Rassegna stampa 12 febbraio

 

Padova: muore suicida il detenuto che era evaso a gennaio

 

Il Gazzettino, 12 febbraio 2005

 

S’è suicidato impiccandosi all’interno della cella al Due Palazzi, dove è stato trovato esanime la notte scorsa, Sergio Vaccaro, 29 anni palermitano, detenuto per omicidio (sarebbe uscito nel 2013). Con un lenzuolo ha fabbricato un cappio, se lo è stretto al collo, si è lasciato cadere a terra. Uno strappo violento, una morte istantanea. Quando sono arrivati i soccorsi ormai non c'era più nulla da fare. Il pubblico ministero Elisabetta Labate ha affidato al dottor Silvano Zancaner dell'Istituto di medicina legale dell'Università l'incarico di effettuare l'autopsia.

Il detenuto era approdato alla ribalta della cronaca sei anni fa quando era ristretto nel carcere palermitano Pagliarelli. Lo avevano arrestato per rapina. E condivideva la cella con il cugino, più giovane di cinque anni. Era la metà del gennaio '99 quando Sergio Vaccaro assassinò il congiunto. Prima lo colpì nel sonno con uno sgabello, poi lo strangolò. Fu lo stesso omicida a chiamare gli agenti penitenziari. Confessò subito il delitto. Il cugino, separato, avrebbe avuto una relazione con la fidanzata dell'omicida, di qui la decisione di vendicarsi. Vaccaro era evaso dal carcere "Due Palazzi" lo scorso 9 gennaio, ma la fuga era durata solo nove ore.

 

La ricostruzione dell’evasione

 

(Mattino di Padova, 11 gennaio 2005)

 

Ancora 8 anni da aspettare prima di tornare libero: Vaccaro non ha resistito. E così ha architettato la fuga. O, forse, ha solo approfittato di un’occasione. Tutto è ancora da accertare: in corso ci sono un’inchiesta del pm Maria D’Arpa (l’indagine è delegata alla polizia penitenziaria) e un’inchiesta interna al carcere. Vaccaro ha già fornito differenti versioni sulla sua fuga: ha spiegato di aver approfittato di un momento di distrazione di qualche guardia. E di essere uscito mimetizzandosi tra i familiari dei detenuti che se ne andavano al termine dei colloqui. Ma successivamente avrebbe anche dato un racconto in parte diverso. Si tratta di capire se ha potuto contare su qualche appoggio che, al momento, sembra da escludere. Venerdì Sergio Vaccaro si era presentato alla conta mattutina delle 8. Poi non era più stato notato, ma nessuno si era accorto di quell’assenza fino alla conta delle 16.30 quando è scattato l’allarme. Dopo aver perlustrato il carcere invano, gli agenti hanno sospettato che Vaccaro avesse deciso di allontanarsi da Padova in treno. Arrivati in stazione, hanno accertato che si era presentato alla polfer per denunciare lo smarrimento dei documenti e precostituirsi un alibi nel caso di un controllo mostrando la denuncia con un nominativo falso. Quando la polizia penitenziaria, infatti, ha mostrato la sua foto alla polfer, è stato subito riconosciuto come l’uomo che aveva appena presentato una denuncia. In pochi minuti è stato individuato e bloccato sul marciapiede lungo un binario in attesa del treno per la Sicilia e riportato nel carcere padovano che lo ospita da oltre un anno.

Droghe: incontro a Roma su strategie internazionali di lotta

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2005

 

Mercoledì prossimo, nell’ambito dei lavori della Consulta sulle tossicodipendenze (ore 10.30), presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, si terrà un incontro sulle Strategie nazionali e internazionali nella lotta alla droga.

Al dibattito - organizzato dal Dipartimento nazionale per le politiche antidroga della Presidenza del Consiglio - prenderanno parte Nicola Carlesi, Capo del Dipartimento, l’on. Carlo Giovanardi, ministro per i rapporti con il Parlamento, l’on. Alfredo Mantovano, sottosegretario di Stato del Ministero dell’Interno e Antonio Maria Costa, Vice Segretario generale delle Nazioni Unite - Direttore esecutivo Unodc di Vienna.

"Si tratta - afferma Nicola Carlesi - di un incontro importante perché verranno affrontati insieme ai componenti della Consulta delle tossicodipendenze, in rappresentanza di Regioni, Sert, Comunità e Associazioni, i temi da discutere nella IV Conferenza nazionale sulle tossicodipendenze che si terrà dal prossimo 20 settembre a Pescara. L’uso definito "normale" di sostanze euforizzanti come l’ecstasy, i derivati delle amfetamine e la cocaina impone strategie di prevenzione e di assistenza urgenti e innovative". "La IV Conferenza di Pescara – conclude - sarà l’occasione per un aperto e serrato dibattito tra gli operatori del settore al fine di tracciare un nuovo e diverso modo di affrontare il problema".

