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Porto Azzurro: trovata l’arma del delitto, è un taglierino
Gazzetta del Sud, 25 agosto 2005
Potrebbe essere vicina la svolta per risolvere il giallo dell’omicidio di Porto Azzurro. Gli inquirenti hanno trovato l’arma con cui è stato ucciso Alberico Somma, il detenuto di 47 anni, sgozzato nella sua cella avantieri pomeriggio: è un taglierino artigianale con manico in plastica dura e un lama di circa quattro centimetri che era stato gettato in un bidone dell’immondizia in un’area comune del carcere vicino alla cella della vittima. Su quell’arma rudimentale potrebbero esserci le risposte che cercano gli investigatori, a cominciare dall’autore del delitto. Sul taglierino ci sono impronte digitali e i carabinieri del reparto di investigazioni scientifiche sperano di trovarci anche quelle dell’assassino. La giornata di ieri è stata caratterizzata dagli interrogatori: in molti, secondo gli inquirenti, hanno probabilmente assistito al delitto, ma nessuno ha parlato e le risposte fornite sono sempre state piuttosto generiche. L’attenzione dei carabinieri si concentra soprattutto su una trentina di detenuti che occupano le celle della stessa sezione di Somma. Poco chiaro il movente, anche se l’ipotesi che si fa strada è quella di un banale litigio finito male. Anzi, gli inquirenti sono proprio convinti che Somma e il suo killer siano due sbandati che potrebbero aver avuto un violento alterco per futili motivi, magari legati al fatto che la vittima era dedita al bere e potrebbe in qualche caso aver infastidito qualcuno con il quale si è accesa una discussione sfociata nella coltellata alla gola, poi risultata mortale. Il cadavere del detenuto salernitano è già stato trasferito all’Istituto di medicina legale di Pisa dove domani il medico Alessandro Bassi Luciani dovrebbe effettuare l’autopsia. La morte di Somma sarebbe avvenuta intorno alle 17, circa mezz’ora prima del ritrovamento del corpo da parte della polizia penitenziaria. Somma era detenuto a Porto Azzurro dal 2001, dove doveva scontare una pena a 26 anni di reclusione per il duplice omicidio di moglie e figlio undicenne. Il salernitano, trasferitosi ad Asti dove faceva il muratore, nel dicembre del ‘95 uccise i parenti con il suo fucile da caccia in preda a un raptus di gelosia. Il piccolo Stefano rimase colpito perché tentò di proteggere la madre. Alla strage scampò, invece, la figlia quattordicenne della coppia che non si trovava in casa. Subito dopo Somma rivolse l’arma contro se stesso e fece fuoco, ma nonostante le gravi ferite riportate guarì dopo tre mesi. I giudici che lo hanno condannato gli hanno riconosciuto la seminfermità mentale e condannato a scontare, dopo il carcere, altri tre anni in una clinica psichiatrica. Direttore della casa di reclusione elbana è Carlo Mazzerbo, alla guida del carcere da pochi mesi dopo essere stato trasferito dalla colonia penale di Gorgona, dove un anno e mezzo fa avvennero nel giro di poche settimane due omicidi di detenuti, entrambi risolti. Lodi: la speranza dei detenuti inizia dall'Associazione "Il Bivacco"
Il Cittadino, 25 agosto 2005
Accoglienza e lavoro: sono questi gli ingredienti che da ormai 16 anni contraddistinguono "Il Bivacco", organizzazione di volontariato con una quindicina di soci operativi sita a Melegnano in via Castellini. Dal 1989 l’associazione si adopera per la risocializzazione dei detenuti nelle carceri del nord ovest e delle isole, da Opera a Bollate passando per Vigevano e Pavia, sino a Mamone e Sulmona: scopo, lo sviluppo dei contatti tra comunità carceraria e società libera. E la storia del Bivacco è scandita da numerose tappe e innumerevoli iniziative: ecco allora che nel corso degli anni al nucleo originario si sono via via aggiunte la cooperativa sociale Il Bivacco Servizi, che si occupa delle attività di