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"Amnistia: non è mai il momento!...", di Luigi Manconi
L’Unità, 5 aprile 2005
A ben vedere, le parole più strepitose, e strepitosamente sfrontate (e, d’altra parte, come stupirsene?), sono state di Ignazio La Russa: "Non è il momento opportuno, questo", ha replicato a chi (Marco Pannella e Marcello Pera) propone che, in memoria e nel nome di Giovanni Paolo II, si riprenda il tema del "gesto di clemenza". Ovvero l’amnistia e/o l’indulto per la popolazione carceraria. Perché strepitose, le parole di La Russa? Perché, dopo tutto, non sono così vecchio: eppure ho la sensazione che quella frase - sempre in relazione a un provvedimento di clemenza - sia echeggiata con molesta frequenza nel corso degli ultimi decenni. Certamente, la si sente, con ossessiva reiterazione, da quindici anni a questa parte: ovvero da quel 1990, quando fu approvata l’ultima amnistia. Da quell’anno, infatti, non ci sono stati più provvedimenti di clemenza; e i dati dell’affollamento della popolazione detenuta hanno conosciuto un incremento impressionante, passando dai 31.169 del 1991 ai 44.134 del 1992: e iniziando, così, una corsa che non si e più arrestata (fino ai circa 56.000 degli ultimi anni). L’affollamento costituisce in sé una condizione di estremo disagio ed è, al contempo, la spia di gravi carenze organizzative e strutturali. Chi è detenuto in carceri affollate patisce condizioni igieniche spesso pessime, carenze di personale medico, di psicologi, di educatori; e, ancora, strutture fatiscenti, servizi inadeguati, rapporti assai problematici con l’amministrazione e massima difficoltà di accesso al lavoro. In altre parole, l’affollamento ostacola gravemente il rispetto delle garanzie e dei diritti riconosciuti ai detenuti dalle leggi e dal regolamento penitenziario, rendendo pressoché pleonastico ogni pronunciamento in favore del carattere "rieducativo" della pena. L’affollamento, dunque, in quanto segnale di molte delle situazioni di maggiore sofferenza, e un indice attendibile (e allo stesso tempo, una delle cause più rilevanti) dei molti mali che affliggono gli istituti di pena del nostro paese. Ed è uno dei principali fattori di precipitazione e agevolazione della condizione di crisi, che porta agli atti di autolesionismo e ai suicidi (in carcere ci si uccide 12/18 volte più di quanto si faccia fuori dal carcere). Dunque, pur essendo chiaro che l’affollamento e solo la manifestazione ultima di un sistema penitenziario profondamente malato e che richiede riforme complessive e radicali, il dato rappresentato dall’eccesso abnorme di reclusi non può essere eluso. E questo rende indispensabile un provvedimento di amnistia e/o indulto. La ragione per cui finora non e stato adottato e semplice; ed e quella dichiarata da La Russa: non lo si ritiene "opportuno". In altre parole, si crede che un provvedimento di clemenza possa costare in termini elettorali. Pertanto, "non e il momento. O meglio: non e mai "il momento"; non lo era nemmeno uno, due, tre, quattro anni fa, quando le elezioni erano di là da venire. E, d’altra parte, si tace sul fatto che gli eventuali "costi" di un simile provvedimento inevitabili solo se il provvedimento stesso non viene adeguatamente spiegato all’opinione pubblica potrebbero essere ripartiti tra le diverse forze politiche: senza guai eccessivi per qualcuno in particolare. Pertanto, più che la preoccupazione per eventuali reazioni negative dell’elettorato anche se è questo l’argomento maggiormente utilizzato dal centrodestra e non, certamente contestato dal centrosinistra sembra pesare una diffusa indifferenza verso la popolazione detenuta: in quanto non vota, si potrebbe dire brutalmente. O, a voler essere più raffinati, in quanto estranea al mercato politico: ovvero non dotata di una propria rappresentanza, non abilitata a tutelare i propri interessi, non capace di stringere alleanze, di mobilitare energie e risorse, di fare attività di lobbing. Il risultato e che anche questa volta di quel gesto di clemenza" non se ne farà nulla, prevedibilmente; e questo evidenzierà, in maniera ancora più indecente, la distanza tra il formale ossequio indirizzato al Papa dal ceto politico tutto e il rifiuto di accogliere il suo messaggio e tradurlo in norma e in legge dello Stato. Può consolare (si fa per dire) sapere che la sordità della classe politica su questo tema non e un esclusiva nazionale. Quell’appello a "un gesto di clemenza" fu indirizzato, nell’anno giubilare, ai governi e ai parlamenti di tutto il mondo: e pressoché ovunque non tu ascoltato. In Italia ecco la nostra irrinunciabile griffe ci si mise, e ci si continua a mettere, un surplus di ipocrisia. Così, tanto per non perdere l’abitudine. Amnistia: Castelli; resto contrario, la sicurezza è prioritaria
Corriere della Sera, 5 aprile 2005
Il ministro della Giustizia Roberto Castelli, intervistato dal Corriere della Sera, ricorda "quando in Parlamento ebbi il privilegio di stringere la mano al Pontefice e di scambiare con lui parole che non rivelerò mai". Alla richiesta di clemenza del Papa, Castelli rispose: "Come cristiano condivido la sua presa di posizione, ma io devo ragionare come Guardasigilli e garantire la sicurezza dei cittadini". "In questi due anni e mezzo mi sono sempre interrogato su quale fosse il modo migliore per accogliere linvito che, come lui stesso aveva sottolineato, non doveva compromettere la tutela dei cittadini. E ho ritenuto che la maniera giusta fosse quella di restituire dignità ai detenuti eliminando i problemi di sovraffollamento delle carceri e progettando nuove strutture. (...) Sono stato io a proporre un dibattito di revisione sugli anni di piombo. Mi sono speso in prima persona nella ricerca di una soluzione e ho ricevuto insulti da destra e da sinistra. Il furore mediatico mi ha convinto che non ci sono le condizioni per avviare una discussione seria e pacata. Forse dobbiamo aspettare che le ferite si siano rimarginate", conclude Castelli. Amnistia: arrivano i primi sì; Pecorella, Taormina e Rotondi
Radio Radicale, 5 aprile 2005
