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Erika ed Omar: informazione, disinformazione o speculazione?
Alcune riflessioni sulle notizie distorte, inesatte o travisate, che i media diffondono non appena si ipotizzano permessi premio e benefici penitenziari per le persone detenute, soprattutto per quelle condannate per reati gravi e, soprattutto, noti alla cronaca
Marino Occhipinti - Redazione di Ristretti Orizzonti, 17 gennaio 2005
Ultimamente si è sentito parecchio parlare, come se si trattasse di cosa fatta, dell’imminente libertà di Erika ed Omar, i due ragazzi condannati per il cosiddetto "massacro di Novi Ligure". In realtà si tratta della probabile (futura) concessione di permessi premio, che dovrà essere strettamente legata, così come ha stabilito il tribunale per i minorenni di Torino, ad attività di volontariato per la quale dovrà essere presentato un apposito ed idoneo progetto. Cominciare a fruire dei permessi premio significa avere la possibilità di uscire dal carcere per un massimo di 60 giorni l’anno, per chi ha commesso i reati da minorenne, mentre per gli "adulti" le giornate di "libera uscita" si riducono a 45. Non si tratta quindi della fine della detenzione. I permessi premio cominciano quasi sempre con gradualità, con brevi uscite in "struttura protetta" o accompagnate dai volontari nel corso di attività. Si deve sottostare a tutta una serie di divieti, di condizioni e di limitazioni, le "prescrizioni", appunto, stabilite caso per caso dal Magistrato di Sorveglianza, non facili da rispettare. In caso di trasgressione - essere in possesso o fare uso di un telefono cellulare è una trasgressione; incontrare per caso un amico con il quale hai condiviso la cella per anni, e fermarti per un saluto, non fosse altro per educazione, è una trasgressione perché non si possono frequentare pregiudicati - il beneficio viene revocato ed a quel punto sarà indispensabile una lunga attesa per cercare di riottenerlo. I permessi premio hanno lo scopo primario di avviare le persone detenute ad un graduale percorso di riavvicinamento al mondo esterno che, prima o poi, dovrà comunque riaccogliere queste persone. Per quanto possa apparire immorale e scandaloso, dare dei segnali di riavvicinamento alla libertà, con patti e regole precise, ad un essere umano che ha commesso un reato, quando questi manifesta la volontà di reinserirsi, è un passaggio indispensabile per incentivarlo a migliorarsi, per spingerlo ad un cambiamento in positivo. In teoria i permessi premio si possono ottenere dopo aver scontato almeno un quarto di pena per i reati più lievi e almeno la metà per quelli più gravi. Nella pratica succede che questi termini minimi si innalzino notevolmente: tra la domanda e la prima risposta, spesso negativa, intercorre la cosiddetta "istruzione" del fascicolo. Si tratta di accertamenti vari ed a volte complessi come la verifica della pericolosità, l’assenza di collegamenti con la criminalità, il parere del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, la redazione dell’osservazione scientifica della personalità da parte degli operatori del carcere dove vengono fatte confluire tutte le informazioni oggettive e soggettive, compresa la correttezza del comportamento in carcere e le motivazioni che hanno indotto alla commissione del reato… c’è veramente da perdersi.
Io che in carcere ci sto nel viso di chi ha ucciso ho sempre e soltanto letto disperazione, angoscia, sofferenza, rammarico A contorno della notizia dei presunti permessi ad Omar e a Erika si sono sentite, e si sono lette, le notizie più disparate: "È stata loro accordata la liberazione anticipata, e la condanna di Omar è scesa da 14 a 10 anni e quella di Erika da 16 a 12…". Un calcolo piuttosto strano, perché, ammesso che sia stato concesso il beneficio in questione, meglio conosciuto come "sconto di pena per buona condotta", ciò può aver abbassato la pena per non più di 315 giorni. I conti sono presto fatti, dal momento che la diminuzione è concessa - sempre se il comportamento carcerario è stato ineccepibile e se la persona ha partecipato alle attività rieducative, quindi non in maniera automatica ma previa attenta "osservazione" e conseguente valutazione del Magistrato di Sorveglianza - per un periodo pari a 45 giorni per ogni semestre di detenzione effettivamente espiata. Erika ed Omar, che hanno commesso il reato nel febbraio del 2001, possono quindi beneficiare della liberazione anticipata per sette semestri. 315 giorni, appunto, molto molto lontano dai quattro anni sbandierati dagli organi di informazione. Questa è solamente la prima e forse la più banale delle incongruenze relative alla polemica "Erika ed Omar", sufficiente però a far comprendere la superficialità con la quale alcuni media diffondono le notizie. Nella trasmissione Porta a porta, ove si è discusso sull’opportunità o meno di concedere i benefici ai due ragazzi, si è polemizzato, ad esempio, sul ruolo delle comunità. Si è cercato di farle apparire come dei collegi dove i minori che hanno commesso reati, quando i giudici li "affidano" a tali strutture per scontare la pena come alternativa alla detenzione in carcere, possono uscire e scorrazzare liberamente senza controllo alcuno. È stato grazie all’intervento puntuale e focoso di don Mazzi, che si è potuta chiarire la falsa indicazione: i ragazzi devono sottostare alle regole limitative della libertà stabilite dal magistrato, oltre a quelle che già disciplinano - e spesso in maniera ferrea - la vita di comunità. Insomma, ha garantito don Mazzi, la vita in comunità è molto dura, quasi quanto quella che il minore dovrebbe trascorrere in carcere. Si tratta "semplicemente" di una modalità diversa di espiazione della pena, con lo scopo di aiutare il giovane che ha sbagliato facendolo crescere in un contesto diverso da quello prettamente detentivo. D’altronde è la stessa legislazione minorile a prevedere un utilizzo limitatissimo della detenzione in carcere, da applicare solamente come estrema ratio, suggerendo invece ai giudici, ove possibile, l’uso di forme alternative di pena, studiate ad hoc a seconda dei casi. La giornalista Barbara Palombelli, presente a Porta a porta, ha sostenuto invece che quando ai giovani autori di crimini efferati vengono inflitte condanne relativamente lievi, questi si ergono spesso ad eroi. Si presentano in comunità o in carcere come dei vincitori, vantandosi con gli altri detenuti e con gli amici di averla fatta franca vanificando così, di fatto, l’effetto dissuasivo della pena. Eppure in oltre dieci anni di carcere ne ho conosciuti di detenuti, anche abbastanza giovani, condannati per reati gravi - ad esempio omicidi maturati nell’ambito familiare, commessi in un attimo di follia, o durante una rapina - ma non ne rammento neppure uno, dico uno, che avesse la faccia del vincitore. Non so quali carceri abbia "frequentato" Barbara Palombelli e quali detenuti abbia potuto "esaminare ed osservare", ma io che in carcere ci sto nel viso di chi ha ucciso ho sempre e soltanto letto e visto disperazione, angoscia, sofferenza, rammarico. Mai soddisfazione, ed è per questo che mi amareggiano tali asserzioni, che non mi pare corrispondano alla realtà. Non me ne voglia Barbara Palombelli, ma davvero non capisco come possa immaginare, parole sue, il senso di impunità che passa per la testa di un assassino. Lo sostengo con convinzione perché, malauguratamente, di un reato tanto grave porto il peso sulla coscienza tutti i giorni, attimo per attimo. Neppure se mi avessero assolto, anziché condannarmi all’ergastolo, mi sarei sentito un vincitore. Dopo aver ucciso, e lo dico nonostante siano trascorsi 17 anni dal fatto, è come se ti si spegnesse qualcosa dentro, sembra che una parte di te se ne sia "andata". Per sempre. Sembra che i tuoi occhi non riflettano più la loro luce naturale, che il tuo cuore non trovi più il sorriso e la durata della condanna è l’ultimo degli affanni e delle inquietudini ad assalirti. Non appena cerchi di rilassarti anche solo per un attimo ecco riaffiorare prepotentemente i ricordi. Chiudi gli occhi e vedi l’immagine della persona che hai ucciso. Quando la sera cala il silenzio e vorresti finalmente riposare la mente… cominciano invece a riecheggiarti in testa le urla strazianti di una madre, di "quella madre", che al processo non regge alla particolareggiata descrizione di come le è stato ucciso il figlio. E tu, che sai di aver causato tanto dolore, trascorri notti insonni… Ma quali vincitori… è la sconfitta più totale. Proprio oggi pomeriggio ho sfiorato l’argomento con L., un mio compagno di sezione, condannato a "soli" 15 anni per omicidio. Non l’ho visto "esultare" per la pena mite, ammesso che 15 anni siano pochi, quanto piuttosto tormentarsi per aver tolto la vita ad un uomo. "Sai - mi ha detto con la voce incrinata - anche una volta scontata la pena non avrò mai più il coraggio di tornare al mio paese. Non riuscirei a guardare negli occhi le persone che conoscevo…", e su quella frase abbiamo preferito troncare il dialogo per non intristire ancora di più la nostra giornata.