accompagnamento e di tutoring, e la cooperativa sociale Soligraf, impegnata nel reinserimento lavorativo all’interno del carcere di Opera attraverso la realizzazione di opere in pietra, laboratori, nonché di lavorazione di vetro e ferro. Del resto, quattro sono le aree verso cui i volontari paiono maggiormente orientati: le attività all’interno e all’esterno delle carceri, i corsi di formazione per l’équipe degli educatori, le azioni di sensibilizzazione su tutto il territorio, che prevedono la testimonianza diretta all’interno del mondo scolastico locale, e infine le iniziative programmate per i minorenni. Ebbene, negli ultimi anni l’attività de Il Bivacco ha ampliato ulteriormente il proprio raggio d’azione. Nel 2002, ad esempio, l’associazione ha presentato alla regione il piano "La mediazione culturale in carcere", con la possibilità offerta ad alcuni detenuti di acquisire competenze specifiche nell’ambito della mediazione. Ancora, in collaborazione con l’Ai.Bi. (Amici dei Bambini) di Melegnano e completando un progetto dell’Asl, nel 2003 Il Bivacco ha avviato l’iniziativa "Papà è via per lavoro", percorso sperimentale di sostegno a genitori detenuti e figli nelle relazioni familiari. Ma il vero punto di forza dell’organizzazione rimane la casa di accoglienza di via Castellini: costituita da tre monolocali, durante i permessi premio è destinata ad ospitare tutti quei detenuti sprovvisti di altra adeguata dimora. E in attesa di ricominciare finalmente una nuova vita. Sassari: troppi detenuti, organici scarsi e un forte degrado
La Nuova Sardegna, 25 agosto 2005
Da qualche giorno il medico incaricato è in malattia e il dirigente sanitario è in ferie. Per i detenuti significa salutare - almeno fino a nuove disposizioni - la possibilità di ottenere una impegnativa per le visite specialistiche. È la regola: se anche gli specialisti convenzionati ci sono, e vengono considerati validi, per arrivarci occorre sempre la prescrizione del medico incaricato. È solo una delle difficoltà che vengono denunciate quotidianamente dai detenuti di San Sebastiano. "È una situazione critica": Roberto Pichedda, segretario regionale della Uil-penitenziari sintetizza così quanto accade nella struttura carceraria che l’eurodeputato radicale Gianfranco Dell’Alba aveva chiesto di "chiudere immediatamente". Una richiesta avanzata nel giugno di due anni fa al ministro della Giustizia e mai presa in considerazione. In attesa del nuovo carcere che - se tutto va per il meglio - potrebbe essere pronto fra sei o sette anni, non ci sono alternative. San Sebastiano, quindi, resta. Con tutti i suoi problemi che hanno origine, in larga misura, dal fatto che la struttura è stata costruita intorno al 1800 (era certamente più accogliente allora che oggi). Più volte è stato denunciato che, nonostante le buone intenzioni, i parametri per le condizioni di detenzione non possono essere rispettati, così come risulta praticamente impossibile migliorare il sistema elettrico, quello informatico, il riscaldamento, le docce. Per non parlare dell’ambiente complessivo dove, troppo spesso, nonostante le ripetute disinfestazioni, si affacciano grossi topi. È quasi superfluo ricordare che il carcere di San Sebastiano non è certo il fiore all’occhiello della detenzione italiana. Le esagerazioni non contano e, allora, è anche giusto dire che chi dirige la struttura penitenziaria compie miracoli quotidiani per evitare che la situazione possa degenerare. Eppure il rischio c’è e, in certi periodi dell’anno (come la stagione estiva), si viaggia in condizione di allarme rosso. "È tutta una catena. Da oltre un anno abbiamo denunciato ai vari livelli, incontrando anche il prefetto, la cronica carenza di personale - sottolinea Roberto Pichedda - ma non abbiamo ottenuto risposte. Nell’ultimo periodo c’è stato il trasferimento di personale (una