": è questo il nuovo slogan elettorale dei Ds coniato per mettere in difficoltà Berlusconi e la Cdl su un terreno congeniale alla destra, ossia l’ordine pubblico e le politiche repressive. La Cirielli risponde perfettamente a questo slogan, agisce proprio su questo terreno, e farà presumibilmente crescere, in pochi mesi, di decine di migliaia i detenuti nelle carceri italiane: aumentano le pene e diminuiscono le possibilità di accesso ai benefici premiali per tutti i recidivi.

A questi, in quanto tali, potrà essere aumentata la pena sino a un terzo (prima era sino a un sesto) nel caso di nuovo delitto non colposo e sino alla metà (prima era sino a un terzo) nel caso di nuovo delitto non colposo dello stesso tipo del precedente, e comunque se commesso nei cinque anni successivi alla prima condanna. È sufficiente una norma di questo genere per determinare una crescita esponenziale degli anni di galera da scontare in carcere.

Lo scippatore, il borseggiatore, il ladro, il piccolo spacciatore, il truffatore, in particolare se stranieri: saranno loro a cadere sotto la mannaia dell’aumento di pena più congruo. Così potrà accadere che un giovane tossicodipendente condannato la prima volta per rapina e ri-condannato una seconda per lo stesso reato, al posto dei previsti otto anni di carcere ne sconterà sino a dodici.

Lo stesso rapinatore, mentre prima avrebbe potuto andare in permesso premio dopo due anni e mezzo, ora invece ci potrà andare solo dopo tre anni e tre mesi; non potrà più chiedere la detenzione domiciliare prevista all’articolo 47 ter dell’ordinamento penitenziario; gli sarà consentito l’accesso alla semilibertà dopo sette anni anziché cinque; ma soprattutto mai potrà fruire di una misura alternativa (affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro all’esterno) più di una volta.

È la fine della Gozzini per una lunga serie di piccoli crimini e piccoli criminali. Se a ciò si aggiunge che al terzo reato gli aumenti di pena diventano obbligatori e che il reato di evasione - anche dagli arresti domiciliari - esclude ogni beneficio ai recidivi per tutta la vita, ben si capisce quali saranno gli effetti nefasti sul già malmesso sistema penale e penitenziario.

La capienza regolamentare delle carceri italiane è di 41.324 detenuti. Oggi ce ne sono 56 mila. Sono circa 16 mila quelli condannati a meno di cinque anni di carcere. Questi sono quasi tutti pluri-recidivi. A loro verrà negata del tutto o in parte l’applicazione della Gozzini.

Inoltre è plausibile che un 80% degli attuali 32 mila condannati in via definitiva, sia anch’esso composto da recidivi. Gli aumenti di pena, dovuti all’applicazione della recidiva, si potranno sostanziare nei termini, più o meno, di un terzo rispetto agli anni di galera ad oggi inflitti. Ossia una crescita di presenze carcerarie pari a 10 mila unità. Ciò significa 20 mila persone in più in carcere in un breve lasso di tempo. A seguire, non appena la legge andrà a regime, i numeri si moltiplicheranno ulteriormente.

Un vero disastro, a cui si potrà porre rimedio solo abrogando la legge Cirielli, sempre che sia approvata anche in senato. Il programma del centrosinistra per il 2006 deve contenerne l’eliminazione, al pari di altre leggi criminogene. Altrimenti per gestire la nuova ondata di detenuti il passo successivo non potrà che essere il fare ricorso ai privati, alle multinazionali della sicurezza. Negli Stati uniti tutto questo è già successo. In Europa i primi a sperimentare politiche repressive pubblico-private di tolleranza zero sono stati gli inglesi. Ora, buoni terzi ma primi nel continente, arrivano i nostri.

Milano: Maifredi gioca il suo derby contro i detenuti di Opera

 

Corriere della Sera, 7 gennaio 2005

 

Lo vedete l’uomo qui a destra, capelli grigi, occhiali scuri e una guardia carceraria tra sé e il cielo? Esatto, è Gigi Maifredi. Aveva un appuntamento con Di Canio, è finito per uscire con Mannari. "Lupo, se mi ascolti vedrai che ti trasformi in un centrocampista". Mannari è basito: non gioca da un po’, ha le gambe da ballerina e poi sta in fascia sinistra con l’orologio al polso. Ma per Maifredi questi non sono i problemi. In fondo anche lui ha smesso di allenare da un po’ e alla fine ciò che conta nella vita è altro.

