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Le prigioni burocratiche, articolo di Adriano Sofri
Corriere della Sera, 17 settembre 2004
Gentile direttore, le ultime righe della conversazione sulle carceri che Roberto Delera ha ottimamente riassunto nell’intervista di mercoledì sul Corriere , hanno un effetto equivoco, per un eccesso di condensazione e una scarsa dimestichezza col lessico (per esempio, sulla denominazione degli agenti di polizia penitenziaria). Trattandosi di un tema centrale, vorrei argomentare la mia opinione. Del mutamento nell’atmosfera delle carceri, al cui centro sta una faticosa ma preziosa abitudine alla nonviolenza da parte dei detenuti, fa parte, e dovrebbe sempre più far parte, l’abbandono di codici presunti d’onore e di mutue belligeranze fra detenuti e agenti e graduati, in favore di un rapporto civile rispettoso e, dovunque sia possibile (lo è, e ne sono testimone), perfino cordiale. La stessa legge riconosce agli agenti, oltre che agli operatori civili, una partecipazione all’opera di socializzazione, benché le condizioni materiali - sovraffollamento e scarsità degli organici disponibili in primo luogo - frustrino spesso la buona intenzione. La formazione degli agenti, che in galera vivono una così gran parte dei loro giorni e delle loro notti, è un elemento cruciale di qualunque miglioramento della civiltà carceraria. L’applicazione delle pene alternative e i cosiddetti benefici - i giorni di "liberazione anticipata", le uscite in permesso premio eccetera - fa sì che un rapporto disciplinare mosso a un detenuto, a prescindere dalla sua gravità o fondatezza o prova, lo escluda automaticamente dall’accesso a quelle pene per due anni. Ottusa come ogni automatismo, questa norma fa pendere sul destino dei detenuti la minaccia perenne di un incidente che contraddica anni di impegno, mette nelle mani degli agenti una responsabilità che può diventare arbitraria o penosa, trasforma operatori e magistrati di sorveglianza in ratificatori di una norma astratta piuttosto che in interpreti di un cammino personale. Io ho rinunciato da tempo a esporre grandi pensieri su come riformare le galere, per esaurimento. Tuttavia da anni propongo una iniziativa preliminare, dalla quale potrebbe discendere una conoscenza vivace e molteplice della situazione: condizione per affrontarla, chi ne avesse l’animo. I rapporti e le denunce per infrazioni o reati commessi in carcere - inframurari, si dice - sono una moltitudine sterminata, e vanno da episodi irrisori (ne citai uno, tanti anni fa, sul passaggio di una cipolla da un detenuto a un altro, rapporto che ebbe l’onore di una discussione parlamentare) a eventi gravissimi. Tutto questo materiale è una fonte ricchissima su aspetti fatali della condizione carceraria, e direttamente sulla vita quotidiana interna e i comportamenti dei detenuti, e sulla vita quotidiana degli agenti e la loro formazione e psicologia (nella forma peculiare che emerge dalla scrittura). Tutelando, con l’anonimato, il riserbo dovuto ad agenti e detenuti, una commissione di persone scelte per competenza scientifica e umana, o per responsabilità legislativa, potrebbe raccogliere e studiare questo straordinario materiale, traendone una conoscenza meravigliosa dell’universo carcerario, delle sue differenze da una prigione all’altra, da una regione all’altra. E troverebbe, ne sono convinto, la conferma della sciocchezza di automatismi burocratici che contribuiscono a frustrare la rieducazione di cui si parla tanto, a fomentare disperazione e rassegnazione, e a imprigionare gli agenti nella parte più amara o prepotente della loro fatica. E a trasformarli, oltretutto, in autori di condanne di fatto a mesi e anni di carcere. Questo avevo scritto cento volte, questo ho detto a Delera. In generale, so che pericolo pesi sui luoghi in cui persone possono trovarsi in balia di altre persone, come sono le carceri, e come sia importante ridurre le occasioni e le tentazioni della prepotenza e della cattiveria, con l’educazione, con la legalità, con la trasparenza, e infine con la rinuncia allo scaricabarile dall’alto al basso. Queste cose penso, ormai con la confidenza di otto anni di vita comune - giorni e notti - con molti agenti di polizia penitenziaria: e le ho pensate e scritte con solidarietà umana anche nei momenti più bui, come all’indomani delle violenze di Sassari. E queste cose dissi, all’indomani della cosiddetta rivolta di Regina Coeli, al suo valoroso inviato. Livorno: l’inferno delle Sughere, il carcere dei suicidi
Il Manifesto, 17 settembre 2004
In appena due mesi tre detenuti si tolgono la vita nell’istituto livornese. "Fahrenheit" è il protagonista dell’ennesima brutta storia di morte partorita dal carcere livornese Le Sughere. E’ il terzo suicidio in poco più di due mesi avvenuto all’interno del penitenziario, il quarto in neanche un anno e mezzo. Un soprannome, "Fahrenheit", che Luigi Visconti, 36enne originario di Marano (Napoli), si era conquistato "sul campo". Una forma di cleptomania, la sua - ha affermato chi lo conosceva bene - che lo aveva portato a specializzarsi nel furto del celebre profumo. "Fahrenheit" si è suicidato lo scorso martedì impiccandosi con le lenzuola alla grata del bagno della sua cella.
