|
Civitavecchia: detenuto polacco muore suicida
Il Messaggero, 16 settembre 2004
Un detenuto polacco di 45 anni si è ucciso nel carcere Aurelia, a Civitavecchia. Al momento si ignorano le modalità e i motivi del suicidio, avvenuto ieri e di cui si è venuti a conoscenza oggi. Il deputato dei Ds Pietro Tidei ha rivolto un’interrogazione urgente al ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, chiedendo di conoscere particolari precisi sull’accaduto. L’esponente del centrosinistra ha sottolineato che "i numerosi analoghi precedenti pongono inquietanti interrogativi sulle condizioni della detenzione e sui livelli di vigilanza, in particolare in considerazione delle ricorrenti proteste degli agenti di custodia e dei sindacati che li rappresentano, che da tempo rivendicano un adeguamento degli organici al numero dei detenuti, denunciano il sovraffollamento della struttura penitenziaria e una serie di carenze organizzative".
La direttrice: "suicidio inspiegabile"
"Una vicenda che ci ha colpito profondamente, non solo noi operatori del penitenziario, ma anche tutti i detenuti". Silvana Sergi, direttrice del carcere di via Tarquinia, commenta così il suicidio di M.C., polacco di 45 anni, che si è tolto la vita impiccandosi con la cintura dei suoi pantaloni all’interno della sala hobby della casa circondariale. Apparentemente, l’uomo non aveva nessun motivo per compiere l’insano gesto, anche perché aveva ormai scontato quasi completamente la sua pena. "Era stato condannato per omicidio - spiega la Sergi - e doveva scontare gli ultimi cinque anni, ma sarebbero stati i più tranquilli, perché erano già state avviate le pratiche per il permesso di uscita e rientro la sera". Adesso si dovrà svolgere l’autopsia, la quale però verrà eseguita solo all’arrivo dei congiunti in Italia. Al Quirinale potere di grazia, speranza per Sofri
Ansa, 16 settembre 2004
Tra le pieghe della riforma della Costituzione una speranza per Adriano Sofri. Un emendamento presentato dalla Casa delle Libertà al disegno di legge, infatti, prevede che non si parli più di ministro "proponente" ma di ministro "competente". Il significato di questa modifica è il diverso valore che si vuol dare alla "controfirma" da parte del ministro Guardasigilli. Che - se questa parte della riforma sarà approvata - non sarà più determinante per la concessione della grazia, ma assume un carattere "notarile". Altri emendamenti toccano da vicino i rapporti tra governo e Quirinale, e tra questi la richiesta di una nuova deliberazione alle Camere, la nomina dei deputati a vita, la nomina dei giudici della Corte Costituzionale. Ma il passaggio sulla concessione della Grazia potrebbe avere ricadute immediate su uno dei casi giudiziari più discussi degli ultimi anni: il caso Sofri, appunto. La vicenda dell’ex leader di Lotta continua, condannato a 22 anni di carcere (che sta scontando a Pisa) per l’omicidio del commissario Calabresi, ha infatti visto contrapporsi negli ultimi mesi proprio il Quirinale e il ministero di via Arenula. Con il ministro Castelli e Ciampi che - è notorio - hanno due diverse opinioni su un eventuale provvedimento di clemenza. Di fatto, con le attuali norme, si è creata una situazione di stallo. Che se entrasse in vigore questa parte della riforma, che affida al Quirinale l’esclusivo potere di decisione, potrebbe rapidamente sbloccarsi. Pianosa: un pugno di detenuti rianima l’isola
Ansa, 16 settembre 2004
Dopo anni di isolamento, protetto anche dall’aggressione dei turisti in visita all’Arcipelago Toscano, opportunamente contingentati, l’isola di Pianosa, un tempo carcere di alta sicurezza, torna ad animarsi grazie ad un piccolo manipolo di detenuti, una decina in tutto, che nelle prossime settimane verranno trasferiti lì con il compito di prendersi cura di questa grande piattaforma in tufo di dieci chilometri quadrati, adagiata a 14 chilometri dall’Elba. Sono detenuti in regime di articolo 21 del regolamento carcerario, cioè ammessi a svolgere il lavoro esterno. Si occuperanno della manutenzione ordinaria dei fabbricati, riattiveranno e faranno una mappa dei sentieri, lavoreranno alla manutenzione ed al ripristino delle strade. Il trasferimento rientra nel protocollo d’intesa tra i ministeri dell’Ambiente e della Giustizia. "I detenuti che saranno trasferiti - spiega Rosario Tortorella, direttore della casa di reclusione di Porto Azzurro, competente anche per Pianosa - risponderanno a requisiti di affidabilità". Gli ultimi 11 detenuti residenti nel carcere di Pianosa lasciarono l’isola, alle 14:30 del 30 giugno 1998. Quel giorno la casa circondariale chiuse definitivamente i battenti dopo 140 anni di attività, in attuazione ad una legge del 23 dicembre 1996. In passato aveva accolto fino a 900 detenuti e 400 agenti di custodia con relative famiglie. Dal 1992 al 1997, aveva ospitato una sezione di massima sicurezza e vi avevano abitato criminali di mafia come Pippo Calò, Michele Greco, Nitto Santapaola, Pippo Madonia, Giovanni Brusca, Pietro Vernengo, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Nino Mangano. Occupavano la sezione di massima sicurezza costruita sulla sommità dell’isola, che fu chiamata Agrippa e fu voluta dall’allora generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tra l’altro, in una notte nel luglio 1992, con un ponte aereo straordinario, vi furono trasferiti una sessantina di boss mafiosi provenienti dall’Ucciardone. Sull’utilizzo della ex struttura carceraria erano state fatte nel tempo molte ipotesi. Gli enti locali e dalla diocesi di Massa-Marittima-Piombino avevano proposto di realizzare una casa per la custodia attenuata. Poi si fece l’ipotesi che una parte dei terreni e degli immobili dell’isola fossero assegnati alla comunità benedettina "Fraternità di Gesù" per garantire un presidio del territorio, soluzione che poteva garantire l’avvio di attività legate all’ agricoltura biologica. Altra ipotesi, formulata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche fu quella di farne un laboratorio naturale per lo studio dei cambiamenti dell’ ecosistema, progetto che era frutto della collaborazione tra 11 istituti del Cnr, dell’amministrazione del parco nazionale dell’arcipelago toscano e le università di Pisa, Firenze, Udine e Napoli. Favorevole invece ad un riutilizzo dell’isola come centro carcerario il ministro della giustizia Roberto Castelli che, il 13 luglio 2001, aveva visitato Pianosa trattenendosi per due ore e che il 23 agosto successivo aveva dichiarato che era giunto il momento di "riaprire quella colonia penale per far fronte all’emergenza carceraria". La detenzione a Pianosa fu anche al centro di un giudizio della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo che, il 18 ottobre del 2001, accolse parzialmente il ricorso presentato contro l’Italia da un ex detenuto, Rosario Indelicato, che denunciava di avere subito dei maltrattamenti nel carcere toscano. I giudici di Strasburgo condannarono l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani e concessero a Indelicato un risarcimento per i danni e le spese di circa 85 milioni di lire. Indelicato era stato arrestato perché sospettato di traffico di droga il 20 luglio 1992 e incarcerato nel quartiere di alta sicurezza Agrippa, dove rimase fino al 2 settembre 1997. Un momento storico per l’isola fu la visita del premio Nobel per la pace Madre Teresa di Calcutta, il 17 maggio 1986, accompagnata dall’allora sottosegretario alla giustizia senatore Luciano Bausi. I detenuti ascoltarono la piccola suora bianca che nel cortile dell’ora d’aria parlò di "amore, fratellanza e di Gesù Cristo che fu messo in carcere per amore nostro". Sappe: per Sofri intervenga la magistratura e il ministro