decina di unità) ad Alghero e sono aumentati i piantonamenti in ospedale. Così la situazione è ulteriormente peggiorata. Avevamo richiesto al Dipartimento di rivedere la pianta organica per la Sardegna, ma non c’è stato niente da fare". Capienza prevista 192 posti, potenzialità tollerabile 252: San Sebastiano viaggia sempre a livelli massimi (circa 260 ospiti). Quasi la metà dei detenuti è tossicodipendente, almeno un quinto soffre di disturbi psichiatrici. Attività ricreative poche: "Stiamo quasi tutto il giorno a guardare le pareti", racconta un detenuto che potrebbe accedere alle strutture sociali disponibili nell’istituto. "Sono gli effetti della catena, - conferma Pichedda - se gli organici della polizia penitenziaria sono insufficienti, si bloccano i servizi. È inevitabile". Così crescono malumori, tensioni e disperazione. I detenuti stanno male, anche le guardie. San Sebastiano torna a essere un carcere dove si respira la tensione. Sassari: lettera da un detenuto "qui dentro non si vive più"
La Nuova Sardegna, 25 agosto 2005
Da due mesi chiedo di essere ascoltato dagli assistenti sociali, compilo la domandina ma non so che fine faccia. La mia richiesta nasce da motivi molto gravi, perché mia figlia è ammalata e vorrei tanto dei consigli su come fare. La bambina, infatti, necessita di un ricovero di due settimane all’ospedale Brotzu di Cagliari per essere seguita dagli specialisti. Nonostante ciò, non riesco a farmi ascoltare. Profitto dell’occasione per ricordare che il carcere ha un campo di calcetto che non viene fatto utilizzare da noi detenuti, forse aspettano che crescano i carciofi. Vorrei inoltre dire che la struttura penitenziaria è dotata di una palestra nuova di zecca che, purtroppo, non funziona e viene utilizzata solo per essere mostrata ai visitatori. Purtroppo sono troppe le cose che non funzionano qui a San Sebastiano. L’unica cosa che mi rincuora è che esiste una infermeria che - pur con molte difficoltà - viene mandata avanti. E, per mia fortuna, ci sono anche molte guardie che possiedono un cuore e un’anima. Spero che abbiate il coraggio di pubblicare questa lettera. Sassari: sbarre segate e lenzuolo, sventata evasione di 3 detenuti
La Nuova Sardegna, 25 agosto 2005
Nel gruppetto che ha ideato il piano anche i due russi accusati del duplice, terribile delitto di Santa Teresa di Gallura Ora si indaga per conoscere eventuali complici all’esterno. Avevano progettato la più classica delle evasioni: sbarre da segare e lenzuola annodate per calarsi giù dal muro di cinta. Stavano per andarsene in tre dal carcere di San Sebastiano. Tutti stranieri. I due russi arrestati per il duplice omicidio di Stirritogghju nello stazzo di Santa Teresa e un altro detenuto. La fuga è saltata per caso: un controllo improvviso della polizia penitenziaria ha bloccato tutto. La notizia è di qualche giorno fa, ma è trapelata a piccole dosi solo nella giornata di ieri. Impossibile cercare una conferma diretta dal carcere: al direttrice Patrizia Incollu è in ferie, il sostituto è Pier Luigi Farci che dirige Oristano, e ieri non era a Sassari. La conferma dell’evasione sventata all’ultimo momento, comunque, arriva nel tardo pomeriggio. Nessuno cerca medaglie, ma l’episodio dei tre detenuti che avevano ravvisato le condizioni ottimali per tentare la fuga è il sintomo di una situazione di "sicurezza ai limiti" più volte evidenziata dagli agenti della polizia penitenziaria e dalle diverse organizzazioni sindacali. Eugeny Gorbachev e Victor Pereshachako, i due russi che nell’aprile scorso uccisero l’imprenditore di Santa Teresa Pino Del Rio e il suo amico piemontese Sergio Chauren, e vennero arrestati a Porto Torres mentre stavano per imbarcarsi sul traghetto in partenza per Genova, sarebbero due dei tre detenuti (sarebbe straniero anche l’altro) che si apprestavano ad evadere da una cella del