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Venezia: in 180 contro la casa della Caritas per i detenuti
Gente Veneta, 10 dicembre 2005
Prese una ad una sono due strutture assolutamente innovative, all’avanguardia in campo sociale, di ultima frontiera in campo caritativo. Messe insieme, in un unico stabile, diventano un segnale molto forte per un territorio che ha già compiuto molta strada, spesso in salita, per superare difficoltà e pregiudizi; e che ora può dare un segno verso persone che compiono lo stesso percorso di riscatto. Ma "Casa mons. Vianello" e il "Centro aggregativo Lucio Cerchier" sono finiti nella bufera a Campalto, alle porte del Villaggio Laguna. Prima l’allarme, poi una petizione e una raccolta di firme. E a poco sono valsi, finora, i tentativi da parte di mons. Dino Pistolato, direttore della Caritas diocesana che sta realizzando le strutture, di far capire che, se di allarme si tratta, è del tutto ingiustificato. Un "patronato laico" contro il disagio. Ma partiamo dal progetto. La Caritas veneziana aveva a disposizione uno stabile, l’ex scuola Girasole di via Passo 20/D, di cui si sta terminando in questi giorni la ristrutturazione. La sua volontà è di dedicare il piano terra della casa a un centro di aggregazione per adolescenti (14-20 anni), in particolare i giovani che hanno lasciato le altre forme di ritrovo strutturato, come la parrocchia o le associazioni sportive o di altro tipo, e rischierebbero di diventare solo la compagnia della strada, della piazza o del bar. "A loro vogliamo proporre - spiega mons. Pistolato - un punto di aggregazione guidato, che sappia renderli partecipi e protagonisti del loro tempo libero, trasmettendo allo stesso tempo informazioni rispetto ai disagi emergenti". Una sorta di "patronato laico", insomma, per la prevenzione del disagio giovanile: la prima volta per la Caritas, una delle prime esperienze comunque di questo tipo nel Veneto. Il centro sarà dedicato a Lucio Cerchier, uno degli operatori della comunità Emmaus dell’Opera S. Maria della Carità, morto lo scorso 18 maggio. "Un bisogno reale". Un anno fa il progetto era stato illustrato ai due parroci di Villaggio Laguna e di Campalto, spiega mons. Pistolato, e si era convenuto che una struttura di questo tipo era un "bisogno reale". "Da allora il nostro operatore della cooperativa Il Lievito si è fatto conoscere, dai presidi delle scuole come dai ragazzi, che attendono già l’apertura di questo centro", racconta il direttore della Caritas. Casa mons. Vianello. Nello stesso stabile, al piano superiore, separato in modo adeguato, la Caritas vuole dar vita alla "Casa mons. Vianello" (Attilio Vianello era un sacerdote diocesano che, alla morte nel 1995, ha lasciato dei beni da devolvere a fini caritativi). Vuole dare una risposta a quelle persone in stato di detenzione presso il carcere circondariale di S. Maria Maggiore a Venezia, che non possono godere dei permessi previsti dalla legge Gozzini, per la distanza dal luogo di residenza o perché non hanno una situazione abitativa adeguata. Una necessità più volte espressa nelle occasioni di incontro che il Patriarca Scola ha avuto con la realtà carceraria. L’omologo al femminile. Una struttura del genere, al femminile, esiste già a Venezia: si tratta della Casa Giovanni XXIII, realizzata come segno di carità in occasione del Giubileo del 2000. "Una realtà che non ha mai dato nessun fastidio", racconta mons. Pistolato, "e dalla quale non è mai fuggito nessuno. E il fatto che qui parliamo di uomini e non di donne non sposta il problema, perché le condizioni sono le stesse. Per usufruire infatti dei permessi i detenuti devono aver avuto un comportamento adeguato in carcere; inoltre hanno tutto l’interesse nel comportarsi bene, per poter usufruire di altre licenze. Non c’è motivo, quindi, per ritenere che una struttura di questo genere possa creare problemi al luogo che la ospita". Gli ospiti, poi, sarebbero in stato di detenzione domiciliare: resterebbero cioè in casa. Solo il tragitto da S. Maria Maggiore a Casa mons. Vianello avverrebbe con mezzi propri, qualora non fossero gli stessi operatori della struttura ad accompagnare gli ospiti negli spostamenti. "C’è chi ha paura di prendere l’autobus