Ansa, 16 settembre 2004
"Con l’intervista di ieri sul Corriere della Sera il detenuto Adriano Sofri ha veramente superato ogni limite". A dichiararlo è la Segretaria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che con 13 mila iscritti ed il 40% di rappresentatività è l’Organizzazione più rappresentativa del mondo penitenziario. "Non è più possibile per la Polizia Penitenziaria continuare a subire i farneticanti attacchi che un "signore", condannato e detenuto per gravissimi reati, continua a portare contro un Corpo di Polizia dello Stato". La Segreteria Generale del Sappe chiede con forza l’intervento della competente Autorità Giudiziaria e del ministro della Giustizia Roberto Castelli affinché venga ridimensionata, se non addirittura vietata, la smisurata cassa di risonanza concessa ingiustificatamente ad Adriano Sofri. "Non è più tollerabile" prosegue il Sappe "che grazie all’uso di mass-media compiacenti un detenuto condannato definitivamente possa continuare ad offendere lo Stato ed i suoi rappresentanti". Il Sappe, e tutta la Polizia Penitenziaria con lui, si ritiene offeso e vilipeso dalle gravi accuse di "miopia e sciocca cattiveria" indirizzate dal detenuto Sofri al Corpo, per il solo fatto che i poliziotti penitenziari (e non "agenti di custodia" o "carcerieri" come ironicamente ci definisce il carcerato) compiono il proprio dovere elevando rapporti disciplinari a detenuti che infrangono il Regolamento penitenziario. La Segretaria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria preannuncia, infine, "immediate azioni legali nei confronti di Sofri e del Corriere della Sera a tutela dell’onore e del prestigio del Corpo di Polizia Penitenziaria, auspicando che anche il ministro Castelli intervenga a difesa del decoro del Corpo di Polizia che da lui dipende". Riflessione sull’odierna polemica: Sofri ed i carcerieri di Giuseppe Pilumeli (Commissario di Polizia Penitenziaria)
Sono un commissario della polizia penitenziaria, comandante del reparto di Prato, da alcuni mesi non sono in servizio attivo perché sto frequentando un lungo corso di formazione all’istituto superiore a roma, struttura che ospita la formazione per i quadri direttivi del corpo e per direttivi e dirigenti dell’amministrazione. stamani in aula un collega, probabilmente per stuzzicare una discussione, mi ha passato il corriere della sera, criticando le affermazioni di Sofri, indicandomi l’ultima parte dell’articolo. dopo una fugace lettura, gli ho detto di condividere le affermazioni di Adriano Sofri, spiegandogli però le ragioni. Quello che Sofri dice dell’ultima parte dell’articolo, a mio giudizio, non va inquadrato come affermazione gratuita ed a sé stante, va inquadrato nel tenore generale dell’intervento di Sofri. È finita lì. Stasera, aprendo il vostro sito, leggo della protesta piuttosto animata del Sappe, organizzazione sindacale autonoma più rappresentativa, e rimango perplesso della reazione dei vertici sindacali che chiamano il ministro ad intervenire a difesa dell’onorabilità del corpo e dei suoi appartenenti, promettendo anche azioni legali contro Sofri ed il Corriere della Sera. Volevo dare un mio contributo, dall’interno peraltro, ed in breve dico che è sbagliato assumere posizioni drastiche come quella assunta dal sindacato, che addirittura dice di non poter tollerare oltre la libertà concessa ad un carcerato che fruisce di agevolazioni di giornali compiacenti. in primo luogo credo che queste affermazioni siano sbagliate solo per il semplice assunto di non concepire che un detenuto, che rimane un cittadino privo della libertà personale ma ancora titolare dei diritti civili costituzionalmente garantiti, possa avere questa possibilità. Non esistono norme che vietino espressamente la possibilità di usufruire di queste opportunità; che Poi lo faccia Sofri e non lo possano fare tanti altri è un problema da analizzare, ma rimane il fatto che per farlo, Sofri sarà autorizzato dall’autorità competente. in secondo luogo, e questa è la parte secondo me più grave, si rischia la miopia quando si stigmatizzano affermazioni di questo tenore, lette senza farle rientrare nel senso generale contenuto nell’articolo, e si ritiene di essere offesi dal carcerato che può scrivere liberamente sui giornali. Non è ai fronzoli che bisogna guardare, a mio giudizio, ma alla sostanza. Un detenuto parla di condizioni inumane, ed in fondo stuzzica il lettore sull’azione, che egli giudica miope, del carceriere. Io ritengo che un agente debba segnalare i comportamenti contrari alle norme regolamentari, per il semplice fatto che rientra nei suoi doveri. Semmai è al livello decisionale che vanno eventualmente mosse critiche: non si decide con lo stampino, ma le situazioni riferite dal personale di polizia sui fatti che sono registrati nel quotidiano devono assumere, con l’eventuale azione disciplinare, un contenuto educativo. È questa la ratio della parte di regolamento riserva alle norme sulla disciplina in ambito penitenziario; non esiste, o meglio non dovrebbe esistere punizione fine a se stessa, ma la comminazione della sanzione, lo dicono le norme, devono cercare di sortire l’effetto educativo nei confronti del sanzionato. E peraltro non esiste automatismo sancito per norma che precluda ad un detenuto rapportato di usufruire dei benefici; probabilmente è la magistratura di sorveglianza che non funziona adeguatamente, perché se si regola solo sulla presenza o sull’assenza di procedimenti disciplinari per decidere se concedere o meno un beneficio, allora proprio non ci siamo. Dalla visuale del detenuto l’essere rapportato, per come vanno le cose, significa non poter sperare nei benefici. Le norme invece prevedono, per l’accesso ai benefici, anche altri elementi di valutazioni, che insieme al comportamento del soggetto devono portare ad una valutazione sull’ammissione o meno. Anche questa volta, purtroppo, credo che ci siamo persi una occasione di sereno e proficuo confronto. Invece, purtroppo, le occasioni per le polemiche vengono colte al volo, ed i problemi rimangono al palo. Per finire poi, sul disciplinamento il discorso sarebbe lungo. Foucault, nel suo "Sorvegliare e punire", ha spiegato molte cose. Credo che un testo del genere, nell’ambito della formazione del personale di polizia penitenziaria, sia indispensabile. Ma questi tempi sono lunghi a venire. Peccato. Parma: percorsi di inserimento lavorativo e sociale
Si terrà a Parma il prossimo 8 ottobre dalle 9.30 alle 18.00 un convegno dal titolo "Analisi di percorsi di inserimento lavorativo e sociale di detenuti". Interverranno Roberto Merlo (psicologo esperto di analisi degli interventi sociali), Antonio D’Alessandro (Parsek Roma), Andrea Lassandari (Agenzia Emilia - Romagna Lavoro), Maria Pia Giuffrida (Presidente della Commissione Mediazione penale e Giustizia riparative del Ministero della Giustizia), Marcella Saccani (Coop. sociale Sirio), Pietro Bertolazzi (Coop. sociale Futura), Fausto Viviani (Politiche sociali CGIL Emilia Romagna), Michelina Capato Salvatore (regista Estia), Licia Roselli (Agesol), Susanna Ronconi (esperta tematiche sociali). Il convegno si terrà presso la Scuola della Polizia penitenziaria - Certosa di Parma. Per informazioni e iscrizioni scrivere all’indirizzo: info@carcereesocieta.it, oppure robica@tin.it, oppure telefonare ai numeri 348.8713619 o 338.9282087. Modena, Cesena e Locri: tappe per Carovana della Pace.