carcere di via Roma. Un piano preparato con cura, senza alcuna fretta, forse contando anche su una possibile collaborazione esterna. Sulla vicenda sarebbe stata aperta una inchiesta interna. La cosa certa è che i tre detenuti non avevano dato nell’occhio. Tranquilli, rispettosi, anche troppo silenziosi, non avevano mai creato alcun problema. Parlavano solo fra di loro, forse anche a causa della difficoltà di comunicare con gli altri per via della lingua. Sicuramente molto attenti alla situazione interna, però, e piuttosto intelligenti. La decisione di pianificare l’evasione deve essere maturata nelle ultime settimane, dopo avere constatato il calo evidente nei servizi di controllo. Una scelta forzata, determinata proprio dalla cronica carenza di personale. Un problema denunciato in maniera eclatante anche dalla segreteria provinciale del Sappe: "La sicurezza dei reparti detentivi è a rischio. Dove ci devono stare due unità per piano, ci si trova un solo agente a sorvegliare due livelli. Sul muro di cinta è raro trovare due sentinelle, al contrario è più facile che non ce ne sia neppure una". Non è chiaro come sia stato scoperto il tentativo di evasione che, ormai, era giunto proprio alla sua fase pratica. È chiaro, però, che qualcosa è andata storta se gli agenti della polizia penitenziaria hanno deciso di verificare la posizione dei tre detenuti stranieri. Così, pare che sia stato scoperto il materiale preparato per tentare la fuga. Pochissimi i particolari, anche se pare che due dei detenuti siano già stati trasferiti in altri istituti dell’isola. Una decisione che confermerebbe anche la pericolosità dei soggetti interessati dai provvedimenti. L’evasione più importante registrata a San Sebastiano porta una firma autorevole. E risale a 39 anni fa: l’11 settembre del 1966 Graziano Mesina evase in modo rocambolesco saltando dalle mura di recinzione del carcere. Lo seguì l’ex legionario Miguel Asencio Prados, detto Atienza. Entrambi giovani, atletici, fortemente motivati, beffarono la vigilanza e scapparono via. Usa: carcere per dodicenne che spara colpo di pistola in strada
Apcom, 25 agosto 2005
Il giudice di una corte minorile di Boston ha deciso di punire in maniera esemplare la bravata di un ragazzino di dodici anni, spedendolo in carcere con una maxicauzione da 250.000 dollari e precisando di aver perso la pazienza con i baby delinquenti della città. Il ragazzo lunedì scorso ha esploso un colpo di pistola all’angolo di una strada, apparentemente senza minacciare nessuno. Poi ha consegnato l’arma da fuoco ancora carica e avvolta in una bandana ad una pattuglia della polizia, che aveva udito lo sparo. "Sono senza paura e la situazione è ormai fuori controllo", ha detto al Boston Globe il giudice Paul Lewis, che presiede la corte minorile da 23 anni. Gli agenti hanno visto scappare il dodicenne, subito dopo avere udito il colpo di pistola. Ma poco dopo è stato lo stesso ragazzo ad avvicinarli e a consegnarsi. Il giudice ha stabilito una cauzione cinquanta volte più alta di quella proposta dal procuratore. L’avvocato del ragazzino, Mariann Samaha, annunciando il ricorso in appello ha sottolineato che il suo assistito presenta ritardi nello sviluppo e che in precedenza non aveva mai avuto problemi con la legge. Il sindaco di Boston Thomas Menino ha applaudito all’iniziativa del giudice definendola un "monito sul fatto che la città non tollera la presenza di armi da fuoco in strada". Savona: noi, i giovani rockettari del carcere di Sant’Agostino
Secolo XIX, 25 agosto 2005