I precedenti
Il 24 aprile 2003 viene trovato impiccato in carcere Mohammer Daff, cittadino turco di 35 anni. Intorno al collo i lacci delle scarpe, assolutamente vietati in cella. Daff era alle Sughere da un mese e mezzo e frequentava un corso per ottenere la licenza media. I compagni di sezione parlavano di lui come un tipo estremamente pacifico e silenzioso. Il suo suicidio precede cronologicamente quelli dei 50enni Domenico Bruzzaniti, ergastolano, e Carlos Requelme, un marittimo cileno, entrambi avvenuti quest’anno.
Il caso Lonzi
Il pensiero non può che andare al 29enne livornese Marcello Lonzi la cui morte, avvenuta l’11 luglio dello scorso anno, viene frettolosamente schedata come "accidentale" (infarto) dalla Procura di Livorno. Sebbene il cadavere del giovane presenti chiari segni di percosse, vengono condotte indagini approssimative, compiuti errori marchiani (persino negli esami autoptici, eseguiti in assenza di un perito di parte perché effettuati prima che i familiari fossero avvertiti del decesso), registrati atteggiamenti omertosi sia da parte delle guardie carcerarie che dei compagni di carcere. Con una "chicca": la mancata perizia tossicologica (Lonzi era tossicodipendente), una svista talmente clamorosa che alimenta il sospetto di una volontà ben precisa di archiviare il caso in fretta e furia. La tenacia della madre del giovane, del suo avvocato e di un gruppo di controinchiesta formatosi a Livorno qualche mese fa, riescono ad attirare l’attenzione della città sul caso e portare il Gip a non accogliere la richiesta di archiviazione avanzata dal pm che aveva seguito la vicenda. Come Requelme, anche Lonzi avrebbe avuto diritto ad un trattamento sanitario specifico, con conseguente spostamento al carcere di Pisa, predisposto alla cura di tossicodipendenti.
Morti sfiorate
Luglio 2000: dopo aver minacciato un agente con un punteruolo, il 40enne Roberto Guadagnolo viene selvaggiamente pestato da dieci poliziotti. Sette di loro (gennaio 2004) patteggiano la pena di sei mesi di reclusione per i reati di abuso di ufficio, insubordinazione e lesioni aggravate; cinque vengono sospesi dall’amministrazione penitenziaria. Giugno 2002: si conclude con una sentenza di non luogo a procedere il caso del detenuto Simone Cantaridi. Picchiato selvaggiamente durante l’ora d’aria da un altro detenuto (reo confesso), preferisce non presentare querela. Settembre 2002: i detenuti attuano lo sciopero della fame. Nel loro mirino i soprusi delle guardie, l’inefficienza del servizio sanitario, la totale promiscuità tra soggetti incompatibili (tossicodipendenti e spacciatori), l’assenza di attività interne. Agosto 2003: una 30enne pisana tenta di impiccarsi in cella legandosi i pantaloni intorno al collo. La salvano gli agenti che la tenevano sotto stretta sorveglianza. 11 Settembre 2004: un immigrato tenta il suicidio tagliandosi le vene. Soccorso, viene portato all’ospedale, curato e quindi prontamente riportato in carcere. Le Sughere, penitenziario con una sezione di massima sicurezza, sembra un concentrato di tutte le deficienze che affliggono l’istituzione penitenziaria italiana: oltre 400 detenuti su una capienza di 265 posti, risorse mediche inesistenti, strutture sanitarie inadeguate, scarsissimo dialogo con l’esterno, attività culturali, ludiche e assistenziali limitate. E una lunga scia di misteri, violenza, morte. Castelli: "pressioni oscure intorno a Sofri"
Il Manifesto, 17 settembre 2004
Sofri? Intorno a lui "c’è un oscuro giro di pressioni. Sembra quasi che debba essere liberato a tutti i costi". Nel giorno in cui le riforme costituzionali volute dalla Casa della libertà cominciano il loro cammino con l’approvazione del Senato federale, il ministro della Giustizia Roberto Castelli non si fa scrupoli nell’intervenire a gamba tesa su uno dei punti più delicati del dibattito come i poteri di concessione della grazia. E il Guardasigilli lo fa in un modo duplice: avanzando pesanti sospetti intorno al movimento di opinione che da anni accompagna la richiesta di libertà per l’ex leader di Lc e, contemporaneamente, ribadendo la