Carovana della Pace 2004, 16 settembre 2004
Le Carovane della Pace 2004 continuano a camminare sulle strade d’Italia incontrando persone, volti, storie. A Cesena il 13 settembre la Carovana del Nord Est si è dedicata all’ascolto di una realtà locale poco appariscente quale quella degli immigrati. Giunti in Italia spinti dal miraggio di una vita migliore, si sono scontrati con l’impossibilità di trovare un lavoro, una casa decente, il calore di una comunità accogliente. I Carovanieri si sono fatti portavoce del disagio di fronte al Vicesindaco di Cesena, che si è impegnato ad affrontare il problema quanto prima. "Troppo spesso non ci accorgiamo di quanto ci siano vicine le realtà di emarginazione che riteniamo esclusiva delle grandi metropoli" dice Silvia. A Modena, il 12 e 13 settembre scorso, i Carovanieri del Nord Ovest sono stati ospiti della parrocchia "Beata Vergine Addolorata" che ha spalancato le proprie porte per celebrare "Vita piena per tutti: Adesso non Domani". Anche per i detenuti. Infatti nel pomeriggio di lunedì 13 settembre si è celebrato un incontro alla casa circondariale S. Anna di Modena. Una trentina di detenuti e alcuni carovanieri hanno ascoltato insieme le parole di speranza di Moni Ovadia e Valdecì (presidente dell’APAC, organizzazione che in Brasile assiste i detenuti). "A volte penso che sono più "libero" io da detenuto di molte persone che vivono "fuori", ma più prigionieri di me all’interno dei loro pensieri, vizi, desideri e compulsioni", dirà alla fine Maurizio. La Carovana del Sud, accolta calorosamente a Locri, ha visitato le diverse realtà locali impegnate in prima linea con i diversamente abili e con gli ex-tossicodipendenti. Significativo anche l’incontro con il Vescovo Mons. Bregantini e le Istituzioni a palazzo Nieddu. Le Carovane saranno il 16 e 17 settembre a Teramo/Pescara, Palermo e Roma. Stati Uniti: nelle carceri troppi cellulari, pene più severe
Ansa, 16 settembre 2004
Altro che lima. Nelle pagnotte e nelle torte dei carcerati americani si nascondono strumenti ben più tecnologici. In accordo con i tempi, i vecchi arnesi utilizzati in passato per segare le sbarre delle prigioni sono stati sostituiti dai telefonini. Secondo questo servizio del New York Times, quello dei cellulari introdotti illegalmente nelle prigioni a stelle e strisce è un problema sempre più preoccupante. Tanto che lo stato del Texas lo scorso anno ha varato una legge che punisce con detenzione fino a 10 anni i prigionieri trovati in possesso di telefono cellulare. Nella stessa pena incorre chi cerca di far avere un dispositivo wireless al detenuto. Di difficile attuazione soluzioni di carattere tecnologico. Schermare il segnale all’interno della prigione comporta infatti il rischio di alterare le trasmissioni radio utilizzate dalle guardie carcerarie. O di interferire con le comunicazioni senza file delle zone circostanti. Immigrazione: nuovi Cpt? L’Ulivo dice no: sono lager
Gazzetta del Sud, 16 settembre 2004
La legge Bossi-Fini funziona, gli sbarchi di clandestini sono diminuiti ed occorre costruire nuovi Cpt (Centri di permanenza temporanea) per far fronte alle emergenze. Le parole pronunciate dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, nel corso del question time, hanno attirato le repliche dell’opposizione, secondo cui la politica del Governo sull’immigrazione è stata fallimentare e non vanno costruiti nuovi Cpt, definiti "veri e propri lager". Intanto, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto legge che accoglie i rilievi posti dalla Corte Costituzionale sulla Bossi-Fini e affida ai giudici di pace la competenza sulle espulsioni e sul trattenimento dei clandestini nei Cpt. Presto altri Cpt, opposizione critica. I 14 Cpt attualmente presenti, ha spiegato Giovanardi, hanno una capacità ricettiva di oltre tremila persone, che va potenziata "perché nei momenti di emergenza questi centri sono importantissimi". Altre strutture saranno così tra breve pronte a Ragusa, Foggia, Bari e Gradisca d’Isonzo (Gradisca). Ma, ha aggiunto, "dobbiamo confrontarci con l’egoismo delle amministrazioni locali, che chiedono a gran voce che i clandestini vengano trattenuti per essere espulsi e poi negano che i centri possano essere costruiti sul loro territorio". Critiche all’annuncio del ministro sono arrivate dall’opposizione. "Quasi sempre e quasi dappertutto, Sicilia in primis, tali Centri - ha rilevato Gabriella Pistone, dei Comunisti italiani - sono dei veri e propri "spazi senza vita", dei luoghi inospitali, impersonali e indifferenti, che nulla hanno a che spartire con il concetto stesso di accoglienza". La verità, ha aggiunto, "è che questo governo continua a mostrarsi sordo di fronte ai tanti appelli al dialogo e alla solidarietà". Rincara la dose Paolo Cento (Verdi). Questi centri, ha osservato, "introdotti dalla legge Turco Napolitano e peggiorati dalla Bossi-Fini, devono essere chiusi. Molte amministrazioni locali si stanno pronunciando per la chiusura di questi veri e propri lager, anche negando la disponibilità a realizzare nuovi centri temporanei per gli immigrati, strutture che si sono rivelate carceri senza regole dove gli spazi vengono ristretti, per prevenire fughe, al punto che neanche l’ aria è concessa". Polemica anche su efficacia Bossi-Fini. Giovanardi ha anche sottolineato l’efficacia dell’azione del Governo contro l’immigrazione clandestina, ricordando che "nel 1999 si registrarono ben 50 mila arrivi di clandestini, mentre lo scorso anno furono 14 mila: dice il falso dunque chi sostiene che il Governo non ha svolto un’azione efficace di contrasto al fenomeno". Affermazioni contestate da Livia Turco (Ds), che ha replicato: "La vostra legge produce clandestini e voi continuate a non fornire i dati della politica migratoria e a trasformare i centri di accoglienza in centri di detenzione". Per il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, "non serve il tagliando alla Bossi-Fini, è la macchina che deve cambiare, bisogna farne una migliore, perché quella attuale è impresentabile". Immigrazione: ora l’opposizione vuol chiudere i Cpt
Il Tempo, 16 settembre 2004