Droghe: cresce numero di donne tossicodipendenti con figli

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2005

 

Cresce nei paesi europei il numero di donne tossicodipendenti con figli; costituiscono un gruppo molto eterogeneo, con bisogni diversi e specifici a volte sottostimati, a cui i servizi esistenti non riescono a dare risposte adeguate. Parte da questa considerazione il progetto "Maternità In-dipendente" finanziato dal Ministero del Welfare e realizzato da Cnca che si pone l’obiettivo di verificare l’efficacia di modelli operativi di trattamento esistenti su questo fronte.

La prima fase di questo progetto si è incentrata sul monitoraggio di sei servizi residenziali rivolti a madri con problemi di dipendenza (a Verona la "Comunità dei Giovani di Verona", a Bologna "La Rupe", ad Imola "Il Sorriso", a Cividate la "Coop. di Bessimo", a Torino il "Gruppo Abele" e ad Ascoli Piceno la "Coop. Ama–Aquilone") e i risultati sono ora disponibili sul sito del Coordinamento (www.cnca.it).

Lo studio ha confermato che le donne in trattamento con figli hanno sia bisogno di cura per se stesse che necessità di essere supportate nella genitorialità. "La tossicodipendenza intacca seriamente la sfera della maternità che spesso viene rifiutata, non solo a causa del tipo di vita che conduce chi fa abuso di sostanze, - si legge nel report - ma anche per ragioni sociali ed economiche. La maternità viene spesso vissuta in maniera ambivalente e come qualche cosa di irreale, spesso accompagnata da un senso di perdita relativo alla sensazione di non essere in grado di gestire in maniera efficace il ruolo di genitore.

Quando, invece, una donna con problemi di abuso decide intenzionalmente di avere un bambino, anche prima che egli nasca, vive la fantasia della funzione "liberatoria" dalle sostanze rappresentata dal bimbo". Da qui l’esigenza, secondo gli osservatori, che gli interventi terapeutici in questo ambito intervengano correttamente sulla relazione madre-bambino.

Il monitoraggio delle sei strutture ha fornito un quadro delle metodologie esistenti e chiarito possibili approcci terapeutici. I servizi attualmente esistenti, così come evidenziato dallo studio, sono Centri di Accoglienza o Comunità Terapeutiche. Nei primi l’accoglienza è limitata a 3 mesi, il servizio non è strutturato per un trattamento della tossicodipendenza della madre, quanto piuttosto ad un servizio di sostegno alla natalità e alla genitorialità, propedeutico all’ingresso della madre in un vero e proprio percorso terapeutico.

Le Comunità Terapeutiche invece sono volte alla cura e riabilitazione di donne con problemi di dipendenza da sostanze con o senza figli presenti. Sono enti accreditati che erogano il servizio in convenzione con le Asl e in alcuni casi ricevono un finanziamento dal Fondo Nazionale Lotta alla Droga. L’accesso per le utenti è quindi condizionato dall’invio del SerT di appartenenza e per i loro figli dal Servizio Sociale e Tribunale dei Minori.

La metodologia utilizzata risulta piuttosto simile per tutte le comunità analizzate, che strutturano il lavoro terapeutico in fasi: in generale la prima fase, che risulta essere anche quella sottoposta a maggiori regole, è quella dell’accoglienza, mentre l’ultima, caratterizzata da più autonomia della persona, è quella del reinserimento.

Altro elemento comune è la centralità delle attività lavorative nel percorso terapeutico; la maggior parte delle strutture esaminate ha posto l’accento sull’importanza di sostenere le donne nella ricerca di un lavoro per un reale reinserimento sociale. Le modalità di trattamento variano invece considerevolmente; si va da strutture dove l’approccio si basa sulla gestione di un singolo caso con un progetto individualizzato, a comunità con un forte orientamento terapeutico, dove vengono utilizzate molto le terapie di gruppo.

Gli operatori svolgono rispetto agli adulti un ruolo terapeutico-educativo ed uno educativo-animatoriale rivolto ai bimbi e si tratta prevalentemente di personale femminile (il rapporto è di 9 a 2) che può favorire "l’identificazione delle utenti con modelli sani" e "facilitare il dialogo soprattutto per problematiche concernenti la femminilità e la stessa maternità".

Droghe: il Centro di Prima Accoglienza "Madre Bambino" di Verona

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2005

 

Tutelare il minore o dare la possibilità ad una donna con problemi di droga di imparare ad esercitare il suo ruolo di madre? Le opinioni tra operatori impegnati nella difesa del bambino, come ad esempio i Tribunali per i Minori, ed operatori degli adulti, che si preoccupano principalmente della cura della madre, sono spesso contrastanti. Lo studio realizzato dal Cnca nell’ambito del progetto "Maternità In-dipendente" ha messo in luce la difficoltà di prendersi cura in modo unitario della mamma tossicodipendente e del suo bambino; quasi sempre infatti la struttura preposta a prendere in carico l’adulto, accoglie il minore senza essere adeguatamente preparata. Il percorso di cura poi non sempre è scelto dalle donne in modo consapevole, spesso arrivano a richiedere di entrare in comunità perché costrette dalla segnalazione al Tribunale dei Minori del servizio sociale dell’ospedale dove hanno partorito, mettendo a rischio la salute del bambino (ad esempio nel caso di una sindrome di astinenza). A quel punto il Tribunale interviene con un decreto e la madre deve decidere se entrare in una struttura terapeutica oppure se dare il figlio in affidamento o in adozione.