sua contrarietà a ogni possibile gesto di clemenza. Un messaggio che Castelli sceglie di inviare dicendo la sua sui nuovi compiti istituzionali affidati al capo della stato, a cui la riforma costituzionale attribuisce il potere esclusivo di decisione in materia di grazia. "È un’ottima riforma - dice secco il ministro - il capo dello Stato dà la grazia e lui se ne assume l’intera responsabilità". Il caso Sofri continua dunque a tener banco, e non solo per la Lega. Pur di non vedere uscire l’ex di Lc dal carcere mercoledì An ha presentato due sub emendamenti pensati apposta per impedire che il presidente della repubblica possa agire autonomamente. Un’opportunità che invece ieri Castelli ha dimostrato di apprezzare, non fosse altro perché gli ha permesso di tornare a parlare della vicenda Sofri lanciando accuse che poi si è guardato bene dallo spiegare. "Ho deciso di non controfirmare la grazia, che per altro non è mai arrivata sul mio tavolo, perché non mi prendo la responsabilità di un provvedimento che non condivido", ha spiegato il ministro in un’intervista all’Espresso in edicola oggi. "La mia posizione è chiara - ha proseguito Castelli -. Ciò che è oscuro è invece tutto questo giro di pressioni. Sembra quasi che Sofri debba essere liberato a tutti i costi". Di più Castelli non aggiunge, salvo dirsi vittima di "un attacco virulento e proditorio nei miei confronti". "Pressioni", "attacchi virulenti". Di cosa parli Castelli forse non lo sa nessuno, ma le sue parole bastano al ministro per le Comunicazioni Maurizio Gasparri per esprimere solidarietà al Guardasigilli. "Ho avvertito anch’io - si lamenta Gasparri - il peso di un lobbismo che ha superato i livelli della decenza ed è diventato quasi lesivo delle libertà di opinione". Di pressioni di nessun tipo vuole invece sentir parlare il verde Paolo Cento. "Non si comprende di cosa parli il ministro Castelli. Semmai in questi mesi abbiamo assistito all’ostinazione di una minoranza in parlamento, nel governo e nel paese, di cui fa parte anche il ministro Castelli, che ha esercitato un incomprensibile diritto di veto", ha spiegato Cento. "Per questo sarebbe utile per tutti che finalmente, al di là delle convinzioni del ministro della Giustizia, che il presidente della Repubblica sia messo nelle condizioni di esercitare il diritto di decidere sulla grazia, come tanti chiedono e auspicano". Con un tempismo perfetto, intanto, ieri si è appresa anche la decisione presa dal giudice di sorveglianza di Pisa sulla concessione della grazia a Sofri. E come già accaduto il mese scorso con la procura generale d Milano, anche quello di ieri è stato un parere negativo. A motivare la scelta sarebbe stato il fatto che Sofri non ha mai presentato la demanda di grazia, segno - per il giudice - di un mancato ravvedimento da parte sua. "Non mi paiono motivi molto ragionevoli per giustificare questa scelta", è stato il commento dell’avvocato Alessandro Gamberini, legale di Sofri, che ha voluto anche protestare perché "il ministro si rifiuta di concedere l’accesso agli atti della procedura; così finisco per apprendere dai giornalisti cose che però sono segrete solo per i difensori". Per il sindaco di Roma Walter Veltroni, infine, quella di Sofri è una vicenda che "va affrontata, spero al più presto, con un intervento istituzionale". Sofri: Cento, Ciampi sia messo in condizione di decidere
Ansa, 17 settembre 2004
Il presidente della Repubblica sia messo nelle condizioni di decidere sulla grazia a Sofri: lo ribadisce il Verde Paolo Cento che replicando al Guardasigilli afferma di non capire a quali pressioni si riferisca il ministro Castelli. "Non si comprende quali siano le pressione di cui parla il ministro Castelli in relazione alla grazia a Sofri. Quella che è in atto da diversi mesi in Italia e in Europa è una mobilitazione trasparente civile e democratica - aggiunge il parlamentare - che ha fatto della vicenda Sofri una battaglia umanitaria e di giustizia perché, al di la del giudizio sulle sentenze che lo hanno condannato, non vi è più alcuna ragione che ne giustifichi la detenzione". "Semmai in questi mesi abbiamo assistito all’ostinazione di una minoranza in Parlamento, nel Governo e nel Paese, di cui fa parte anche il ministro Castelli, che ha esercitato un incomprensibile diritto di veto. Per questo - conclude - sarebbe utile per tutti che finalmente al di là delle convinzioni del ministro della Giustizia, che il presidente Ciampi sia messo nella condizione di esercitare il diritto di decidere sulla grazia, come in tanti chiedono e auspicano". Sofri: Castelli, pratica presentata rapidamente a Quirinale