È scontro in Parlamento sui nuovi centri di accoglienza per immigrati. La legge Bossi-Fini funziona, gli sbarchi di clandestini sono diminuiti ed occorre costruire nuovi Cpt (Centri di permanenza temporanea) per far fronte alle emergenze: le parole pronunciate dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, nel corso del question time, hanno attirato le repliche dell’opposizione, secondo cui la politica del Governo sull’ immigrazione è stata fallimentare e non vanno costruiti nuovi Cpt, definiti "veri e propri lager". Intanto, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto legge che accoglie i rilievi posti dalla Corte Costituzionale sulla Bossi-Fini e affida ai giudici di pace la competenza sulle espulsioni e sul trattenimento dei clandestini nei Cpt. I 14 centri attualmente presenti, ha spiegato Giovanardi, hanno una capacità ricettiva di oltre tremila persone, che va potenziata "perché nei momenti di emergenza questi centri sono importantissimi". Altre strutture saranno così tra breve pronte a Ragusa, Foggia, Bari e Gradisca d’ Isonzo (Gradisca). Ma, ha aggiunto, "dobbiamo confrontarci con l’egoismo delle amministrazioni locali, che chiedono a gran voce che i clandestini vengano trattenuti per essere espulsi e poi negano che i centri possano essere costruiti sul loro territorio". Critiche all’annuncio del ministro sono arrivate dall’opposizione. "Quasi sempre e quasi dappertutto, Sicilia in primis, tali Centri - ha rilevato Gabriella Pistone, dei Comunisti italiani - sono dei veri e propri "spazi senza vita", dei luoghi inospitali, impersonali e indifferenti, che nulla hanno a che spartire con il concetto stesso di accoglienza". La verità, ha aggiunto, "è che questo governo continua a mostrarsi sordo di fronte ai tanti appelli al dialogo e alla solidarietà". Rincara la dose Paolo Cento (Verdi). Questi centri, ha osservato, "introdotti dalla legge Turco Napolitano e peggiorati dalla Bossi-Fini, devono essere chiusi. Molte amministrazioni locali si stanno pronunciando per la chiusura di questi veri e propri lager, anche negando la disponibilità a realizzare nuovi centri temporanei per gli immigrati, strutture che si sono rivelate carceri senza regole dove gli spazi vengono ristretti, per prevenire fughe, al punto che neanche l’ aria è concessa". Una moratoria per la costruzione di nuovi Centri è stata chiesta dal senatore verde Francesco Martone. Giovanardi ha anche sottolineato l’efficacia dell’ azione del Governo contro l’immigrazione clandestina, ricordando che "nel 1999 si registrarono ben 50 mila arrivi di clandestini, mentre lo scorso anno furono 14 mila: dice il falso dunque chi sostiene che il Governo non ha svolto un’ azione efficace di contrasto al fenomeno". Non solo, ma Giovanardi ha informato che fino al 12 settembre sono stati organizzati 38 voli di rimpatrio per i clandestini arrivati in Italia, contro i 33 dell’intero 2003, sottolineando come "l’azione di questo Governo ha drasticamente ridotto gli arrivi di immigrati irregolari". La maggior parte dei rimpatri, ha proseguito il ministro, "ha riguardato egiziani e pachistani sbarcati a Lampedusa. All’azione svolta in Italia va poi aggiunta quella condotta direttamente nei Paesi di transito come Libia ed Egitto. Da questi Paesi sono stati rimpatriati, attraverso forme di cooperazione assicurate da Alitalia, circa 3.000 clandestini bloccati sulle coste africane e diretti in Italia". Le affermazioni di Giovanardi sono state contestate da Livia Turco (Ds), che ha replicato: "la vostra legge produce clandestini e voi continuate a non fornire i dati della politica migratoria e a trasformare i centri di accoglienza in centri di detenzione". Giuseppe Fioroni (Margherita) ha invitato il Governo ad "arrendersi all’evidenza del suo fallimento", mentre il suo collega di partito Giannicola Sinisi, ha definito i numeri di Giovanardi sul calo degli sbarchi di clandestini "dati fasulli". Per il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, "non serve il tagliando alla Bossi-Fini, è la macchina che deve cambiare, bisogna farne una migliore, perché quella attuale è impresentabile". Intanto, sull’altro fronte del problema, la Federazione Nazionale Unitaria dei Giudici di Pace incontrerà oggi pomeriggio il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, per parlare degli aspetti organizzativi legati alle convalide dei decreti di espulsione degli immigrati clandestini sulle quali, dopo la pubblicazione del Decreto Legge sulla Gazzetta Ufficiale, sono chiamati a decidere. Ma all’ordine del giorno ci sono argomenti che la categoria considera molto più importanti: indennità, organici, durata dell’incarico, trattamento previdenziale. "Questo dovrebbe essere l’ appuntamento risolutivo per chiudere la trattativa avviata lo scorso febbraio - dice il co-presidente Gabriele Longo, che con il collega Francesco Mollo guiderà la delegazione all’ incontro con il Guardasigilli - in questo quadro, il problema dell’ immigrazione incide in modo marginale, perché guarda un impegno modesto, un atto dovuto". Cpt: Giovanardi "ne faremo altri", ma il Friuli dice no
Il Manifesto, 16 settembre 2004
Il ministro Carlo Giovanardi ha voluto mettere il suo bel mattoncino sull’escalation penale in corso per il controllo dei migranti. "Il governo - ha detto - punta a realizzare nuovi centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini, ma occorre spesso superare gli ostacoli delle amministrazioni comunali che non li vogliono sul loro territorio". Il ministro è un po’ contrariato, perché se tutti fossero come suo fratello gemello, Daniele Giovanardi, che gestisce allegramente il centro di detenzione di Modena grazie a un contributo statale di 1 milione di euro all’anno, ogni regione italiana potrebbe avere la sua prigione per stranieri in attesa di espulsione. Invece no. Le attuali strutture, ha precisato il ministro, "hanno una capacità ricettiva di 3000 persone", ma questo non basta. Ecco perché, oltre a fare l’elenco dei cantieri aperti - Ragusa, Foggia, Bari, Gradisca d’Isonzo, Trapani - Giovanardi ha anche minacciato che intanto "prosegue la ricerca di nuove aree dove costruire strutture al fine di ampliarne la capienza complessiva". Si è detto anche sicuro di riuscire a vincere "l’egoismo" dei politici locali che non vogliono nuove prigioni. "Sono amministrazioni di tutti i colori politici a comportarsi così - ha ammesso - e noi faremo ogni sforzo per completare i centri in via di costruzione e per realizzarne degli altri che possano far fronte a questa emergenza". Proprio l’altro giorno, il ministro Pisanu, in missione in Friuli, ha toccato con mano "l’egoismo" dei politici locali. Come il presidente (ulivista) del Friuli Venezia Giulia, Riccardo Illy, che si ostina a non apprezzare quel muro di cemento armato alto quattro metri nel verde della campagna di Gradisca d’Isonzo. "Il muro della vergogna", per le associazioni antirazziste che stanno cercando di impedirne la costruzione. Solo Paolo Cento ieri si è scagliato, senza se e senza ma, contro l’idea di seminare carceri ovunque. "I cpt introdotti dalla legge Turco - Napolitano e peggiorati dalla Bossi-Fini - ha precisato - devono essere chiusi". Grazia: dare tutto il potere al Capo dello Stato
Il Manifesto, 16 settembre 2004
