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Le nostre carceri… al limite della dignità umana
La Rivist@, 13 settembre 2004
Questa estate è tornato di grande interesse il tema delle carceri, a causa delle proteste all’interno del carcere di Regina Coeli a Roma, attribuite dal Ministro della Giustizia Castelli alle visite di alcuni esponenti politici e al suicidio di un imputato in attesa di giudizio in un carcere noto per la sua rigida disciplina. Secondo l’art. 27, comma 3, della Costituzione la pene "devono tendere alla rieducazione del condannato", questo principio trova conferma anche all’art. 1 dell’ordinamento penitenziario (la legge 26 luglio 1975 n. 354), secondo cui i condannati e gli internati devono essere sottoposti ad una trattamento rieducativo, tendente alla rieducazione degli stessi, attuando un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. Questi principi sono stati ispirati dall’art. 2 della Costituzione, che fissa l’impegno della Repubblica alla solidarietà sociale e al rispetto dei diritti inviolabili di tutti gli uomini. Ma la realtà è ben diversa. Il problema più grave delle carceri è rappresentato dalla sanità. Il sistema sanitario negli istituti penitenziari non dipende dal Ministero della Salute, ma dal Ministero della Giustizia. La legge 30 novembre 1998 firmata da Rosy Bindi, allora Ministro della Salute, prevede il passaggio della sanità penitenziaria al Ministero della Salute, ma questa disposizione non è mai stata attuata, forse per evitare controlli dall’esterno. Inoltre, sono stati effettuati tagli alle spese per la sanità penitenziaria. Si è passati da 230 miliardi di lire (più di 118 milioni e mezzo di euro) nel 1998 a 78 milioni di euro nel 2003. Tutto questo sembra assurdo e paradossale, in rapporto al numero di detenuti, nel frattempo, notevolmente aumentato. Le statistiche ufficiali dicono che i detenuti sono 53 - 54 mila, in realtà superano le 58 mila unità su poco più di 35 mila posti disponibili. Appare evidente come le condizioni di salute dei detenuti nelle carceri non possano che peggiorare. Anche perché i medicinali di fascia C, come aspirina, tachipirina, antinfiammatori, sciroppi, sono a carico del detenuto. In questo modo si crea una profonda disparità tra ricchi e poveri, che costituiscono, questi ultimi, la maggioranza della popolazione carceraria. La popolazione delle carceri, dopo tutto, è costituita da un gran numero di extracomunitari, prostitute e tossicodipendenti. Altro problema fondamentale è costituito dall’alto numero di suicidi negli ultimi anni. Secondo il Ministro Castelli nel 2003 ci sono stati "soltanto" 55 suicidi in Italia e rispetto ai 53 del 2002, "si può affermare che la situazione resta stabile". Anzi, aggiunge il Ministro, possiamo registrare un gran passo avanti rispetto al 2001 quando i suicidi accertati furono 69. Ma, questi dati non corrispondono a quelli forniti dall’associazione "A buon diritto" e pubblicati nel Secondo rapporto sui suicidi nelle carceri romane e italiane. I suicidi del 2002 sarebbe stati 57 e nel 2003 65. Inoltre, i dati ufficiali risultano falsati, in quanto i decessi per avvelenamento da fornelletto avvenuti in cella vengono rubricati sotto la voce "overdose", ed in caso di tentato suicidio i detenuti vengono trasportati in ospedale e, qualora decedano, la loro morte è considerata "esterna". Il quadro è abbastanza preoccupante ed ancora più sconcertante è l’atteggiamento del Governo che tende a minimizzare la situazione. Sicuramente risposte positive sono quelle della depenalizzazione di alcuni reati e dell’uso più moderato della custodia cautelare, ferma restando l’esigenza di rendere gli istituti penitenziari più adeguati e rispettosi della dignità umana Brescia: da Canton Mombello, come si vive in carcere
Giornale di Brescia, 13 settembre 2004
