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Giustizia: "Quale pena", i problemi dimenticati del carcere
Il Manifesto, 18 agosto 2005
Di carcere, in Italia, si parla poco e male. Sul piano sociale, la sfera penitenziaria viene trattata alla stregua di un trauma da rimuovere. E la sfera politica fa suo questo atteggiamento, rispolverando il tema del carcere con l’approssimarsi delle campagne elettorali, di solito condotte a suon di slogan che insistono sulla certezza della pena, del rispetto della legalità, senza manifestare una benché minima consapevolezza del problema. Dietro questa coltre di reticenza spesso strumentale, incalzano i progetti di privatizzazione delle carceri e l’inaugurazione di carceri speciali per tossicodipendenti gestiti da San Patrignano. In questo contesto, si restringono gli spazi per una discussione articolata sul significato della pena, sulla crisi dell’approccio rieducativo, sulla riforma in senso garantista del codice penale. Il libro Quale pena. Problemi e Riflessioni sull’esercizio della punizione legale in Italia (Unicopli, pp. 350, euro 18), curato da Patrizia Ciardiello, si colloca su questo ultimo versante. Da una parte, operatori penitenziari di diversa collocazione espongono i dilemmi e i limiti della quotidianità carceraria. Dall’altro, consolidati esperti del fronte garantista del calibro di Massimo Pavarini, Giuseppe Mosconi, Alessandro Margara, Guido Neppi Modona, si interrogano sulla crisi del sistema penale e sull’esistenza di spazi nei quali innestare politiche di neutralizzazione dell’impianto repressivo a vantaggio di una impostazione più attenta alla reintegrazione dei detenuti e alla implementazione dei diritti. Pavarini inquadra la crisi della sfera penitenziaria nel contesto delle trasformazioni degli ultimi venti anni, che hanno comportato la dispersione dei sistemi di controllo e di contenimento tra le pieghe della società, nella prospettiva del governo delle eccedenze. Sulla falsariga delle politiche di welfare to work di ispirazione blairiana e clintoniana, le politiche assistenziali e quelle repressive cessano di essere due polarità alternative. Innervandosi a vicenda, delineano una nuova frontiera del paradigma disciplinare, che da un lato manda in soffitta in soffitta il vecchio approccio correzionalista, dall’altro confina le questioni attinenti ai diritti in uno spazio ancora più residuale. Quindi non è casuale, come sottolinea Alessandro Margara, che gli appelli per un ritorno alla stretta legalità (anche in questo caso riecheggiano le sirene anglosassoni del modello del just desert) abbiano come bersaglio le misure alternative introdotte dalla legge Gozzini, che in parte hanno messo in discussione l’identificazione tra condanna penale e misura detentiva. Per il momento, ne scaturisce una riduzione delle risorse destinate al reinserimento dei detenuti a vantaggio del reclutamento di personale e della creazione di strutture votate alla repressione. L’operatore penitenziario, chiosa Mosconi, a seguito di questi mutamenti, diviene subalterno ai meccanismi orientati verso la repressione, finendo per allontanarsi dallo svolgimento delle mansioni per le quali era stato istituito. Come è possibile evitare l’inglobamento definitivo dei diritti nel sistema penale, architrave delle democrazie moderne, all’interno della logica repressiva? La risposta sembra averla Guido Neppi Modona, che svolge la sua disamina della legge Gozzini all’interno di una genealogia del sistema penale italiano. Un impianto legislativo che risale all’epoca fascista, ulteriormente deformato dall’innesto delle leggi speciali, non può che degenerare verso una incoerenza che ignora e ostacola i principi di legalità, certezza e uguaglianza, degenerando in un correzionalismo