Forse. Per esempio, "essere in pace con se stessi, non avere rimpianti. E magari, come oggi, dare una chance di essere felici a chi di chance ne ha poche". Gigi Maifredi è sempre lui, e questa è una buona notizia. Perché uno può piacere o no, ma che almeno resti riconoscibile quando lo si guarda in faccia. E poi, seconda buona notizia, se davvero è stato trombato, indossa la tranvata con disinvoltura. L’uomo del calcio champagne, della peggiore Juve mai vista da umano in terra, del lungo ritiro, della seconda vita tv e sicuramente di qualcos’altro, è diventato adesso anche l’uomo per il quale andare a Roma e non vedere il Papa non sarà mai più solo un modo di dire: "Beh, sì, ero volato fino lì.

Dovevamo firmare. Poi è successo qualcosa che mi ha tagliato fuori. Cosa? Lasciamo perdere...". Lasciamo perdere. Resta il fatto che se uno arriva a Fiumicino e poi gli chiudono piazza del Vaticano qualcosa c’è sotto. Complotto? Sfiga? O non sarà che magari aveva trattato con il Lotito finto? "Chi, quello della nostra trasmissione? Ah ah, buona questa".

Vista da fuori, ci sarebbe poco da ridere. Vista da dentro - cioè da qui dentro, carcere di Opera, Milano - è la reazione giusta. Perché ieri, e questa è la terza buona notizia, Gigi Maifredi ha riempito la sua occasione perduta con una buona azione e ha allenato la squadra di ex calciatori di Quelli che il calcio in un’amichevole contro il Free Opera, la squadra di detenuti che gioca nel campionato di 2ª categoria. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. "Perché il calcio non è solo esaperazione".

Lo si è visto ieri mattina, c’era pure il sole. E poi le mogli dei detenuti, le fidanzate, i figli che danno calci al pallone, le grida degli altri detenuti al di là della rete, la collaborazione del direttore, Alberto Fragomeni, che prima consiglia "mister, guardi il sette, è bravo" e dopo porta tutti in mensa a mangiare assieme e a vivere insieme, chi uscirà e chi resterà, un giorno da persona qualunque. Come noi. Come il Gigi. Che dice di aver già dimenticato Di Canio perché tanto lui ha ancora il mitico Villa e che sintetizza così il suo voto in pagella a Ivano Bonetti: "Se avevo un cane in panchina, ti toglievo".

En passant, come se contasse, finisce 4-3 per la squadra in trasferta, anche se quelli del Free precisano che il primo tempo, con i titolari, l’hanno vinto loro 2-1. Maifredi applaude i bomber avversari Zingale (doppietta, era il 7, il direttore sa di calcio) e Hila. Chi ha segnato per i suoi invece conta poco. "Questi sono tutti ragazzi eccezionali. Chi fa cose così è eccezionale". Poi cammina nel fango verso l’uscita, saluta i ragazzi che non si muoveranno da qua, carezza i loro figli; garantisce che guarderà il derby di Roma ma non tiferà contro nessuno, "perché dovrei, solo perché potevo esserci io lì? Ma dài"; filosofeggia che "tutti gli allenatori dovrebbero restare fermi per un po’, per ritrovare la carica, e io ora sono super carico"; rivela che i geniali replay viventi per Quelli che il calcio riescono al primo colpo perché, bum!, "questi sono ancora grandi campioni".

Gigi racconta, dice e benedice, e sotto la cantilena bresciana e dietro le lenti scure non si riuscirà mai a capire se è solo un grande allenatore temporaneamente normalizzato o uno come noi che ha già avuto i suoi quindici minuti di celebrità. "Io? Io sono tranquillo, so che tornerò ad allenare. Basta trovare una società importante che mi faccia lavorare seriamente". Sarà la quarta buona notizia. Arriverà. Forse.

Ragusa: tossicodipendenza e carcere, sono 43 i detenuti assistiti

 

La Sicilia, 7 gennaio 2005

 

Sono 43 gli utenti tossicodipendenti assistiti dall’Ausl n. 7 presso la casa circondariale di Ragusa. I dati sono stati diffusi dal Sert nel periodico bollettino di informazione. L’équipe che segue i detenuti tossicodipendenti dell’istituto di Ragusa è formata da un medico, due psicologhe, di cui una del Sert di Vittoria che segue gli utenti di quello stesso Sert, e da un’assistente sociale.