con qualcuno di loro. Ma chissà quante volte capita di trovarsi in autobus con un detenuto in semilibertà - e capita - e semplicemente non lo sai...", commenta mons. Pistolato. La protesta di 180. È su questa realtà che si sono appuntate le proteste di circa 180 residenti, che hanno spedito alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia (e per conoscenza a sindaco, presidente della Municipalità, Curia e Caritas) una petizione contro l’inserimento di detenuti presso la ex scuola Girasole. Il timore è che, dopo che i residenti di Villaggio Laguna "hanno raggiunto dei risultati apprezzabili e quella tranquilità di cui avevano bisogno", si debba "far ricominciare tutto da capo". I residenti lamentano la scarsa attenzione per via Passo Campalto, "strada killer" per la viabilità, con insediamenti, nelle vie laterali, di "gente "poco raccomandabile". Queste sono solo alcune delle problematiche che la gente vuole vedere risolte", scrive Gennaro D’Ambrosi, portavoce dei residenti. I firmatari lamentano di non essere stati ascoltati, di aver ricevuto dalla Municipalità, alle richieste di chiarimenti, solo riposte evasive e contraddittorie. La richiesta è quella di rivedere il progetto, eliminando il centro per i detenuti. "Do tutte le garanzie". "Sarebbe un peccato: verrebbe tolta un’opportunità a persone detenute", commenta mons. Pistolato. Che ricorda come S. Maria Maggiore sia una casa circondariale e non un istituto penale: in stato di detenzione si trovano solo persone colpevoli di reati minori. "Ascolto la gente e do tutte le garanzie possibili immaginabili", chiarisce il direttore della Caritas, "ma non ritiriamo il nostro progetto". Anche perché l’esperienza dice che "dove c’è una realtà che cerca di seguire alcune situazioni difficili - è il caso anche delle comunità terapeutiche - le problematiche non aumentano, anzi: perché si sa che ci sono persone che vengono seguite in un certo modo, c’è maggior vigilanza, attenzione". Mons. Pistolato "sfida", in un certo senso, il territorio: "È sicuramente una realtà che ha sofferto una certa marginalità e ora ha conquistato una sua tranquillità. Mi aspetto proprio per questo una maggior sensibilità verso chi si trova ora in uno stato di emarginazione". Tra dicembre e gennaio. Terminate le opere murarie, il centro aggregativo Lucio Cerchier potrebbe aprire prima di Natale; la casa mons. Vianello potrebbe iniziare la sua attività con l’inizio del nuovo anno; il mobilio c’è già, donato dalla società "Nuovo Moschettiere". Garantirebbero l’apertura del centro aggregativo l’operatore di cui si è detto e un gruppo di giovani volontari della parrocchia di Quarto d’Altino, in attesa che sia lo stesso territorio ad esprimere un proprio volontariato. Alla Casa mons. Vianello provvederà invece un operatore della Caritas insieme con i volontari della S. Vincenzo locale. Droghe: Fini; sul ddl se necessario chiederemo la fiducia…
Adnkronos, 10 dicembre 2005
"Se necessario chiederemo alle forze di governo il voto di fiducia per far approvare il disegno di legge entro la fine della legislatura". Lo ha detto a Palermo il vice premier Gianfranco Fini, parlando del ddl stralcio sulla droga, a conclusione dei lavori della IV conferenza nazionale sulle tossicodipendenze. Nella giornata di ieri il ricorso al voto di fiducia era stato ventilato dal parlamentare di An Maurizio Gasparri. Il provvedimento potrebbe andare in aula già a gennaio. "La lotta alla droga per questo governo è un dovere di carattere morale - ha tenuto a precisare Fini. La lotta alla droga va fatta senza se e senza ma". Il vice premier ha anche sottolineato che "è certo che fra la legge ex Cirielli e il ddl sulle tossicodipendenze c’è una contraddizione. Ma noi interverremo a modificare la ex Cirielli e non il ddl". La contraddizione cui si riferisce Fini è relativa all’inasprimento delle pene per i recidivi previsti dall’ex Cirielli (la maggior parte dei tossicodipendenti sono recidivi), e, dall’altra parte, all’elevazione del tetto da 4 a 6 anni che favorirà l’uscita dal carcere dei tossicodipendenti per essere immessi in comunità come percorso alternativo al carcere. Misura prevista dal ddl sulle tossicodipendenze. Droghe: Manconi; se passa lo stralcio, 20mila reclusi in più…