Lasciare il carcere per qualche ora per incontrare la propria famiglia o per partecipare a una attività di volontariato non significa tornare liberi Un’altra affermazione mi è rimasta impressa, sempre della Palombelli. Commentando la scarcerazione di un diciassettenne, avvenuta dopo soli sette mesi che questi aveva ammazzato un altro ragazzo (bisognerebbe anche spiegare che l’omicida rimane comunque in attesa di giudizio e che dovrà poi scontare la condanna che gli verrà inflitta), ha detto che lei, madre molto severa, non darebbe mandato ad un avvocato, dopo così poco tempo, di chiedere la remissione in libertà del proprio figlio qualora si fosse macchiato di un grave delitto. Mi è subito venuta in mente una lunga e-mail, giunta sul nostro sito www.ristretti.it un paio di anni fa, poi pubblicata anche su Ristretti Orizzonti. Era di un giovane agente di polizia che descriveva, con dovizia di particolari, il suo stato d’animo, quindi lo stato d’animo di un poliziotto che si ritrova, improvvisamente, a essere anche parente di un detenuto. Ne voglio citare un pezzo, di quella e-mail, perché davvero fa riflettere: "Se una settimana prima che incominciasse la mia ‘doppia’ vita (da poliziotto e da parente di un detenuto) qualcuno mi avesse chiesto che cosa avrei fatto, se mi fosse accaduto quanto poi si è verificato, gli avrei risposto che quel parente ‘avrei dimenticato’ di averlo. Fortunatamente, invece, ho cominciato da subito a correre contro corrente; ho avuto la fortuna di iniziare a crescere ed arricchirmi (‘poveri’ quelli che non hanno la fortuna di capire!) di un’esperienza non comune: capire che la vita non è scontata… capire tante cose che non avresti mai accettato… capire che una persona, ‘normale’, può sbagliare… Non è stato facile, ci sono voluti anni perché io giungessi a capire quanto era accaduto, non è un’esperienza che capita a tutti e non è semplice accettare le cose che non hai scelto di vivere. È sempre facile dire ‘io avrei fatto così, io mi sarei comportato così’, ma quando capita a te è veramente tutto diverso... è veramente un altro mondo, un mondo parallelo, e solo chi lo vive e lo affronta dalla parte ed a fianco del detenuto, può capire". Detto ciò mi preme però, a questo punto, sgombrare il campo da possibili equivoci e da eventuali strumentalizzazioni. Lo faccio condividendo il pensiero di Edoardo Albinati, scrittore ed insegnate nel carcere di Roma Rebibbia, quando afferma che "i detenuti non sono affatto dei soggetti deboli, dei poverini". Le vittime sono ben altre, aggiungo io, e cioè coloro che pagano sulla propria pelle, e spesso in maniera drammatica ed irreparabile, per i nostri errori. Ma ciò non dovrebbe diventare la leva per sollevare ogni volta un polverone e "sbranare", puntualmente e indistintamente, tutta la "categoria" dei detenuti. Comprendo assolutamente lo sgomento e l’incredulità dei cittadini di fronte alla seppur parziale, temporanea e supercontrollata "libertà" che viene a volte concessa agli autori di crimini gravi mediante la concessione dei permessi premio, e ancor di più comprendo il desiderio di vendetta delle vittime, quando ancora ci sono, e dei loro parenti, che hanno tutto il diritto di dire e di manifestare ciò che in qualche modo può aiutarle a stare meglio. Ma allo stesso tempo, a meno che non si voglia una pena svincolata e slegata da finalità e progetti, e cioè una sanzione soltanto dura e chiusa - quindi inevitabilmente riproduttrice all’infinito di se stessa e basta - è opportunamente necessario passare attraverso l’applicazione dei percorsi premiali previsti dalle leggi esistenti. Lasciare il carcere per qualche ora per incontrare la propria famiglia o per partecipare a qualche attività di volontariato non significa tornare liberi. È semplicemente un atto di umanità delle istituzioni verso chi ha smesso di essere pericoloso per la società. E comunque non si finisce di pagare una colpa solo perché si esce temporaneamente dal carcere, la pena continua e la giustizia è e sarà sempre dalla parte delle vittime e dei cittadini onesti, come è giusto che sia.
Un guazzabuglio, così mi è parsa alla fine la trasmissione Porta a porta. Per focalizzare quale beneficio sarà eventualmente concesso ad Omar è stata necessaria una pausa pubblicitaria. Lo psichiatra Paolo Crepet, tirando ad indovinare, ha sostenuto che in questi quattro anni "Erika non può essere cambiata facendo buchi alle torte e dialogando un’ora a settimana con una psicologa". Il Ministro della Giustizia, carte alla mano, l’ha prontamente smentito sciorinando con dovizia di particolari le attività che Erika svolge e il trattamento terapeutico al quale è costantemente sottoposta. Del Ministro ha però stonato la lunga insistenza sul fatto che la "sete di giustizia dei cittadini deve essere soddisfatta". Il magistrato per i minorenni Simonetta Matone ha invece cercato di evidenziare le maglie larghe delle comunità, dalle quali i minori responsabili di reati "possono addirittura essere autorizzati ad uscirne per frequentare le scuole". Insomma, una trasmissione piena di esperti di giustizia e di minori. Una tavola rotonda dove, mentre tutti sapevano cosa Erika ed Omar non dovevano fare, quasi nessuno aveva invece l’idea di cosa fosse meglio per loro, come del resto succede troppo spesso quando l’argomento riguarda il carcere ed i detenuti. Propongo una discussione più approfondita: non può essere sempre e solo l’analisi della severità della condanna l’argomento in ballo. C’è un problema di idoneità e serietà della pena di cui bisogna iniziare a farsi carico. Il carcere, per quanto severo possa essere, non è automaticamente una risposta idonea e seria al reato. Con mezzi non sempre adeguati e "civili" riesce magari a contenere la pericolosità di chi ha commesso un reato, ma troppo frequentemente restituisce alla società le persone uguali a come sono entrate, e in alcuni casi anche peggiori. Anno giudiziario: Castelli - Magistrati, il dialogo è lontano
Ansa, 17 gennaio 2005
Dialogo. È la parola più frequentemente riecheggiata durante le cerimonie di inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 nei 26 distretti di Corte di Appello. Ma tra governo e magistratura il dialogo resta una chimera. A dividere continua ad essere la riforma dell’ordinamento giudiziario approvata dal parlamento ma rinviata alle Camere dal Capo dello Stato per rimediare a quattro punti di palese incostituzionalità. Anche quest’anno le cerimonie in tutta Italia sono state all’insegna delle polemiche: da una parte i magistrati che per protesta hanno ostentato tra le mani la Costituzione e che in alcuni casi (come a Milano, Napoli, Bologna e Bari) hanno lasciato l’aula quando ha cominciato a parlare il rappresentante del ministero della Giustizia; dall’altra il Guardasigilli Roberto Castelli che a Palermo, mentre l’Associazione nazionale magistrati locale teneva una contromanifestazione in piazza, ha ribadito le ragioni di una riforma "non solo necessaria ma doverosa". Nel mezzo l’avvocatura, che con l’Unione camere penali ha disertato le cerimonie (fatta eccezione a Palermo e Potenza) perché, al contrario dei magistrati, accusa il governo di non aver saputo realizzare una netta separazione delle carriere tra giudici e pm. Sulla necessità di perseguire il metodo del dialogo Castelli ha citato il presidente della Repubblica. Salvo poi aggiungere che "purtroppo un confronto davvero costruttivo è stato impedito dal clima aspro e conflittuale, per altro sicuramente non voluto da questo ministro, che ha caratterizzato fino ad ora questa legislatura". Il dialogo? Gli iniziali tentativi, secondo il Guardasigilli, "sono stati spazzati via da chi ha preferito la prova di forza contro l’opera del Governo e del Parlamento"; una prova di forza portata avanti dalla magistratura ("è la prima volta che un singolo ministro della giustizia ha subito ben tre scioperi"). "Detto ciò - ha precisato Castelli - continuo a sostenere e a praticare il principio del confronto". La prima replica è venuta dal presidente dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati: "il ministro ha una concezione singolare del dialogo: lui parla, gli altri ascoltano, e lui non ascolta mai gli altri". E ancora: "noi teniamo il dialogo sempre" e noi facciamo sempre proposte, ma quando non siamo d’accordo facciamo una denuncia netta di quello che non va. La giustizia oggi è al disastro. Il ministro responsabile è il ministro Castelli". Contemporaneamente molti pg dei 26 distretti giudiziari hanno denunciato i guasti del sistema ("mancano i soldi" tant’è che quest’anno non si è potuta stampare la relazione, ha fatto notare il pg di Torino Giancarlo Caselli), hanno criticato la riforma dell’ordinamento giudiziario (non sarà "un volano per il processi di rinnovamento", per il pg di Milano Blandini; il suo obiettivo principale sembra essere"la mortificazione del pm", ha rincarato la dose il pg di Bologna Francesco Pintor), e non hanno mancato di fare un implicito riferimento a norme contestate ora all’esame del Parlamento come la cosiddetta Salva-Previti ("è certo che esiste un danno sociale assai elevato nella indiscriminata impunità da prescrizione", ha sottolinea il pg di Roma Salvatore Vecchione). Via via, nel corso della giornata, magistrati più o meno famosi d’Italia hanno replicato a distanza al Guardasigilli. Il presidente del Tribunale di Roma, Luigi Scotti, ad esempio, si è presentato alla cerimonia con la toga "per rappresentare la situazione della giustizia, che è in lutto", anche perché la riforma dell’ordinamento giudiziario "ci riporterà ad un sistema burocratico ed impiegatizio della magistratura". Come molti altri esponenti della Cdl, il sottosegretario alla Giustizia, Giuseppe Valentino (An), ha ripetuto, da Reggio Calabria, che i rilievi di Ciampi non intaccano i cardini fondamentali della riforma. Un concetto, questo, che preoccupa il vicepresidente del Csm, Virginio Rognoni: si tratta di "interpretazioni di ‘comodò restrittive e minimaliste" del messaggio del Capo dello Stato "quasi che interventi, qui e là, di tipo chirurgico, possano rapidamente raddrizzare uno scenario fortemente scosso dai rilievi del Presidente". Bologna: un convegno sulle carceri dell’Emilia Romagna
Sassuolo 2000, 17 gennaio 2005
Un punto sulla situazione carceraria in Emilia-Romagna, sulle politiche e gli interventi regionali, sui problemi e le prospettive di un sistema che risente in maniera sensibile della diminuzione negli investimenti per la spesa sociale. Sono i temi che stanno al centro del convegno che si è svolto oggi, 17 gennaio, dalle ore 9.30, nella Sala polifunzionale della Regione Emilia-Romagna, in viale Aldo Moro 50 a Bologna. Numerosi i partecipanti all’incontro, aperto dall’assessore regionale alle Politiche sociali Gianluca Borghi, tra cui i deputati Rosi Bindi, Paolo Cento, Titti De Simone, Katia Zanotti ed esperti quali Stefano Anastasia (presidente associazione Antigone) e Nello Cesari (provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria in Emilia-Romagna). È tra l’altro l’occasione per trarre un bilancio delle iniziative e dei progetti messi in atto in questa legislatura dalla Regione Emilia-Romagna per il miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti, come previsto nel protocollo d’intesa siglato nel ‘98 tra il ministero di Grazia e Giustizia e l’amministrazione regionale. Complessivamente, sono stati ripartiti ai Comuni emiliano-romagnoli interessati oltre 1.9 milioni di euro, 400 mila dei quali relativi al 2004. "La situazione delle carceri del nostro paese ormai è insostenibile. Il governo affronti questa emergenza. Tema fondamentale è quello della tutela alla salute delle persone recluse", commenta l’assessore regionale Borghi. "A tale riguardo - aggiunge - una settimana fa si è svolto un incontro tra il provveditore dell’Amministrazione penitenziaria, il presidente della Regione Vasco Errani e l’assessore regionale alla Sanità Giovanni Bissoni, in cui è stato ribadito l’impegno di dar vita ad un sistema integrato per la tutela della salute in carcere. In tale accordo sono in considerazione, sia dal punto di vista economico che da quello organizzativo, alcune questioni cruciali presenti in tutte le carceri: dall’assistenza sanitaria di base all’anagrafe sanitaria per i detenuti, dall’approvvigionamento e spesa farmaceutica fino alla medicina specialistica ed all’assistenza ai tossicodipendenti detenuti, fino al superamento dell’ospedale psichiatrico giudiziario".