asfittico, logorato dai rigurgiti retribuzionisti degli ultimi anni. Il cammino da intraprendere, allora, va sviluppato a partire da una riforma del codice penale, che riduca la pena detentiva a extrema ratio, incrementi l’utilizzo di sanzioni alternative e depenalizzi alcune condotte criminali. Un numero ridotto di detenuti, oltre a migliorare la gestione del sistema penitenziario, renderebbe superfluo ogni progetto di carceri nuove e di lazzaretti per tossicodipendenti. In vista delle elezioni, a sinistra, ci si potrebbe cominciare a pensare. Roma: tenta la fuga da Cpt e minaccia di gettarsi nel vuoto
Romagna Oggi, 18 agosto 2005
Per tentare di scappare è salito fino al tetto di uno stabile, restando bloccato e poi minacciando di gettarsi nel vuoto. È un giovane marocchino il protagonista del rocambolesco tentativo di fuga avvenuto in via Miramonte, nel centro di Bologna, alle spalle del vecchio Palazzo di Giustizia, e concluso senza gravi conseguenze. È accaduto intorno alle 11: un’auto della questura stava riaccompagnando al Cpt (il centro di permanenza temporanea per clandestini) lo straniero, che poco prima era stato accompagnato in una clinica per alcune cure dentistiche. All’altezza di porta San Mamolo il giovane ha detto di sentirsi male e di aver bisogno di rimettere: quando i poliziotti lo hanno fatto scendere dalla vettura, con uno scatto improvviso è scappato, raggiungendo via Miramonte e, dopo avere scalato un’impalcatura, è arrivato sul tetto di un edificio. Qui però il marocchino è rimasto senza vie di fuga, e per alcuni minuti ha impedito a chiunque di avvicinarsi, minacciando di lanciarsi nel vuoto. Sono così intervenuti anche i vigili del fuoco con i mezzi di soccorso. Dopo circa 20 minuti di trattative, l’uomo è stato riportato alla calma da un agente e convinto a scendere con le proprie gambe. Ora rischia comunque una denuncia. Droghe: Manfredi (Radicali); Giovanardi, toppa peggiore del buco
Agenzia Radicale, 18 agosto 2005
Dichiarazione di Giulio Manfredi, membro del Comitato Nazionale Radicali Italiani: "La recente intervista dell’Ansa al ministro Carlo Giovanardi è ricca di spunti di riflessione: mi pare, innanzitutto, di capire che la conferenza nazionale sulla droga non si fa più a Pescara perché si è dimesso il capo del Dipartimento Nazionale Antidroga, l’abruzzese Carlesi; quindi, la scelta del luogo è stabilita dalle origini del Capo Dipartimento? Il nuovo facente funzioni, il Dr. Raffaele Lombardo, è siciliano? E ancora… Giovanardi dichiara che "l’ultima conferenza, che si è tenuta a Genova, è stata blindata e assediata dai no global. Questi precedenti, insieme all’emergenza terrorismo, ci hanno fatto optare per una situazione attrezzata per un tranquillo svolgimento dei lavori". Giovanardi ricorda male; io ero presente alla conferenza di Genova e posso testimoniare che le manifestazioni di quelli che non sapevano nemmeno di essere "no global" non impedirono assolutamente il regolare svolgimento dell’assise; e rispetto al problema terrorismo, la scelta di Palermo, facilmente raggiungibile da tutti i Paesi arabi e del Medio Oriente, non mi pare questa gran furbata! Encomiabile le parole di Giovanardi rispetto alla situazione dei cittadini tossicodipendenti detenuti; peccato che il ministro non parli mai della verifica dell’attuazione della riforma della medicina penitenziaria (D.Lgs. 230 del 1999), che ha sancito il passaggio della responsabilità dell’assistenza sanitaria nelle carceri alle Asl; nella Sicilia tanto cara al ministro e tanto disastrata nella spesa sanitaria, il servizio pubblico si è veramente accollato questi utenti marginali? Sconsolante, infine, la dichiarazione di Giovanardi rispetto ai fondi antidroga: "abbiamo messo in moto un meccanismo per cui dovrebbero essere pagati, entro la fine dell’anno, i progetti del 2000, 2001 e 2002 …"; il governo Berlusconi non è stato neppure in grado di finanziare i progetti antidroga presentati addirittura prima della sua entrata in carica! Meno male che ci sono le elezioni alle porte, così qualche progetto non rimarrà solamente sulla carta! Droghe: dati del Viminale, 453 i morti per overdose nel 2004