L’amnistia proposta da Marco Pannella al mondo politico e istituzionale in coerenza con i sentimenti mostrati in questi giorni per le condizioni del Papa trova d’accordo Gaetano Pecorella, Carlo Taormina e Gianfranco Rotondi, intervistati da Radio Radicale. "È la posizione che ho assunto e sostenuto da sempre - dice il presidente della commissione giustizia della Camera Pecorella - ovviamente nel senso di una concessine di un’amnistia magari con l’esclusione di alcuni reati particolarmente odiosi. In questo senso la commissione giustizia aveva cominciato a lavorare ma non c’è stato l’accordo tra le parti politiche. Debbo dire che dopo la presenza del Pontefice in Parlamento alla Camera dei deputati ci fu un grande entusiasmo nei suoi confronti e anche un grande entusiasmo per la sua proposta di amnistia, dopodiché però fu lasciata cadere per una serie di veti incrociati delle diverse forze politiche. La mia impressione purtroppo è che passato il momento della commozione resterà poco delle buone intenzioni di oggi, però non si può mai sapere. Forse almeno questa volta, essendo un grande desiderio e uno dei messaggi di pace che il Pontefice ha trasmesso, è possibile che ci sia qualcuno che cambi idea rispetto al passato e appoggi almeno una amnistia per i reati meno gravi che affollano i tribunali e che comportano dei periodi brevi di pena che sono estremamente nocivi per tutti". E un sì alla proposta di Marco Pannella viene anche dal presidente della commissione di inchiesta sull’omicidio di Ilaria Alpi, il deputato di Forza Italia Carlo Taormina. "In tutte queste manifestazioni di questi giorni - dice Taormina - bisognerebbe stabilire chi è sincero e chi no, e soprattutto quanta speculazione politica ci sia intorno a questa triste storia, con l’informazione che ancora una volta gioca un ruolo molto importante e che non può che essere criticato per il cinismo e l’approssimazione con la quale ci si comporta. Chiedere adesso che si venga incontro al desiderio mostrato dal Papa quando venne alla Camera, cioè un provvedimento di clemenza per le carceri, sarebbe un modo concreto, reale e veritiero di onorare la sua opera e la sua memoria. Come dicemmo all’epoca della visita del Papa a Montecitorio, deve però trattarsi di una amnistia condizionata, nel senso che si deve prevedere che chi ne fruisca non consumi reati per almeno i cinque anni successivi, salvo tornare all’espiazione della pena amnistiata in caso di commissione di reati gravi". D’accordo anche il leader della Dc Gianfranco Rotondi: "Le parole di Pannella - spiega - sono estremamente pertinenti e intelligenti. Per un fatto di buon gusto lasciamo che sia il Signore a scegliere il giorno e l’ora della morte del Papa. Nel frattempo bisogna recuperare quel messaggio del Pontefice, e la mia non è una conversione emotiva del momento. Io sono sempre stato dell’avviso che le questioni del sovraffollamento carcerario e anche alcune vicende che hanno segnato la vita giudiziaria degli ultimi anni si risolva solo con il coraggio dell’amnistia". Amnistia: Cento (Verdi); atto clemenza generalizzato di 6 mesi
Ansa, 5 aprile 2005
Amnistia e indulto generalizzato con sconto di pena di almeno 6 mesi: a proporlo sono i Verdi, attraverso il deputato Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera. "L’iniziativa di Pannella - afferma - sollecita il Parlamento ad un atto di coerenza con gli impegni presi durante la visita del Papa. I Verdi raccolgono questa sollecitazione e presenteranno nelle prossime ore una nuova proposta di amnistia e indulto generalizzato che prevede uno sconto di pena di almeno sei mesi, considerando questa entità minima, ma concreta una base per una possibile discussione parlamentare". "L’unica cosa che le forze politiche non si possono permettere è quella di riaccendere strumentalmente una speranza tra i detenuti per poi far cadere nel silenzio la possibilità di un atto di clemenza per i reciproci veti tra le singole forze politiche. Noi consideriamo l’amnistia e l’indulto uno strumento utile non solo per rispondere positivamente a quella straordinaria sollecitazione del Papa al Parlamento, ma anche - conclude - per affrontare i gravi problemi determinati dall’ emergenza carceraria". Asti: il vigneto biologico del carcere sta funzionando bene
Green Planet, 5 aprile 2005
Gaia, l’ex consorzio per lo smaltimento dei rifiuti di Asti, ha consegnato la prima fornitura di compost al carcere di Asti-Quarto per concimare un vigneto biologico a cui lavorano quindici detenuti. Lo ha reso noto la stessa azienda con un comunicato. "Si tratta - ha detto il presidente di Gaia (Gestione ambiente intercomunale astigiano) – di una fornitura gratuita di 4 tonnellate. Seguiranno altre forniture per concimare l’orto biologico di oltre due ettari. Collaboriamo volentieri e con interesse ai progetti agricoli sperimentali del carcere diretto da Domenico Minervini. Con queste iniziative i detenuti imparano un mestiere, utile quando, scontata la pena, dovranno affrontare il non facile percorso dell’inserimento lavorativo". Nel vigneto saranno collocate 500 barbatelle di uva da tavola (Moscato d’ Amburgo, uva Regina e uva Fragola), che in futuro sarà commercializzata sui mercati rionali della città. Lo stesso percorso, ma in tempi decisamente più brevi (si ipotizza il prossimo settembre), riguarderà gli ortaggi: nei mesi scorsi si è avviata la pratica per la vendita al mercato biologico mensile di piazza San Secondo. La produzione di frutta sarà assicurata dalle piante di pesca limonina fornite negli scorsi mesi dall’assessorato comunale all’Ambiente con i semi di una vecchia varietà di pomodoro, coltivato nell’astigiano, e ora a rischio di estinzione. Il frutteto del carcere astigiano è interessato anche a un progetto di coltivazioni autoctone lanciato dal Comune di Asti per la coltivazione della pesca limonina. La collaborazione tra le pubbliche amministrazioni della città e la casa circondariale si è incrementata soprattutto negli ultimi anni: un gruppo di detenuti è occupato da tempo nei lavori di restauro delle antiche mura di Asti. Ed è di questi giorni uno scambio culturale tra i redattori del giornale "Gazzetta Dentro" e l’assessorato comunale competente con la pubblicazione di poesie scritte da detenuti. Amnistia: per Calderoli (Lega) e La Russa (An) è una vergogna
Agenzia Radicale, 5 aprile 2005