Secondo lo studio realizzato dal Cnca le Comunità terapeutiche possono rappresentare "un anello di congiunzione" tra i servizi che tutelano il minore e quelli che aiutano l’adulto. Un esempio di lavoro di rete fruttuoso è rappresentato dal Centro di Prima Accoglienza "Progetto Madre Bambino", della Comunità dei Giovani a Verona che, dal 1995, in collaborazione con il SerT 2 di Verona cura la presa in carico precoce della donna tossicodipendente incinta, attraverso la messa in rete di tutti servizi coinvolti in questo particolare momento della donna. L’obiettivo del centro è quello di realizzare una prima accoglienza per mamme tossicodipendenti con i loro figli e sostenerle dalla gravidanza fino ai primi 3 mesi di vita del bambino, consentendo loro di sviluppare un rapporto sereno con il figlio e prendere coscienza del suo ruolo di genitore. La tossicodipendenza in questo approccio sembra quasi non essere la parte a cui si presta maggiore attenzione; infatti la filosofia di fondo del sistema di rete, spiegano gli osservatori, è, a differenza della filosofia di altre comunità, quella di focalizzarsi soprattutto sul rapporto madre-bambino, cercando di non lavorare solo sulla tossicodipendenza. La permanenza in struttura si conclude con l’inserimento della mamma e del bambino presso una comunità terapeutica mamma-bambino. Il SerT è il nodo focale della rete: si occupa di attivare la rete e di prendere contatti con i servizi che inviano le madri, spesso anche da fuori regione e con i servizi del Comune e con il tribunale dei minori.

Droghe: diventare "una buona mamma" e potersi curare…

 

Redattore Sociale, 12 febbraio 2005

 

Diventare "una buona mamma" e, contemporaneamente, trovare uno spazio dove essere sostenuta per un percorso personale di cura dalla tossicodipendenza: sono queste le aspettative delle madri tossicodipendenti che si rivolgono ad una comunità terapeutica. Il dato è parte di uno studio realizzato dal Cnca, prima fase del progetto "Maternità In-dipendente" finanziato dal Ministero del Welfare, che ha coinvolto in Italia sei strutture che offrono servizi residenziali.

L’indagine, basata sul dato qualitativo e non quantitativo, ha utilizzato tra l’altro focus group ed indagini approfondite a utenti e operatori, con l’obiettivo di capire quali siano i servizi offerti alle donne per migliorare la relazione con il proprio figlio e se i metodi esistenti ed utilizzati sono effettivamente una risposta ai loro bisogni.

Al momento dell’indagine (dati 2003) le utenti delle sei strutturo coinvolte erano circa 15-20 per comunità, con in media un bambino ciascuna, tra 1 e 6 anni. Le donne intervistate si sono dette soddisfatte del loro percorso all’interno della Comunità; i punti critici riguardano piuttosto la rigidità delle regole e la vita troppo "comunitaria" per i bimbi, i quali secondo le madri dovrebbero uscire di più e avere maggiori contatti con il mondo esterno.

Le mamme lamentano anche che nelle comunità è spesso assente una figura maschile, avvertita invece come necessaria "per lo sviluppo dell’identità di genere dei bambini e necessaria anche, soprattutto nei casi dei bambini con un padre assente in senso psicologico, a non fare nascere sentimenti negativi verso il sesso maschile".

I bambini non sono stati intervistati vista l’età (la maggior parte ha meno di 3 anni), tuttavia secondo gli operatori della comunità, gli insegnanti di asili nido e scuole materne e i pediatri nessun di loro riporta problematiche tali da dover ricorrere a trattamento psicologico o neuropsichiatrico. Soprattutto i pediatri e gli insegnanti hanno ribadito la "normalità" di questi bambini, sottolineano gli osservatori, sia dal punto di vista sanitario che sociale.

"I bambini appaiono ben inseriti nel quotidiano, - si legge nell’indagine - sentono la comunità come "casa loro"; soprattutto i bambini che vi sono nati hanno questa percezione positiva, più negativa è invece quella dei bimbi più grandi che hanno ricordi di una vita "fuori" dalla comunità". La qualità del loro vivere in comunità è determinata in larga parte dalla serenità con cui la madre affronta il percorso terapeutico: ad esempio è stato evidenziato che i bimbi con madri in trattamento metadonico, meno attente perché ancora "anestetizzate" da una sostanza, hanno necessità di maggiore supporto.

Napoli: Scampia e Secondigliano, cose così accadono solo in Iraq

articolo di Sergio Nazzaro

 

Mega Chip, 12 febbraio 2005

 

La guerra finirà quando ci sarà un vincitore: il clan di Lauro o gli Scissionisti. Lo Stato non fa parte della partita. Può solo stare a guardare. Chi crede che l’intervento delle forze dell’ordine, della magistratura può porre termine ad un eccidio quotidiano semplicemente non ha il senso della realtà, ma una speranza che con il quotidiano non ha nulla a che fare. Il territorio di Secondigliano genera una quantità immane di denaro. Qualcuno deve pur gestirlo.