Nel bailamme che circonda "devolution" e premierato si salva per ora una modifica piccola piccola ma non per questo di poco conto: il potere di concessione della grazia come atto esclusivo del capo dello stato. Una norma che si era cercato senza successo di introdurre con legge ordinaria già nello scorso febbraio e che sgombrerebbe definitivamente il campo da decenni di dispute paralizzanti tra giuristi. Contribuendo a sciogliere di riflesso anche gli inestricabili nodi politici sorti attorno al "caso Calabresi". Tra gli articoli costituzionali da cambiare a pacchi, la Casa delle libertà ha mantenuto il nuovo orientamento sul potere di grazia: l’atto di clemenza può essere concesso dal Quirinale senza che sia indispensabile la firma del Guardasigilli, declassato a un ruolo puramente formale. In sostanza si lascia alla massima carica dello stato quello che è uno degli ultimi residui del potere regale. An, ad ogni buon conto, ha già presentato due emendamenti "anti-Sofri": la richiesta di grazia dell’interessato e addirittura il mantenimento della situazione attuale. Lo scontro nella Cdl è pertanto sempre nell’aria. La via della grazia si profila quindi impervia e in ogni caso può riguardare, come atto individuale, ben pochi detenuti. Rischiando di innescare per di più una querelle politica di nessuna efficacia per i mali della giustizia. Ecco quindi che si torna a pensare a ipotesi di clemenza generalizzate come indulto e amnistia. Soluzioni che contribuirebbero a decongestionare le carceri e a liberare i tribunali dal loro allucinante fardello di arretrati. Non si dice ufficialmente ma è certo che se n’è discusso alla riunione di martedì dei responsabili giustizia di Forza Italia. Possibilità di successo? Allo stato scarse. Già si sa, oggi, che la Lega e An sono contrari, i Ds più che scettici. Neanche gli appelli del papa sono serviti a qualcosa. Si assiste così a un paradosso tutto italiano. Dal 1992, intimorito dall’emergenza della lotta armata (e di un possibile indulto che chiudesse una volta per tutte gli "anni di piombo"), il parlamento si è riappropriato del potere di clemenza senza mai esercitarlo. Il quorum per l’amnistia è addirittura più alto di quello per le riforme istituzionali. Si può stravolgere la Costituzione a colpi di maggioranza ma di fatto non si può più decidere su sconti di pena o "perdonare" i reati commessi. Come segno tangibile della civiltà politica italiana un simile sbarramento non si trova in nessun’altra parte della Costituzione. E l’ondata giustizialista post-Tangentopoli, insieme al sistema maggioritario, ha contribuito a mantenere quel limite spropositato per il timore che gli onorevoli o una qualche maggioranza si auto-assolvessero. Di fatto l’Italia ha abrogato la possibilità di un’amnistia. Eppure era stata per decenni una pratica comune, usata periodicamente per contrastare il sovraffollamento delle carceri: sono circa 20 i provvedimenti di amnistia e indulto dal `48 al 1992. Poi più niente. La soluzione ci sarebbe. Alla camera giace una legge, proposta dal verde Marco Boato ma firmata da politici di tutti gli schieramenti, che affronta la questione alla radice. Si chiede, in tre righe e con un po’ di buon senso, di tornare all’antico: clemenza concessa dalla maggioranza assoluta degli eletti dal popolo. A porte chiuse quasi nessun parlamentare si dice contrario e quella proposta attende ora l’esame dell’aula di Montecitorio. Solo la Lega è contraria. I Ds nicchiano. Il governo si è rimesso alla volontà del parlamento. Dal 18 novembre 2002 nessuno ne ha più sentito parlare. Caltanissetta: ex detenuti "bussano" ai servizi sociali
La Sicilia, 16 settembre 2004
Gli ex detenuti vanno in Municipio a chiedere di incontrare il sindaco perché il progetto sperimentale di inserimento nel mondo del lavoro è scaduto e loro si trovano quindi senza un modo per guadagnarsi onestamente da vivere. I locali dei Servizi sociali sono invasi da disoccupati, vedove e separati che non ricevono i contributi e sono in difficoltà. C’è chi ha il marito disoccupato ed ha lo sfratto dietro l’angolo, chi come la signora Maria Grazia Fiaccabrino, separata con due figli, dedita a lavori saltuari non ha 300 euro da spendere per i libri di scuola e minaccia di non mandare a scuola la figlia e di denunciare per questo l’amministrazione comunale. C’è il disoccupato che non ha una lira per pagare la bolletta della luce e sta in casa senza luce e senza poter mettere i cibi in frigorifero. Insomma una marea di gente bisognosa che non trova la soluzione ai bisogni minimi bussando alle porte dei Servizi sociali. Gente stanca di sentirsi dire di avere pazienza ed aspettare. L’assessore al ramo Paolo Cafà riferisce che con gli emendamenti al bilancio operati dal Consiglio comunale la spesa dei Servizi sociali è stata falcidiata. E all’asciutto non sono solo i capitoli dell’assistenza ai disabili ed anziani per i quali è stata necessaria una variazione di Peg per trovare i fondi e bandire la gara. "Attualmente non abbiamo i soldi per dare tutti i contributi straordinari cioè quelli che riguardano i casi di più grave bisogno - dice l’assessore Cafà - figuriamoci per i contributi ordinari. "Mi sto assumendo la responsabilità politica di accantonare alcuni emendamenti del consiglio che si riferiscono a spese non urgenti. Dirotteremo i soldi solo sulle spese urgenti, sui servizi essenziali, fatte salve le convenzioni già in atto. Così speriamo di potere dare una risposta a chi si trova in stato di grave bisogno". Il settore dei Servizi sociali intanto ha avviato l’iter per due gare che riguardano l’assistenza ed il trasporto dei disabili, servizi scaduti e per i quali il personale è stato licenziato a fine agosto dalla cooperativa che li gestiva. I disabili nel contempo sono rimasti privi di assistenza.Il mese prossimo lo stesso problema si presenterà per l’assistenza agli anziani ma si sta correndo ai ripari. Nureddin e Jamel: una vita in Italia, da prigionieri
Il Manifesto, 16 settembre 2004
Da quindici giorni si trovano qui, a Racalmuto, in un Centro di seconda accoglienza, loro luogo di residenza da quando sono agli arresti domiciliari. Qualche giorno prima si trovavano al carcere di Agrigento in una cella comune; prima ancora nello stesso carcere, ma in una cella di isolamento. Prima della cella d’isolamento, al Centro di detenzione di San Benedetto, alla periferia di Agrigento. Prima del Centro di detenzione di Agrigento, in carcere. Come in un sogno, Nureddin e Jamel, lo dice Nureddin, non riescono a ritrovare la loro libertà. Capire il perché non è facile, se non cercando di seguire un percorso a zig zag di cui a volte non sono nemmeno i protagonisti, ma semplici comparse delle leggi e degli orizzonti di pensiero che ne stanno alla fonte. È così per Jamel dal suo arrivo in Italia. Pantelleria, tarda sera, circa due anni fa. Scendono in quindici, camminano 10 ore, poi vengono individuati da una macchina dei carabinieri, portati all’ufficio e interrogati. Non tutti, ma Jamel e due ragazzini vengono picchiati. I ragazzini affinché accusino Jamel di essere lo scafista, nonostante la barca non ci sia più e solitamente una barca non prenda il largo da sola. Ma non importa. La costruzione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ha bisogno di colpevoli, ma ha soprattutto bisogno di un orizzonte vasto, che lascia ipotizzare reti di criminali del tutto organizzate nel traffico di uomini e, di recente, nel traffico di terroristi. Per ogni sbarco il suo colpevole, non importa che spesso le barche vengano condotte dagli stessi migranti, se qualcuno sbarca è grazie a quella potente organizzazione, teorema assoluto degli ultimi dieci anni della storia italiana.