Ci si deve vergognare: il ministro per le Riforme, il leghista Roberto Calderoli giudica vergognoso "che si utilizzi un evento tragico come la morte del Santo Padre per rilanciare la proposta dell’amnistia". Calderoli ha le idee chiare, come Maria Antonietta, quella che mancando il pane, invitava a distribuire brioche. "Se c’è sovraffollamento nelle carceri", il rimedio è semplice: se ne costruiscano di nuove. Il ministro della Giustizia Roberto Castelli aggiunge un altro motivo per il no all’amnistia: per garantire la sicurezza dei cittadini. Nella sagra delle sciocchezze va segnalata anche l’affermazione del capogruppo dell’Udc alla Camera Luca Volonté: "Di amnistia non ha alcun senso parlare in questo momento", afferma perentorio; e guai anche a ricordare che Giovanni Paolo II in occasione della sua visita al Parlamento italiano chiese esplicitamente il varo di questo provvedimento: "Ridicolizzare in questo momento quel discorso con polemiche inutili e con un pagliaccesco digiuno", si legge nel resoconto fornito dall’ "Ansa", "ha il solo significato di violare la sofferenza e la preghiera dei cittadini italiani". Leggermente difforme il resoconto dell’ "AdN-Kronos": "Inutile pantomima messa in scena" da Pannella. È di cattivo gusto, per il vice-presidente di Alleanza Nazionale Ignazio La Russa, parlare oggi di amnistia: "Affrontare oggi la questione sembrerebbe come se ciascuno volesse tirare il Papa per la giacchetta"; e tuttavia "è necessario riparlarne". Se non fosse stato per i cattivi di gusto, a La Russa sarebbe mai venuto in mente di "riparlarne"? Rivela probabilmente più di quel che intendeva dire, il forzista Michele Saponara: "Pannella approfitta della situazione, ma indubbiamente il problema della concessione di un provvedimento di clemenza c’è. Io ero e resto dell’idea che un’amnistia sia necessaria, ma su questo la Casa della Libertà è stata divisa, con la Lega e An che hanno assunto una posizione assolutamente contraria…". Come si è visto è soprattutto la Lega, non nuova a posizioni belluine, ad assumere la posizione intransigente, e ad esercitare - come ha fatto altre volte - il diritto di veto. Questo fatto dovrebbe far riflettere gli altri partiti della Cdl e i loro leader. A quanto pare sono completamente proni ai diktat leghisti. Fino a quando? E perché? Intanto il presidente del Senato Marcello Pera, intervistato dalla "Radio Vaticana" sostiene che "un gesto di clemenza per i detenuti può risolvere parecchi problemi in Italia. Questo è uno dei casi in cui le richieste del Papa, la missione del Papa e il suo messaggio, non hanno avuto successo durante la sua vita; e questo potrebbe essere il caso del gesto di clemenza. Sta ora ai politici svegliarsi e comprendere che quel gesto di clemenza può risolvere parecchi problemi in Italia". Quanto all’iniziativa di Pannella, sono tanti a sostenere che sarebbe l’ennesima boutade del leader radicale per procurarsi "pubblicità", "visibilità". Trattano Pannella come considerano se stessi. Le loro sono affermazioni stupide e volgari. È evidente che "Radio Vaticana", decidendo di intervistare su questo tema, proprio in queste ore, la seconda massima carica dello Stato, ha inviato anche un "messaggio" esplicito, chiaro. I primi a coglierlo dovrebbero essere proprio quei politici che accolsero con uno scrosciante applauso le parole di Giovanni Paolo II sul gesto di clemenza; gli stessi politici che poi le hanno lasciate cadere nel nulla. Intanto, ce lo ricorda Pannella, le prescrizioni sono passate dalle 285mila del 2001, alle 375mila del 2004, alla faccia della sempre ribadita obbligatorietà dell’azione penale. Contemporaneamente dietro le sbarre si verificano, percentualmente il 19 per cento di suicidi in più di quelli che si verificano fuori. Questa, evidentemente, è la "sicurezza" del ministro Castelli. Padova: homeless, il limbo dimenticato di una folla di disperati
Il Gazzettino, 5 aprile 2005
Una notte. Piove, la prima serata di pioggia sulla città, dopo molto tempo; i senza fissa dimora che abitualmente abitano gli spazi aperti del centro "emigrano". Piazza Salvemini è deserta, solitamente il popolo della notte si dà appuntamento qui. C’è solo una coppia di tossicodipendenti che dorme dietro i palazzi di via Scrovegni. E gli altri? La "Casetta", ovvero la struttura allestita dal Comune di fronte al garage San Marco, sotto il cavalcavia della stazione, per arginare l’emergenza freddo di questo inverno, proprio in questi giorni, nei quali la temperatura è divenuta mite, ha chiuso le porte per la notte. Rimane aperta durante il giorno, dalle 15 alle 17, dando l’opportunità a chi vive sulla strada di farsi una doccia. "Arriviamo a dare la possibilità di un bagno ad un massimo di 14 persone al giorno - dice uno dei volontari dell’Associazione Famiglie di Padova contro l’emarginazione, che gestisce la struttura per conto del Comune - riusciamo a fornire un asciugamano, del sapone e uno shampoo; a volte anche schiuma da barba e un rasoio, per chi ne ha necessità". I luoghi di ritrovo degli "Invisibili", in città, cambiano, continuamente. I più fortunati trovano alloggio nei dormitori pubblici. Quello di via Rudena, gestito dalla Caritas, può ospitare sino a 12 posti letto, ed è aperto, però, solo per gli italiani che non risiedono a Padova. Al "Torresino", invece, vengono accolti sia italiani che stranieri, per un totale di 82 posti letto. La struttura è gestita dal Comune e i colloqui per la selezione degli ospiti vengono dedicati due mattine alla settimana per gli italiani, e altre due per gli stranieri. E gli altri? Attualmente sembra impossibile definire con esattezza il numero dei senza fissa dimora extracomunitari che vivono sotto il cielo della nostra città. La maggior parte di loro risiede dentro case abbandonate, sia in città, che in periferia, non rivelando mai il luogo dove sono ubicate. Molti hanno paura dei controlli della polizia, altri - semplicemente - non parlano per difendere il territorio, faticosamente "conquistato". E poi ci sono i tossicodipendenti. La droga è un grosso richiamo: per gli utenti, gli spacciatori e per i grossisti. Via Donghi, di fronte al piazzale degli autobus, di notte si trasforma in una specie di bazar in cui è possibile trovare dalla cocaina, all’eroina, sino al crack e alle altre sostanze sintetiche, a cominciare dall’ecstasy. "Qui a Padova - afferma Michela, una psicologa che lavora per l’Associazione Famiglie contro l’emarginazione - l’universo di chi vive per strada è rappresentato da una realtà violenta; una violenza che si rivolge, soprattutto, all’interno dello stesso mondo di chi vive per strada, più che verso l’esterno, ovvero i normali abitanti della città. Se ogni giorno dovessimo conteggiare le risse che accadono tra chi vive all’aperto, forse si dovrebbe stampare un altro quotidiano cittadino per darne notizia". Per i clochard che riescono a trovare un posto fisso per dormire, c’è anche il problema di salvaguardare quegli effetti personali che non possono portare con loro durante il giorno. Dietro le grate dei grandi ventilatori degli edifici bancari, allora, ecco che vengono nascoste soprattutto le coperte, in modo che non possano essere rubate. Per strada, di notte, si arriva a vedere la marginalità più grave, quella che non arriva nemmeno ai servizi sociali; un limbo dimenticato, dove errano diseredati che non trovano più risposte, perché non hanno più niente da chiedere. Matteo Bernardini Iraq: rivolta di detenuti nel carcere americano di Camp Bucca