Agi, 18 agosto 2005
Continuano a diminuire in Italia i decessi per overdose. La conferma arriva dal Rapporto annuale del Viminale sulla sicurezza. I morti per droga, dopo il picco del ‘96 (1.562) e il lieve, nuovo incremento del 2000 (1016, 14 in più del ‘99) sono progressivamente diminuiti dagli 825 del 2001, ai 520 del 2002, ai 497 del 2003, fino ai 453 del 2004. Complessivamente, i morti per droga sono più che dimezzati (-50,7%) nel quadriennio 2001-2005 rispetto al quadriennio precedente. In aumento invece, sempre negli ultimi quattro anni, i sequestri di sostanze stupefacenti: tra il luglio 2001 e il giugno 2005 sono stati sequestrati 14.253 kg di cocaina (+60,8%), 9.370 kg di eroina (+111,8%), 17 kg di anfetamine (+183,3%) e 3.976.695 piante di cannabis (+62,4%). Giustizia: i programmi esecutivi d’azione (PEA) per il 2005
Giustizia.it, 18 agosto 2005
Sono ben 71 i programmi esecutivi d’azione (PEA) contenuti nella Direttiva generale del Ministro per la Giustizia sull’attività amministrativa e sulla gestione per l’anno 2005. Di questi, 4 sono interdipartimentali, 12 riguardano gli Affari di Giustizia, 15 l’Amministrazione Penitenziaria, 11 la Giustizia Minorile, 24 l’Organizzazione Giudiziaria e 5 l’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale. Genova: massacrato di botte in carcere giovane sanremese
Secolo XIX, 18 agosto 2005
Una lite come ne avvengono tante in questo periodo a Marassi, un battibecco per l’eccessivo affollamento delle celle, che mescolato al caldo d’agosto rende irrespirabile l’aria delle Case Rosse. Però stavolta la situazione è degenerata, dagli insulti i detenuti sono rapidamente sconfinati nell’aggressione e a farne le spese è stato un trentatreenne di Sanremo, Cristiano Serpa, condannato per spaccio e reati contro il patrimonio. Colpito alla testa da due stranieri, un marocchino e un albanese, è stato ricoverato in gravi condizioni al San Martino, dov’è tuttora trattenuto in rianimazione. "Volevano cacciarlo - conferma la direzione del carcere - liberare in qualche modo un posto. Non ci sono altre spiegazioni di quanto accaduto, motivi più profondi che abbiano scatenato l’escalation di violenza". Sul pestaggio è stata aperta un’inchiesta interna e le indagini sono condotte dalla polizia penitenziaria. È successo tutto nella tarda mattinata di domenica, all’interno della seconda sezione dove si trovano i detenuti colpiti da condanna definitiva. Faceva caldo, a Marassi, e già da qualche giorno erano affiorate frizioni tra Serpa - recentemente trasferito da Sanremo - e i suoi tre compagni, extracomunitari. Fatto sta che l’italiano è finito in mezzo e non ha potuto sottrarsi alle botte. Pugni, schiaffi, spintoni, la violenta testata contro una delle pareti che delimitano la cella: il trentenne si è accasciato a terra, con una vistosa ferita sulla fronte e privo di coscienza. Nel frattempo è intervenuta una guardia, che è riuscita a scongiurare il peggio e inevitabili sono scattati i provvedimenti disciplinari - in attesa del procedimento penale - per il marocchino e l’albanese. Cristiano Serpa è stato trasferito d’urgenza al pronto soccorso, dove si è optato per il suo ricovero in rianimazione. Il quadro clinico è peggiorato allorché i medici gli hanno riscontrato un evidente ematoma alla testa, e da Marassi sono in costante contatto con l’ospedale. L’emergenza di domenica richiama l’attenzione sul principale penitenziario genovese dopo mesi di relativa tranquillità. Ed è lo stesso direttore a rimarcare la difficoltà del periodo: "La settimana scorsa - ammette - un detenuto si è tagliato alle braccia per protestare contro un compagno di cella che non lo lasciava dormire. Purtroppo la frustrazione accumulata per mesi, durante l’estate spesso diventa incontenibile. E a volte c’è chi decide di "liberare" le celle a modo suo". Genova: il direttore; d’estate scoppiano circa due liti al giorno