Ansa, 17 settembre 2004
Il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha preannunciato che la pratica riguardante la richiesta di grazia per Adriano Sofri sarà presentata "rapidamente" al presidente della Repubblica. "Non appena la pratica sarà completa - ha detto Castelli, stamani a Bergamo per partecipare a un convegno promosso dall’ordine nazionale degli ingegneri -, come sempre ho dichiarato, mi premurerò di presentarla rapidamente al Quirinale". Ieri il magistrato di sorveglianza di Pisa ha dato parere negativo alla concessione della grazia. Misure alternative: Commissione Giustizia riprende i lavori
Vita, 17 settembre 2004
Si torna a parlare di misure alternative alla detenzione. La Commissione Giustizia ha ripreso l’esame la pdl 461 e le numerose proposte connesse, sospeso dal febbraio dello scorso anno. Le priorità individuate sono procedere alla definizione di un testo unificato delle numerose proposte di legge sulle misure alternative alla detenzione e intervenire con urgenza su specifici casi di affidamento ai servizi sociali senza ipotizzare una più complessa riforma complessiva. E’ stato per questo deciso di costituire un Comitato Ristretto e, come ha sottolineato il Presidente della stessa Commissione Gaetano Pecorella, si è convenuto sulla opportunità di focalizzare l’attenzione su singoli aspetti delle alternative alla detenzione. Sergio Cola di An ha rilevato l’esigenza di considerare anche le situazioni in cui l’affidamento ai servizi sociali viene disposto dopo molto tempo rispetto alla richiesta, in alcuni casi dopo aver scontato mesi di reclusione. Obiettivo dei gruppi di maggioranza e di opposizione e’ quello di varare un testo che possa ottenere il via libera del parlamento entro la legislatura tenendo conto anche dei tempi di discussione al Senato. Eures: omicidi in aumento e tornano quelli di mafia
Ansa, 17 settembre 2004
Inversione di rotta per gli omicidi in Italia: aumentano e allo stesso tempo tornano, raddoppiando, quelli di mafia. In un anno, il fenomeno ha infatti registrato un incremento totale del 9,7%, passando dai 600 casi registrati nel 2002 ai 658 censiti nel 2003. Ma, in particolare, l’aumento più consistente riguarda gli omicidi compiuti dalla criminalità organizzata: +83,3% registrato nello stesso arco di tempo. Nello specifico, i regolamenti mafiosi sono passati dagli 84 del 2002 ai 154 nel 2003. A fotografarne la crescita è il Rapporto Eures (Ricerche economiche e sociali) 2004 sull’omicidio volontario in Italia, presentato oggi a Roma, che sottolinea come tale tendenza emerge "dopo numerosi anni in cui il fenomeno omicidiario in Italia ha segnato un andamento decrescente, toccando, secondo l’Istat, la punta minima di 639 casi nel 2002". Allo stesso modo, sottolinea l’Eures, negli ultimi anni l’omicidio di stampo mafioso è apparso come fenomeno "in forte decremento", toccando proprio nel 2002, con 84 vittime, la punta più bassa degli ultimi anni (-40% rispetto al 2001). Il 2003 segna, invece, "una netta inversione di tendenza". La criminalità organizzata si conferma tuttavia come fenomeno localizzato quasi interamente al sud e in particolare in quattro regioni considerate "a rischio mafioso" dove è avvenuto, sottolinea l’Eures, l’89% di tutti gli omicidi attribuiti alla mafia. Sono Campania (con 57 vittime di camorra, pari al 37% di quelle del crimine organizzato), seguita Puglia (con 38 vittime, in prevalenza della Scu e delle altre consorterie emergenti, pari al 24,7%), Calabria (con 26 vittime della ‘ndrangheta, pari al 16,9%) e Sicilia (con 16 vittime della "onorata società", pari al 10,4%). Eures: omicidi, il 45% tra famigliari e conoscenti