I dati si riferiscono al primo semestre del 2003. "L’équipe - è scritto nel bollettino - è intervenuta su un totale di 43 utenti di cui 41 maschi e due femmine. Sono stati 219 i colloqui psico-sociali svolti e 32 le visite e i colloqui medici. Riguardo alla posizione giuridica dei 43 utenti, occorre precisare che trenta hanno una condanna definitiva e 13 sono in attesa di giudizio o appellanti".

Queste le tipologie di intervento richieste: 27 hanno avanzato istanza per un sostegno psico-sociale, 6 per l’inserimento in comunità, 10 per la definizione di un programma del Sert. Sul soggetto ammalato, tossicodipendente e in carcere, è la dottoressa Antonella Cavarra, medico incaricato presso la casa circondariale di Ragusa, a sottolineare che "come operatore sanitario penitenziario ho visto tanti ragazzi detenuti sentirsi protetti dal mostro "stupefacente" che era "fuori" e, liberati dal legame col metadone, li ho visti lottare per superare la crisi di astinenza.

"E alla fine - prosegue la dottoressa - gran parte di loro ce l’hanno fatta. Da questo ho imparato a crederci e ogni giorno cerco di convincerli che anche da soli, ma meglio se con l’aiuto di un servizio e di operatori, la vittoria non è impossibile".

Trapani: vertice degli agenti contro i trasferimenti al nord

 

La Sicilia, 7 gennaio 2005

 

Un incontro, nella sala riunione della casa circondariale di San Giuliano, per decidere le iniziative di protesta da mettere in atto contro le "missioni coercitive", come le definiscono le organizzazioni sindacali degli agenti della polizia penitenziaria, che hanno mandato, dal 18 dicembre scorso, per tre mesi venticinque unità del carcere di Trapani in diverse strutture del nord Italia e due della casa di reclusione di Favignana ad Alessandria.

L’incontro si tiene oggi, ma gli agenti di polizia penitenziaria hanno già le idee ben chiare su cosa fare, con una serie di azioni dimostrative, quali l’auto consegna ad ogni inizio di turno ed il rifiuto di consumare il pasto alla mensa, ma anche iniziative di piazza, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione. Hanno intanto già scritto al capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Tinebra, al Ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, ed hanno chiesto il sostegno al sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno Antonio D’Alì, al Prefetto Giovanni Finazzo ed ai rappresentanti delle forze politiche presenti sul territorio.

Ciò che gli agenti contestano non è solo l’improvviso provvedimento, a ridosso delle festività natalizie, costringendo i colleghi in missione a lasciare le proprie famiglie, ma anche il fatto che per loro è previsto un misero rimborso di dodici euro e c’è l’obbligo del vitto e dell’alloggio nelle strutture. Decisioni che, secondo i sindacati, ledono i diritti sacrosanti dei lavoratori, senza considerare il fatto che il trasferimento così numeroso di agenti dal carcere di Trapani potrà comportare rischi dal punto di vista della sicurezza e della stessa incolumità dei lavoratori.

Immigrazione: a metà gennaio arrivano decreti per i flussi

 

Il Manifesto, 7 gennaio 2005

 

A metà gennaio usciranno in Gazzetta ufficiale i decreti flusso per l’anno in corso: nel 2005 saranno 150 mila i cittadini stranieri che potranno entrare in Italia per lavorare.Una cifra che può sembrare enorme, rispetto ai precedenti decreti, ma la metà degli ingressi sarà riservata ai paesi che sono entrati in Europa il 1 maggio 2004. Gli altri 79.500 posti saranno invece riservati ai cittadini stranieri extracomunitari.

Trentamila di questi permessi sono ammessi per motivi di lavoro subordinato non stagionale; di cui, ancora, 15 mila riservati ai lavoratori domestici o di assistenza alla persona. Al lavoro autonomo, sempre nell’ambito della quota massima definita, è consentito l’ingresso di 2.500 cittadini extracomunitari; fra questi ricercatori, imprenditori, liberi professionisti.

Fra i 79.500 autorizzazioni all’ingresso si prevede il permesso anche a cittadini (nel complesso 20.800) di quei paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione; fra questi, 3 mila cittadini albanesi, 3 mila cittadini tunisini, 2.500 cittadini marocchini, 2 mila cittadini egiziani, 2 mila cittadini nigeriani, 2 mila cittadini moldavi.