Secolo XIX, 18 agosto 2005
"In ventitre anni di servizio ho sempre constatato che, d’estate, i litigi e le azioni di autolesionismo tra i detenuti aumentano a dismisura. Qui a Marassi, da giugno a settembre, registriamo mediamente un paio di episodi di violenza al giorno. Colpa del caldo che, unito al sovraffollamento, scatena l’insofferenza e il nervosismo di chi è costretto a condividere una piccola cella anche con altre otto persone". Salvatore Mazzeo, direttore del carcere di Marassi, appare quasi rassegnato. Complice l’eccessiva concentrazione di reclusi nella vecchia casa circondariale genovese, "le liti, anche accese, tra detenuti sono all’ordine del giorno, un fenomeno che, purtroppo, può considerarsi praticamente fisiologico". I numeri sono eloquenti: a fronte di una capienza massima di 460 persone, il carcere di Marassi ospita attualmente 700 detenuti. Vale a dire, circa il 40 per in più di quanto permetterebbe una struttura di reclusione finalizzata anche al recupero. "Quando sono arrivato Marassi ospitava 850 detenuti - ricorda Mazzeo - una quota limite che speriamo di non raggiungere mai più". L’organico, invece, "composto a Marassi da 300 agenti è sotto di "almeno cento unità". Ogni cella ospita da quattro a nove persone. Nel futuro, solo una timida schiarita: "Il centro medico sarà trasferito in spazi in via di ristrutturazione liberando una intera sezione in grado di accogliere un centinaio di unità". Fabio Broglia, capogruppo dell’Udc in consiglio regionale e presidente della Commissione carceri nel passato ciclo amministrativo, dice: "Le carceri di vecchia concezione sono del tutto inadeguate rispetto alle finalità di rieducazione indicate dalla legge. Ma trovare aree idonee sulle quali realizzare nuovi istituti di pena è impresa quasi impossibile. La gente ritiene, a torto, che le carceri portino delinquenza mentre è esattamente l’opposto". Broglia ricorda quanto "è stato difficile reperite un sito per il nuovo carcere di Savona, dove ho visto celle con 14 persone illuminate solo da un neon: non c’è da stupirsi che, in simili condizioni inumane, possa esplodere la violenza contro se stessi e gli altri". Sul pestaggio avvenuto domenica a Marassi, Broglia annuncia un’interpellanza in Regione: "Chiederò conto al presidente Burlando del protocollo d’intesa firmato nel ‘99 dall’amministrazione regionale e dal ministero di Grazia e Giustizia per mettere in campo politiche coordinate di rieducazione dei detenuti". D’altra parte Broglia, che è anche presidente del Coordinamento delle famiglie degli ex sequestrati, lancia un monito: "Il sovraffollamento non deve diventare un alibi per scarcerazioni facili. Le pene vanno scontate sino in fondo, ma in un’ottica di recupero. In questo senso, ad esempio, funziona bene il reparto di custodia attenuata che a Marassi ospita una trentina di persone. La formula è quella giusta: celle sono sempre aperte e detenuti che lavorano, seguono corsi e partecipano a momenti di animazione". Kabul: abusi su detenuti, riservista Usa rischia ora 16 anni
Tg Com, 18 agosto 2005