Ansa, 5 aprile 2005
Una violenta rivolta è scoppiata il primo di aprile nel carcere iracheno di "Camp Bucca", gestito dai militari americani. Lo hanno ieri denunciato gli uomini del leader sciita Moqtada al-Sadr, secondo i quali i soldati hanno ripreso il controllo del centro di detenzione sparando con proiettili di gomma contro i prigionieri. Il comando Usa ha negato, ma la Croce Rossa Internazionale ieri sera ha confermato la notizia. Diversi detenuti sarebbero stati feriti dai soldati che cercavano di sedare la rivolta. Da quel giorno le condizioni di vita all’interno del carcere sarebbero notevolmente peggiorate. Ddl Meduri: l’amministrazione penitenziaria fuga i timori…
Redattore sociale, 5 aprile 2005
Ancora osservazioni sul disegno di legge Meduri ("Delega al Governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria"), vale a dire il ddl largamente contestato sia dall’Ordine nazionale degli assistenti sociali, sia dal volontariato penitenziario (vedi lanci del 16.03.2005 e del 24.03.2005). Ciò che tali soggetti contestavano al disegno di legge è la volontà di abolire il volontariato penitenziario; abolire i servizi sociali per le misure alternative alla detenzione (CSSA) che verranno sostituiti da Uffici di esecuzione penale esterna; abolire la Cassa per il soccorso e l’assistenza alle vittime del delitto. Affermano i 18 funzionari firmatari della nota: "È vero che la formulazione dell’art. 3 può ingenerare dubbi di interpretazione nella parte in cui il capo III del titolo II dell’Ordinamento Penitenziario sembra totalmente sostituito dal solo art. 72 con conseguente abolizione, tra l’altro, dell’art. 78 sul volontariato penitenziario. Tale ipotesi sarebbe certamente assurda ed inconcepibile, vista la validità della trentennale esperienza di collaborazione del volontariato con gli Istituti di pena e con i Centri di servizio sociale. Un’attenta lettura del testo e dei lavori parlamentari conferma però l’assenza di una simile intenzione, tanto è vero che anche la Commissione Giustizia, resasi conto del possibile equivoco generato da un’approssimativa formulazione del testo, ha richiesto sia precisato che la sostituzione proposta riguardi il solo art. 72, assicurando così di non voler toccare il volontariato". "Parimenti non esiste, a nostro avviso – continuano - , il pericolo che i Centri di Servizio Sociale (Cssa) vengano stravolti in quanto adesso organizzabili per regolamento. In realtà già adesso è previsto il rinvio al "regolamento", che finora si è inteso si trattasse del Regolamento d’esecuzione, ma anch’esso dice poco, e giustamente, sugli aspetti organizzativi. La riforma della pubblica amministrazione ha infatti da tempo sancito che le leggi e i d.p.r. fissino solo principi di carattere generale, e che gli aspetti organizzativi degli uffici siano precisati con regolamenti. Ed è bene che i Cssa non facciano eccezione, tanto più che oggi sono uffici complessi, con molteplici settori di intervento, che utilizzano metodologie specifiche, alcune anche nuove e non fissabili in una legge (es. lavoro per progetti, di rete, ecc...). La stessa previsione è da collegare anche all’abrogazione dell’obbligo di istituire i Cssa nelle sedi degli uffici di sorveglianza. Il nuovo art. 72 rende così possibile sia istituire i Centri non più, finalmente, secondo le circoscrizioni giudiziarie ma secondo l’articolazione territoriale degli enti locali e dei servizi, sia definire l’organizzazione in modo più aderente all’evoluzione delle politiche e delle metodologie di intervento sociali e penitenziarie, ed a vantaggio quindi di una minore rigidità e di una più strutturale integrazione nel territorio". "È stata poi contestata la previsione che gli uffici propongano all’autorità giudiziaria un programma di trattamento per i soggetti che chiedono una misura alternativa e poi ne controllino l’esecuzione – affermano i funzionari -. È questa, in realtà, l’ufficializzazione di una metodologia corretta e già largamente applicata, in quanto da anni si è sostenuta l’importanza che per ogni soggetto, dopo l’indagine e prima dell’avvio della misura alternativa, venga predisposta un’ipotesi di intervento individualizzato. Relativamente alle funzioni di controllo ed aiuto, esse non vengono toccate, come da qualcuno temuto, in quanto sono previste in altri articoli dell’ordinamento penitenziario, e il ddl precisa che gli uffici ‘svolgono ogni altra attività prevista dalla legge e dal regolamentò. Semmai può dirsi che, introducendo la novità del programma di trattamento, sembra si voglia sottolineare la sua centralità rispetto alle attuali prescrizioni, spesso standardizzate e di carattere restrittivo. L’esplicito richiamo al controllo del programma di trattamento è inoltre un utile contributo per il superamento dell’annosa questione della compatibilità tra aiuto e controllo, in quanto delimita chiaramente cosa debba essere controllato". La disamina dei funizionari dell’amministrazione penitenziaria continua, cercando di smontare considerazioni e preoccupazioni sorte su altri aspetti del ddl. "Non è poi vero che scomparirebbero gli interventi dei C.S.S.A. negli istituti di pena e quelli per il reinserimento dei sottoposti a misure di sicurezza non detentive, perché anche questi interventi sono assicurati dall’esplicito rinvio alla legge. L’art. 72 attuale, inoltre, richiama solo alcune e non tutte le competenze dei Cssa mentre le modifiche proposte aiutano a semplificare, in quanto precisano quanto non indicato altrove e rinviano per tutto il resto alla normativa in vigore. Per quanto attiene, inoltre, agli interventi per i detenuti, essi rientrano comunque nell’opera di consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario, esplicitamente precisata nell’articolo stesso". "Un punto delicato è infine quello del cambio del nome dei Cssa, ma anche qui la scelta appare condivisibile per più motivi. Prima di tutto perché il nome di tutti gli uffici e servizi (per es. Ser.T.) richiama, seppure non compiutamente, la funzione principale (e non la figura professionale che vi lavora), ed è un bene che ciò sia anche per i Centri. È, poi, naturale che i C.S.S.A., uffici statali periferici, abbiano un nome che richiami quello dei livelli superiori, gli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna dei Provveditorati regionali e la Direzione generale Esecuzione Penale Esterna del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. L’attuale