Roma: indagati responsabili "Progetto carcere" di Villa Maraini

 

Il Messaggero, 7 gennaio 2005

 

Detenuti tossicodipendenti, cui veniva concessa l’opportunità di scontare la pena lontano dal carcere per favorirne la reintegrazione nella società, sarebbero stati costretti a pagare fino a quattro mila euro dietro la minaccia di tornare in cella.

La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta sul "Progetto Carcere" della Fondazione Villa Maraini, che si occupa del recupero dei detenuti tossicodipendenti. Finora sono finiti nel registro degli indagati sei responsabili del Progetto.

L’ipotesi di reato è di concussione o estorsione. L’inchiesta, condotta dal pubblico ministero Marcello Cascini, dovrà accertare se gli indagati abbiano costretto i detenuti tossicodipendenti a pagare grosse somme di denaro, minacciandoli in caso contrario di chiedere la revoca della disponibilità ad ospitarli nella struttura.

Una revoca che avrebbe significato il ritorno in carcere. Le somme che sarebbero state chieste dagli indagati, oscillerebbero tra i 2 mila e i 4 mila euro. I fatti sui quali stanno al momento indagando gli inquirenti, sarebbero avvenuti nel tra il 2003 e il 2004.

Tuttavia, la verifica dell’attendibilità delle testimonianze raccolte è uno dei propositi dell’inchiesta. Infatti, gli inquirenti non escludono la possibilità che si tratti di detenuti allontanati dalla struttura intenzionati a vendicarsi.

Padova: Fraternità San Benedetto, per giovani e detenuti

 

Il Gazzettino, 7 gennaio 2005

 

La "Fraternità di San Benedetto" ha neanche due mesi di vita e fa parte delle realizzazioni promosse da don Marco Girardi, il cappellano del carcere circondariale di Padova, all’interno di un percorso di reinserimento nella società di giovani in difficoltà o che provengono da esperienze di detenzione.

Trova spazio nei locali di un vecchio oratorio messo a disposizione dalla parrocchia di San Benedetto e reso abitabile grazie all’intervento finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio. "Attualmente - dice don Marco - la struttura, con capacità recettiva fino a cinque persone, ospita due giovani, Franco e Andrea, con due storie diverse e che si sono inseriti nel mondo del lavoro, in attesa di entrare, a pieno titolo, nella società.

"Fraternità San Benedetto" è un ulteriore stadio educativo di giovani o adulti, in un primo momento accolti nella Fraternità di Vo’ Vecchio. Qui imparano ad essere autonomi, a maturare un alto senso di responsabilità e anche ad inserirsi nella realtà parrocchiale. La casa è tenuta in ordine da loro stessi, che preparano anche i pasti.

"I risultati sono sorprendenti, grazie anche alla partecipazione dei parrocchiani che si sono dimostrati entusiasti di questa realizzazione. Mi preme, anzi, ringraziare il parroco don Sergio Zorzi per questa sua "scelta profetica". Non tutte le comunità infatti hanno il coraggio di esporsi alla vita. Ci sono tante parrocchie che dispongono di locali abbandonati che farebbero allo scopo.

Tanti giovani bussano alla mia porta e sono certo che, usufruendo di strutture "familiari" al pari di questa, sono totalmente recuperabili. Non possiamo andare avanti con il solito discorso: "Arrangiati!", perché tutti hanno diritto ad essere reinseriti nella società. Questa fascia di "penultimi" non necessita di cure specifiche o di terapie, ma solo di un luogo di appoggio per far crescere "il buono" che c’è in ognuno di noi. Io ho lanciato il mio appello. Sta alle parrocchie rispondere con generosità, sicure di contribuire al bene di tanti fratelli".

Caserta: serata di beneficenza nell’istituto di massima sicurezza

 

Il Mattino, 7 gennaio 2005

 

Entusiasmo alle stelle mercoledì sera al carcere di Carinola. A creare due ore di allegra atmosfera per i detenuti hanno pensato la nota simpatia del cabarettista Gino Rivieccio - accolto sul palco da un vero boato e da scroscianti applausi - e le canzoni napoletane interpretate dai maestri dell’Accademia napoletana del mandolino (Pietro Quirino, Mauro Squillante, Leonardo Massa, Edoardo Puccini).

È stata una serata in cui gli artisti (che si sono esibiti gratuitamente) hanno saputo coinvolgere i detenuti che hanno riso, applaudito, cantato e scherzato. Molto apprezzata anche l’esibizione di un detenuto che ha interpretato la canzone "Carmè".