Eterni prigionieri
Pantelleria, carcere di Marsala per scontare la pena, trasferimento, a fine pena, al Centro di Agrigento, il 13 luglio e, il 14, anche in questo caso senza capire il perché, di nuovo il carcere. Questa la storia di Jamel in Italia. L’Italia di Nureddin è diversa. "È come se stimi una persona e poi svanisce, decade questa stima". Conosceva questa persona e la stimava da molti anni, dopo una conoscenza di Francia, un incontro casuale, un viaggio a Roma di qualche giorno diventato una permanenza di quattordici anni, dieci dei quali, con alcune interruzioni, in carcere. Ma a differenza di Jamel, Nureddin si sente e si dice protagonista della sua storia con la persona stimata; solo ora, da quando è entrato nel sogno labirintico che non gli permette di ritrovare la sua libertà, si sente catturato in una storia che non gli appartiene e che lo lascia nella depressione della delusione. L’ultimo periodo della storia con Italia gli dà profondamente fastidio, una storia di sole chiacchiere. Non sembra apprezzare, Nureddin, la dinamica del processo e la ricostruzione dei fatti, ma non per il processo, quanto per i fatti che cerca di ricostruire, questi sì chiacchiere e assurdità. "Con un filo di ferro come puoi minacciare, che cosa puoi fare? Poi io sono una persona che ha avuto esperienza con la giustizia, io non potrei mai mettermi nei guai per queste assurdità. C’è in gioco la mia vita, io ci tengo alla mia vita". Logica stringente e calcolo economico di una vita che tiene a se stessa. Ma nonostante ciò e, come dice lui, a due passi dall’Algeria, Nureddin non riesce a trovare il bandolo che lo riporterebbe a casa. Solo il 14 luglio le storie di Jamel e Nureddin si incontrano e subiscono un destino comune: prigionieri dell’Italia, mentre entrambi desiderano il ritorno, Nureddin in Algeria, Jamel in Marocco. E’ alla prima udienza del processo, quando gli altri imputati sono stati liberati perché non avevano precedenti penali, che Jamel e Nureddin devono aver capito che per loro iniziava l’avventura comune di quel sogno, un labirinto da cui non c’è via d’uscita. L’udienza era cominciata già in modo particolare. Con il giudice che si stupiva di trovare un minorenne tra gli imputati. Già? Che ci faceva quel ragazzino al processo, e come mai era al Centro di detenzione, prima del carcere? Sempre per quel sogno, di cui parla Nureddin.
Radiografia del polso
Per dimostrare la minore età è necessaria una radiografia del polso, quindi un ospedale o una struttura apposita, nulla di strano che un minorenne immigrato rinchiuso in un Centro di detenzione venga fatto aspettare quarantacinque giorni prima di poter accertare qualcosa. A un altro ragazzino, nel periodo trascorso da Nureddin al Centro, era andata meglio. Era arrivato lì dal carcere minorile, nessuno aveva dedotto che si trattasse di un minorenne perché mancava la radiografia, ma lui, al quindicesimo giorno, aveva trovato una via d’uscita: i polsi tagliati per farli radiografare. Poi la liberazione di altre nove persone, prive di precedenti. Poi la seconda udienza e da lì sono iniziate le chiacchiere. I testi a deporre sono molti e molto monotoni. L’intero processo ruota attorno a due o tre frasi - "sbirro", "te la farò vedere, sbirro" - e a un filo di ferro. Una rivolta in tono minore, all’interno della rete recintata di un campo di calcetto dentro le mura del centro di detenzione di Agrigento. Una ribellione calma, un’assoluta tranquillità. Di essere stati tranquilli, di questo, in fondo, sembrano essere accusati tutti gli imputati al processo. Nessuno di loro è accusato per l’incendio che era scoppiato al centro prima della rivolta tranquilla. Dell’incendio, non si conoscono gli autori. Durante l’incendio, spento da uno degli operatori della Misericordia, sono usciti tutti in quel campo di calcetto. E loro, Jamel, Nureddin insieme a Said, ora pure lui agli arresti domiciliari ma non so dove, anche dal campo. Solo alla terza udienza la monotonia delle testimonianze viene spezzata da un teste che li scagiona tutti: il commissario responsabile della vigilanza del Centro che, quel giorno, pur trovandosi da quelle parti, da responsabile, non sembra essersi accorto della rivolta e lo dice. Si è accorto però di aver fatto uscire Said e Nureddin dal campo prima che tutto, o niente, prendesse inizio. D’improvviso, dalla sua testimonianza, così come poi dalla deposizione di Said e Nureddin ci si accorge di qualcosa: al di là di parole lanciate al vento e di un filo di ferro, al Centro, quel giorno, c’era lo stato maggiore della questura di Agrigento. A fare che? Probabilmente anche dell’altro oltre alle proposte a Said e Nureddin. Il giorno era importante, interrompeva l’assoluta normalità di un Centro di detenzione: i profughi della Cap Anamur erano lì e dovevano essere trasferiti a Caltanissetta; fuori, manifestanti a protestare. Dentro, quel fumo nelle camerate e poi la tranquillità nel campo di calcetto. Pochi, tra i detenuti nel campo, conoscono l’italiano. Ma Nureddin e Said lo parlano bene, per questo sono stati fatti uscire dal campo. Il loro scambio di parole con il questore e il vicequestore? Più che parole, dei nomi, era questo quello che volevano sapere da Nureddin e Said, i nomi di chi avesse appiccato il fuoco. Due o tre nomi in cambio della libertà. Strana proposta, forse il bandolo di cui aveva bisogno Nureddin e che lui non è riuscito a individuare. "Ma cosa gli racconto? Mica una barzelletta, io non avevo visto chi l’avesse fatto il fumo". Quando Nureddin e Said sono stati fatti rientrare nel campo di calcetto gli altri prigionieri erano calmi, seduti per terra. Aspettavano una risposta, lo dice sempre il commissario responsabile, non sa, però, quale risposta attendessero.