Ormai si (ri)parla tanto di Napoli e dintorni, questo accade soltanto quando il numero dei morti supera un tetto accettabile in un lasso di tempo non definito (dalla ragione normale). Fino alla conclamata guerra, i morti erano già centinaia, qualche decina concentrata in pochi giorni ha creato il pandemonio mediatico. Il più delle volte senza una reale percezione del problema. Come sempre, e soprattutto perché chi racconta non vive in zona, ma in città protette e comode. Lontane da Napoli. La camorra è uno stato parallelo che produce un economia di centinaia di milioni di euro. Ormai non importa più chi lo gestisce questo denaro. Di tanto in tanto una mente criminale più fine delle altre guadagnerà le prime pagine dei giornali. Del resto quando votiamo per le nostre elezioni politiche sappiamo che, indipendentemente da chi vince, lo Stato continuerà ad esserci. Il medesimo discorso vale per la camorra. Non importa chi muore o quale clan prevale. C’è un’economia criminale che produce ricchezza. Qualcuno la gestirà. Oggi è Paolo di Lauro, domani sarà un nome per adesso ai più sconosciuto.

Il blitz di Napoli con quasi 2000 uomini pone qualche interrogativo: come è possibile che nel 2005 ci siano interi quartieri nella settima potenza industriale (si dice) nel mondo completamente fuori dal controllo dello Stato? Bunker ed inferriate vengono divelti dagli uomini delle forze dell’ordine. L’esistenza di questi bunker la conoscevano tutti, anche perché molto (credetemi) molto visibili a tutti. E per le forze dell’ordine no?

Se occorrono 2.000 uomini per un quartiere, ed a Napoli ci sono almeno 10 quartieri con le stesse problematiche, conti alla mano servono 20.000 uomini per ripristinare la legalità, cioè molti (credetemi) di più di quelli che abbiamo inviato in Iraq?

Fino ad oggi si è parlato soltanto di Napoli, senza tenere in assoluto conto della presenza camorristica che si estende per tutta la provincia casertana e napoletana, e quindi i conti alla mano sfuggono perché alla fine, forse, ci occorre un blitz con 500.000 uomini?

Non c’è soluzione al problema. Questa è la verità. Ieri l’arresto di Cosimo di Lauro (e oggi correggendo il pezzo già siamo a + 5 morti), e un uomo decapitato e bruciato. Come accade solo in Iraq. Viene il presidente Ciampi, e si ammazza un uomo sempre a Secondigliano. Si tiene un super vertice alla procura e si trovano tre cadaveri in un’auto. Non è la sfida della camorra allo Stato questa, semplicemente riorganizzazione della propria struttura, che ci sia in visita il Presidente o meno, il lavoro va avanti. Sappiamo tutti che la droga produce a Secondigliano 300.000 euro contanti puliti in un giorno, nei giorni della morsa dei controlli è sceso a poco più di 20.000 euro. Non si è fermato il traffico, è solo rallentato. In tutti questi anni ( e non mesi) di accumulo, possiamo immaginare quanto denaro è stato prodotto? Solo con la droga, tralasciando immondizia, edilizia, armi, e tutti gli altri settori. La quantità di denaro non è enorme, è semplicemente quanto occorre allo Stato italiano per azzerare il suo deficit e molto altro ancora. Parlare di camorra senza vivere sul territorio è quanto di peggio possa fare l’informazione. Alla televisione il solito folklore del ragazzino in moto senza casco, la terribile parlata dialettale che non spiega niente, l’inquadratura di un palazzo grigio. Il solito lenzuolo bagnato di sangue. Qualche grande penna del giornalismo che scrive il suo diario dal fronte, per poi vivere comodamente a Roma o altrove.

Nel mio essere pendolare, traccio una sorta di camorra tour essenziale delle due province, che sarà sempre incompleto. Ogni mattina che mi reco al lavoro, a meno di un paio di chilometri da dove si svolge la guerra di camorra del momento.

Partenza da Mondragone, feudo dei La Torre. Ai tempi d’oro l’unico vero contrasto ai casalesi, con ramificazione che passavano dalla Svizzera, per l’Olanda finendo in Scozia. I processi coinvolgono sempre istituzioni di più paesi. Oggi terra conquistata dai casalesi. Se c’è un clan del paese che versa poi una quota bene, altrimenti la gestione passa direttamente in mano al clan più forte cioè i casalesi. Qui i morti sono state decine e decine, ammazzati e buttati nelle cave o nei pozzi naturali. Una bomba a mano per completare il lavoro. La valenza di un omicidio al sud è data dalla sua brutalità. Ammazzare soltanto non basta, bisogna allegare un messaggio chiaro e forte. Lascio Mondragone percorrendo la Domitiana, un strada che non lo è. Gli incidenti si sprecano e nessuno crede che in tempi brevi si potrà avere una strada normale. Il manto stradale è scomparso per lasciare chilometri di buche e dissesti. Eppure Mondragone ha il fregio di avere un politico nazionale di rilievo come Mario Landolfi che è portavoce di Alleanza Nazionale o di Fini, dipende dai momenti e che, non riesce ad essere portavoce di istanze più basilari? Dopo Mondragone c’è Pescopagano, la prima di tante terre di nessuno. È difficile spiegarlo a parole, bisogna vedere il nulla che sussiste. Questi sobborghi carenti di tutto sono un ottimo rifugio per il crimine. Il controllo è semplicemente impossibile. Osama Bin Laden potrebbe affittare un villino in riva al mare senza problema alcuno. O semplicemente sfondare la porta di una delle tantissime case abbandonate e viverci il resto dei suoi giorni al sole del mediterraneo.