Insomma "una serata in cui siamo riusciti a dimenticare i nostri grossi problemi - sono state le parole di tutti - una serata di grande divertimento che ricorderemo volentieri, per la quale ringraziamo in particolare il direttore del carcere, gli artisti e il gruppo dell’Aurunkatelier di Sessa Aurunca".

Attraverso una serie di battute e una carrellata di barzellette di ogni genere, Rivieccio è riuscito - grazie alla sua vis comica - a trasmettere la voglia di ridere, di stare insieme in allegria. "Sono felice di stare con voi - ha detto l’artista - questa non è una serata di cabaret, ma una chiacchierata che faccio volentieri con voi. Nonostante l’euro ed i ritmi di vita ci abbiano impoveriti, quando si fa solidarietà in simili strutture ne usciamo sicuramente tutti arricchiti; perciò sono io ad esprimere la mia gratitudine a voi".

"È una serata particolare, una serata di forti emozioni - ha aggiunto il tenore Pietro Quirino - questi momenti dovrebbero essere più frequenti". Entusiasta anche il direttore dell’istituto penitenziario, Franco Napolitano. "Sono state due ore veramente splendide - ha detto - a dimostrazione che anche in un carcere di massima sicurezza si può ridere ed essere allegri".

Il direttore ha voluto ringraziare gli artisti "che hanno saputo coinvolgere ed entusiasmare i nostri detenuti". Ancora uno spettacolo a Pasqua: è stata la richiesta dei detenuti, a ulteriore dimostrazione dell’alto gradimento della serata. Tra i presenti il sindaco di Carinola Pasquale De Biasio, il comandante dei vigili urbani Mario Tozzi, l’ex direttore del carcere di Isernia Marcello Albino e gli attori dell’Aurunkatelier Tonino Calenzo, Filippo Ianniello, Raffaele Paparcone.

Venezia: sciopero della fame: "scarcerate Paolo Dorigo"

 

Il Gazzettino, 7 gennaio 2005

 

Continua lo sciopero della fame a staffetta iniziato a Venezia il 12 novembre scorso per sollecitare la scarcerazione di Paolo Dorigo, detenuto dopo la condanna per l’attentato del 1993 alla base Usa di Aviano.

Il giudice di Sorveglianza di Perugia non si è ancora pronunciato sulla richiesta dei suoi difensori di concessione della sospensione della pena o del ricovero di Dorigo in una struttura sanitaria. Sono 70 le persone che finora si sono alternate nel digiuno, per far sentire a Paolo la propria solidarietà e per denunciare che non ha avuto un giusto processo: il Comitato dei Ministri dell’Unione Europea recentemente ha rinnovato l’invito all’Italia ad assumere "iniziative legislative conformi alle raccomandazioni in tema di salvaguardia dei diritti dell’uomo tese al riesame o alla riapertura dei procedimenti, visto che la parte lesa continua a subire conseguenze molto negative da un processo non equo".

Dorigo ha già scontato buona parte della sua pena senza godere di alcun beneficio e senza che gli sia stato finora consentito di ricorrere a cure e ad analisi presso un ospedale pubblico attrezzato. Ieri ha aderito allo sciopero della fame Alberto Fiorin; oggi Cristina Giadresco, domani Angiola Tiboni, domenica Paolo Peruzza, lunedì 10 Chiara Puppini, lunedì 11 Aldo Mingati, martedì 12 Tiziana Plebani.

Padova: bancario si suicida per timore di finire in carcere

 

Il Gazzettino, 7 gennaio 2005

 

Mauro Bisello aveva quarantatre anni, una moglie, Valentina, due figli, di due e quattro anni. Abitava in via Delle Cave 144. Era il capo dell’ufficio legale del Credito cooperativo di Piove di Sacco. Ieri mattina, alle 8.15, è andato nel palazzo dove vivono i genitori, al civico 2 di via Cremona, è salito all’ultimo piano, ha scavalcato la recinzione del ballatoio del sottotetto trasformato in corridoio aperto e si è lasciato cadere nel vuoto.

È morto sul colpo finendo con violenza nel cortile interno. Mauro Bisello solo ventiquattro ore prima aveva scoperto, leggendo un giornale, di essere indagato nel quadro di un’inchiesta su un presunto riciclaggio di denaro proveniente dalla vendita di vongole raccolte in zone vietate della laguna veneziana. Il suo nome non figurava nell’articolo e non aveva ricevuto alcun avviso di garanzia. Ma aveva capito che si trattava di lui. Un peso insopportabile per una persona che chi la conosceva bene non ha dubbi a definire integra e onesta.