Che l’incubo finisca
Nureddin invece intuisce quale risposta aspettassero i suoi compagni di sogno. Che l’incubo terminasse. Erano stupiti che i profughi della Cap Anamur venissero portati via dopo due giorni di permanenza al Centro, pensavano che venissero liberati. Non era giusto, per loro, lì da un tempo più lungo, che per alcuni la legge cambiasse. Ma sapendo che loro non sarebbero stati liberati, come del resto non lo sarebbero stati i profughi, si limitavano a chiedere che l’incubo si trasformasse in un sogno. Normale. Nessuna libertà, ma almeno delle condizioni di vita meno disumane. A Nureddin, in particolare, non interessava della liberazione dei profughi, condivideva, però, la richiesta di un miglioramento. "Sinceramente, ecco, mi interessa che vengono cambiate le condizioni di vita perché sono disumane - Perché sono disumane? - Non riesco a dare una definizione giusta perché è peggio di un porcile, i servizi igienici non funzionano per niente, c’è un odore soffocante, con questo caldo le finestre sono chiuse, qui si rischia anche di prendere delle malattie, grazie a dio mi fanno uscire un’oretta perché soffro d’asma. Ma cento persone? Come fai?". Di essere stati interpreti di queste esigenze, di questo Nureddin e Said sono accusati. Jamel è accusato d’altro. Di una crisi di panico. Perché anche in quelle ore Jamel non era protagonista della propria storia. Ha visto il fumo e ha avuto paura, ha chiesto di andare in infermeria e gli è stata negata l’uscita dal campo. Nessuna crisi, tanto meno di panico, è concessa nella trama di questo incubo. Fedeli e rispettosi della trama dettata dall’alto, carabinieri e poliziotti hanno impedito a Jamel di raggiungere l’infermeria. Poi la sua crisi è aumentata, una piccola deviazione della trama è stata concessa, Jamel viene portato dalla psicologa, qualche calmante e la trama riprende, noncurante della deviazione, dal momento che alla fine anche Jamel finisce in carcere. Forse la prossima udienza, il 21 settembre, riuscirà a farci risvegliare tutti dall’incubo. Operativo decreto di modifica della legge Bossi-Fini
Redattore Sociale, 16 settembre 2004
La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge di modifica della Bossi-Fini rende operativa la scelta del Governo di affidare ai giudici di pace la decisione sull’adozione di eventuali misure restrittive della libertà dei cittadini stranieri. A tal proposito Filippo Miraglia, responsabile nazionale immigrazione dell’Arci, dichiara: "In risposta alla sentenza della Corte Costituzionale che chiedeva garanzie uguali per tutti, italiani e stranieri, così come previsto dalla nostra Costituzione, il Governo risponde confermando la scelta dei giudici di pace. Si affida cioè non alla Magistratura ordinaria, così come avrebbe dovuto essere, la competenza in materia di espulsioni e persino la decisione sul trattenimento nei Cpt, ulteriore novità negativa. In questo modo si vanifica lo spirito con cui la Corte ha richiamato il Governo al rispetto di quanto previsto dalla nostra Carta Costituzionale e si ratifica l’esistenza di due categorie di cittadini diversi di fronte alla legge: i cittadini italiani che godono delle garanzie previste dalla Costituzione e dal nostro ordinamento giudiziario; i cittadini stranieri per i quali le misure restrittive della libertà personale vengono equiparate a sanzioni di carattere amministrativo e dunque di competenza del giudice di pace". Il Governo – continua -, consapevole dell’incostituzionalità del provvedimento adottato, è andato avanti con arroganza, incurante delle critiche che aveva sollecitato, teso unicamente a risolvere i problemi interni alla propria maggioranza. E’ venuto il tempo di impegnarsi per costruire una grande unitaria manifestazione nazionale che abbia al centro la difesa dei diritti, delle cittadine e dei cittadini migranti, la cancellazione della Bossi-Fini, la chiusura dei cpt". Rovigo: agenti in ospedale, il carcere resta sguarnito
Il Gazzettino, 16 settembre 2004
Torna l’emergenza nella casa circondariale via Verdi. Da lunedì sera gli agenti stanno piantonando in ospedale una detenuta che versa in gravi condizioni perché affetta da Aids. Questo servizio, che vede impegnati otto agenti nell’arco delle ventiquattro ore, ha sguarnito ulteriormente il già deficitario organico. "Se ci fosse un tentativo di evasione o una rivolta non avremmo la forza necessaria per intervenire", sottolinea Giampietro Pegoraro, segretario regionale degli agenti aderenti alla Cgil. Che poi aggiunge: "Il carcere è vigilato solamente da quattro o cinque colleghi a fronte di oltre ottanta detenuti. In questo modo non è garantita la sicurezza né all’interno e nemmeno all’esterno dell’istituto di pena". Quindi il sindacalista ricostruisce come si è venuta a creare questa ennesima situazione di allarme: "Venerdì a Padova è stata arrestata questa tossicodipendente che è stata associata nella nostra casa circondariale. Lunedì, viste le gravi condizioni in cui versa, il medico ne ha ordinato il ricovero in ospedale. Sono stati allora organizzati la traduzione e il piantonamento. Per il suo trasferimento sono stati impiegati due uomini perché in quel momento non c’era una collega donna disponibile. E ora abbiamo questi otto agenti impegnati nel reparto di malattie infettive. Tra l’altro, considerata la potenziale pericolosità dell’impiego, le ore dovrebbero essere due in meno. La direzione del carcere ha subito fatto presente il problema al Provveditorato il quale ha risposto di utilizzare il nucleo delle traduzioni, composto da tre colleghi. Quindi, per sopperire a un servizio ne è stato, di fatto, annullato un altro. Ora ci appelliamo al prefetto sperando che entro questo fine settimana riesca ad aiutarci. Altrimenti, da lunedì inizieremo un sit-in di protesta, sia davanti al carcere che in via Celio. L’intervento del dottor Lomastro un anno fa ci aveva permesso di ottenere l’assegnazione di sei ausiliari, ma adesso hanno terminato il servizio e dunque non ci sono più. Di conseguenza siamo ritornati nelle difficoltà di prima. Per sopperire a quest’ultima emergenza è stato richiamato tutto il personale a riposo e c’è anche chi smonta e subito dopo ritorna in servizio". Il tutto mentre permane il sovraffollamento nelle celle: "Se non si è ancora verificata alcuna epidemia lo dobbiamo solamente al grande impegno di infermieri e medici che operano con grande professionalità andando al di là di quanto dovrebbero fare". Immigrazione: fuorilegge per forza, non per scelta
Il Messaggero, 16 settembre 2004