Non c’è una presenza dello Stato. Dopo Pescopagano, Castelvolturno. A questo punto si percorre la variante o si attraversa il paese. La seconda scelta vi porterebbe a non credere ai vostri occhi: il crimine non si nasconde è sulla strada per Villaggio Coppola. La devastazione di certi quartieri si contrappone allo sfarzo di qualche albergo e di qualche locale totalmente barocco e assurdo nel suo essere così pulito mentre tutto intorno si mischiano le razze più disparate e le prostitute si affacciano sulla strada (per modo di dire, anche qui l’asfalto è un sogno) con spacciatori pronti a vendervi di tutto. La variante invece porta sulla Nola -Villa Literno che attraversa tutta l’area nord del casertano e del napoletano. I nomi dei paesi si susseguono veloci: Cancello Arnone, Villa Literno, Frignano, Gricignano, Orta di Atella, Succivo, Caivano, Carinaro e molti altri ancora. Questa strada è stata rimessa a nuovo da poco, un lavoro perfetto, bisogna ammetterlo. Mi ha confidato un persona del mestiere che la ditta è di Casale di Principe: "Si sa che la ditta è in mano dei camorristi, in una maniera o l’altra: è stupido fare finita di niente. Sanno lavorare, tutto è regolato per bene, lo straordinario è pagato. Sai, quando vieni pagato regolarmente con contratto ti viene voglia di lavorare anche di più, anzi spero che prima o poi riesco a lavorare con loro". Le regole base dello Stato diventano le regole base della camorra, solo che noi abbiamo la legge Biagi. loro no. Con la macchina attraverso Casale di Principe. Non vedo un palazzo, sono tutte unità abitative singole, i condomini non sono ammessi. Qui hanno ucciso don Peppino (il processo deve ancora finire dopo dieci anni) e qui hanno ucciso Federico del Prete sindacalista, tra i tantissimi altri. Questo è l’impero dei casalesi, di Sandokan, degli Schiavone. Ormai sono uno dei clan più potenti d’Europa come ebbe a dire Lumia (che conosce bene il suo lavoro) dell’antimafia. Non si muove foglia o mattone che non ci siano loro di mezzo. Tempo fa vendevano le armi alla temuta tigre della Serbia Arkan. Queste le dimensione che sono apparse in superficie. Ma l’iceberg è sempre molto più grande sotto le acque. Fare un servizio giornalistico a Casale di Principe è pericoloso. Le targhe delle macchine vengono segnate e i passaggi di troppo anche. Non è territorio della Repubblica Italiana, ma di Sandokan. Come Secondigliano. La macchina prosegue il suo viaggio.

I pendolari sono tanti. Quando ci si avvicina alla zona nord di Napoli il traffico di uomini e merci aumenta. Qui non ci si ferma mai. Aziende e ipermercati sono tantissimi, ma più di quanto possiate immaginare. Il nord di Napoli concentra milioni di abitanti che spendono, ed è un continuo fiorire di aziende. Non ultimo l’apertura di Ikea, il più grande d’Italia ad Afragola. Un nome ai più sconosciuto, ma tempo fa si considerò l’idea di costruire qui Euro Disney. La guerra di camorra che ne segui fece cambiare idea agli studios americani. Ogni metro quadro di queste zone ha moltissime storie da raccontare. Lascio la Nola Villa Literno e prendo la strada per Caivano, che mi porta a Frattamaggiore. Qui di nuovo le strade sono allo sfascio totale. Intravedo il quartiere "Verde", chiamato così per il suo colore. Una Secondigliano in miniatura, nessuno si avvicina al quartiere. È pericoloso. Intravedo già da lontano Scampia, mentre guido, sull’altra corsia delle persone fanno ginnastica. Normale amministrazione al sud, si costruisce una strada, sempre a metà. Un pilone dell’elettricità ostacola la fine dei lavori. Non si può congiungere definitivamente il ponte. È vero, c’è stato un referendum e quindi bisogna interrare questo tipo di conduzione dell’elettricità. Quando chiedo a Frattamaggiore una previsione per la ripresa di questo lavoro mi rispondono con un’alzata di spalle: " Si vede che chi deve mangiare ancora non lo ha fatto!". Qui chi non conosce le strade ci si può perdere. Sono tante, troppe e senza nessun tipo di indicazione. Per raggiungere Secondigliano ci sono tante strade. Una ti fa passare davanti alle fabbriche di D’Amato, si proprio lui l’ex presidente di Confindustria.