La cooperativa Miglio Verde ha organizzato il primo spettacolo musicale nella casa circondariale savonese. "Grande successo, lo rifaremo in altri istituti". Concerto in carcere dei Pakidharma: "Che brividi per quegli applausi provenienti dalle celle". Quando martedì pomeriggio hanno varcato il cancello del carcere, con tutto il severissimo cerimoniale previsto per gli ospiti - lasciare telefonini e oggetti, passare nel metal detector, attendere l’apertura elettrica delle porte, la scorta delle guardie, lo choc di sentir chiudere alle spalle il portone che immette nella "sezione" dove ci sono i detenuti - hanno provato più di un brivido. Temevano di non riuscire ad esprimere l’energia e la spensieratezza che il loro giovane rock produce. Sapevano che ad ascoltarli nel cortile del Sant’Agostino non ci sarebbero stati altri coetanei ma una cinquantina di detenuti che stanno pagando chi per rapina, chi per furto, chi persino per omicidio. Ma ansia e paura si sono presto vaporizzate. È bastata la prima nota. Poi è stata un’ora e mezza di festa. "Siamo venuti a contatto con una realtà che non ci saremmo aspettati - raccontano i "Pakidharma", giovanissima band savonese formata da Federico Illarcio, Marco Lima, Matteo Lima e Alberto Giacolla - persone apparentemente distanti ma in realtà partecipi e interessate a imporre una discontinuità al ripetitivo menage giornaliero. Alla prima nota la tensione si è stemperata in un clima d’entusiasmo che ha coinvolto tutti. Sentire i loro applausi, anche dei detenuti in isolamento che ci ascoltavano dalle celle, è stata un’emozione fortissima. Non la dimenticheremo". Era la prima volta di un concerto al Sant’Agostino, carcere classificato tra i peggiori d’Italia per i noti problemi di spazio. Non sarà l’unica considerato l’entusiasmo che l’evento ha suscitato anche nella direzione dell’istituto oltre che fra detenuti, guardie ed educatori. Ad organizzarlo è stata la cooperativa Miglio Verde nata un anno e mezzo fa per dare una nuova chance a detenuti che possono avere permessi lavorativi e altri soggetti "svantaggiati" (ex drogati e ex alcolizzati). Il patron-mecenate della coop è un imprenditore savonese facoltoso e notissimo: Paolo Perotti. Le "braccia" organizzative quelle di due detenuti in semilibertà: Leonardo Dino Paradiso, per tutti "Provolino", e Franco Alice. La coop opera soprattutto nel pubblico, prendendo appalti per la gestione di verde, strade e altro, ma all’orizzonte ha molto altro e altri settori. L’iniziativa più curiosa è aver aperto e lanciato il circolo Arci "Miglio Verde" (ex Negrita) che nel porto di Savona è arredato con sbarre modello cella e gestito da detenuti con voglia di riscatto. È proprio grazie al locale di via Chiodo che tra Dino Paradiso e i "Pakidharma"è nata la scintilla che ha portato al concerto di martedì. "E visto che è andato benissimo, l’intenzione è bissare l’esperienza e magari esportarla anche in altri istituti carcerari - spiega Paradiso - Bisogna smettere di pensare al carcere e ai suoi ospiti come luoghi e soggetti solo da temere. C’è gente che sconta errori del passato ma è pronta a ricominciare e va aiutata. È questo lo scopo del Miglio Verde e di questo concerto". "Il circolo in Porto riaprirà a settembre dopo la pausa estiva - conclude - i primi mesi d’attività sono andati bene: sono venuti tantissimi giovani e non c’è mai stato un problema. Qualcuno la prima volta si è fatto accompagnare dai genitori che volevano verificare il clima. Come padre e come uomo è stato un piacere vedere che se ne sono sempre andati rassicurati e tranquilli". Genova: allarme-bomba alla Procura, in nome di Marcello Lonzi
Il Giornale, 25 agosto 2005