Un soldato dell’esercito americano è stato condannato da una giuria militare per avere commesso abusi ai danni di un detenuto afghano poi deceduto. Dopo due ore di camera di consiglio, la giuria ha trovato il soldato scelto Willie Brand colpevole di diversi reati, per i quali rischia di scontare 16 anni. Al momento del verdetto, Brand, sua moglie e sua madre, presenti in aula, sono scoppiati a piangere. Verbania: in un anno 300 detenuti hanno usufruito di permessi
La Stampa, 18 agosto 2005
Trecento detenuti usciti in un anno con permessi del giudice di sorveglianza per progetti di recupero ambientale. "Qui da noi - dice Massimiliano Forgione, direttore della casa circondariale di Pallanza - abbiamo raggiunto la piena occupazione carceraria". E quello che più conta è che le esperienze acquisite serviranno per il ritorno in libertà. Domenica mattina il giudice Giovanni Tinebra, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per la prima volta ha visito il carcere di Verbania. Proprio da qui, lo scorso Ferragosto, era partita la prima iniziativa di carcere-aperto. Il modello verbanese è stato esportato in tutta Italia e continua ad essere un punto di riferimento. Tinebra ha tenuto a battesimo la prossima iniziativa: il recupero di un cabinato a vela di 7 metri e 10. È un Re David Junior vincitrice di parecchie regate del Verbano che il Comune di Arona utilizzerà per interventi di protezione civile. Lo scafo è sconquassato, bisognerà lavorare sodo. "La barca è simbolo di libertà. Recuperarla è una scommessa - ha commentato Tinebra - ma che crea molta meno apprensione rispetto all’anno scorso, quando questi progetti di recupero ambientale sono stati avviati. E se andrà bene potrà diventare il primo passo per una scuola di formazione di cantieristica navale. Bisogna creare figure professionali che possano trovare allocazioni lavorative una volta fuori". E Antonello Di Stefano, assessore comunale di Arona, garantisce: "Pensiamo già al recupero di un’altra barca. Nel frattempo continueremo a sostenere le iniziative dei detenuti che contribuiscono a darci una connotazione di città per la pace. Ad ottobre, ad esempio, ci sarà un concerto del gruppo "Zampogna galeotta". Sono i detenuti che hanno imparato a suonare zampogne e ciaramelle tra le sbarre. Intanto proseguono le collaborazioni con i Comuni: i protocolli d’intesa sono già stati sottoscritti con sette amministrazioni di Verbano e Altro Vergante. "I detenuti - assicura il direttore Forgione - sono felicissimi di partecipare a queste iniziative che rappresentano un modo nuovo di vivere il carcere. Gli atti autolesivi, nell’ultimo anno, sono praticamente inesistenti e non ci sono stati provvedimenti disciplinari". L’istituto di Verbania è stato trasformato in un carcere che "respira". Con i complimenti del presidente Ciampi. Arona: i detenuti ripuliscono la spiaggia delle Rocchette
La Stampa, 18 agosto 2005
Duecentocinquanta metri di spiaggia sono stati ripuliti e restituiti ai bagnanti che in questa stagione non mancano. Merito dei 28 detenuti che domenica hanno preso parte all’operazione "Recupero del patrimonio ambientale - per un carcere con le ali". La spiaggia quella delle Rocchette ad Arona, proprio sotto la rocca Borromea. Con il capo Dipartimento di Polizia Penitenziara, Gianni Tinebra, c’erano il direttore dell’istituto di pena Massimiliano Forgione, il vicesindaco di Arona, Mario Pagliano, gli assessori Michele Cimelli e Antonello De Stefano. Per la provincia di Novara l’assessore Massimo Tosi. I ragazzi, oltre che dagli agenti di polizia penitenziaria, erano accompagnati dall’educatrice, la psicologa Maria Giuseppina Boi che spiega: "Questo carcere, proprio per le sue dimensioni contenute, ci consente di mettere in atto questo tipo di progetto. I ragazzi affrontano meglio il quotidiano, il contatto con il territorio e con le istituzioni consente loro un miglior recupero". I detenuti, hanno tolto rovi ed