Chissà se ha mai mostrato una foto della strada dove si affacciano le sue aziende. Scusate, strada non è il termine giusto. Eppure sul corso che porta proprio il suo nome sono tantissime le realtà produttive realizzate in un contesto urbano spaventoso e totalmente degradato. Ogni tanto si vede qualche camion di merci proveniente dal nord che non riesce a trovare l’indirizzo e allora gli abitanti delle zone con molta pazienza spiegano il sistema per arrivarci, tra una bestemmia e l’altra. Davanti alle fabbriche di D’Amato c’è sempre una macchina dei carabinieri, anche se si muore a pochi metri di distanza per i colpi della camorra. Mi domando come possa chiedere ad altri di investire qui, se sa bene le condizioni in cui si versa. Mancano le basi dei servizi, come le strade e la sicurezza ad essa connessa, l’illuminazione. È il 2005 bisognerebbe averle queste cose. Da Frattamaggiore c’è un’altra strada che porta a Secondigliano. Una sorta di piccola tangenziale che finisce nel nulla, si proprio così. Da un certo punto la strada diventa ripida, ci sono i blocchi di cemento, ed è finita la strada. Qui regna sovrano il caos. Uomini e merci sempre in abbondanza, il resto è il peggior incubo che possiate immaginare. Sembra la misera nera di Falluja, anche se poi la gente non è povera. Assolutamente. Ma il degrado investe tutto ciò che è competenza dello Stato. È qui che perde la sua partita prima e fondamentale. Arrivo a Secondigliano. Il disgusto mi assale. Palazzoni enormi e la miseria più nera delle infrastrutture. L’insegna di un albero accoglie chi arriva da queste parti: "Riservatezza e discrezione" a caratteri cubitali. Questo è l’hotel per chi va a trovare i parenti detenuti nel super carcere di Secondigliano. Giustamente in una zona degradata ci si costruisce anche il carcere. Così i criminali vedono casa dalle proprie finestre. Eppure Secondigliano, Scampia e il Terzo Mondo è popolato da gente onesta, abbandonata dallo Stato che non ha soluzioni per un problema così atavico e difficile. Radere al suolo un pezzo di città diventa veramente l’unica soluzione. Da queste parti ora il comune regala il terreno a chi vuole costruire aziende. Diciamocelo onestamente, chi aprirebbe un’attività a Secondigliano? Nessuno!

A pranzo vado in una piccola pizzeria dalle parti di Arzano. Qui si mangia a dovere ad un presso bassissimo. Un’amica mi racconta del suo lavoro: "Mi danno 600 euro a nero dal lunedi al sabato senza orario, 1 ora di pausa pranzo. Attacco alle nove e finisco alle 8 di sera. Forse mi fanno il contratto regolare per 850 euro, ma vogliono comunque continuare a darmi 600 euro. O questo o niente da queste parti". Questa è la realtà del degrado a Napoli Nord. Non c’è lavoro e se ce ne, la regolamentazione è una fantasia senza senso. I primi alleati dei camorristi sono tutti gli organi preposti al controllo della regolarità dei contratti di lavoro. Ma forse non esistono più gli ispettori del lavoro. Certo è che con l’economia generale italiana a pezzi, il sud reagisce alla grande: straordinari non pagati, orari aziendali impostati sulle 9-10 ore, per contratti regolari al minimo sindacale (se va molto bene). Tutti sappiamo quanto riesce ad erogare la camorra come stipendi, soltanto per stare a guardare se giunge una macchina dei carabinieri, riesci a guadagnare anche 800 euro per stare in mezzo alla strada. Rimango sulla strada ad osservare la gente. Dalla televisione sembra che ti possono sparare da un momento all’altro: non è vero. Muore chi fa parte del gioco criminale. E qualche innocente che si trova sulla linea del fuoco. Da queste parti la gente si arrangia, ed anche tanto. Ma dove è lo Stato che impedisce il lavoro al nero, impedisce di fatto la schiavitù in era moderna? Latita meglio di Ciruzzo ò Millionario. Parlo con un’insegnate delle scuole elementari di Secondigliano: "Non ho visto tutti questi posti di blocco in giro, qualche giorno si, ma niente di più. A volte ho saputo dalla televisione che dietro la scuola c’erano dei morti. Qui la vita procede come sempre. Ci sono due clan che si affrontano e devono finire la loro sfida. I ragazzi hanno voglia di vivere bene, i genitori rispettano il lavoro che facciamo e ci sono tanti progetti in corso, ma il lavoro manca. Tutto qui il problema. Non tutti sono criminali e preferirebbero avere una piccola busta paga invece di rischiare la vita".

Devo riprendere la via di casa, passo a salutare degli amici. Il loro parco all’interno di Secondigliano è una piccola città con migliaia di abitanti asserragliati come in un fortino, all’entrata un guardia giurata che da i pass per i visitatori, e sono a Secondigliano non in un quartiere esclusivo a Hollywood! Tutti hanno paura di tutti, ma all’interno del fortino forse si può stare un poco più rilassati, fintanto che non iniziano a volteggiare gli elicotteri da guerra della polizia, si vedono correre uomini in tuta militare dovunque, mascherati come se qualcuno avesse cambiato canale e stessimo ad ascoltare le notizie dall’estero. Ma se prendi la metropolitana in dieci minuti sei a Piazza Dante, al centro di Napoli, al centro della retorica sulla camorra.