E tre. "Hanno messo un bomba alla Procura di Genova, la rivendicazione è per Marcello Lonzi". Diceva così, la telefonata anonima arrivata ieri alle 10,30 alla redazione genovese dell’Ansa. Trattasi del secondo allarme bomba in due giorni per la Procura di Genova e del terzo atto intimidatorio, dopo che la scorsa settimana una biglia aveva rotto il vetro al nono piano del palazzo. Marcello Lonzi è un detenuto morto nel carcere di Livorno, per il quale era stata avviata un’inchiesta, poi archiviata. La madre di Lonzi ha denunciato il magistrato inquirente e sulla vicenda sta indagando la magistratura genovese. Ieri i controlli degli artificieri della polizia e della Digos hanno dato esito negativo e il palazzo non è stato fatto evacuare. L’avvocato di Maria Ciuffi, madre di Lonzi, Vittorio Trupiano, ha "condannato fermamente" chi, "invece di scendere a viso scoperto nelle piazze, nei presidi, a offrirci la propria solidarietà, colloca vigliaccamente ordigni incendiari, come già successo, o si diverte a telefonare in Procura, ostacolando l’accertamento della verità del caso Lonzi, fosse solo per lo sconcerto e il disgusto che certe notizie generano nell’opinione pubblica. La signora Ciuffi crede, è ovvio, solo nello Stato e nei suoi Tribunali, altrimenti non si sarebbe nemmeno rivolta a loro". Il giorno prima, un allarme simile era scattato poco dopo le 12, quando un uomo con forte accento genovese aveva chiamato il 118 da una cabina del telefono in piazza Acquaverde annunciando che "questo pomeriggio il tribunale salterà in aria, così iniziate a pagare". Giunti sul posto, gli agenti avevano trovato la cabina ormai vuota. La scorsa settimana qualcuno aveva colpito con una biglia una finestra poco distante dall’ufficio del pm Giovanni Arena, titolare, insieme al collega Alberto Lari, dell’inchiesta sul calcio scommesse dalla quale ha preso le mosse l’indagine sportiva che ha poi condotto il Genoa in serie C. Varese: progetto nuovo carcere, aria di tempesta su Bizzozero
Varese News, 25 agosto 2005
"Il progetto del carcere a Bizzozero? A dir la verità, non so a che punto sia. Il Comune di Varese ha fatto quello che doveva, vale a dire individuare e segnalare un’area. Il resto non ci compete e stiamo aspettando che il Ministero ci dica come e se dobbiamo muoverci". L’assessore varesino all’Edilizia e all’Impresa Antonio Motta deve andare a ripescare nella memoria quel grandioso progetto che tanto rumore ha sollevato per mesi: un penitenziario, "un Miogni" più moderno e attrezzato, nel parco Sud della città di Varese. L’idea è stata a lungo ostacolata dai cittadini di Bizzozero e dall’Amministrazione di Gazzada Schianno, comune confinante con Varese e che con Varese ha sempre condiviso il parco e la stretta e tortuosa strada che lo affianca e che conduce, con non poche difficoltà, anche alla zona industriale. Area individuata, bando di concorso per l’assegnazione dell’opera emesso dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che si occupa anche di edilizia penitenziaria, e assegnazione all’unico partecipante in gara: la filiale italiana del colosso bancario olandese Ing Direct, la Ing Lease specializzata in operazioni di leasing. Poi più nulla, silenzio per settimane e settimane. Colpa della pausa estiva, durante la quale tutti gli uffici, quelli del ministero compresi, si fermano? Può darsi di sì, ma può anche darsi di no. Qualcosa, nel frattempo è successo. Tanto per cominciare a maggio "l’Espresso" ha pubblicato un articolo in cui si parlava di un’inchiesta aperta dalla Procura di Roma sulla corruzione negli appalti dei penitenziari. L’inchiesta segue strade più grandi di quelle un pò defilate di Bizzozero, ma Varese non è del tutto estranea. Nel mirino dei magistrati romani il progettista parmense Giorgio Cravedi, il costruttore romano Angelo Capriotti e il leghista Giuseppe Magni, in passato consulente del ministro della Giustizia Castelli. Alla prima gara per il leasing carcerario di Varese, del marzo 2004, volevano partecipare, dice l’Espresso, anche Cravedi e Capriotti. Un tentativo fallito perché la banca in gara con Capriotti, il Monte dei Paschi di Siena, si è ritirata. E in lizza, sia per il carcere di Varese sia per quello di Pordenone, è rimasta solo la Ing Lease. Come conferma l’amministratore delegato di Ing. Lease Italia Claudio Aruta: "È