Redattore Sociale, 10 dicembre 2005
"Se passa lo stralcio alla legge Fini proposto dal ministro Giovanardi, tra qualche anno avremo 20mila reclusi in più, il 40% tossicodipendenti". Lo ha sottolineato Luigi Manconi, Garante dei detenuti di Roma e Responsabile diritti civili per i Democratici di Sinistra, intervenendo alla giornata di riflessione e confronto sul tema dei consumi, degli abusi e delle dipendenze promossa oggi dal cartello "Non incarcerate il nostro crescere", presso l’Aula magna dell’Università romana "La Sapienza". Antiproibizionista, favorevole alla legalizzazione delle droghe (anche se sarà un percorso segnato da "tempi lunghi, passaggi e compromessi"), Manconi ha ribadito la necessità di potenziare e rafforzare i servizi, in particolare i Sert: "Non possono esserci 2 operatori per 400 utenti". Riguardo allo stralcio alla legge Fini proposto da Giovanardi, ha rilevato: "Il Governo vuole trasformare lo stato sociale in stato penale e criminale. Vogliamo impedire che questo avvenga, anzi vogliamo rovesciare questa tendenza, riportando lo stato sociale alla sua funzione". Secondo Manconi, le sanzioni amministrative nei confronti dei consumatori di droghe "sono meccanismi infernali che portano all’emarginazione e al carcere". E nei penitenziari italiani "ci si toglie la vita 18-19 volte in più rispetto all’esterno: i suicidi non sono detenuti con pena lunga, ma soprattutto giovani tra i 18 e i 24 anni che compiono questo gesto nei primi 6 mesi di detenzione a motivo dell’impatto insostenibile con l’ambiente carcerario. Tra loro, anche un giovane detenuto per il possesso di pochi grammi di marijuana". "Proporremo, come riduzione del danno, la somministrazione controllata di eroina", ha dichiarato Livia Turco, responsabile delle politiche di welfare dei Ds, riferendo: "Sono stata corteggiata da Giovanardi per andare a Palermo. Non ci sono andata perché un grande tema è stato ridotto a bandierina elettorale. Invece ci vuole un grande e forte rilancio delle politiche di welfare e dei servizi, tramite investimenti seri". Per Turco, quindi, "bisogna arricchire la via sociale della lotta alle droghe, diversificando allo stesso tempo il sistema sanzionatorio e promuovendo le capacità dei giovani". Assente per motivi familiari Rosy Bindi (Margherita), che ha fatto pervenire un messaggio ai partecipanti in cui scrive: "A Palermo si è svolta una passerella governativa. Il provvedimento proposto da Giovanardi è una pessima sintesi della già pessima legge Fini. La detenzione e la costrizione alla terapia non solo la soluzione; occorrono politiche reali per i giovani". E Paolo Ferrero (Rifondazione Comunista) ha annunciato: "Come partito abbiamo elaborato un testo in cui si prevede la depenalizzazione del consumo e l’abolizione delle sanzioni amministrative per chi consuma droghe; inoltre favorisce la cura dei tossicodipendenti all’esterno delle strutture carcerarie". "Al posto della devoluzione, si fa neocentralismo", ha affermato Alessandra Mandarelli, assessore alle Politiche sociali della Regione Lazio, ricordando: "Siamo di fronte al taglio del 50% del Fondo sociale nazionale e del 75% di quello sulla droga, mentre la Finanziaria riserva 1.140 milioni di euro, destinati in maniera imprecisata alle famiglie e alla solidarietà per lo sviluppo socio-economico. Di fatto vuol dire togliere fondi agli enti locali per il sociale e lasciare la discrezionalità dell’uso di questa riserva allo Stato". E ha proseguito: "Con una distribuzione a pioggia e, soprattutto, non filtrata dagli enti locali, i finanziamenti potrebbero ricadere su beneficiari non idonei. È il territorio quello che rappresenta meglio la mappa del disagio, ed è l’ente locale più vicino al cittadino, quello che, a mio avviso, è più capace di gestire un finanziamento cercando di indirizzalo verso i veri bisogni del territorio stesso. Si sta definanziando la legge 328. Le amministrazioni regionali non potranno essere in grado di sostenere l’attuale livello dei servizi sociali facendo a meno dei fondi statali; in queste condizioni rischiamo di mettere in crisi l’intero sistema delle politiche sociali". Tolmezzo: il carcere sarà riservato ai detenuti in "41 bis"?