La situazione nelle carceri regionali
Sul territorio regionale sono presenti 12 Istituti penitenziari, suddivisi in 8 Case circondariali (dove sono recluse persone in attesa di giudizio o con pene di durata inferiore ai 5 anni), due Case lavoro, un Ospedale psichiatrico giudiziario ed una Casa di reclusione (o Istituto penale, per soggetti con pene detentive superiori ai 5 anni). Al 30 giugno 2004 c’erano negli istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna 3.533 detenuti, di cui 1.611 stranieri (quasi il 46% del totale). Di essi, 980 sono tossicodipendenti: il 27,7% , che insieme agli alcool dipendenti (122) raggiungono il 31% di detenuti affetti da problematiche di dipendenza. Il dato sui sieropositivi non è attendibile, data la scarsa partecipazione agli screening, ma risultano 77 detenuti affetti da Aids in diversi stadi. Oltre la presenza di detenuti tossicodipendenti ed il sovraffollamento, le problematiche riguardano la carenza di personale di tutte le categorie (dalla custodia, al cosiddetto trattamento, alla sanità), la cattiva attuazione delle possibilità di misure alternative, la mancanza di attività culturali, sportive, formative e lavorative, la drammatica situazione sanitaria. Da segnalare inoltre la totale assenza di servizi di mediazione culturale o anche soltanto di traduzione, in istituti dove la presenza di stranieri raggiunge quasi la metà dei detenuti, la cui detenzione è pertanto ancor più problematica. Castelli: la riforma della Giustizia è necessaria e doverosa
La Padania, 17 gennaio 2005
"Benvenuto ministro, la Sicilia è con te". Era quanto si leggeva su uno striscione esposto all’ingresso del palazzo di giustizia di Palermo da una decina di esponenti della Lega Nord dell’isola che erano in attesa dell’arrivo del Guardasigilli, Roberto Castelli, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Nella sua relazione, il ministro si è soffermato su alcuni punti che riguardano l’amministrazione della giustizia nel Paese, tracciando un bilancio dell’attività svolta dal governo e delle iniziative in cantiere. Ad ascoltarlo, una platea di autorità e pochi togati della magistratura requirente, fatta eccezione per il procuratore capo di Palermo, Pietro Grasso, e due pm. "In tutta la storia della Repubblica pochissimi altri Guardasigilli hanno avuto l’onore e l’onere di inaugurare per la quarta volta consecutiva l’anno giudiziario ed è doveroso dire che è tempo non più di affermazioni e di previsioni, ma anche e soprattutto di bilanci" ha esordito Roberto Castelli. Il ministro ha spiegato che "la Banca d’Italia, nel 2001, indicando cinque riforme per il sistema paese, ne ha compreso ben tre facenti parte del sistema giustizia". Per Castelli sono due le questioni fondamentali della giustizia all’attenzione del governo: "Il rapporto tra potere legislativo e ordine giudiziario e l’eccessiva durata dei processi. Abbreviare il tempo dei processi e conseguentemente diminuire il debito pubblico giudiziario, è stato ed è obiettivo sempre perseguito dal governo". Il ministro si è paragonato al bambino della favola "I vestiti nuovi dell’imperatore" di Hans Christian Andersen, "un fanciullo che rappresenta non solo l’innocenza ma anche la capacità di guardare la realtà senza le lenti deformanti dell’ideologia, mascherando l’inganno del pensiero unico e della mistificazione". "Non vi è dubbio - ha proseguito - che oggi per soddisfare il politicamente corretto è inderogabile affermare che la giustizia è allo sfascio. Perché così si è intelligenti, perché altrimenti si viene travolti dal frastuono mediatico, perché come diceva ironicamente Kipling "se lo dicono tutti significa che è vero". Bene, oggi il ministro vuole comportarsi come il bambino della favola, vuole sfidare gli "intelligenti" e invitare tutti ad uscire dal solito cliché, e a guardare ciò che è accaduto negli ultimi anni: si è verificato un trend positivo". Quindi, il ministro ha snocciolato dati sulla giustizia riguardanti il 2004: "I dati relativi al primo semestre ci dicono che sul sistema giustizia si sono riversati 3 milioni e 600 mila nuovi provvedimenti. Una cifra enorme, alla quale però è stato fatto fronte. Infatti, i procedimenti esauriti sono stati leggermente superiori. Significa in termini pro capite più di 200 procedimenti in sei mesi per ogni magistrato. Uno sforzo grandissimo, un risultato che non può non essere defi- nito più che positivo, ottenuto grazie allo sforzo di tutti". "Che senso ha - si è chiesto Castelli - chiudere gli occhi di fronte a questi dati, che sono veri, reali e dicono che è stato reso un grande servizio a milioni di cittadini, e accreditare invece un’immagine di una giustizia incapace di rispondere al Paese quando ciò era vero per il passato ma molto meno vero oggi? Non si tratta di ignorare o edulcorare la realtà, ma semplicemente di leggerla per quella che è. Essa ci dice che in questi ultimi anni il sistema giustizia è migliorato enormemente. Per merito di tutti. Anche dell’azione intrapresa nella passata legislatura. Ignorare ciò non solo è mistificatorio ma soprattutto sciocco e cinico. Per una volta proviamo a pensare positivo, proviamo a vedere oltre i pregiudizi. Sono convito che faremo un grande servizio a noi stessi ma soprattutto al Paese". "Occorre perseguire il metodo del dialogo tra maggioranza, opposizione, operatori e società civile. In questo senso si è espresso in numerose occasioni il presidente della Repubblica. Purtroppo un confronto davvero costruttivo è stato impedito dal clima aspro e conflittuale, peraltro sicuramente non voluto da questo ministro, che ha caratterizzato fino ad ora questa legislatura. Significativo a questo proposito mi pare il recente gesto di violenza di cui è stato vittima il presidente del Consiglio, per il quale ci saremmo attesi un coro unanime di condanna". "Gli iniziali tentativi di dialogo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario - ha proseguito Castelli - sono stati spazzati via da chi ha preferito la prova di forza contro l’opera riformatrice del Governo e del Parlamento. È prevalsa in alcuni l’idea che dialogo significasse diritto di veto oppure tentativo di discutere sine die in attesa della fine della legislatura". "Certamente - ha aggiunto il ministro - in un sistema bipolare non ci può essere posto per il consociativismo. Da parte mia riaffermo il diritto, ma soprattutto il dovere, di portare avanti il programma di riforme. È anche la prima volta che un singolo ministro della Giustizia ha subìto ben tre scioperi della magistratura. Detto ciò continuo a sostenere e a praticare il principio del confronto". In riferimento all’aggressione a Silvio Berlusconi, il Guardasigilli ha precisato: "Ci saremmo attesi un coro unanime di condanna, invece neppure in questo caso sono mancate espressioni di giustificazione e scherno, col rischio che dal gesto inconsulto di un individuo possa scatenarsi una gara di emulazione dagli esiti imprevedibili". "Quel che è più grave - ha aggiunto Castelli - è che ciò è avvenuto anche da parte di personaggi mandati a ricoprire posizioni eminenti, prestigiose e rappresentative e per questo, si suppone, tenuti a comportamenti di massima responsabilità". Tornando a parlare della riforma dell’ordinamento giudiziario, Castelli ha ribadito: "Non solo è necessaria, ma addirittura doverosa in quanto prevista dal capo VII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione. Nessun governo, nessun Parlamento della Repubblica è mai riuscito a vararla. È motivo di orgoglio e di soddisfazione da parte mia che le Camere abbiano approvato un testo in doppia lettura. Testo che è stato approvato a Costituzione vigente e, quindi, con i limiti che essa prevede. Su questo testo si è detto tutto e il contrario di tutto". E ricorda: "Si è scioperato contro la riforma perché definita da taluni un attentato alla Costituzione e all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, e si è scioperato perché ritenuta da altri debole e poco incisiva. Su di essa sono state proferite previsioni apocalittiche, talora anche con inesattezze e falsità. Da parte mia rilevo solo che in questa legislatura molte altre volte gli stessi commentatori si sono esercitati in forti predizioni sulle conseguenze di molti disegni delle legge approvati dal Parlamento, e che essi sono stati puntualmente smentiti dai fatti. Abbiamo perciò l’ardire di non dare alcun credito agli oscuri scenari disegnati da profeti di sventura così fallibili. In ogni caso il tempo scoprirà la verità". Il ministro ha poi sottolineato che "non è vero che l’Italia destina risorse inadeguate alla giustizia, sono invece in linea con quelle dei nostri partner europei". E ha spiegato: "La spesa per la giustizia, in rapporto al bilancio dello Stato, è raddoppiata dall’83 ad oggi essendo passata dallo 0,78% del 1983 all’1,58% del 2005. Nel corso di questa legislatura siamo passati dall’1,3% del 2001 all’1,5% del 2005". E ancora: "I giudici togati per 10 mila abitanti sono in Italia l’1,39 contro lo 0,91 della media europea. In totale i magistrati sono aumentati da 9.000 nell’85 fino a 17 mila nel 2004". E ancora: "Anche quest’anno è proseguito lo sforzo per incrementare le risorse umane in campo. È in corso infatti l’immissione in possesso di 385 uditori giudiziari. Inoltre sono state nominate nel corso dell’anno 270 unità in seno alla magistratura onoraria e l’assunzione di 248 unità di ufficiali giudiziari". Sul piano del miglioramento dell’efficienza, fra i risultati raggiunti nel corso del 2004 "c’è la convenzione