Ansa, 17 settembre 2004
Gli omicidi maturati in famiglia e nell’ambito di rapporti di lavoro, conoscenti e vicini di casa continuano a superare quelli legati alla criminalità comune e organizzata, in Italia. La tendenza, già emersa negli anni passati, viene infatti confermata anche nel 2003, raccogliendo complessivamente 301 vittime, ossia quasi la metà (45,7%) degli omicidi totali (658) registrati l’anno scorso. È uno dei dati contenuti nel rapporto Eures 2004 sull’omicidio volontario nel Paese. Tra le mura domestiche, dice, avviene un omicidio ogni 40 ore, ossia ogni giorno e mezzo. In particolare, di tali delitti legati ai cosiddetti "rapporti di prossimità", 201 sono avvenuti in famiglia, 49 tra amici e conoscenti, 29 in ambito economico e lavorativo e 22 di vicinato. Gli omicidi in famiglia prevalgono soprattutto al Nord (103 vittime, pari al 51,2%), rispetto al Sud (55, ossia il 27,4%) e al Centro (43, pari al 21,4%). A livello regionale, la Lombardia si conferma la regione più interessata dal fenomeno, con 35 vittime (pari al 17,4%) e Milano in testa (19 vittime, il 9,5% del totale). Inoltre, nei delitti che avvengono tra familiari, le vittime sono soprattutto donne (il 67,7% dei casi, a fronte del 32,3% degli uomini). Gli autori degli omicidi sono invece soprattutto uomini (171 casi, pari all’82,2%, contro 37 donne). Quello passionale (con 55 vittime, il 27,4%) si conferma come movente principale. In generale, il maggior numero delle vittime si registra tra gli over 64 (43 vittime, il 21,4% del totale) e nella fascia di età 35-44 anni (42 vittime, il 20,9%). Eures: in aumento vittime eutanasia e disperazione
Ansa, 17 settembre 2004
"Eutanasia" e "disperazione": sono gli ambiti in cui sono maturati, negli ultimi quattro anni, 54 omicidi in Italia, secondo la banca dati Eures, che lancia un vero e proprio allarme in questo senso, legato in particolare al Nord del Paese. Movente di tali delitti, spiega il rapporto 2004, sono situazioni di "grave disagio fisico, mentale o sociale della vittima". In altre parole, le vittime sono malati gravi e disabili. Il contesto, sottolinea, è familiare e quasi esclusivamente legato al rapporto coniugale o genitore-figlio. Un fenomeno che, aggiunge l’Eures, appare in "forte crescita": si è infatti passati da 10 casi nel 2000, a 12 nel 2001, a 14 nel 2002, a 18 nel 2003 (+80% nell’intero periodo). In particolare, un incremento di "notevoli dimensioni" ha riguardato il Nord dove, prosegue il rapporto Eures, si registra la maggiore incidenza del fenomeno, con il 66,7% delle vittime (36 in valori assoluti), a fronte del 14,8% del Centro (con 8 vittime) e del 18,5% del Sud (10 vittime). La grave malattia fisica risulta, con 21 vittime tra il 2000 e il 2003 (pari al 38,9%), insieme all’handicap fisico (ancora con 21 vittime) - spiega il rapporto - la condizione più frequentemente rilevata tra le vittime di omicidio in condizioni di grave disagio; seguono le situazioni di disagio mentale (9 vittime nel quadriennio, pari al 16,7%) e l’abuso di alcool e droga (3 vittime, pari al 5,6%). Più numerose sono le vittime donne, con una incidenza del 66,7% (36 in valori assoluti) a fronte del 33,3% (18 vittime) degli uomini. La fascia anziana la più colpita. Il rapporto Eures sottolinea inoltre il rapporto tra vittima e autore. La maggioranza degli omicidi di vittime in situazione di grave disagio (42,6%) è avvenuta per mano di un coniuge (in 23 casi sui 54 complessivi); seguono i delitti commessi dai genitori nei confronti dei figli (17, pari al 31,5%) e quelli dei figli a danno dei genitori (9 vittime, pari al 16,7%); infine, in 4 casi, vittima e autore sono fratelli o sorelle e in un solo caso un altro familiare. Successivamente all’omicidio la maggior parte degli autori realizzano o tentano il suicidio: tra il 2000 e il 2003, il 38,9% degli autori (21 in valori assoluti) si è suicidato, mentre il 18,5% ha tentato il suicidio; il rimanente 42,6% si è consegnato o, comunque, è stato immediatamente assicurato alla giustizia. Sofri: grazia, parere negativo da giudice sorveglianza Pisa