Il Gazzettino, 10 dicembre 2005
C’è un progetto per trasformare completamente le carceri tolmezzine per renderle adatte ad ospitare totalmente il "41 bis". Le carceri di Tolmezzo sono state accettate, seppure mal volentieri, solo con la promessa che non sarebbe stato toccato il Tribunale le cui ricorrenti voci vorrebbero essere sempre a rischio chiusura. Spesso, inoltre, sono viste come un corpo estraneo alla città anche se negli ultimi anni molto si è fatto affinché non fossero più considerate come un punto distante, bensì entrassero a far parte di tale realtà. E molto si deve alla Direzione del Carcere stesso ed ai volontari che sono impegnati nei rapporti con i detenuti. L’inserimento, anni fa, della sezione "41 bis", (per i reati di associazione mafiosa) con una decina di detenuti e di quella di massima sicurezza, hanno irrigidito ulteriormente la struttura rendendo ancora più difficile il rapporto con la società esterna. "Purtroppo -ha commentato nel corso di un incontro pubblico Franco Corleone, per cinque anni sottosegretario alla Giustizia che ha sempre seguito da vicino le vicende del Tribunale e del Carcere di Tolmezzo- siamo venuti a conoscenza di un progetto, da parte dell’Amministrazione penitenziaria di Roma, di trasformare completamente la Casa Circondariale tolmezzina rendendola idonea ad ospitare solamente detenuti destinati al 41 bis. Si tratterebbe di 200 persone. Attualmente la capienza delle carceri è di 250 posti. Ciò sarebbe una vera e propria bomba atomica piazzata al centro della Carnia - rincara -. Ciò vorrebbe dire un controllo pesante all’interno ed all’esterno delle carceri che non farebbe altro che aumentare la sua esclusione con l’esterno. Si tratta di uno di quei segreti che si preferisce mantenere nell’ombra - continua Corleone -, ma invece deve essere portato all’attenzione dei cittadini per non dover affrontare all’improvviso ed impreparati una situazione del genere". Tale trasformazione, da quanto si è appreso, coinvolgerebbe anche tutto il personale della struttura, con conseguenti trasferimenti ed arrivi di personale altamente specializzato a questo tipo di carcere. "Non si tratta di sole voci - conclude Corleone -. C’è già un progetto che ha quantificato anche i costi della trasformazione delle attuali celle. Si parla di 4/5 miliardi delle vecchie lire. Un conto è una sezione con 10 detenuti, un altro è un carcere intero con più di 200. La struttura diventerebbe un vero e proprio bunker all’interno della città. Se vogliamo difendere la montagna, dobbiamo aprirci e non chiuderci ancora di più. Dobbiamo difendere sia la realtà del Tribunale che quella delle carceri così come erano state concepite". Treviso: il doppio dei detenuti, con la metà degli agenti…
Il Gazzettino, 10 dicembre 2005
L’accesso alle docce calde è concesso solo quattro volte alla settimana. Colpa dei tagli di bilancio. I letti a castello non bastano più e ci si è inventati la branda a tre piani. Dietro le sbarre si contano oggi 265 detenuti, in passato sono stati anche più di 300, ma il carcere ne potrebbe ospitare solo 134. Scene di ordinaria quotidianità alla Casa Circondariale di Santa Bona a Treviso che da anni denuncia gravi problemi di sovraffollamento. L’ennesimo grido d’allarme per l’alto numero di detenuti e, di contro, la scarsità di personale di vigilanza - 160 agenti invece dei 260 previsti in organico - viene da Luana Zanella, parlamentare veneta dei Verdi che ieri ha visitato il penitenziario di Santa Bona ed incontrato il direttore Francesco Massimo. "Ho trovato una situazione a luci ed ombre - spiega Zanella - Nel carcere trevigiano esiste il grave problema della tossicodipendenza. Circa il 70% dei detenuti ha fatto uso di sostanze. L’altra grande questione riguarda la presenza di stranieri che, nella sezione giudiziaria del penitenziario, tocca l’80% dei detenuti". Se l’obiettivo del carcere è la rieducazione, a Santa Bona solo una ventina di detenuti sono impegnati in piccoli lavori, chi nelle attività domestiche, chi nella falegnameria dove i carcerati sono pagati con borsa lavoro del Comune. Il tentativo di offrire buone opportunità occupazionali ai detenuti, infatti, cozza con l’instabile situazione generale del mercato del lavoro. Il penitenziario trevigiano, a differenza di molte altre strutture di reclusione, offre spazi comuni per la ricreazione vivibili e ben organizzati, anche se il direttore Massimo ha lamentato a Zanella lo scarso impegno del Comune di Treviso per la sistemazione del campo da calcio inagibile da tempo. Ma l’emergenza maggiore resta il sovraffollamento. "Abbiamo visto celle per cinque persone con dieci detenuti dentro - racconta la parlamentare dei Verdi - Le celle hanno letti a castello a tre piani e servizi igienici inadeguati senza doccia né acqua calda. Questa situazione inaccettabile compromette la qualità della vita nel carcere".
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