stipulata con le Poste per la notifica degli atti giudiziari. Oggi il 30% dei rinvii delle udienze civili dipende proprio da problemi di notifica. Un notevole impegno è stato profuso dal ministero sul fronte dell’informatica, mentre i fondi impegnati per l’edilizia giudiziaria ammontano a 636 milioni di euro nel corso dell’attuale legislatura, contro i 434 di quella passata". La spesa prevista nel 2004 per le intercettazioni si stima in 300 milioni di euro: "Un aumento esplosivo e non sopportabile" ha sottolineato il Guardasigilli. Facendo riferimento alla "voce" relativa alle intercettazioni, Castelli ha illustrato i dati di questa crescita: "32 mila utenze intercettate nel 2001 per 165 milioni di euro, 45 mila per 230 milioni di euro nel 2002 e oltre 77 mila per 255 milioni di euro nel 2003". "Gli ultimi dati - ha aggiunto - ci dicono che nel 2004 la spesa si stima prossima ai 300 milioni di euro". Sulla durata dei processi il ministro ha spiegato che "è eccessiva e che c’è un enorme arretrato composto da 9 milioni di processi. Di anno in anno si assiste a una continua e un po’ stucchevole denuncia dei mali della giustizia, che si trascina da più di trent’anni. Ricordo che il compatimento nei confronti dei problemi genera gruppi orientati al cinismo e al rifiuto dei cambiamenti. È soprattutto negli anni che vanno dal 1980 al 1996, che si è accumulato il "debito pubblico giudiziario". Debito che si è combattuto principalmente con un mezzo: l’amnistia. Non servono interventi miracolistici ed utopici quindi. Ma una serie di misure, quali quelle illustrate, per invertire una tendenza". "Oggi nel settore civile -ha spiegato Castelli - i processi arretrati sono passati da 4 milioni 868 mila del 2000 a 4 milioni 378 mila al 30 giugno 2004. I tempi medi sono passati per i tribunali civili da 1.529 giorni nel 2000 a 837 al 30 giugno 2004. È sempre una durata eccessiva ma vi è un nettissimo miglioramento. Anche nel settore penale vi sono segnali di progresso: nelle procure si è passati da 2 milioni 600 mila pendenze del 2000, a 2 milioni 21 mila al 30 giugno 2004". Castelli ha elencato alcune misure, a partire da quelle contro il terrorismo internazionale, varate nel 2001, cui è seguito nell’anno successivo il provvedimento che ha reso stabile il regime del 41 bis per i boss mafiosi. Nel 2003, ha poi ricordato Castelli, durante il semestre di presidenza italiana "il governo ha rafforzato le forme e i modi di collaborazione con gli organismi comunitari, mentre è in discussione, in seconda lettura al Senato, l’atto parlamentare che prevede importanti misure contro i recidivi". "È un dato ormai provato - ha spiegato il Guardasigilli - che nelle società più avanzate sia una ristretta fascia di individui a compiere la stragrande maggioranza dei reati. Ponendoli in stato di detenzione, li si mette in condizione di non nuocere. Auspico, pertanto, una rapida approvazione da parte del Parlamento del Ddl". Parlando della Convenzione europea firmata lo scorso 29 ottobre a Roma, Castelli ha rilevato che "essa non è ancora in vigore e per contro, in Europa, si continua a legiferare in materia di giustizia senza aver alcun riferimento costituzionale, mirando a costituire, nei fatti, un corpus di norme di natura fortemente centralistica, e non tenendo conto sufficientemente delle Costituzioni nazionali. Il modo in cui si legifera a Bruxelles crea, non solo all’Italia, notevoli problemi di carattere costituzionale. Il Parlamento italiano non riesce, ad esempio, ad approvare la legge di trasposizione della decisione quadro relativa al mandato d’arresto europeo". Secondo il dato fornito da Castelli, l’amministrazione penitenziaria assorbe il 35.09% dell’intero bilancio della Giustizia. Alla data del 31 dicembre 2004 nelle carceri erano presenti 56.068 detenuti: 53.472 uomini e 2.596 donne (di cui 69 sono detenute con prole al seguito). Per quanto riguarda l’edilizia penitenziaria, nel 2004 sono stati aperti e resi operativi Sant’Angelo dei Lombardi (Avellino), Laureana di Borrello (Reggio Calabria), Lecco, Lamezia Terme (Catanzaro) e Spinazzola (Bari). È in via di ultimazione la nuova Casa circondariale di Reggio Calabria, mentre nel corso del 2005 è prevista l’entrata in funzione dei nuovi istituti di Perugia e di Ancona. Sono, inoltre, in programmazione 25 nuovi istituti. Castelli ha poi dedicato una parte del suo intervento alla giustizia minorile, indicando reati in crescita nel corso del 2004, soprattutto da parte di stranieri: "Emergono fenomeni quali la tendenza da parte di giovani nomadi all’uso e allo spaccio di droga". Ogni giorno, secondo i dati del ministero, i servizi della giustizia minorile si occupano di 10 mila ragazzi. "La magistratura onoraria - ha detto Castelli - svolge ormai un compito insostituibile nell’esercizio della giurisdizione. I giudici di pace gestiscono oltre un milione di processi civili e decine di migliaia di processi penali". Anno giudiziario: Castelli, nessun taglio a risorse per la giustizia
Agi, 17 gennaio 2005
Nel suo intervento per l’apertura dell’anno giudiziario a Palermo, il ministro della Giustizia Roberto Castelli prova a contestare alcune delle accuse sulle cause dei ritardi della giustizia italiana. Innanzitutto, non ci sta a far passare il messaggio che ci sia stata una riduzione di risorse: la spesa della giustizia - spiega Castelli - in rapporto al bilancio dello Stato è raddoppiata dal 1983 a oggi, essendo passata dallo 0,78 per cento del 1983 all’1,58 per cento del 2005. Rispetto al pil le risorse stanziate per la giustizia sono pari allo 0,5 per cento, in linea con quello degli altri Paesi europei. I giudizi togati per diecimila abitanti inoltre in Italia sono 1,39 contro lo 0,91 della media europea: in totale i magistrati sono passati dai novemila del 1985 ai diciassettemila del 2004. "Questi dati - dice Castelli - dimostrano pertanto che non è vero che l’Italia destina risorse inadeguate alla giustizia. Esse piuttosto sono in linea con quelle dei nostri partner europei". È poi in corso - rileva il ministro - l’immissione di 385 uditori giudiziari e sono state nominate 270 unità in seno alla magistratura onoraria. Sempre nel 2004 la direzione generale Beni e servizi ha approvato sui fondi destinati all’edilizia giudiziaria comunale finanziamenti per 97 milioni 423 mila euro, una cifra che nel corso dell’attuale legislatura è stata complessivamente pari a 636 milioni. Rispetto alle carceri il ministro Roberto Castelli nel suo intervento per l’apertura dell’Anno giudiziario a Palermo ha detto che l’amministrazione penitenziaria assorbe il 35,09 per cento dell’intero bilancio della giustizia. In aggiunta ai 464 ausiliari già inviati nel corso del 2004 e in via di completamento l’assunzione di ulteriori 1.500 unità. Sono inoltre in via di espletamento concorsi per l’assunzione di 853 unità per le qualifiche di vice commissari, vice ispettori, agenti e assistenti di polizia penitenziaria femminile. Al 31 dicembre 2004 erano detenute 56.068 persone, distinti in 53.472 uomini e 2.596 donne. Castelli ricorda che a giugno 2001 ammontavano a 55.400 unità. Dunque il numero dei detenuti è stazionario "grazie soprattutto alla legge Bossi-Fini dice Castelli - che consente l’espulsione dei detenuti stranieri condannati a meno di due anni di reclusione". Fino a settembre 2004 ne sono stati espulsi 2.193 contenendo il numero a 17.816. Sono poi in programmazione 25 nuovi istituti dei quali 13 completamente finanziati. Diminuisce poi la percentuale di suicidi rispetto alla popolazione penitenziaria: da 69 nel 2001, con un tasso pari a 12,5 ogni diecimila detenuti, a 52 del 2004 con un tasso pari a 9,2. (AGI) . Biella: modello di carcere duro, forti limiti ai diritti dei detenuti
Il Manifesto, 17 gennaio 2005
Se quattro libri vi sembrano pochi... la direzione del carcere di Biella risponde alle critiche di chi aveva attaccato la durissima perquisizione del 20 dicembre scorso, durante alla quale erano stati requisiti ai detenuti della sezione speciale (dove sono rinchiusi anche i prigionieri politici) libri, riviste, cd, vestiti, ecc. Il Sinappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria (il più rappresentato a Biella) respinge le accuse di "censura" e di "violazione dei diritti dei detenuti" formulate dai parenti e amici dei detenuti e da Rifondazione comunista. In realtà basta leggere il nuovo regolamento del carcere di Biella per rendersi conto che i diritti dei detenuti non sono certo ritenuti la priorità. Chi il regolamento l’ha steso (il primo firmatario è il magistrato di sorveglianza) sembra soprattutto interessato a restringere il più possibile il campo dei diritti. Come altrimenti spiegare il punto 3 riguardante libri e riviste, dove si dice che i detenuti non possono possedere più di quattro tra riviste e libri per volta e che per averne degli altri dovranno prima riconsegnare, tramite spedizione a proprie spese o alla fine dei colloqui ai familiari? Al di là delle facili disquisizioni sul numero, basta ricordare che non tutti hanno i soldi per poter spedire libri (pesanti e costosi) ma anche che non tutti hanno la possibilità di colloqui regolari: c’è chi ha un solo colloquio l’anno. Stesso problema per quanto riguarda la parte del regolamento sul vestiario. Ai detenuti viene consentito di tenere in cella soltanto lo stretto necessario (due maglioni non a collo alto, due pantaloni, cinque mutande e poco altro). Ma soprattutto viene nei fatti stabilito di consegnare ai familiari (possibilmente settimanalmente) i vestiti perché