Apcom, 17 settembre 2004
Dopo la procura generale di Milano, è oggi il turno del giudice di sorveglianza di Pisa (città dove l’ex leader di Lotta Continua è detenuto) esprimere parere negativo alla concessione della grazia ad Adriano Sofri. Il parere, tecnico e non vincolante, è stato trasmesso all’ufficio competente del ministero della Giustizia che adesso avrà il compito di presentare una relazione al guardasigilli. A quanto si è appreso, il parere negativo del magistrato di sorveglianza di Pisa si baserebbe sul fatto che Sofri, condannato a 22 anni di reclusione per l’omicidio del Commissario Calabresi, non ha mai chiesto la grazia e questo potrebbe essere ritenuto come un mancato ravvedimento da parte dell’ex leader di Lotta Continua. Venezia: San Servolo, giornate per conoscere il carcere
Il Gazzettino, 17 settembre 2004
Due giornate di festa, con incontri, concerti e dibattiti, che da anni hanno lo stesso scopo: portare a conoscenza di tutti le problematiche del carcere. E, in una città come Venezia, che di istituti penali ne ha tre (casa reclusione donne, maschile Santa Maria Maggiore, Casa Lavoro), il problema non è per nulla slegato dalla realtà. Ritorna così la nona edizione della festa di S. Servolo, organizzata e proposta come sempre dall’Associazione di volontariato penitenziario veneziano e padovano "Il Granello di Senape", con la collaborazione della cooperativa "Il Cerchio". L’appuntamento che oramai è una tradizione propone due giornate dense di appuntamenti, in cui i protagonisti sono proprio i detenuti. "Questa festa - spiega Gianni Vianello, presidente del "Granello di senape" - rappresenta appunto il collegamento tra il carcere e la città". "La festa di S. Servolo è un fondamentale appuntamento di verifica annuale sugli impegni presi e su quanto è stato realizzato" dice Gianni Trevisan, presidente della cooperativa "Il Cerchio". La festa inizia sabato 18, alle 18.30, con la visita guidata all’isola, a cura di "Soggetto Venezia" e prosegue, alle 19.30, con "Fresco Moda" filmato realizzato dai detenuti del "Due Palazzi" a cura di Art Rock Cafè. Alle 20.45, saluto del presidente della Provincia Davide Zoggia, a cui seguiranno il Concerto del Centro di coordinamento culturale "Le Venexiane" e la sfilata di costumi dal 1500 al 1900. Domenica 19, alle 10.00 seconda visita guidata all’isola e alle 10.45 saluto di Luigino Busato, presidente della San Servolo servizi e il dibattito "Pratiche positive per abbattere i muri: esperienze a confronto" coordinato da Sergio Segio del Gruppo Abele. Alle 13.30 pranzo, alle 15.30 proiezioni di filmati e alle 17 spettacolo musicale di Fabio "Koryu" Calabrò. Napoli: quando la poesia approda in carcere
Il Mattino, 17 settembre 2004
La letteratura entra nel luogo della reclusione, ne spalanca le porte, ne scardina i lucchetti con l’arma della poesia. Premio Napoli e il carcere di Secondigliano. Anche quest’anno la manifestazione presieduta da Ermanno Rea ha riservato una giornata all’incontro tra alcuni degli scrittori finalisti (i poeti Mario Benedetti e Nino De Vita, insieme a Jim Crace) e i due comitati di lettura che si sono costituiti nella casa circondariale di Secondigliano. "La poesia è uno strano oggetto di cui non sempre troviamo subito l’interruttore - ha detto Domenico Scarpa, moderatore dell’incontro, rivolgendosi ai presenti, dopo i saluti della nuova direttrice del carcere, Laura Passaretti, e del vicepresidente del premio, Silvio Perrella - È come un farmaco a rilascio lento. Sono curioso di sapere questo farmaco come ha agito su di voi". Loro, i detenuti, sono attenti, visibilmente emozionati, consapevoli di essere i protagonisti della giornata. La loro esperienza di lettura è stata solitaria e accorta, ognuno ha scelto un libro, o meglio, si è fatto scegliere dal "suo" libro, poi si sono confrontati, guidati dalle insegnanti che lavorano all’interno del carcere, hanno preparato le domande da fare agli autori e le letture da recitare. Camicia a fiori, voce incerta, rotta dall’emozione, il