Non c’è soluzione, Cosimo di Lauro è stato arrestato, o comanderà dal carcere o se non lo potrà fare, dovrà tornare il padre, e se neanche lui potrà condurre la guerra, tra poco ci sarà un nuovo nome sconosciuto che tutti conosceremo. Ma anche la disperazione.

Giustizia: il pubblico ministero non è un giudice…

 

Famiglia Cristiana, 12 febbraio 2005

 

Scrivo per "protestare" contro il titolo dell’articolo "I romanzi del giudice" apparso su FC n. 1/2005. Nulla da dire circa il contenuto dell’articolo in sé e sulla caratura del romanzo di Carofiglio. Mi riferisco unicamente al fatto che questi viene definito "giudice" mentre in realtà tale non è, bensì un pubblico ministero. Riveste cioè nel processo la figura dell’accusa, ovvero di una parte, e non quella del giudice, che si presume terzo e imparziale.

La cosa può apparire una pignoleria, e non dubito certo della buona fede (ci mancherebbe!) della giornalista; ciò nondimeno credo che molti luoghi comuni diffusi nella gente, che spesso confondono i due ruoli della magistratura inquirente e giudicante ("indistinzione" che si traduce nel luogo comune "se i giudici l’hanno arrestato qualcosa avrà fatto"!), siano anche figli della faciloneria con cui i media confondono le due figure, presentando il Pubblico Ministero come Giudice.

Do volentieri atto che nel corso dell’articolo il dottor Carofiglio è identificato come "sostituto procuratore". Ma il fatto che nel titolo sia indicato anche come "giudice" non fa che amplificare nel lettore non tecnico l’equivalenza (assolutamente errata) per cui i pm sono giudici, quindi imparziali. Vi pregherei in futuro di evitare simili errori, essendo già sufficienti gli svarioni di "Mi manda Raitre" sul punto... Mi scuso per la tediosa esposizione, e mi complimento per la qualità della rivista.

 

Lettera firmata, da Brescia

Argentina: sedata rivolta in carcere, salvo direttore preso in ostaggio

 

Corriere della Sera, 12 febbraio 2005

 

Alla fine l’ammutinamento finisce e la polizia riprende il controllo della prigione. Ma per 23 ore si sono vissuti momenti di vero terrore nel carcere del quartiere San Martin di Cordoba, in Argentina, dove da giovedì pomeriggio una sanguinosa rivolta ha provocato almeno otto-nove morti tra cui due agenti, 20 feriti e decine di ostaggi, compreso il direttore Emilio Corso che, dopo il blitz della polizia, è tornato libero. La sommossa è cominciata giovedì pomeriggio alle 16 (le 20 italiane) sotto la spinta di un gruppo di irriducibili ergastolani che chiedevano sconti di pena e in generale migliori condizioni di vita. Le prime vittime sono state alcuni reclusi che hanno cercato di evadere a bordo di un autobus su cui la polizia ha sparato.

Nella notte si sono sentiti spari all’interno dell’edificio, che è rimasto immerso nel buio come tutto il quartiere, al centro della città. L’incendio, scoppiato in serata e che si era manifestato con un denso fumo e fiamme visibili dall’esterno, è stato controllato dai vigili del fuoco, aiutati dagli stessi reclusi. La situazione era resa drammatica anche perché l’edificio si trova al centro della città, senza alcuna separazione dalla zona residenziale, al punto che vari colpi di pistola hanno raggiunto porte e finestre di numerose case. Secondo un giornalista del quotidiano Dia a dia, i detenuti erano divisi in due gruppi, uno di circa 1.300 persone disposto a trattare, e un secondo composto da 300 duri e armati. Le armi, comprese alcune mitragliatrici, sono state prelevate dai rivoltosi, a quanto si è appreso, nel deposito delle guardie carcerarie.

In altre carceri del paese si sono registrati tentativi di fuga e rivolte. Cinque detenuti hanno tentato invano di evadere la notte scorsa da un carcere municipale di Viedma (provincia argentina di Rio Negro) mentre simultaneamente un commando armato ha sparato contro le sentinelle appostate sulle torrette, in un episodio che responsabili della provincia hanno messo in relazione con l’ammutinamento in corso a Cordoba. "Si tratta certamente - ha detto il ministro per la sicurezza interna di Rio Negro, Jorge Garcia - di un "effetto domino" per i gravi incidenti prodottisi nel carcere di San Martin".

Nuoro: venti reclusi chiedono che il direttore se ne vada

 

L’Unione Sarda, 12 febbraio 2005

 

Dicono che da quando è arrivato il direttore Paolo Sanna "la vivibilità interna al carcere è peggiorata". Evidentemente molti detenuti (una ventina) non hanno gradito concerti, reading letterari e manifestazioni sportive. Insomma il nuovo corso inaugurato dalla nuova direzione del penitenziario qualcuno non è piaciuto. Nei giorni scorsi alcuni reclusi hanno scritto una lettera per protestare contro il direttore e denunciare la grave situazione in cui si trova il carcere nuorese.