vengano lavati. Anche qui, è evidente che sono assai pochi i detenuti che possono godere di visite settimanali. La domanda è: per tutti quelli che non possono mandare i vestiti a lavare che succede? Un’altra disposizione a dir poco singolare riguarda la possibilità per il detenuto di avere in cella una radio o un mangianastri. Entrambi non è possibile, anche se si può avere un apparecchio che contenga sia l’uno che l’altro. C’è poi una ulteriore novità che riguarda la possibilità di lavorare gestita fino a questo momento dai prigionieri che svolgevano le varie mansioni a rotazione in modo da consentire a tutti di avere un minimo di sostentamento economico garantito. Dal mese di gennaio, invece, la decisione su chi dovrà lavorare e quale lavoro dovrà svolgere, sarà esclusiva del carcere. Una novità che riguarda non solo la sezione speciale ma tutte le sezioni. Altri dettagli infine emergono sulla perquisizione del 20 dicembre. Sarebbe stata effettuata da personale non operante normalmente in quella sezione. Fino ad oggi non è stato notificato né un provvedimento né un verbale. Il 3 gennaio è stato portato in isolamento per sette giorni un prigioniero politico. Alcuni detenuti per protesta hanno avviato uno sciopero della fame. Dopo la denuncia dei detenuti e dei loro familiari si stanno moltiplicando le iniziative di solidarietà, da associazioni come da singoli cittadini. Riscuote consensi anche la campagna "la legge non legge" che prevede di inviare libri ai detenuti (info un libroinpiu@libero.it ). Nei giorni scorsi si è recato in visita al carcere il consigliere di Rifondazione, Mario Contu. "La perquisizione del 20 è avvenuta seguendo il nuovo regolamento varato da un’apposita commissione. - dice - La cosa singolare è che in 30 anni non si era mai avvertita la necessità di dotarsi di un regolamento interno. Bastavano l’insieme delle circolari ministeriali e degli ordini di servizio della direzione". Il dubbio è che Biella sia stato scelto come carcere "pilota" per sperimentare il nuovo modello penitenziario. Quello che il ministro della giustizia Castelli ha detto cioè di voler al più presto implementare, più rigido, più restrittivo, dove la repressione e l’umiliazione del detenuto saranno nei fatti gli obiettivi da perseguire. Verona: carcere con pochi farmaci per i tagli alla spesa
L’Arena di Verona, 17 gennaio 2005
Tre detenuti in ogni cella. Settecento nell’intera struttura che invece fu costruita per accogliere poco più della metà della popolazione carceraria. E poi pochissimi ispettori, sovrintendenti e agenti di polizia penitenziaria rispetto alla pianta organica. È questa la radiografia del carcere di Montorio fatta dalla relazione annuale per l’apertura dell’anno giudiziario. Più volte denunciata, la situazione è preoccupante e il capitolo sulle condizioni sanitarie mette in luce le emergenze soprattutto sulle fondamentali garanzie del detenuto. I finanziamenti ridotti hanno provocato drastici tagli sull’acquisto di medicinali (ci sono solo "quelli strettamente necessari", è scritto nella relazione), al servizio degli infermieri e alle visite specialistiche. La casa circondariale è stata vicina al collasso perché in un determinato periodo ha ospitato 758 persone e, di conseguenza, sono aumentate le richieste di assistenza medica. "Ma l’incremento", è riportato nel rapporto dell’ufficio del sanitario, "non è dovuto solo all’aumento della popolazione in sé, quanto alla ridotta presenza di personale parasanitario che possa risolvere problematiche non di stretta competenza medica". Come, per esempio, il cambio di una fasciatura. Il servizio infermieristico è andato in crisi per la riduzione del monte orario passato da 40 ore nel 2000 con 450 detenuti a 30 ore adesso con 750. La prima conseguenza è che gli operatori hanno dovuto tralasciare la gestione degli archivi, l’assistenza ai medici, lo scarico dei farmaci e altre mansioni fondamentali per il buon funzionamento del servizio sanitario interno. È poi riportata la storia della scoperta del caso di tubercolosi che ha provocato un trasferimento giornaliero e in turni dei detenuti all’ospedale per verificare se c’era stato o meno il temuto contagio. Fortunatamente c’era una sola persona affetta dalla malattia, ma in via preventiva è stato necessario controllare tutti. "L’affollamento attuale", è scritto nel rapporto, "avrebbe potuto effettivamente creare la possibilità di un’epidemia e la ventilata ipotesi di aggiungere il quarto posto in cella aumenterebbe in misura esponenziale tale rischio". La relazione ha poi ricordato che determinati rischi sono dovuti anche a fattori particolari come l’erogazione dell’acqua che nel periodo estiva manca sistematicamente nelle ore pomeridiane. E, come se non bastasse, lo scorso inverno il sistema di riscaldamento non funzionava di giorno. A Montorio i responsabili hanno dovuto prendere atto che da più parte venivano trasferiti "soggetti affetti da patologie maggiori sia dal punto di vista della gravità della patologia sia dal punto di vista dei costi terapeutici e, comunque, il raccoglitore delle "eccedenze" numeriche degli altri istituti del Nord Italia". la statistica sul carcere di Montorio è poi completata con alcuni dati sui permessi concessi ai detenuti. Sono stati 299, una sola persona non è rientrata in carcere, nessuno invece si è presentato in ritardo e 26 sono i detenuti che hanno ottenuto la semilibertà e tornano in carcere solo per dormire. Rimini: in carcere celle separate per i fumatori
Corriere Adriatico, 17 gennaio 2005
Le norme antifumo arrivano in carcere. Anche all’interno della casa circondariale Casetti, da lunedì scorso, si applica le nuova legge Sirchia per la limitazione del fumo: norme che hanno costretto alcuni detenuti a cambiare cella, passando dalla quelle per i fumatori a quelle riservate a chi ha il vizio della sigaretta, e viceversa."Il divieto di fumo è applicato in tutte le zone comuni - spiega il direttore del carcere, Maria Benassi - dai corridoi alla mensa, dagli uffici all’atrio. Per quanto riguarda le celle, poi, abbiamo creato zone apposite per i fumatori e altre zone alternative per i non fumatori, spostando anche alcuni non fumatori da una zona all’altra. È chiaro che se in una cella ci sono solo detenuti fumatori, il problema non si pone. Per stare dalla parte della tutela della salute, però, abbiamo già avanzato richiesta all’amministrazione penitenziaria di alcuni potenti aspiratori da installare nell’area delle celle fumatori". Regole più restrittive anche per il personale. "Non si fuma assolutamente negli uffici - prosegue la direttrice - così i dipendenti possono prendersi qualche minuto di pausa e uscire dai locali per fumarsi la propria sigaretta, come accade in qualunque locale pubblico. Resta il fatto che questa nuova legge ha introdotto un particolare aggravio per le strutture carcerarie di tutto il Paese, Rimini compresa, perché non abbiamo le strutture e i locali idonei". Secondo la direttrice, insomma, la convivenza tra fumatori e non funziona perfettamente. "Non abbiamo mai avuto problemi in precedenza, né li abbiamo ora - spiega - anche perché i fumatori rappresentano ben il novanta per cento dei detenuti e il settanta per cento dei dipendenti del carcere". Anno giudiziario: Magistrati; promesse della riforma sono illusioni
Il Messaggero, 17 gennaio 2005
Mancano uomini, mezzi e strutture per contrastare reati che aumentano, come gli omicidi e le rapine. E poi c’è la tanto discussa riforma dell’ordinamento giudiziario approvata dal Parlamento e su cui pesano i rilievi del Presidente della Repubblica, che occupa in modo più o meno aggressivo gli interventi dei Procuratori generali presso le Corti d’Appello. Sono questi i punti cardine delle relazioni dell’apertura dell’anno giudiziario, e tracciano una situazione giustizia che rileva forti contrasti tra poteri dello Stato. In buona parte dei 26 distretti, i magistrati si sono presentati con le toghe nere, "in segno di lutto", e con la Costituzione in mano. Qualcuno ha anche lasciato l’aula men tre parlavano i rappresentanti del ministero della Giustizia. Assenti gli avvocati penalisti. Torino. Il pg Giancarlo Caselli chiede che venga abbandonata la strada della "mortificazione dell’efficienza e dell’indipendenza della magistratura". I soldi non ci sono più, nemmeno per stampare la relazione, spiega. E "l’impossibilità è diretta conseguenza dell’insufficienza dei fondi stanziati per le spese d’ufficio". La situazione che il pg denuncia, quanto a efficienza e funzionalità, va "verso la soglia dell’ingestibilità, mettendo in forse la stessa sopravvivenza degli uffici". L’importante - conclude - è che una volta finiti i soldi, "non lo sappiano i delinquenti". E sulla riforma dichiara: "È una grande occasione sprecata". Genova. Durissime le accuse mosse dal Pg Domenico Porcelli al ddl Castelli: è una riforma di "palese incostituzionalità in più punti", in linea con il piano della P2 di Licio Gelli. Al ministro chiede, anziché "inutili e vessatorie ispezioni", di definire meglio i requisiti per ottenere i benefici penitenziari. Il pg ligure cita a lungo l’impegnativa inchiesta, ora conclusa, sulla vicenda dei No global. Firenze. Nella relazione viene evidenziato che i reati societari sono diventati contravvenzionali, e l’estinzione per prescrizione rischia di diventare la regola. Il pg Giorgio Brignoli prevede che la riforma aggraverà anziché migliorare le inefficienze del sistema giustizia. Napoli. Da mesi sotto l’assedio di una guerra di mafia con delitti ormai all’ordine