primo detenuto ha letto "La zia Vincenza", tratto dal volume Cùntura di De Vita (Mesogea). E il poeta di Marsala ha riletto subito dopo la stessa poesia nella versione originale, in dialetto siciliano, avviando così una discussione su poesia e traduzione, e sullo "scontento" inevitabile del poeta tradotto. Ancora una poesia letta, questa volta da Umana gloria di Benedetti (Mondadori), dal titolo "Che cos’è la solitudine". E davvero non è difficile immaginare a quale tipo di solitudine abbia pensato il lettore recitando quei versi. Qualcuno fa notare al poeta che ricorre spesso l’immagine di un bambino nella sua raccolta di poesie. Benedetti tace, pensa, confessa che non se n’era accorto, e ringrazia. Ce n’è anche per gli assenti, come la scrittrice anglo afghana Saira Shah. Un detenuto prende la parola e spiega che per lui la lettura è una finestra aperta sul mondo: un romanzo come L’albero delle storie (Bompiani) lo ha aiutato a capire che la realtà non è come quella che ci mostra la televisione. "Ho capito che l’Afghanistan non è soltanto talebani e fondamentalismo, ma anche un popolo fiero e orgoglioso, che l’Islam può essere anche la religione della tolleranza, per la quale il vero guerriero è quello che lotta con se stesso". Ma lo scrittore più atteso, il più corteggiato, è stato Jim Crace, finalista della sezione narrativa straniera, autore di Storia naturale dell’amore (Guanda). Al suo ingresso gli porgono una copia del libro. Crace s’inginocchia, poggia il volume sul pavimento, e firma un autografo. Appare disinvolto, per niente cattedratico, mai banale, anche quando parla di morte e dolore, di gioia e fortuna. E strappa applausi convinti ai presenti. C’è anche una sorpresa per lui. Una copia del suo romanzo in versione originale: appartiene a un giovane detenuto americano, che alla fine del dibattito gli si avvicina, emozionatissimo, ringraziandolo per essere venuto. Gli racconta della sua "brutta" storia. Non gli par vero di poter parlare nella sua lingua, lui che capisce poco e male l’italiano. Crace gli stringe la mano e gli augura buona fortuna. La poesia vola dal carcere a piazza Dante. Il Premio Napoli ha inaugurato, ieri, anche i suoi incontri con i finalisti nel Convitto "V. Emanuele". Benedetti e la Shah hanno conversato con Nello Ajello; Carmine Abate e De Vita con Bruno Arpaia. La pioggia ha costretto poi al trasferimento al teatro Augusteo lo spettacolo condotto da Serena Dandini e Francesco Durante. Ilaria Occhini e Giuseppe Cederna hanno letto i testi scritti da narratori, poeti e saggisti per il Premio Napoli. A seguire, il concerto eseguito dal Jazz Quartet composto da Francesco D’Errico (pianoforte), Marco De Tilla (contrabbasso), Giuseppe La Pusata (batteria) e Marco Sannini (tromba). Special guest la cantante Norma Winstone. Ma la vera star è stato Francesco Rosi al quale - tra l’altro - il professor Costa dell’Università di Reggio Calabria ha consegnato il diploma di laurea ad honorem in Pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale: e molti sono stati gli applausi alla proiezione d’un breve spezzone del suo capolavoro "Le mani sulla città". Immigrati: Berlusconi, con accordi tornano basi partenza
Agi, 17 settembre 2004
"Per quanto riguarda la lotta alla criminalità stiamo lavorando intensamente". Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa, parla anche della questione sicurezza e soprattutto della lotta all’immigrazione clandestina. "Il 33% dei soggetti che stanno nelle nostre carceri - sottolinea il premier - è rappresentato proprio da immigrati che per il 40% sono clandestini. Dobbiamo ricordare la forte attività del governo e del presidente del Consiglio e dei ministri degli Esteri e dell’Interno nei confronti di tutti gli Stati che sono fonti di immigrati clandestini o paesi di passaggio". Berlusconi mette in risalto come "attraverso questi accordi riusciamo oggi a far ritornare gli immigrati clandestini nelle basi di provenienza" e considera "assolutamente positivi" i dati forniti oggi dal ministro Pisanu. Riforma della giustizia, in arrivo sul binario. Morto?