vero, alla gara abbiamo partecipato solo noi. Le altre banche probabilmente erano affaccendate in altre questioni più complesse". Per completare il quadro va detto che la Ing. olandese è il primo azionista di Abn Amro, la banca che ha tentato la scalata di Antonveneta. "Noi siamo tranquilli e stiamo solo aspettando che l’ente appaltante ci comunichi l’esito della gara - dicono alla Ing Lease. Una cosa è certa: sono anni che noi lavoriamo con la pubblica amministrazione nel settore del leasing immobiliare e il nostro lavoro lo sappiamo fare bene e con serietà. La nostra offerta sul carcere di Varese era l’unica, è vero, ma era sotto la base d’asta. Ci stupisce un po’ il silenzio del Ministero ma sappiamo anche che i tempi sono sempre lunghissimi, che devono essere riunite le commissioni e che il Ministero ha a disposizione 360 giorni per scegliere. Siamo ancora nei termini, c’è ancora qualche mese prima che scada l’offerta". Anche sulla realizzazione del carcere in leasing, la Ing Italia non ha dubbi: era la soluzione migliore e la più veloce. "In tutta franchezza non capisco perché ci sia stata una levata di scudi sulla decisione di realizzare penitenziari con questa formula. La società, o il gruppo, che partecipa alla gara si presenta direttamente con il fornitore e questo è, senza ombra di dubbio, garanzia di trasparenza e tempestività nella realizzazione dell’opera. Nel caso di Varese, se tutto dovesse andare come prevediamo, nel giro di due anni il carcere verrà realizzato, senza slittamenti o costi lievitati". Ma si tratta, appunto di previsioni, e, per quanto riguarda l’Ing Lease Italia, di auspici. Quel che certo, almeno per ora, è che tutto sembra sia in una fase di stallo. Il Comune di Varese, che ha individuato l’area dove realizzare il carcere e l’ha difesa a denti stretti contrastando le obiezioni di ambientalisti e di chiunque volesse difendere il parco, non ha cantato vittoria alla notizia che il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta di sospensiva presenta dal Comune di Gazzada Schianno. Nessuna reazione, da nessun ufficio. E il vicesindaco di Gazzada Schianno, Alfonso Minonzio, conferma: "Ci aspettavamo la solita esultanza del sindaco di Varese Fumagalli dalle colonne dei giornali locali e invece niente. Del progetto non sappiamo più nulla, così come dei famosi tavoli promessi da Palazzo Estense per parlare di ampliamento di strade o di progetti legati al carcere e che riguardino più strettamente il nostro paese. Che non se ne faccia più nulla?".
Il progetto
Il carcere di Bizzozero ospiterà 200 detenuti. Ed è questo l’unico compromesso che il sindaco Fumagalli ha accettato e di cui si è fatto portavoce con il ministero della Giustizia. Richiesta accolta. Per il resto nulla cambia rispetto all’idea originale. Non più 300 detenuti ma, appunto, solo 200 e un’area interessata di 12 ettari, oggi di verde e bosco. Dentro la cinta muraria celle per i detenuti, 20 alloggi per il personale di custodia, una caserma per il personale, magazzini, servizi, magazzini di casermaggio, impianti sportivi per i detenuti (un campo di calcio, due campi da tennis, un campo di pallacanestro-pallavolo); all’esterno della cinta muraria stessi impianti sportivi per gli agenti di custodia. Costo dell’opera: 39 milioni di euro circa. La realizzazione del carcera verrà preceduta da alcuni lavori sul sito prescelto tra cui l’allargamento del calibro stradale di via Piana di Luco, visto l’aumento del traffico che inevitabilmente ci sarà e la realizzazione di una rotatoria su viale Borri. Di fronte al carcere dovrebbe sorgere anche un magazzino della giustizia dove verranno raccolti tutti i fascicoli penali del Tribunale di Varese oggi posti nei seminterrati delle scuole e nell’ex macello civico. Roma: Papillon; detenuto picchiato da agente penitenziario
Il Messaggero, 25 agosto 2005