del giorno. Il pg Vincenzo Galgano richiama tutti al rispetto delle regole, anche da parte delle istituzioni, la sola modalità per affrontare l’emergenza camorra - afferma. Il pg tiene poi a lanciare un messaggio di fiducia: "Napoli non sprofonda e resiste. Ecco perché le guerre tra bande non riescono a indebolire il tessuto sociale fino a comprometterlo". Bologna. "Sono illusorie le promesse della riforma". Ne è convinto il pg Francesco Pintor, che lamenta la carenza di organici di magistrati e personale amministrativo. In Emilia Romagna le pendenze civili sono aumentate del 7 per cento. Ieri, poi, durante la lettura della relazione alcuni magistrati, in segno di protesta, hanno sollevato dei cartelli con scritto: "La Costituzione non si prescrive". Venezia. Diecimila reati in più denunciati. Il dato si riferisce a tutto il Veneto dove, però, sono in calo i furti e le rapine, mentre c’è la tendenza alla formazione di associazioni di stampo mafioso tra gli immigrati. Per il pg Ennio Fortuna, la riforma ha come unico obiettivo la riduzione dell’indipendenza del giudice. Bari. La morte di Eleonora, uccisa da denutrizione e stenti, fa dire al pg Riccardo Dibitonto: è "una tragedia che ci fa vergognare di essere uomini". Allarme per i baby killer addestrati dalla mafia barese per compiere agguati. Catania. Il pg Giacomo Scalzo chiede di annullare la diminuzione prevista della "continuazione del reato" e di raddoppiare la condanna per i recidivi, per evitare che tornino presto liberi. La circoscrizione di Catania resta "la porta di accesso all’inferno minorile". Trento. Allarme skinheads. È un aspetto preoccupante perché - fa notare il pg Giovanni Pierantozzi - "si sta diffondendo anche nell’Alto Adige, soprattutto nei piccoli centri". Cagliari: più di duecento "svantaggiati" aiutati dal Cesil
L’Unione Sarda, 17 gennaio 2005
Avevano uno svantaggio che per anni si è tramutato anche in una condanna: la mancanza di lavoro. Perché trovare un impiego quando si è disabili o estremamente poveri, o tossicodipendenti o immigrati è tutt’altro che facile. Come combattere un incontro di boxe con una mano legata dietro la schiena. Ora quegli svantaggi si sono trasformati in una virtù per le centinaia di persone che in un anno si sono appoggiate ad un modesto ufficio di tre stanze che il Comune ha aperto un anno fa in piazza Repubblica. È il Centro per l’inserimento lavoratori dei soggetti svantaggiati (in sigla Cesil) che ha assunto i connotati (pur non essendolo, sia chiaro) di un ufficio di collocamento per chi non sa più dove sbattere la testa nella ricerca di un’occupazione. E per di più deve fare i conti con barriere (fisiche, culturali, economiche) che raramente facilitano la vita. Ed invece, alcuni piccoli miracoli sono avvenuti. Un ragazzo disabile (ne manteniamo per ovvi motivi l’anonimato) ha trovato un impiego fisso in un’azienda di Cagliari; altri tre giovani con un passato non facile hanno presentato progetti di auto-imprenditorialità le cui pratiche finalizzate ad accedere ai finanziamento sono in corso. Per uno di essi (impegnato nel settore dell’informatica) si sa già che il contributo a fondo perduto è certo al 99 per cento. Continuando a far parlare i numeri di questa operazione "riscatto" da una vita spesso avara, risulta che una ventina di aziende sono pronte ad ospitare altrettanti utenti del Cesil in corsi di formazione, magari tirocini formativi, assolutamente gratis ma mai inutili. L’esperienza è un biglietto da visita che molti, soprattutto le persone cui si rivolge il Cesil, non hanno. Per non parlare, poi, delle 142 persone registrate nella banca dati che prima o poi consente di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro. E del triplo di utenti che durante gli ultimi dodici mesi quanto meno si sono affacciati negli uffici di piazza Repubblica anche soltanto per delle informazioni veloci. Era facilmente prevedibile un successo simile in un territorio difficile per tutti e figuriamoci per chi poi deve superare barriere particolari. "Difatti chiederemo di raddoppiare il servizio". A lanciare questa sfida-appello alla Regione è l’assessore alle Politiche sociali Pierfranco Gaviano. È conscio che il Cesil non è un’agenzia di collocamento ma nel momento in cui un disabile o una ragazza povera o un ex detenuto trovano un impiego anche part-time perché prima hanno messo piede al Cesil vuol dire che il servizio offre più di quanto ci si attenda. "E sfido qualcuno a protestare - riprende Gaviano - è per questo che prima o poi proporremo di chiedere un potenziamento del Cesil, altri territori hanno il doppio della nostra macchina organizzativa e non vedo come non possiamo averla noi che stiamo per servire i 140 mila abitanti della nuova Provincia". Attualmente al Centro operano tre impiegati: Donatella Rubiu, Alessandra Pusceddu e Fabiano Pani. Il loro compito è orientare a seconda delle caratteristiche di chi si presenta, dare informazioni sulle leggi e le opportunità, creare un’importantissima rete fra i datori di lavoro, associazioni, sindacati. Poi tutto confluisce in una banca dati che sa di scatola magica perché fra le domande di lavoro di chi si trascina quotidianamente mille difficoltà e l’offerta, qualche volta un punto di incontro si trova. Milano: una sit-com sui detenuti di San Vittore
Ansa, 17 gennaio 2005
Con la consulenza di alcuni detenuti dell’istituto penitenziario milanese di San Vittore, è in preparazione la sit-com dal titolo Belli dentro, in onda a primavera sulle reti Mediaset. Gli autori della serie tv hanno già effettuato i primi sopralluoghi nel carcere raccogliendo opinioni e spunti dei detenuti. Le riprese sono in corso in queste settimane in uno studio di Milano. Gli attori protagonisti della sit-com sono alcuni dei volti più noti di Colorado café e Zelig. Verona: il carcere apre le porte alle scuole
L’Arena di Verona, 17 gennaio 2005
Anche quest’anno il Csi (Centro sportivo italiano) e il progetto Carcere 663 "Acta non verba" ("Fatti non parole"), in collaborazione con la casa circondariale di Montorio, organizzano un corso gratuito con rimborso spese per operatori "Carcere & Scuola", per formare una decina di volontari, uomini e donne, nelle carceri. Il corso è guidato da Maurizio Ruzzenenti, 52 anni, docente di fisica al centro professionale dei padri Stimatini, oltre che volontario del soccorso alpino, che dal 1985 si occupa di problemi delle carceri. "L’esperienza dell’ anno precedente ci ha soddisfatto, è stata senz’altro positiva e accolta dai volontari con entusiasmo", commenta Ruzzenenti. "È un percorso che si è dimostrato valido per dare nuova linfa alle associazioni di volontariato, non solo quelle che si occupano di detenzione, ha portato molti ragazzi a contatto con la realtà carceraria in una prospettiva educativa, ha formato accompagnatori pronti a cimentarsi anche in altri settori del sociale". Il corso è aperto a tutti: ideali sono gli insegnanti o gli universitari, perché il loro ruolo sarà di accompagnare studenti delle scuole medie superiori maggiorenni da marzo a giugno all’interno delle carceri e la vicinanza d’età crea confidenza e dimestichezza. Oltretutto gli universitari possono inserire come tirocinio nel loro curriculum l’esperienza. Il progetto propone diverse iniziative: sportive, culturali, musicali, incontri con testimoni interessanti. Organizza anche uscite dei detenuti in associazioni di volontariato, parrocchie, comunità, gruppi di amici, per favorire l’accoglienza. Hanno fatto richiesta quasi tutte le scuole superiori di Verona e provincia. Le domande di adesione dei volontari devono pervenire entro il 31 gennaio 2005: è previsto un colloquio per valutare le motivazioni, la volontà e la disponibilità. La serietà, la chiarezza e la fiducia dei rapporti sono alla base di un’esperienza che opera in una realtà difficile e con regole precise per non compromettere una tradizione all’altezza delle aspettative. Il corso comprenderà alcuni incontri teorici su riferimenti legislativi, l’organizzazione carceraria, i lineamenti psicologici e pedagogici, il progetto "Carcere & Scuola", a cui seguirà un affiancamento eseguito da un dirigente o da un accompagnatore per sondare le capacità di lavoro autonomo. Le domande, corredate da curriculum, vanno inviate entro il 31 gennaio Maurizio Ruzzenenti, via Tagliamento 8, 37125 Verona. Per informazioni rivolgersi alla segreteria del Csi, allo 045.8204031. Brasile: giovane detenuto muore durante una rivolta
Ansa, 17 gennaio 2005
Un diciottenne detenuto di un carcere minorile di San Paolo è morto oggi durante una rivolta. Il giovane è morto cadendo dal tetto dell’edificio, ma il corpo presentava segni di tortura. Secondo la direzione del carcere di Taubatè, la vittima (della quale non è stata rivelata l’identità) è morta per trauma cranico, ma aveva anche tre costole rotte, ematomi sul corpo e gli occhi pesti per maltrattamenti anteriori alla caduta. Non si sa se è stato torturato e poi buttato di sotto da una delle bande organizzate di minorenni dentro al penitenziario, o se invece sono i maltrattamenti ai giovani detenuti da parte delle guardie carcerarie che hanno provocato la rivolta, già sedata. Nei giorni scorsi, la giustizia ha incriminato 22 guardie carcerarie di un altra prigione minorile di San Paolo per le brutalità commesse contro 84 minorenni, tra le quali pestaggi con sbarre di ferro. Immigrazione: la morte di Said Zigoui riapre il dibattito sui Cpt
Redattore Sociale, 17 gennaio 2005