estirpato erbacce, recuperato rottami e bottiglie di plastica che hanno depositato nei contenitori del Consorzio Gestione Acque. Poi si sono fermati per il pranzo offerto dagli "Amici del lago". Franco Tortora, 47 anni, di Domodossola, ha ancora 4 anni da scontare; è stato raggiunto per l’occasione dalla moglie: "È una gran bella iniziativa questa, il merito è del nostro direttore che ha creduto in questo progetto". Per Luigi Di Lonardo, 35 anni, quello di domenica è stato un ritorno a casa anticipato. È di Arona, gli mancano 4 mesi dopo averne scontati 3 anni e 8 mesi: "Il 22 dicembre sarò libero. Un grande regalo di Natale". Per Salvatore Orlando, 45 anni, la libertà è più vicina: "Mi mancano solo trenta giorni. Poi tornerò ad Arona a fare il muratore". Roma: in cella innocente, 350 mila euro di risarcimento
La Repubblica, 18 agosto 2005
Domenico Adriani, 45 anni, non è uno spacciatore di droga. Eppure è rimasto in carcere per "detenzione e traffico di stupefacenti" per quasi 10 mesi per colpa di una telefonata intercettata e giudicata equivoca dagli inquirenti. è una vicenda triste quella che il giudice Maria Luisa Paolicelli ha ricostruito nella sentenza. "Adesso abbiamo pronto il ricorso alla Corte d’ Appello - spiega l’avvocato Gianluca Arrighi - Chiederemo 350 mila euro di risarcimento. Domenico è rimasto in carcere senza ragione e poteva morirci dietro le sbarre, visto che ha avuto un ictus e un infarto. La moglie, il figlio di otto anni, adesso gli sono vicino, ma è difficile ricominciare da zero". Minori: le pene devono essere immediate, non più severe…
Il Mattino, 18 agosto 2005
A un anno dall’uccisione di Fabio Nunneri e dall’estate dei "ragazzi con le lame" non si sono fatti passi avanti e la questione della devianza minorile resta in primo piano. Nessuna novità di rilievo neanche sul fronte della proposta di legge bipartisan per l’inasprimento delle pene. Ne parliamo con Gemma Tuccillo, giudice del Tribunale per i minorenni. Possibile che non si trovi un metodo di contrasto efficace? "Il vero problema non è tanto quello dell’inasprimento della pena ma di una risposta immediata alla commissione del reato. Il ddl dovrebbe puntare soprattutto sull’austerità di una risposta punitiva immediata". Contemporaneità della reazione, quando un minore è colto in flagranza. "Non sarà certo la prospettiva di scontare 4 anni invece di 3 a spaventare uno scippatore, se a due giorni dal fermo viene messo fuori. Un ragazzino resterebbe molto più impressionato se, per esempio, dovesse scontare una settimana di carcere subito. Perciò, anche ai fini rieducativi, è importante rivedere il momento della immediatezza della risposta più che la pena edittale disposta dal codice". Basterebbe? "Sarebbe almeno un deterrente, nel clima di impunità favorito anche dal lassismo o dalla complicità delle famiglie, che spesso significano semplicemente disinteresse, incapacità di gestire". Ieri le mamme dei due minori presi dai carabinieri hanno rimproverato i figli. "Il che non sempre avviene. E poi si pensi ai tredicenni che vanno nelle discoteche restando in strada fino alle 3 del mattino; in contatto con ragazzi più grandi, che emulano. C’è un fenomeno di adultizzazione precoce". È contraria all’ipotesi di abbassamento dell’età imputabile? "Poi si dovrebbe abbassare sempre di più. Se invece il ragazzo sa che, pure se ha 14 anni e un giorno ed è incensurato, non la passa liscia... Al momento esiste una discrezionalità che crea scalette, a fronte di certi tipi di reato c’è la facoltà di arrestare o meno. Meglio una restrizione subito, e poi semmai graduare: se il ragazzo si rieduca subito, forse non sarà neanche necessario fargli scontare altri anni in un secondo momento".
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