"Da circa due mesi non possiamo mettere piede nel campo sportivo e passiamo l’ora d’aria in una voliera - si legge nel documento - per evitare eventuali fughe cerebrali da sei mesi non possiamo leggere i libri della biblioteca perché in attesa di quella nuova la vecchia è stata chiusa". I detenuti ricordano inoltre che negli ultimi tempi sono stati "tagliati" due posti di lavoro e la situazione igienico sanitaria peggiora in continuazione.

"Da un anno non possiamo usufruire del dentista - continuano i detenuti - manca il riscaldamento sufficiente e nella stanza c’è umidità. Per la cattiva manutenzione dagli infissi e dalla finestre entra l’acqua". Nei bagni la situazione non è migliore. Lavarsi e curare l’igiene personale diventa una vera e propria impresa. "Ci sono tre docce funzionanti per novanta detenuti, con due ore di acqua calda per piano ad orari inadeguati, tanto è vero che al piano terra due compagni si sono ammalati di polmonite".

Stando a quanto raccontato dai detenuti "a due reclusi sono stati ritirati stampante e scanner perché uno di questi ha scritto una lettera aperta al sindaco di Nuoro; spesso i detenuti rifiutano sistematicamente il cibo ordinario, perché c’è un solo carrello che serve tre piani (portato a mano da un piano all’altro) e ma mano che arriva nelle ultime celle il cibo diventa immangiabile, una specie di pastone per galline; i porta vitto non sono forniti di guanti, berretti, grembiuli e degli appositi carrelli termici, lamentiamo la mancanza di spazi comuni dove svolgere qualsiasi attività, passiamo circa venti ore al giorno su ventiquattro in cella".

I venti detenuti firmatari della lettera, quasi tutti siciliani e campani appartenenti a organizzazione di mafia e camorra, affonda i colpi contro Paolo Sanna e fanno capire di non apprezzare le recenti iniziative promosse dal direttore del penitenziario. "Il nostro direttore Paolo Sanna - scrivono - si fa intervistare ed acquista spazio nei giornali e nelle Tv locali, vantandosi di aver portato a Badu ‘e Carros il jazzista Paolo Fresu, la squadra di calcio della Nuorese, la nuova fantomatica biblioteca che non apre mai ed ha ancora un sogno; portare Zola a giocare nell’istituto. Noi invece abbiamo un altro sogno: che vada via il direttore Paolo Sanna. Nel frattempo lo invitiamo a fare meno politica e più il direttore di carcere. Insomma, esponiamo pubblicamente abusi, abusi gravi, un inferno di violazioni dei diritti, pastoie burocratiche, inutili disfunzioni, distruzione interiore, annientamento una punizione continua e predeterminata".

Sanremo: il direttore; nel carcere la sicurezza è garantita

 

Secolo XIX, 12 febbraio 2005

 

"L’aggressione ad un agente di polizia penitenziaria è stato un episodio isolato e va circoscritto, la sicurezza all’interno della struttura è garantita per tutti gli operatori". Il direttore della casa circondariale di Sanremo, Francesco Frontirrè, interviene su quanto accaduto mercoledì mattina nell’infermeria del penitenziario di Valle Armea - un poliziotto di 28 anni colpito da un detenuto extracomunitario, che gli ha procurato la frattura del setto nasale con una prognosi di 20 giorni - e in generale su varie problematiche legate alla gestione del carcere.

"Il fatto di violenza va ricondotto ad una reazione improvvisa e pertanto inattesa di un detenuto con problemi psichici. Ma è stato un caso isolato, le aggressioni non sono certo usuali, tutt’altro. Qui si opera nella massima sicurezza per tutti". Quanto alla denuncia presentata dal Sappe (il sindacato autonomo di polizia penitenziaria) lo scorso ottobre, Frontirrè sottolinea che "è stato posto rimedio alle carenze di organico con l’integrazione, risalente già a fine dicembre, di 36 unità, che hanno portato il numero totale degli agenti in servizio a 211. In questo modo è stato raggiunto un organico tale da coprire tutte le necessità delle struttura".

Il direttore coglie l’occasione per spiegare come la visita al carcere del prefetto Maurizio Maccari "sia stata estremamente soddisfacente quanto a impressione suscitata", ricordando che il funzionario del governo abbia visitato ogni parte della casa circondariale, dalla mensa agli spazi per le attività ricreative, ai lavoratori ai reparti di detenzione, "rilasciando commenti positivi sull’organizzazione e la gestione dei vari settori".

E a proposito di visite, martedì 15 il carcere di Valle Armea sarà oggetto del sopralluogo del sindaco Claudio Borea, del vicesindaco Marco Andracco, e degli assessori Luigi Ivaldi (Servizi sociali) e Andrea Gorlero (Urbanistica). L’appuntamento è già stato fissato da alcuni giorni. Gli amministratori hanno risposto ad un invito dello stesso direttore Francesco Frontirrè.

 

 

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