La morte di Said Zigoui, di nazionalità marocchina, trattenuto presso il Centro di permanenza temporanea "Malgrado tutto" a pochi chilometri da Lamezia Terme (Said si è gettato dalla finestra dell’ospedale di Lamezia dove era stato ricoverato per forti dolori addominali) ha riaperto tra le associazioni, che operano coi migranti, un forte dibattito sulla realtà e le condizioni di vita degli immigrati nei Cpt. Sulla questione è intervenuto anche Don Giacomo Panizza, sacerdote e responsabile della Comunità Progetto Sud, realtà nata nella città nel 1976 con lo scopo di dare una risposta concreta ad alcune persone disabili che avevano intenzione di unirsi e "fare comunità". Riportiamo di seguito integralmente le sue considerazioni. "Malgrado tutto il clamore delle dure leggi verso gli immigrati, e nonostante le strette sui controlli di frontiera, centinaia e centinaia di stranieri entrano clandestinamente nel nostro Paese. C’è bisogno di avere luoghi di permanenza immediata o temporanea in attesa di verificare la regolarità di questi arrivi, ma non così come si fa coi Centri di Permanenza Temporanea (Cpt). Essi non sono centri di accoglienza ma di detenzione. Fa bene il "Circolo Argada" a mettere il dito sulla problematicità del Cpt esistente sul territorio lametino: è il frutto di una legislazione discriminatoria e pertanto le cooperative sociali e il volontariato dovrebbero saper dire "no". Conosco, invece, decine e decine di cooperative e parrocchie che lavorano per socializzare gli immigrati che incessantemente arrivano in Italia dopo aver intrapreso un viaggio della speranza: con loro dialogano per capire il perché abbiano lasciato le rispettive famiglie, il motivo dell’aver scelto l’Italia, la condizione di regolarità o di clandestinità, l’eventuale statuto di rifugiati o di richiedenti asilo. Collaborano sia con lo Stato che con gli stranieri, fanno mediazione con datori di lavoro, amministrazioni, questure e burocrazie. Si adoperano per trovare degne abitazioni, fanno scuola e patronato, donano cibo e vestiario, includono nei circuiti culturali e religiosi, di qualunque religione. Lavorano anche in quegli ambiti pericolosi in cui taluni stranieri si intrecciano con la criminalità, con la tratta di esseri umani, con la prostituzione, coi minori non accompagnati e spesso sfruttati. "Per cercare migliori condizioni di vita", questo ci dicono gli stranieri che incontriamo, sia perché stanno male nei loro Paesi sia perché hanno una visione distorta della ricchezza che sperano di trovare in Italia e in Europa. È sempre difficile parlar male di una legge, ma alcuni aspetti della "Turco-Napolitano" prima e della "Bossi-Fini" poi hanno trovato resistenze in Italia. Nell’esperienza quotidiana tanti gruppi, operatori, volontari, avvocati, preti, da anni, in silenzio e con continuità, portano avanti iniziative per l’integrazione e per la dignità umana degli stranieri i quali vivono situazioni pesanti, fatte di profonde ingiustizie ma anche di grandi ricchezze: al pari di tante persone e famiglie calabresi emigrate. La Chiesa marcia su questa lunghezza d’onda. La Caritas Italiana in particolare ha sempre mostrato contrarietà ad affrontare la questione immigrazione con le strutture dei Cpt, non vedendo in essi nessun aspetto buono perché sono luoghi in cui le persone sono detenute. Non c’è ulteriore bisogno di manovrare catene e di generare disagio e odio. Il Terzo Settore deve visitare i carcerati, non gestire le carceri; ha compiti di solidarietà sociale e non di contenimento dei poveri e di controllo dei clandestini. Occorre che faccia il proprio "mestiere" collaborando con lo Stato a presidiare le frontiere della dignità e dei diritti fondamentali delle persone, evitando di mutare i suoi operatori in carcerieri, sostenendo ruoli socializzanti ed educativi, non repressivi". Roma: detenuti preparati ad assistere altri detenuti disabili
Redattore Sociale, 17 gennaio 2005
Al via il prossimo 20 gennaio il secondo corso di formazione rivolto a 15 piantoni della Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso per la formazione all’assistenza dei detenuti disabili dentro il carcere e fuori, come assistenti domiciliari presso le famiglie. L’iniziativa, che con la prima edizione dello scorso anno ha consentito a tre detenuti che possono usufruire dei benefici di legge per il lavoro esterno di trovare un’occupazione, è stata presentata stamattina in Campidoglio dal Consigliere delegato per l’handicap del Comune di Roma, Ileana Argentin, dal direttore del Nuovo Istituto Penitenziario di Rebibbia, Carmelo Cantone e da Luigi Di Mauro presidente della Consulta cittadina per il carcere. Le lezioni, che dureranno 4 mesi, saranno tenute da un’equipe di esperti tra cui un avvocato (per tutto ciò che riguarda la normativa sull’handicap), un architetto (che fornirà ai corsisti, anche ad esempio a quelli che non continueranno l’attività di assistenti domiciliari ma magari vorranno lavorare come muratori, le conoscenze necessarie in tema di barriere architettoniche) educatori, psicologi, assistenti sociali e operatori specializzati su come intervenire nell’assistenza a persone che vivono in situazioni di disabilità. "L’idea di questo corso nasce dalla difficoltà che ci era stata segnalata circa il ruolo dei piantoni, i detenuti che hanno il ruolo di assistere altri detenuti in difficoltà. Persone che si trovano a svolgere un compito così impegnativo senza alcuna preparazione - ha spiegato Ileana Argentin, Consigliere delegato all’Handicap -. Inoltre, lo scopo è di formare i detenuti, che una volta terminato il periodo di reclusione possono così trovare lavoro fuori dal carcere. In considerazione dello scarso numero di figure maschili in questo settore e delle limitate risorse a disposizione, per il momento il corso è rivolto ai detenuti maschi. C’è una grande necessità di questo tipo di figura professionale, per questo motivo con la disponibilità stiamo della cooperativa integrata "Servizi più stiamo preparando percorsi di assunzione per coloro che potranno uscire". "Il carcere è diventato un luogo di palestra per affrontare tutte le diversità – ha sottolineato Carmelo Cantone, direttore del Nuovo Istituto Penitenziario di Rebibbia -. L’esperienza conclusa lo scorso anno si è avvalsa di una risorsa fondamentale: l’attenzione che la gran parte dei detenuti ha nei confronti di chi è in difficoltà. Questo progetto ha un aspetto molto importante, cioè la professionalizzazione della figura del piantone, finora attività generica all’interno del carcere". Un’iniziativa che comincia a suscitare l’interesse di altri Istituti penitenziari. "Proprio recentemente la Direzione di Regina Coeli - ha detto Luigi Di Mauro, presidente della Consulta cittadina sul carcere - ci ha chiesto come avviare un corso simile, sia per l’interno del loro Istituto, sia per il centro Clinico che per mancanza di personale non riescono a far funzionare". Enna: dal Comune 15 posti di lavoro per gli ex detenuti
Vivi Enna, 17 gennaio 2005
Per quindici ex detenuti del capoluogo ennese ci sarà la possibilità di lavorare per un mese da mercoledì prossimo, è una iniziativa dell’assessorato comunale alla solidarietà, diretto da Salvatore Sanfilippo. "Abbiamo sfruttato una legge nazionale che concedeva contributi ai comuni per progetti di solidarietà nei confronti di ex detenuti - ha dichiarato Salvatore Sanfilippo - il nostro assessorato aveva un progetto, che è stato approvato e finanziato, per cui da mercoledì quindici ex detenuti ennesi potranno recarsi al lavoro. Le quindici unità saranno utilizzate per il rifacimento della segnaletica in alcune zone della città, mentre alcuni saranno utilizzati per effettuare una pulizia generale della Torre di Federico". L’assessore Sanfilippo si sta attivando per farsi finanziare altri progetti che possano consentire agli ex detenuti di poter lavorare. Foggia: formazione-lavoro, presentazione del progetto "Speranza"
Teleradio Erre, 17 gennaio 2005
Trenta detenuti degli istituti penitenziari di Foggia, Lucera e San Severo parteciperanno a un progetto di formazione-lavoro presso aree boschive della provincia di Foggia. È quanto prevede il Progetto "Speranza", promosso dal Ministero della Giustizia-Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Il progetto sarà presentato domani mattina presso la casa circondariale di Foggia alle ore 11.00. L’iniziativa prevede il coinvolgimento del Corpo Forestale dello Stato e dell’Ispettorato Dipartimentale delle Foreste di Foggia. Cosenza: iniziativa del Comune di Castrovillari per i detenuti
Asca, 17 gennaio 2005