Davvero "quasi tutti i clandestini sono potenzialmente pericolosi", come ha scritto martedì su queste colonne Carlo Nordio? Votati al furto per pagare i debiti contratti con i trasportatori? No, non sembra proprio che le cose stiano così. Ed è la forza delle cifre a dimostrarlo. Dalla recente sanatoria della Legge Bossi-Fini, intanto, venivano esclusi i lavoratori immigrati che avessero procedimenti penali in corso. Le domande dei datori di lavoro sono state 704 mila, i regolarizzati circa 650 mila: più del 90 per cento. E per giunta potevano anche esservi più richieste relative allo stesso lavoratore: il caso è quello delle colf a ore. La quota dei non messi in regola per ragioni penali è dunque assolutamente trascurabile. Secondo: facendo la somma delle cinque sanatorie deliberate sino ad oggi (nel 1986, nel 1990, nel 1995, nel 1998 e nel 2002) arriviamo alla scontata conclusione che la clandestinità, o meglio ancora la condizione di irregolare, è stata la via maestra per entrare in Italia, farsi conoscere e apprezzare, ottenere infine un lavoro alla luce del sole. I sanati, infatti, sono stati in tutto 1 milione e 430 mila. Alcuni di essi avranno lasciato oggi il nostro paese, sono stati solo il portoncino di servizio per entrare. E normalmente hanno assolto la funzione di "sanatoria mascherata": rinviare, cioè, nei loro paesi d’origine, immigrati già al lavoro qui, e farli rientrare dall’estero formalmente "puliti", attraverso le quote. Non dobbiamo scandalizzarci se le cose sono andate così: far incontrare una domanda di lavoro che si concentra nelle nostre regioni più ricche e operose, e un’offerta che invece preme oltre i confini della penisola è operazione complicatissima. Lo è per qualsiasi paese di immigrazione, antica o recente che sia: negli ultimi giorni è toccato al ministro del Lavoro spagnolo Jesus Caldera annunciare una sanatoria per tutti i clandestini in grado di dimostrare di avere un lavoro in Spagna da almeno un anno. Ma il caso italiano è ancora più particolare: le nostre imprese sono per oltre il 90 per cento di piccole dimensioni e un lavoratore che non funziona vi incide pesantemente. In più, enorme è la richiesta di colf e badanti, che le famiglie non assumeranno mai a scatola chiusa. Ecco perché la legge Bossi-Fini, imponendo a tutti gli immigrati di varcare i nostri confini con il contratto già stipulato, è pura utopia. E presto ci vorrà una nuova sanatoria: sarà la sesta. Sostiene poi, il magistrato Carlo Nordio, che molti clandestini arrivano in Italia e delinquono per evitaqre l’espulsione. Ma viene fatto largo uso della carcerazione preventiva e quindi il gioco non vale la candela. Inoltre, l’articolo 16 del Testo unico sull’immigrazione consente al giudice, per le pene fino a due anni, di sostituirle con l’espulsione fino a 5 anni. Il 30 per cento delle nostre carceri sono occupate da immigrati: questo dato non va certo nascosto. La droga e lo sfruttamento della prostituzione sono ormai nelle mani degli stranieri e sicuramente la clandestinità favorisce la devianza. Ma non si può generalizzare. Quanto poi alle carrette del mare, esse vengono usate soltanto dal 10 per cento dei clandestini, secondo dati del prefetto Pansa sulla maxi-sanatoria. Il 15 per cento arriva via terra, magari nascondendosi nei camion. Il 70 per cento, invece, è costituito da ex regolari (entrati ad esempio con visto turistico) che hanno perso il loro titolo. Per combattere la delinquenza bisogna, fra l’altro, togliere i poliziotti dagli uffici, sottraendoli alle estenuanti pratiche di rinnovo dei permessi di soggiorno. Quelli della maxi-sanatoria della Bossi-Fini, ad esempio, duravano tutti un anno appena e sono scaduti. Ma il paradosso è che non possono essere rinnovati per due anni, come la legge ammette per i rapporti a tempo indeterminato: il rinnovo del contratto di soggiorno è consentito infatti "per una durata non superiore a quella stabilita con rilascio iniziale" (articolo 4 della legge) e cioè un anno. E quindi ecco 700 mila pratiche da smaltire (a Roma ci vogliono ormai 13 mesi), e fra un anno 700 mila ancora, in aggiunta a tutti gli altri permessi scaduti al di fuori della sanatoria. Una follia. Meglio entrare nel merito dei problemi, anziché abbandonarsi agli insulti fra ministri e verso gli immigrati. Non cambiare, ingigantisce soltanto l’area della clandestinità. Carceri italiane... o irachene?, di Valerio Fioravanti
L’Opinione, 16 settembre 2004
Tre anni fa un ricettatore morì di infarto in uno dei carceri milanesi. La procura ha ora incriminato due medici che avrebbero sottovalutato i sintomi. La cosa è successa in una città importante, ed è riuscita ad arrivare sul Corriere. Nel carcere di Pisa sta morendo Salvatore Bottaro, mafioso, 4 ergastoli, da 10 anni in 41 bis. Ha un cancro al pancreas, esteso allo stomaco, all’esofago, al retro peritoneo. Un magistrato di Torino lo ha scarcerato per gli ergastoli, consentendogli il ricovero in un ospedale di sua scelta, dove potrà avere accanto i familiari. Per un processo minore in fase istruttoria, un Gip di Catania non ritiene sufficienti tac ed endoscopia fatte fare dal collega torinese, chiede ulteriori analisi, e poi parte per le ferie. Non ci interessa, qui, il comportamento dei giudici, o dei politici che ai giudici tutto delegano quando gli fa comodo. Ma il comportamento della stampa sì. Perché i radicali segnalano il caso, e solo un minuscolo trafiletto su un giornale siciliano risponde. Brutta aria per chi non è detenuto in Iraq. Tossicodipendenze: i quarantenni sono quelli più a rischio
Il Messaggero, 16 settembre 2004
"Sto male, ma mio figlio non c’entra, non voglio che viva quello che sto soffrendo io", comincia così la richiesta di aiuto di un genitore che si rivolge ad uno dei centri comunali per le tossicodipendenze. "Abbiamo creduto in queste due strutture, che si muovono insieme al Tribunale dei minori, quando abbiamo rilevato l’invecchiamento del tossico, di quello che si fa di eroina, che a quarant’anni si buca ancora, quello che è continuamente a rischio overdose - spiega Guglielmo Masci, responsabile dell’Agenzia comunale per le tossicodipendenze, che ha messo in piedi questo tipo di servizio di bassa soglia rivolto ai figli e alle famiglie con i fondi della legge Turco - per loro e per le loro famiglie ci sono questi due centri che non a caso si chiamano I figli crescono". Una porta alla quale bussare e avere un supporto sociale, sanitario, ma anche legale, un centro dove imparare a fare i genitori. Nell’ultimo anno sono stati cinquecento i casi di famiglie con uno dei due genitori tossici. Nella maggior parte dei casi si tratta di famiglie che non sanno dove sbattere la testa, che hanno un disperato bisogno di aiuto, di risposte, di qualcuno che gli spieghi di cosa significa affidarsi e cominciare a curarsi con il metadone, come entrare in comunità, come "provare" a iniziare una nuova vita. E poi tutte le difficoltà di una vita senza lavoro, senza uno stipendio certo, l’incubo della fine del mese, il terrore del buco, di quella voglia che ritorna e non ti fa ragionare. "A volte - racconta Masci - sono i nonni che chiedono aiuto per i loro figli diventati grandi che continuano a drogarsi con un bambino in casa, altre volte sono gli amici che segnalano situazioni di disagio, altre ancora è il Tribunale che ci dà l’incarico di seguire bambino e famiglia. Ma soprattutto ogni volta i genitori ci chiedono di proteggere i loro figli, che non sono colpevoli, ma solo vittime". "Soprattutto bisogna prevenire, prevenire, prevenire - ripete da sempre Massimo Barra, di Villa Maraini - andare a curare per la strada chi si fa, perché per svoltare il carcere tutti diventano angeli, poi alla prova dei fatti si rivelano per quello che sono: malati e disperati".
|