nome è, inoltre, eccessivamente generico, tanto che, nonostante 30 anni di esistenza, gli operatori dei Cssa devono molto spesso dilungarsi in spiegazioni prima che gli altri capiscano dove si lavori e cosa si faccia. Centro Servizio Sociale Adulti, infatti, non dice nulla che possa far pensare ad un ufficio della Giustizia o alle misure alternative, mentre più frequentemente viene scambiato per un centro sociale, per un luogo di generica assistenza, per qualcosa di indefinito per gli anziani o addirittura per soli adulti. Infine c’è da dire che la volontà di modificare il nome dei Centri non è collocabile politicamente, visto, tra l’altro, che è stato l’ex Ministro della Giustizia Fassino a istituire la Direzione Generale Esecuzione Penale Esterna ed a impegnarsi per primo per un analogo mutamento del nome dei Cssa". "Siamo pertanto certi – concludono - che non ci sia da temere da questo disegno di legge, in quanto non contiene nulla che possa riportare indietro la cultura della pena, o che possa trasformare in negativo i Centri, che, al contrario, potrebbero semmai aver riconosciuta meglio la loro specificità, proseguendo un cammino già avviato nella stessa direzione nel corso della legislatura precedente. È per tali motivi che, a coloro che in quest’occasione hanno manifestato i loro timori, rivolgiamo sia un ringraziamento per la sensibilità dimostrata, sia l’invito a concentrare insieme l’attenzione su altri disegni di legge che minacciano, quelli sì, di svuotare di senso i Cssa e l’esecuzione penale esterna, tentando di assolutizzare, alcuni le funzioni di controllo (assegnandole a soggetti esterni ai Centri), ed altri la funzione rieducativa, quando invece oggi è più che mai necessario rilanciare, insieme al ruolo dei Cssa il valore delle misure alternative, che è dato proprio dalla positiva integrazione tra funzione retributiva e funzione rieducativa (e, oggi sempre più spesso, anche riparativa)". Il documento è firmato da: Salvatore Nasca, Luisa Cappa, Anna Maria De Gruttola, Roberto Grippo, Elena Paradiso, Antonietta Pedrinazzi, Paola Tarsitano, Emilio Molinari, Angela Spinazzola, Domenico Paonessa, Rita Crobu, Rosaria Furlotti, Caterina Caldarola, Luisa Gandini, Pina Carbone, Antonio Nastasio, Vincenzo Petralla, Marinella Riccioli. Agrigento: Via Crucis musicale per i reclusi di Sciacca
La Sicilia, 5 aprile 2005
Oltre 35 giovani hanno portato tra le celle e nell’ampio salone dell’ex convento la "Via Crucis vivente", opera scritta e musicata da Benedetto Sortino per la regia di Giuseppe Castelli. È successo nella casa circondariale di Sciacca dove sabato pomeriggio le comunità parrocchiali di San Francesco e di San Nicola, l’amministrazione comunale riberese e il comitato di Pasqua hanno rappresentato per gli ottantacinque reclusi uno spettacolo di circa due ore sulla vita e passione di Gesù Cristo. Un modo come un altro per ricordare l’ormai prossima ricorrenza, sicuramente il migliore per chi non ha la possibilità di assistere serenamente a cerimonie religiose. Il direttore Fabio Prestopino e il comandante Antonino Ingraudo hanno accolto con entusiasmo l’iniziativa che, alla presenza del sindaco di Sciacca Cucchiara, dell’assessore Bono, degli assessori riberesi Schifano e Tramuta, degli arcipreti Tortorici e Barone e del senatore Ruvolo, è stata molto gradita dai carcerati che hanno ascoltato in religioso silenzio, applaudendo e ringraziando alla fine il gruppo religioso riberese che ha promesso di portare in scena al carcere, prossimamente, qualche commedia musicale. Il direttore Prestopino e un recluso, salendo sul palco hanno detto: "È un gesto di sollievo per i detenuti. La gente è vicina ai reclusi. La solidarietà si tocca con mano". Questi i giovani riberesi impegnati: Vincenzo Triolo, Giuseppe Ferraro, Giuseppe Colletti, Giovanni Di Gaetani, Giovanni, Pierpaolo ed Emanuele Gagliano, Calogero, Liliana e Maria Rita Smeraglia, Gianmarco Castelli, Sebastiano, Angelo, Giovanna e Michele Cocchiara, Paolo Bruno, Sina Faragone, Ramashanty Cappello, Giuseppe, Maria e Nina Rizzuto, Alessandro Amodei, Calogero e Fabio Gambino, Giuseppina Tacci, Giuseppa e Claudia Di Grado, Antonella Iovino, Vita Verde, Maria Carmela Provenzano, Anna Puma, Emanuele Clemente, Emily Ombrello, Michele Pennica. Come detto l’iniziativa ha riscosso notevole successo e si spera al più presto di ripetere l’esperienza che ha un valore sociale per il recupero di tante persone che non sono riuscite ad avere molto dalla vita e dalla società. Anche attraverso queste iniziative si spera in un recupero. Ecco perché fin dal primo momento il direttore della casa circondariale ha accolto con entusiasmo l’idea. Gli applausi a conclusione della rappresentazione hanno dimostrato che la strada scelta era giusta. Enzo Minio Enna: detenuti allietati per due ore da "Jesus Christ Superstar"
La Sicilia, 5 aprile 2005
Il coro "Mater Ecclesiae" ha cantato ieri mattina per i detenuti. Nella casa circondariale è stato presentato, infatti, il musical "Jesus Christ Superstar", messo in scena dall’associazione "ArteMusia". La manifestazione si è svolta tra l’entusiasmo dei detenuti, che hanno assistito alla rappresentazione della vita di Gesù, mostrando grande interesse e partecipazione. Prima della recita, è stato il parroco della "Mater Ecclesiae", padre Angelo, a porgere i suoi saluti ai presenti e a ringraziare chi ha permesso la realizzazione di questo spettacolo durato circa due ore; anche il direttore della casa circondariale, Letizia Bellelli, ha voluto esprimere il proprio compiacimento per lo spettacolo messo in scena, una rappresentazione che già da tempo lei conosceva e che ieri ha ulteriormente ammirato. Un riconoscimento va dato anche a coloro che hanno contribuito affinché tutto andasse per il verso giusto, cioè gli agenti della Polizia penitenziaria, la cui disponibilità è stata sempre tanta, ma anche l’educatrice Micciché, il prof. Mario Messina, che ha collaborato per l’utilizzo dell’amplificazione sonora e il cappellano don Giacomo Zangara. Padre Angelo, nel suo intervento finale, ha voluto ricordare il momento particolare che sta attraversando la Chiesa e ha rivolto, insieme ai detenuti, una preghiera particolare per il Pontefice. Hanno rappresentato il musical e hanno ricevuto gli applausi dei presenti: Gaetano Fontanazza, M. Grazia Malara, Agata Savoca, Guglielmo Ingrà, Luigi Milazzo, Angelo Di Mattia, Riccardo Perricone, Fabio Pedone, Daniela Cuci, Viviana Comito, Maria Tilaro, Manuela Pedone, Donatella Savoca, Cristina De Maria, Tiziana Di Mattia e Adele Vitale. William Savoca Gran Bretagna: calciatore condannato con cavigliera elettronica