L’assessore allo sport, turismo, spettacolo, politiche giovanili del Comune di Castrovillari, Anna De Gaio, ha assistito, nella Casa Circondariale del capoluogo del Pollino, allo spettacolo "Viaggi Ostinati e contrari" che l’associazione Aprustum, non nuova a momenti del genere, ha rappresentato con il coinvolgimento di venti detenuti. L’iniziativa, che fa parte di un progetto di laboratorio, destinato al recupero ed al coinvolgimento culturale ed espressivo di chi deve scontare la sua pena, si svolge grazie all’interessamento e disponibilità del direttore della Casa, Fedele Rizzo, ed alla collaborazione del Ministero di Grazia e Giustizia, del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nonché del Provveditorato Regionale della Calabria e degli agenti della Polizia Penitenziaria, guidati dal comandante, Antonio Catera, e dall’educatrice Bruna Scarcello. "Una esperienza - ha dichiarato l’assessore De Gaio a nome e per conto dell’Amministrazione comunale - che si pone il problema della vivibilità carceraria e delle capacità che sono presenti per le quali il progetto prevede un vero e proprio percorso espressivo che anche l’Amministrazione comunale di Castrovillari ha sempre sostenuto, consapevole del ruolo, che hanno queste iniziative per ciascuna persone e vive momentaneamente una forma di privazione della libertà. Una occasione che offre - ha aggiunto l’amministratore - una grande possibilità ed una opportunità per quanti vengono interessati e si cimentano in quest’arte di ascolto e mediazione". Naturalmente complimenti a Casimiro Gatto e Francesco Gallo che, con la solita professionalità, hanno curato e curano questi momenti di cultura e di incontro con il disagio, sempre più interessati a queste occasioni di crescita e di socialità. "Intanto l’Amministrazione comunale - fa sapere l’assessore De Gaio - sta programmando una manifestazione sportiva che si terrà a breve, dopo le apposite concessioni da parte del Ministero di grazia e Giustizia, all’interno del Polisportivo ed a cui parteciperanno più di 10 detenuti". Milano: incontro tra Castelli, Albertini e Urbani per San Vittore
Adnkronos, 17 gennaio 2005
Incontro stamani a palazzo Marino tra il sindaco di Milano, Gabriele Albertini e i ministri Roberto Castelli (Giustizia) e Giuliano Urbani (Beni culturali). Oggetto dei colloqui, ha spiegato il vicesindaco Riccardo De Corato a margine di una conferenza stampa, la questione del carcere di San Vittore, da tempo all’attenzione dell’Amministrazione comunale e dei ministeri competenti. L’incontro è durato circa un’ora. Emarginazione: raddoppiati gli avvocati dei senza diritti
Avvenire, 17 gennaio 2005
Sono veri e propri professionisti che assumono gratuitamente le difese di chi vive per strada e non sa sbrigarsela con multe, permessi di soggiorno o perdita di potestà sui figli Da luglio a oggi sono passati da 35 a 70. Di certo non vivono storie avventurose come quella raccontata da John Grisham nel thriller "L’avvocato di strada", dove un promettente legale americano, per difendere gli homeless, ingaggia una battaglia contro il suo potentissimo studio. Le vicende che incontrano parlano piuttosto di ordinaria povertà metropolitana: gente senza casa e senza diritti, per le quali anche pagare una multa diventa una tragedia; stranieri che faticano a rinnovare il permesso di soggiorno; donne povere o tossicodipendenti, che si vedono togliere la potestà sui figli senza la possibilità di affidarli a un parente per poi, finita l’emergenza, andarli a riprendere. Gli avvocati di strada si occupano di questi casi, a titolo volontario. Il primo gruppo è nato a Bologna nel gennaio del 2001, e ora l’esperienza si sta diffondendo in tutta Italia ed è già arrivata a Milano: da qualche mese, l’associazione "Avvocati per niente" ha cominciato a reclutare in città legali e giuristi disposti a impegnarsi nel disagio sociale. "A luglio eravamo in 35 - spiega Martina Tombari, giovane avvocato, responsabile del progetto milanese - oggi siamo già raddoppiati". "Avvocati per niente" è un’iniziativa promossa da cinque realtà non profit cittadine: Caritas Ambrosiana, Cena dell’amicizia (che già da tempo offre assistenza legale ai senza fissa dimora), Acli, Fondazione San Carlo e Casa della Carità. E proprio alla Casa della Carità di via Brambilla si è svolta ieri, con la partecipazione di don Virginio Colmegna, una riunione di quaranta avvocati di strada provenienti da tutta Italia. L’obiettivo? Pensare a un coordinamento nazionale di queste figure solidali e a un sito internet che le riunisca tutte. Oltre che a Milano e Bologna, infatti, gli avvocati di strada sono a Verona, presso la Comunità dei giovani; a Padova, collegati all’associazione di volontariato carcerario "Il granello di senape" e alla rivista "Ristretti orizzonti" (qui, a gestire lo sportello è un detenuto che lavora all’esterno del carcere). Mentre a Torino, Vicenza, Treviso, Roma, Napoli e Reggio Calabria i progetti sono in fase di definizione. "Quello che, qui a Milano, ci distingue dalle altre città - precisa Martina Tombari - è che noi ci occupiamo di disagio a 360 gradi, non solo dei senza fissa dimora. Inoltre non abbiamo uno sportello aperto al pubblico, ma preferiamo lavorare con singoli casi che le associazioni di volontariato ci segnalano". I milanesi "Avvocati per niente" hanno già collezionato quaranta consulenze legali in materia civile, penale e amministrativa, e una ventina di casi già seguiti. Presto a questi se ne aggiungeranno altri quaranta: da difendere, saranno immigrati rom imputati per il reato di abuso edilizio. E il 29 gennaio l’associazione si presenterà alla città con il convegno "Lavorare per niente per chi non ha niente: la promozione del volontariato qualificato", patrocinato dalla Provincia. Ma chi sono questi avvocati che si mettono a disposizione di chi ha reale bisogno? "Alcuni sono giovani, assunti in studi legali prestigiosi, che preferiscono svolgere in sordina questa attività sociale parallela - continua Tombari -. Ma ci sono anche legali milanesi di fama, che però non pubblicizzano il loro impegno". Alcuni partner dello studio Orrick, Herrington & Sutcliffe, per esempio, da tempo collaborano con la Cena dell’amicizia. Ieri, alla Casa della Carità, c’è stato un confronto di esperienze. Ne è emerso che sono soprattutto le grandi città a dover aiutare la massa di persone che vive per strada. Disabilità: stop alle barriere, anche dietro le sbarre...
Roma One, 17 gennaio 2005
Il Campidoglio vara il "progetto carcere": 4 mesi per formare la figura professionale del piantone nel carcere di rebibbia. Ma anche muratori per abbattere gli ostacoli architettonici che rendono i diversamente abili, veri disabili. Anche in prigione. Partirà il 20 gennaio prossimo il progetto del Comune di Roma "Carcere" che si propone di formare professionalmente i detenuti della Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso. "Quando si parla di disabili in carcere - spiega il consigliere delegato per l’handicap, Ileana Argentin - bisogna tener presente non solo i gravi casi di malattia invalidante ma anche i diabetici, i sordomuti, quelli con disturbi psichici". Il corso, della durata di quattro mesi, prevede la formazione di quindici detenuti coadiuvati da un avvocato che insegni la normativa sull’handicap; un architetto "Perché non tutti vogliono diventare assistenti sociali - ha spiegato l’Argentin - ma magari scelgono di fare i muratori ed è necessario un esperto che parli loro delle barriere architettoniche"; assistenti sociali, psicologi, operatori più una serie di strutture esterne pronte ad offrire lavoro a coloro che possono uscire dalle mura del carcere. "Il corso dello scorso anno ha permesso a tre detenuti di impiegarsi all’esterno - ha affermato il Presidente della Consulta cittadina per il carcere, Luigi De Mauro - ma solo perché gli altri non avevano le condizioni giuridiche per lasciare la casa di detenzione". Carmelo Cantone, il direttore di Rebibbia, ha spiegato che, per la prima volta, questo corso professionalizza la figura del "detenuto piantone", prevista dall’ordinamento ma da sempre affidata al buon cuore del detenuto che dimostrasse la disponibilità di prendersi cura di un suo compagno bisognoso. L’esperienza del corso professionale attivato a Rebibbia sarà presto esportata anche alla sezione maschile di Regina Coeli, dove è presente un grande centro clinico che però non ha personale. La Argentin ha assicurato che il prossimo anno, se i fondi lo permetteranno, lo stesso corso professionale sarà attivato anche per le sezioni femminili "Ma abbiamo cominciato dagli uomini perché gli assistenti sociali, di solito, sono donne". Bari: giustizia e carceri, il Cardinale Ruini alza la voce…
Gazzetta del Mezzogiorno, 17 gennaio 2005
La soluzione dei gravi problemi della giustizia italiana esigerebbe uno sforzo condiviso. È quanto afferma il card. Camillo Ruini, aprendo il consiglio permanente della Cei a Bari, aggiungendo che il nuovo esame parlamentare della riforma dell’ordinamento giudiziario, dopo il rinvio alle Camere del presidente della repubblica, "può essere l’occasione per uscire il più possibile dalla logica delle contrapposizioni". Contrapposizioni che ci sono "non solo tra le forze politiche ma anche, in questo caso, tra il Parlamento e gran parte della Magistratura, oltre che tra quest’ultima e i rappresentanti degli avvocati". Ruini ha sottolineato che nella "relazione del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, all’apertura dell’anno giudiziario, ha evidenziato ancora una volta la gravità dei problemi la cui soluzione esigerebbe uno sforzo condiviso ed ha anche offerto alcuni spunti e indicazioni per muoversi in questa direzione". Il card. Camillo Ruini, parlando dei problemi della giustizia in Italia, ha affrontato oggi anche il tema delle polemiche sul ddl che riduce i termini di prescrizione. Nel testo della prolusione al consiglio permanente della Cei, Ruini ha detto che ha "sollevato diffuse perplessità il disegno di legge che, insieme ad altre disposizioni certamente utili, abbrevia i termini della prescrizione, per il sospetto che il provvedimento abbia di mira situazioni di singole persone". Nel corso dei lavori del Consiglio Permanente, i vescovi si occuperanno anche di pastorale carceraria, "tema che merita grande attenzione, anche alla luce delle situazioni di innegabile disagio che si vivono in non poche carceri italiane e che sono state evidenziate dalle proteste dei detenuti".
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