Dopo tante indecisioni ho riletto l’articolo sulle carceri datato 21 agosto 2004. Vorrei fare poche considerazioni sugli articoli in oggetto. Io sono un carcerato e quindi sto vivendo dall’interno la situazione. In riferimento all’intervista al dott. Tagliaterra, lui stesso ammette il sovraffollamento di Canton Mombello in cui si vivono situazioni di limite dell’umano. Alcune di queste situazioni comunque dipendono molti dai magistrati di sorveglianza, in quanto prima che questi prendano in considerazione la situazione dei carcerati che potrebbero usufruire delle agevolazioni che la legge prevede, passano parecchi mesi e le scuse sono sempre le stesse: carenza di personale. Mancano gli educatori e a loro dire sono oppressi dal lavoro e quindi non riescono a seguire tutte le pratiche con celerità. Queste sono quasi sempre scuse in quanto noi detenuti non abbiamo voce in capitolo e loro hanno sempre il coltello dalla parte del manico e se qualche carcerato si azzarda a lamentarsi o a protestare la sua situazione diventa insostenibile. Il giudice di sorveglianza dovrebbe aiutare i detenuti che hanno i requisiti per il reinserimento nella società con celerità per evitare che tutto quello che hanno costruito con fatica sia buttato alle ortiche. Io sono in carcere da 4 mesi ed essendo incensurato con la mia condanna dovrei avere dei requisiti per poter uscire, purtroppo il tempo passa ed il mondo che ho lasciato all’esterno e che poteva aiutarmi si sarà dimenticato di me; e al momento di potermi reinserire nella società a causa del tempo passato in carcere potranno aumentare le difficoltà. Tante altre persone si trovano nella mia situazione, quindi vuol dire che qualche cosa non funziona bene negli ingranaggi arrugginiti della giustizia. Un altro punto da sottolineare è l’affermazione del criminologo Alberto Romano nel cui articolo spiega le motivazioni per cui 80/100 dei detenuti rientrano poco dopo essere usciti dal carcere, questa è anche la conseguenza di quanto esposto sopra. Persone giovani e ingenue che vengono fermate per piccoli reati e associate a carceri come Canton Mombello vengono a contatto con delle realtà fuori da ogni logica e parecchi di loro si lasciano plagiare e con i tempi lunghi della giustizia imparano quello che non sapevano. Altro problema è l’assoluta mancanza di libertà e igiene personale, celle da 1 persona sono trasformate per 6, a voi lascio immaginare come si vive. Le docce vecchie rotte e nella maggior parte delle volte senza acqua o con acqua fredda. La mancanza dei pasti per tre volte alla settimana. Ma non voglio soffermarmi su questi argomenti che ormai sanno di muffa. Mi piacerebbe chiedere alle autorità, magistrati, onorevoli, ecc. ecc. che visitano le carceri in pompa magna per farsi un po’ di pubblicità di occuparsi con un magistrato che capisca i nostri problemi e accetti di farsi arrestare come un delinquente qualsiasi anche solo per una settimana per rendersi conto dall’interno la realtà carceraria. Sono sicuro che dopo un’esperienza di questo genere comincerebbero a prendere in considerazione i poveri disgraziati come me. L’Associazione Papillon - Rebibbia scrive ai parlamentari
Vita, 13 settembre 2004
Ad un mese dai fatti di Regina Coeli, va lentamente sfumando l’attenzione del mondo politico e dei mass media sui drammi quotidiani del carcere. Anche i recentissimi casi di suicidio e di malasanità vengono liquidati con poche righe, quasi a involontaria dimostrazione che persino qua dentro ci sono morti di seria A e morti di serie B. Restano però con tutto il loro valore le prove di maturità fornite in queste settimane dalle proteste pacifiche dei detenuti di oltre trenta carceri, dalla Sicilia alla Sardegna, da Poggioreale ad Alessandria passando per Verona e Perugia, e via via sino all’importante prova di coraggio e di dignità delle detenute di Rebibbia femminile. Lungi dall’essere il punto finale della tanta esasperazione accumulata nelle galere, le proteste seguite ai fatti di Regina Coeli sono state soltanto il preludio di una pacifica mobilitazione nazionale dei detenuti che