L’opinione, 17 settembre 2004
Alfine, anche l’ora X della giustizia, è scoccata. È in arrivo sul binario, speriamo in attività, di un palazzo romano. L’ha annunciato il Premier - che di giustizia se ne intende - in quel Palazzo Grazioli che, per i più ingenui, sembra evocare i fasti plebiscitari e decisionistici di Palazzo Venezia, se non fosse per la riduttiva locandina della riunione che prevede i tempi, i modi, i personaggi, i passaggi della "nuova giustizia" in fieri cioè nel suo da farsi, in progress. La chiamano "nuova giustizia" perché si vergognano di parlare di riforma della giustizia per troppo abuso del termine "riforma". Mentre la "vecchia giustizia" quella ben nota, di tutti i giorni, delle carceri strapiene alla faccia degli indultini, e dei suicidi anche eccellenti, va avanti col suo tran tran in attesa della mitica ora X, appunto, prevista più in là, verso l’autunno, il tempo delle indimenticabili foilles mortes, come cantava Juliette Greco. Le cronache parlano di incontri dei saggi, meeting degli esperti, sedute allargate ai rappresentanti dei partiti con i loro tecnici a latere, riunioni fiume con la partecipazione del presidente Pecorella che, per puro caso, è avvocato difensore del Premier nei processi in corso ai quali processi guardano i magistrati, organizzati e militarizzati nell’Associazione, o per meglio dire Casta omonima. Pare che la ratio, the reason di tale attesa "giudiziosa", derivi dalla approvazione del nuovo Codice di procedura penale e civile mentre, invece, l’attenzione della Casta sembra essere più nervosa che propositiva tenendo d’occhio sia l’ipotesi dello sciopero delle toghe sia, e soprattutto, le eventuali condanne del Premier nei processi. Un quadretto invero ottimista e, diciamocelo, riformatore, giacché, in un caso come nell’altro, gli scioperi comme d’habitude non meno degli esiti dei procedimenti in corso sarebbero le carte da giocare per bloccare le riforme, costituendo comunque un solido deterrente perché non se ne faccia (quasi) niente. Del resto e quanto a giustizia, questa maggioranza necessiterebbe di un vero a proprio autodafè per via di quel "niente" prodotto in questi tre anni e passa di governo e di non riforme della giustizia. Eppure, abbiamo appreso dal Presidente della Commissione omonima, che, nell’impossibilità di fare la grande riforma della giustizia, non poche leggi sono state fatte nel settore giudiziario: la Cirami, la riforma del Csm, il falso in bilancio, le rogatorie ecc. ecc. Che servissero al presidente del Consiglio sottoposto a persecuzione giudiziaria è un fatto di tutta evidenza - ha detto al festival de L’Unità di Genova, il Presidente nonché Avvocato Pecorella. L’importante, ha aggiunto, è che fossero leggi buone, giuste, utili, erga omnes, verso tutti, come le vere riforme. Per favore… Rovigo: il prefetto incontra direttore carcere e sindacati
Il Gazzettino, 17 settembre 2004
Questa mattina, alle 10, il prefetto Ciro Lomastro incontrerà i sindacati degli agenti della polizia penitenziaria, Cgil, Sappe, Sinap e Osap, per affrontare la nuova situazione di emergenza che si è creata all’interno della casa circondariale per le gravi carenze di organico. Attorno a un tavolo siederanno anche il direttore del carcere e il capo delle guardie. "Siamo molto soddisfatti - spiega il segretario della Cgil Giampietro Pegoraro - perché ancora una volta il prefetto ha risposto immediatamente alle nostre richieste di aiuto. Di questo lo dobbiamo ringraziare pubblicamente". Ed era stato proprio lo stesso Pegoraro a sollevare la questione: in questo momento, infatti, otto agenti devono piantonare una detenuta sieropositiva all’ospedale. Così il carcere ha ancor meno vigilanza.
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