La Provincia di Sondrio, 5 aprile 2005
La Premier League ha accolto il primo "calciatore-galeotto": Jermaine Pennant, giovane centrocampista del Birmingham, ha giocato contro il Tottenham con il braccialetto di sicurezza applicatogli alla caviglia sinistra. Il calciatore, 22 anni, era stato acquistato dall’Arsenal nel 1999, per un milione e mezzo di sterline, somma record per un quindicenne, dal Notts County. Pennant era stato condannato a 3 mesi di carcere per guida in stato d’ebbrezza. Dopo aver scontato un mese in cella, il 31 marzo è uscito dal carcere dopo avere scontato un terzo della pena, ma con l’obbligo di portare un braccialetto elettronico, come accade per tutti i casi del genere, in Inghilterra. Il braccialetto permette alla polizia di verificare in tempo reale dove si trova il calciatore. Abbiamo cercato di immaginare cosa sarebbe accaduto in Italia se un calciatore fosse stato obbligato a portare il braccialetto "anti-fuga". Sicuramente sarebbe scoppiata una rivoluzione mediatica, con decine di dibattiti in televisione e centinaia di articoli sui giornali. Con dure prese di posizioni politiche. Alla fine, ne siamo quasi certi, avrebbe vinto il fronte della tutela del "povero calciatore", criminalizzato davanti a tutti per aver bevuto soltanto qualche birra di troppo. Ma la lezione inglese deve far riflettere: chi sbaglia paga, anche se sei un personaggio famoso, un calciatore emergente o affermato. Proprio come in Italia. Genova: primo monumento ai caduti della polizia penitenziaria
Agi, 5 aprile 2005
"Oggi è stata una giornata davvero importante, e il destino ha voluto che al pubblico ricordo - fortemente voluto dal Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria - dei Caduti del Corpo di Polizia Penitenziaria, con l’intitolazione di una stele commemorativa nel piazzale degli Eroi del cimitero di Genova Staglieno, si sia associato anche quello dell’Istituzione penitenziaria per la scomparsa del Santo Padre Giovanni Paolo II". Lo ha detto Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato autonomo Polizia Penitenziaria questa mattina alla presenza delle autorità civili, militari e religiose della città e della Liguria. "Adesso la memoria di quanti hanno immolato la propria vita a difesa dello Stato indossando la gloriosa divisa dei Baschi Azzurri, nonché quella dei parenti e familiari delle vittime, è davvero onorata come si deve. E mi auguro - ha proseguito Martinelli - che saranno molti i genovesi che martedì mattina vorranno presenziare a questa cerimonia, portando un fiore ai nostri Caduti". "Il monumento c’è perché lo ha voluto fortemente il Sappe. Quello di Staglieno è il primo cimitero in Italia ad ospitare un Monumento in memoria dei Caduti della Polizia Penitenziaria. Tutto ebbe origine, nel 1998, da una mia richiesta al sindaco di Genova Pericu: in quel cimitero si ricordavano tutti i Caduti delle Forze di Polizia e delle Forze Armata. Mancava una stele commemorativa dei Caduti della Polizia Penitenziaria - conclude il segretario Martinelli - perché nessuno aveva mai fatto espressa richiesta al Comune. L’amministrazione comunale acconsentì allora a destinare uno spazio nel piazzale degli Eroi del Cimitero di Staglieno per la costruzione di un nostro Monumento". Napoli: il detenuto Umberto Galasso morirà tra pochi giorni…
Il Manifesto, 5 aprile 2005
Umberto Galasso, 34 chili per un metro e ottanta centimetri di altezza, detenuto da dieci anni nel carcere di Poggioreale a Napoli, "potrebbe morire da un momento all’altro". A lanciare l’allarme è il suo avvocato Vittorio Trupiano, che lancia anche un appello perché almeno in questo momento qualche rappresentante politico locale o nazionale si interessi a lui e si decida a visitarlo: "È un appello rivolto a tutti. Se fossero intervenuti prima avrebbero potuto salvarlo, ora chiedo solo che si decidano a visitarlo per lui". La moglie di Galasso ha chiesto più volte che l’uomo condannato a trent’anni per omicidio, potesse curarsi a casa. Nel 2003 riuscì anche ad ottenere di uscire dal carcere. Poi, a dicembre scorso, il tribunale ha fatto dietrofront. Droghe: Castelli e il mercato della cura coatta, di Luigi Manconi
L’Unità, 5 aprile 2005
Si inaugura ufficialmente, in Italia, il mercato della cura coatta: si inaugura, cioè, la nuova struttura di Castelfranco Emilia per il recupero di detenuti tossicodipendenti "condannati a pene detentive che non permettono l’assegnazione alla comunità", secondo le parole del Guardasigilli, Roberto Castelli. Sarà una struttura "a custodia attenuata", gestita insieme (non si sa ancora con quale ripartizione di ruoli e competenze) dal pubblico e dal privato: nella fattispecie, dal ministero della Giustizia e da quella holding dell’assistenza che è San Patrignano: un modello di intervento e recupero che risulta in perfetta sintonia con le politiche del centrodestra in materia di tossicodipendenze. Sulla natura di questo centro, a oggi, non si sa molto di più di quanto appena riportato. Il progetto parte da lontano: nel 2001 fu Carlo Giovanardi, ministro dei rapporti con il Parlamento, a gettarne le basi, di concerto con Andrea Muccioli, figlio del fondatore di S. Patrignano e oggi, a sua volta, a capo della comunità più famosa d’Italia. Nel frattempo, il disegno comincia a realizzarsi (al costo di 8 milioni di euro), grazie alla ristrutturazione dell’ex casa lavoro di Forte Urbano (carcere per oppositori politici durante il fascismo) e nella prospettiva di un protocollo d’intesa tra ministero della Giustizia e regione Emilia Romagna. Da domani, questo centro di "reclusione e recupero" sarà (dovrebbe essere) un’azienda agricola di 23 ettari; e vi saranno (dovrebbero esservi) impiegati detenuti "selezionati" attraverso i tribunali di sorveglianza e con l’avallo delle direzioni delle carceri. Quanto all’aspetto riabilitativo e terapeutico, la legge stabilisce che le regole debbano essere quelle già valide per il sistema penitenziario: e che, quindi, il trattamento del tossicodipendente spetti ai Sert. Qui si addensano le maggiori ambiguità: perché il governo ha annunciato che si tratterà di "una nuova esperienza" e perché fu lo stesso Muccioli, nel 2001, a dichiarare: "Non accetteremo situazioni pasticciate, non avalleremo scelte in contrasto con i nostri principi. Tanto per intenderci, non si uscirà da Castelfranco per finire imbottiti di metadone in qualche, si fa per dire, struttura di recupero. Occorrerà, secondo noi, formare le guardie penitenziarie che avranno un ruolo di educazione