L’indagine, coordinata dal pubblico ministero veneziano Michele Maturi, era iniziata un anno e mezzo fa e intendeva fare luce sulla movimentazione di ingenti somme di denaro provenienti dalla vendita di vongole raccolte dalla azienda ittica "Nettuno" di Chioggia, secondo i finanzieri, in zone inquinate. Per poterle commercializzare, questa l’ipotesi formulata dalla procura, venivano falsificati i documenti sanitari di accompagnamento e in più venivano compilate delle fatture fasulle. Da qui partiva un giro di assegni amministrati da Renzo Sambo, consulente finanziario arrestato prima di Natale, e da Ondino Crosara, padrone "occulto" dell’azienda ittica, e da altri dirigenti e cassieri di banche.

Alla fine, il pubblico ministero Maturi aveva inviato al giudice per le indagini preliminari Licia Marino la richiesta della misura cautelare in carcere per diciotto persone (ottenendone solo una). E tra queste, ci sarebbe stato anche Bisello, al quale però sarebbe stato contestato unicamente di non aver trasmesso ai finanzieri la documentazione necessaria alle indagini. Ma il capo dell’ufficio legale del Credito di cooperativo di Piove di Sacco, con il volto sconvolto, mercoledì mattina aveva giurato al presidente della banca di non aver mai ricevuto alcun avviso di garanzia. Ieri mattina si è lanciato nel vuoto senza lasciare nemmeno un biglietto. Non serviva. Tutti, a casa, sapevano il perché.

Agricoltura e utilità sociale, un binomio che funziona…

 

Redattore Sociale, 7 gennaio 2005

 

Minori in difficoltà, disabili fisici o psichici, detenuti, persone con problemi di droga o alcol. A loro la terra restituisce dignità e un’occasione di lavoro e impegno. Si chiamano fattorie sociali e sono una realtà ormai significativa: mettono insieme agricoltura e utilità sociale in un binomio che finora ha funzionato.

E sono diventate l’oggetto di una ricerca specifica condotta dall’Università della Tuscia di Viterbo, dipartimento di Economia agro forestale e dell’Ambiente rurale, che da tre anni studia in uno specifico progetto il rapporto tra attività agricole e terapie.

Un terreno che si è rivelato particolarmente fertile al punto che l’Università di Viterbo ha anche avviato un master in agricoltura etico-sociale: 1.500 ore di didattica nell’arco di dieci mesi, stage, seminari rivolti a indagare il rapporto tra attività agricola e utilità sociale allo scopo di formare esperti del settore. Le iscrizioni per l’edizione 2005 del master sono aperte fino al prossimo 15 gennaio (per informazioni: 0761.357247).

Ma cosa sono e quali sono le cosiddette "fattorie sociali"? A farle emergere ci ha pensato proprio l’Università di Viterbo, spulciando tra gli elenchi di cooperative, comunità di accoglienza, progetti di aziende sanitarie locali che avessero come comune denominatore l’agricoltura. Qualche esempio: la "Fattoria Verde Onlus" di Castel di Guido (Roma); la cooperativa sociale Capodarco di Grottaferrata, dove i soci, tra cui 6 persone con disagio, curano con i metodi dell’agricoltura biologica una superficie di 20 ettari, un uliveto e due vigneti.

Ma altri esempi sono gli orti delle carceri: ce n’è uno nella sezione femminile di Rebibbia, a Roma, nel carcere della Gorgona, dove si allevano anche animali; a Velletri dove si produce il vino "Il Fuggiasco", o a Prato dove si produce il miele. E oltre ai detenuti, tanti progetti con i minori. Come quelli avviati da "Il Forteto" (in Toscana, nella zona del Mugello), dove minori in difficoltà lavorano alla produzione del pecorino.

Tanti progetti e attività con carattere diverso, ma uniti dalla comune attenzione alla natura e dalla convinzione che la terra possa restituire dignità e capacità. Concetti alla base del lavoro che svolge l’Università di Viterbo, con il master in agricoltura etico-sociale, con il lavoro di censimento delle fattorie sociali in Italia e con un sito (www.agrietica.it), nato per mettere in rete e in comunicazione tra loro le tante esperienze di successo di recupero e integrazione di soggetti svantaggiati attraverso l’attività agricola.

 

 

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