Picchiato e preso a pugni dall’agente di custodia con il quale aveva avuto un diverbio. La denuncia arriva dall’associazione culturale Papillon Rebibbia che ha raccolto la lettera-accusa di Cesare Poggesi, detenuto al reparto G9, piano terra, cella numero 12. "Alle ore 18.30 del 3 agosto - scrive Poggesi - in seguito ad un battibecco con un agente di custodia sono stato chiamato dallo stesso e condotto in una stanza dove sono stato pestato. Vista la difficoltà che avevo a respirare e i dolori in tutto il corpo - prosegue nella lettera il detenuto - dopo ripetute richieste anche da parte dei miei compagni di detenzione, sono stato portato in infermeria". In seguito alla lettera-denuncia, i detenuti dell’associazione Papillon - è detto in una nota - "sono stati ascoltati dalla direzione di Rebibbia in qualità di persone informate sui fatti. E a quanto risulta, nessun provvedimento è stato preso nei confronti degli agenti autori delle percosse". "Ma a noi non interessa la condanna penale degli agenti - spiega Vittorio Antonini, coordinatore nazionale di Papillon -. Ciò che chiediamo con forza è che questi atti ripetuti e reiterati di violenza abbiano fine, sia a Roma come nelle altre carceri d’Italia. Tutti i giorni ci arrivano decine di lettere in cui vengono denunciati maltrattamenti in questo o quel carcere". Rimini: nessuno lo vuole, rimane ai domiciliari… in carcere
Corriere della Romagna, 25 agosto 2005
Ha ottenuto gli arresti domiciliari, ma per il momento rimane in carcere - non è stata infatti trovato ancora chi possa prenderlo in carico - Domenico Celenza, il 35enne di Vasto (Chieti) arrestato sabato scorso dai carabinieri della stazione di Montescudo con l’accusa di tentato omicidio: nella comunità di recupero per tossicodipendenti Centofiori aveva ferito all’avambraccio con un coltello dalla lama di 20 centimetri un 22enne riminese intervenuto per dividere l'abruzzese con un altro ospite reatino con cui da una decina di giorni i rapporti erano molto tesi. Il laziale, infatti, aveva sottratto la fidanzata di Celenza dalle mani del compagno che la stava picchiando. Celenza ieri è comparso davanti al Gip Giacomo Gasparini assistito dall’avvocato Monica Castiglioni. Al giudice, che prima di concedere i domiciliari ha convalidato l’arresto, ha detto di essersi solo difeso e di non aver aggredito nessuno. "Mi sono trovato circondato da 4 o 5 persone con fare minaccioso mentre stavamo andando a prendere le pillole per la terapia. Così sono andato in cucina e ho preso il coltello, ma solo per difendermi". Celenza ha anche detto di non ricordarsi di aver pronunciato frasi del tipo "ti ammazzo", parole che non ha sentito neppure il ferito che, al momento, non ha presentato querela contro l’abruzzese.Completamente diversa la ricostruzione fatta nell’immediatezza dell’intervento dai carabinieri, giunti appena in tempo per sottrarre Celenza a un probabilissimo linciaggio. L’aggressione, avvenuta verso le 22, sarebbe avvenuta quando l’abruzzese ha colpito con uno schiaffo il difensore dell’ex fidanzata che nel frattempo ha lasciato la comunità. Le frasi minacciose, hanno scritto nel loro rapporto i carabinieri, erano state pronunciate anche nei giorni precedenti l’accoltellamento e facevano sempre seguito a comportamenti ingiuriosi - sputi tra i piedi - che Celenza "sparava" ogni qualvolta incrociava il reatino. Sabato dopo il ceffone si sarebbe ribellato dicendogli di non aver paura di lui (l'abruzzese è un metro e 90 per 110 chili). Per tutta risposta Celenza si era armato e, nonostante in più occasioni diversi ospiti l’avessero placcato stile rugby, si era rialzato per cercare di ferire il rivale. Finendo invece per colpire all’avambraccio destro il giovane 22enne fino a quel momento completamente estraneo alla disputa tra i due.
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