e non solo di contenimento". Vediamo, dunque, di fare chiarezza. Il progetto del carcere per tossicodipendenti di Castelfranco non può essere inteso in tutto il suo significato, se non alla luce della strategia complessiva del governo Berlusconi in materia di tossicodipendenze: strategia della quale, questo centro, rappresenta una importante esemplificazione operativa e, insieme, una sperimentazione per il futuro. La logica che presiede all’avvio di una simile struttura è la stessa che penalizza ogni forma di consumo di stupefacenti. La stessa, cioè, che qualifica come "reato penale" l’assunzione di sostanze, senza distinzione alcuna tra quelle "leggere" e quelle "pesanti". A fronte della sanzione penale prevista per questo consumo, la legge promossa da Gianfranco Fini prevede la possibilità di sottrarsi alla detenzione, accettando, in alternativa al carcere, un percorso terapeutico di disintossicazione. A partire da qui, le contraddizioni di questo disegno di legge, dell’impianto giuridico che lo sorregge e della cultura che lo ispira, si fanno stridenti. Da quale tipo di "dipendenza" può mai essere curato, infatti, un (occasionale o non) consumatore di cannabis, se la sostanza che assume - nella stragrande maggioranza dei casi e delle situazioni - non ne causa alcuna? È possibile, in altre parole, che chi viene sorpreso a fumare una "canna" possa, per questo, finire (oltre che in carcere) a piantare patate in un’azienda-penitenziario in Emilia Romagna, al fine di una cura disintossicante? Si badi: qui non si intende affrontare il merito "politico" della questione. Su quello noi (e molti altri) ci siamo espressi, segnalando il grave arretramento degli standard di garantismo del nostro ordinamento, derivato dalla penalizzazione del semplice consumo di stupefacenti. Qui si vuole dire, piuttosto, che il principio secondo il quale all’assunzione di droghe deve corrispondere una condizione coatta (di pena e/o di cura) non regge sul piano scientifico: in primo luogo, per la mancata distinzione tra le diverse sostanze, la loro composizione, i loro effetti (oltre che per il mancato riconoscimento del fatto che esistono consumatori occasionali di droghe "pesanti" che non accusano alcuna dipendenza). Inoltre, la casa di reclusione di Castelfranco sarà, in Italia, la prima struttura detentiva affidata alla gestione di un soggetto privato. E su questo c’è moltissimo da dire. Innanzitutto, non risulta chiara la forma della coabitazione tra sanità pubblica e peculiare (e controversa) metodologia terapeutica di San Patrignano. E, poi, c’è un discorso più generale. Se i modelli di riferimento sono le imprese che negli Stati Uniti, come in Inghilterra o in Australia, hanno in appalto molti istituti o l’intero sistema penitenziario, allora c’è di che essere preoccupati: i casi documentati e accertati (e talvolta sanzionati) di sistematica violazione dei diritti dei detenuti si sprecano; e la detenzione va smarrendo (o ha già smarrito) ogni carattere anche minimamente riabilitativo, per ridursi a mera strategia di esclusione e di neutralizzazione. Nel caso italiano - si obietterà - a gestire Castelfranco non sarà un’impresa, ma una comunità terapeutica con decenni d’esperienza. Ma, anche a voler trascurare il carattere "industriale" di quell’esperienza, è il modello di "solidarismo autoritario" praticato a San Patrignano che inquieta. Nell’esperienza avviata da Vincenzo Muccioli si intrecciano punizione "a fin di bene" e paternalismo istituzionale, pedagogia coercitiva e disciplina familistica, autoritarismo e controllo sociale. La "solidarietà" verso il tossicomane si traduce in un meccanismo di interdizione-costrizione (che a Castelfranco, in un carcere, troverà piena realizzazione): perché - è questo il punto - il presupposto dal quale muove quell’approccio terapeutico è che il tossicomane sia un individuo incapace di intendere e di volere, di cui si può perseguire la "salvezza" anche senza il suo consenso e contro il suo consenso; e che, dunque, la sola strategia efficace sia quella che surroga la volontà del tossicomane, ne inibisce la residua autonomia, ne assume la piena potestà. Quale coabitazione sarà possibile, allora, tra gli operatori di San Patrignano e quelli dei Sert, che pure, a termini di legge, dovranno essere presenti a Castelfranco? La strategia della "riduzione del danno", in base alla quale questi ultimi potrebbero operare, parte da una premessa esattamente opposta: ovvero dall’idea che nel tossicomane sopravviva sempre una qualche capacità di autonomia e di scelta (poca o molta che sia). Da qui dovrebbe derivare una terapia che ha come primo obiettivo quello di tutelare e incentivare le risorse di indipendenza e di "libero arbitrio" (poche o molte che siano) che ancora resistono. Risorse che la natura stessa di un istituto come quello di Castelfranco tende ad annullare: o, comunque, a svalutare. Da molti anni, la destra politica tenta di privilegiare la strategia riassumibile nell’esperienza di San Patrignano, al fine di renderla egemone tra le metodiche adottate dall’intervento pubblico. Sotto il profilo scientifico si tratta di una vera sciagura. E lo sarà da domani, con molta probabilità, anche da un punto di vista degli effetti sociali e culturali: perché San Patrignano e Castelfranco rappresentano quel "solidarismo autoritario" che è senso comune e modello pedagogico-terapeutico della destra italiana e di parte del suo elettorato. E sarà "cura coatta", dunque, anche per chi non vuole o non ha necessità di essere curato; sarà "detenzione privata", in barba al fatto che è pubblico - e inalienabile funzione dello Stato - quel diritto che sanziona e decide la reclusione; e sarà "mercato", tutto ciò, se quel centro, come annunciano i vari giovanardi, dovesse diventare modello per la cura delle dipendenze (vere o inventate). Dio ce ne scampi e liberi. Papa: Agca ha chiesto il permesso di partecipare ai funerali
Ansa, 5 aprile 2005
Mehmet Ali Agca, che tentò di uccidere Giovanni Paolo II nel 1981, ha chiesto il permesso di poter partecipare ai funerali del Papa. Lo ha reso noto l’avvocato di Agca, precisando che al ministero della giustizia turco è stata depositata una richiesta affinché Agca, dal momento che in carcere ha dato prova di buona condotta, possa beneficiare di una disposizione di legge che autorizza i detenuti a lasciare la propria prigione una volta all’ anno. Ripensiamo a quel gesto di clemenza chiesto dal Papa di Andrea Ferrari, volontario del carcere di Lodi
Il Cittadino, 5 aprile 2005
Il 14 novembre 2002 è stata una giornata storica in Italia. Il Santo Padre Giovanni Paolo II visita il Parlamento Italiano. Un discorso sui temi attuali e drammatici della nostra società, senza sconti per nessuno, richiamando ognuno, politici e non, al proprio dovere, alla propria coerenza.Una parte attesa e importante del suo discorso ha riguardato il tema della solidarietà e dell’attenzione ai più deboli, agli ultimi. Una solidarietà che "non può non contare soprattutto sulla costante sollecitudine delle pubbliche Istituzioni. In questa prospettiva, e senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l’impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società" Tanti politici hanno riempito pagine di giornali, hanno concesso interviste televisive sottolineando la correttezza delle parole del Santo Padre, facendo proprie molte delle sue parole. Faceva comodo. Era di moda. Nelle carceri italiane molti detenuti si sono illusi, hanno pensato che davvero la società voleva provare a reinvistere su chi aveva sbagliato. La politica, a destra ma anche, in parte, a sinistra, dopo una estenuante discussione ha partorito un "topolino", ovvero l’indultino. Questo provvedimento non ha risolto alcun problema di sovraffollamento ma specialmente non ha recepito il senso delle parole del Papa. Nelle carceri italiane in quel periodo sono aumentati in maniera drastica i suicidi tra i detenuti. Cittadini - detenuti che si erano illusi, che avevano creduto che le parole avessero davvero un senso e che questa volta anche per loro ci sarebbe stata una possibilità di ripartire. Giappone: dopo 33 anni di carcere un nuovo processo
Ansa, 5 aprile 2005
È rimasto nel braccio delle morte per 33 anni in attesa di impiccagione ma oggi per Masaru Okunishi, 79 anni, si è riaperta la speranza. La corte suprema ha ordinato il rifacimento del processo per "manifesta inconsistenza delle prove e non credibilità della confessione" del condannato, forse estorta. Okunishi è il 5/o giapponese nel dopoguerra a vedersi riconosciuta la sentenza di rifacimento del processo. I quattro precedenti hanno visto l’assoluzione degli imputati con formula piena. Ue: ministri discutono di aspetti sociali della giustizia penale
Agi, 5 aprile 2005
I ministri della Giustizia degli Stati membri del Consiglio d’Europa si riuniranno giovedì e venerdì a Helsinki per discutere della dimensione sociale della giustizia penale. La presidente della Finlandia, Tarja Halonen, farà gli onori di casa di queste giornate di dibattito, che saranno introdotte dal vice segretario generale del Consiglio d’Europa, Maud de Boer Buquicchio. Ai lavori parteciperà anche il vice presidente della Commissione europea e commissario per Giustizia, Libertà e Sicurezza, Franco Frattini. L’agenda prevede discussioni su lotta contro il terrorismo, soluzioni giuridiche al problema del sovra indebitamento a livello nazionale ed europeo, stato dei lavori sull’aggiornamento delle regole penitenziarie europee e fattibilità di una carta penitenziaria europea. Firenze: mescolarsi al territorio, oltre le mura del carcere
Redattore Sociale, 5 aprile 2005
Alla "Casa del Drago" di Montelupo Fiorentino (Fi) si lavora alacremente dal giugno scorso. Si trova poco lontano dalla sede dell’Opg (ospedale psichiatrico giudiziario) il Centro sociale realizzato con finanziamenti Cesvot (nell’ambito di Percorsi di Innovazione 2003), promosso e gestito da Arci Empolese Valdelsa, Opg e comune di Montelupo. Un gruppo di circa 15 persone, su un totale di circa 100 pazienti ricoverati in Opg, è coinvolto attivamente in molte attività che trovano spazio al Centro secondo un ricco e preciso programma settimanale. La Casa del Drago è dunque un punto di riferimento, un luogo importante in cui c’è spazio per laboratori, incontri, momenti ricreativi, culturali e di socializzazione. "Il Centro è nato sulla scia del percorso avviato con il progetto "Muro Fiume" - spiega Marilena Cioni, educatrice professionale presso l’Opg -, un’iniziativa di rilievo con cui abbiamo cercato di comunicare la realtà dell’ospedale psichiatrico, l’esigenza di tutelare i diritti e la dignità di chi la vive accompagnando con la massima attenzione il percorso di reclusione di ciascuno". Durante il laboratorio "Il carnevale dei draghi" i pazienti hanno l’opportunità di utilizzare cartapesta, creta, tempere, materiali vari, e di veder realizzato qualcosa di concreto e tangibile. C’è anche "Il drago siamo noi", laboratorio di scrittura creativa - occasione preziosa per stimolare la capacità di esprimere pensieri, emozioni, ricordi - e l’appuntamento con il teatro. Gli ospiti del Centro stanno lavorando alla produzione di un testo per ragazzi e sono coinvolti anche in un laboratorio di burattini. "Ogni attività è coordinata e gestita alla presenza di un operatore tecnico e di un educatore professionale - precisa Cioni -. L’obiettivo vero è allontanare la distanza tra le mura dell’ospedale e il territorio, rendere visibile e accessibile alla comunità quello che i pazienti realizzano, comunicare ed interagire quanto più possibile con l’esterno". Al termine di ogni attività alla sera tutti si ritrovano alla "cena comune", che diventa occasione di socializzazione spontanea, momento aperto anche a coloro che abbiano visitato e condiviso l’esperienza del Centro sociale. Il giovedì e il venerdì c’è spazio anche per il gruppo dei "Ritrovati", che accoglie pazienti che hanno alle spalle un’esperienza più approfondita di integrazione con il territorio, che hanno quindi acquisito maggiore autonomia, capacità produttiva e organizzativa. L’Opg ospita persone con situazioni umane diverse e di varia gravità. Il gruppo di educatori ed operatori sceglie coloro che appaiono pronti ad affrontare le attività e una sperimentazione all’esterno. I pazienti possono uscire utilizzando i benefici derivanti dai permessi orari o dalla semilibertà. "L’esperienza del Centro è fondamentale - aggiunge Cioni - aiuta i pazienti a trovare un proprio ritmo di vita, a portare avanti la strada verso una maggiore autonomia. Dai laboratori di scrittura vorremmo nascessero delle pubblicazioni, l’obiettivo del laboratorio teatrale è mettere in scena rappresentazioni. Con la stessa logica andiamo avanti su tutte le attività, cercando di portarle fuori". La prospettiva è che il Centro possa continuare la sua attività attraverso i finanziamenti del Piano zonale di assistenza sociale, insieme al contributo dell’Opg, del comune di Montelupo e dell’Arci Empolese Valdelsa. Contatti, informazioni e approfondimenti sulle attività all’indirizzo www.opgmontelupo.it. (sm)
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