avrà inizio lunedì 18 ottobre in decine di carceri e che si snoderà per più settimane con scioperi della fame e altre forme di protesta. La decisione di protestare, tutti insieme e pacificamente, è un necessario atto di civiltà per richiamare alle sue responsabilità verso il dettato costituzionale un mondo politico che sembra fatichi ad accorgersi che nella stragrande maggioranza delle oltre duecento carceri italiane il Diritto è stato in un certo senso "sospeso a tempo indeterminato", poiché tutto si può dire tranne che là dentro vengano davvero perseguite la rieducazione e la risocializzazione delle donne e degli uomini reclusi. Ci rendiamo conto che affrontare concretamente in Parlamento una riforma del nostro sistema penale e penitenziario non è cosa facile, ma non per questo è tollerabile il permanere di una situazione che scivola ogni giorno di più oltre i limiti della legalità. A meno che per puri fini di speculazione elettorale non si voglia continuare a vendere ai Cittadini l’illusione che un sistema penale e penitenziario per molti versi "fuorilegge" è l’unico modo per garantire il loro sacrosanto Diritto alla sicurezza quotidiana. Anche soltanto sullo specifico dell’ordinamento penitenziario, ad esempio, non si può far finta di non vedere che da tutte le carceri i detenuti stanno denunciando il fatto che la catena di relazioni tra area educativa/direzione/forze di polizia/Magistratura di Sorveglianza sembra diventare ogni giorno più pesante e farraginosa, come se dappertutto venisse applicata una sorta di linea politica di riduzione ai minimi termini del Diritto ai permessi premio, alle misure alternative, al differimento della pena, all’uscita dall’incostituzionale art. 41 bis, alla liberazione anticipata, ecc..Il che moltiplica gli effetti di un sovraffollamento che si accompagna alle delizie della malasanità penitenziaria, all’abuso della carcerazione preventiva, ai tanti, troppi suicidi e alla estrema limitatezza di spazi e di attività culturali e formative. Del resto, non siamo soltanto noi detenuti a sottolineare il limite di guardia ormai raggiunto nelle carceri. Anzi, un dato importante della nuova situazione è che oggi alcuni tra i più importanti sindacati del personale penitenziario riconoscono che per ristabilire nelle carceri un equilibrio minimamente accettabile occorrono misure che alleggeriscano davvero un sovraffollamento di oltre 13000 detenuti. E certo non vanno in questa direzione le annunciate ulteriori restrizioni in materia di droghe leggere e tossicodipendenza, e il continuo slittamento della discussione sulle proposte di riforma del Codice penale (già di per se molto timide). Inoltre, grazie ai detenuti e ai sindacati del personale penitenziario si è ormai completamente diradato anche il fumo ideologico che ha accompagnato l’approvazione del cosiddetto "indultino", lasciando in evidenza il suo carattere di Legge/truffa che invece di alleggerire il sovraffollamento non ha fatto altro che sovrapporsi, peggiorandole, alle già esistenti misure che prevedono l’affidamento in prova ai servizi sociali per i residui pena sotto i tre anni, limitando così la già scarsa applicazione di tutte le altre misure alternative preesistenti. Egregi Parlamentari, noi sappiamo bene che l’attuale difficile situazione è il prodotto di oltre tredici anni di lento degrado, e quindi non comprendiamo affatto le banalizzazioni di quanti (a destra, a sinistra e al centro) sembrano interessati unicamente ad attribuirne ad altri la responsabilità. Al contrario, proprio perché nessuno può dirsi esente da responsabilità, crediamo di avere il diritto di chiedere a tutte le forze Parlamentari di guardare avanti e rendersi conto che le prime e più importanti riforme del pianeta Giustizia dovrebbero essere quelle che riguardano il sistema penale e penitenziario. Le pacifiche proteste che migliaia di detenuti inizieranno il 18 ottobre vogliono quindi essere anche un invito a mettere da parte sterili contrapposizioni e a ricercare in Parlamento un’unità di intenti almeno sulle più urgenti misure che possono appunto ristabilire un equilibrio minimamente accettabile nelle carceri. La nostra associazione chiede alle Istituzioni competenti pochi ma importanti atti politici che siano immediatamente verificabili:
Come si può vedere, non stiamo chiedendo la luna nel pozzo, bensì atti che affrontino concretamente la drammatica realtà delle carceri prodotta da un sovraffollamento inaccettabile e da tante palesi illegalità. Atti ai quali dovrebbero accompagnarsi anche una serie di provvedimenti che permettano l’ampliamento già in sentenza delle pene alternative al carcere e l’ampliamento della concessione delle misure alternative al carcere durante l’espiazione della pena ; la riforma della sanità penitenziaria e la scarcerazione immediata dei malati incompatibili con la detenzione; l’espulsione dei detenuti stranieri che ne facciano richiesta; la riforma in positivo del Codice Penale e tutte le altre richieste avanzate da anni dai detenuti e dagli stessi operatori del settore. Quella che inizierà il 18 ottobre sarà dunque una pacifica battaglia di civiltà che ci auguriamo trovi un adeguato sostegno a tutti i livelli delle Istituzioni, tra i giovani, nel mondo del lavoro, tra le associazioni laiche e religiose e nel mondo della Cultura. Non sarà certo una battaglia facile, ma del resto il silenzio per noi equivale ad un insopportabile degrado quotidiano. Noi crediamo che qualunque siano le proprie idee in materia di religione e di politica, ogni Cittadino può e deve comprendere che riformare in senso positivo l’intero sistema penale e penitenziario è interesse di tutti coloro che si battono realmente contro le tante ingiustizie del presente e vogliono costruire un futuro migliore per tutti. Per questa ragione chiediamo a tutti i Cittadini di esserci concretamente vicini in quei giorni con iniziative pubbliche e di solidarietà. Un invito particolare lo rivolgiamo infine ai Consiglieri regionali, provinciali, comunali e municipali di tutti i partiti affinché in quei giorni entrino in tutte le 205 carceri italiane (comprese le più piccole e sconosciute) ascoltino le ragioni dei detenuti, controllino che venga rispettato il loro Diritto a protestare pacificamente e prendano impegni concreti e verificabili sulle materie di loro competenza. Troppe volte i detenuti hanno denunciato l’assenza pressoché totale degli Enti Locali nelle carceri o, al contrario, la demagogia di quegli Enti Locali che sono maestri nella spettacolarizzazione di tante promesse a cui seguono però ben pochi fatti concreti. Da parte nostra, assicuriamo l’impegno di tutti i detenuti a mantenere il carattere pacifico della nostra protesta. Noi abbiamo ragioni da vendere e le useremo per dialogare con i Cittadini e con chi, nelle Istituzioni, persegue veramente una profonda riforma del nostro sistema penale e penitenziario. Reggio Calabria: c’è una cronica carenza di organico
Quotidiano di Calabria, 13 settembre 2004
La situazione in cui si trovano da molto tempo le carceri italiane ed in particolare quelle calabresi, è di disagio assoluto. Una situazione a cui non sembra rimanere estranea neanche la struttura di Siano, i cui operatori da tempo denunciano le precarie condizioni di lavoro con cui si trovano giornalmente a combattere. A puntare ancora una volta il dito contro questa precarietà è il Coordinamento nazionale di polizia penitenziaria attraverso una lunga nota, firmata dal segretario regionale, Carmine Vivacqua. "è da tempo che si segnala alle autorità competenti la gravosa carenza di personale, la mancanza di attrezzature idonee a svolgere i compiti istituzionali a cui il Corpo è chiamato ad adempiere, il mal funzionamento del sistema di allarme, visto che, gli oltre tre quarti delle attrezzature elettriche ed elettroniche in dotazione alla sala regia, un settore chiave della sicurezza, risultano completamente non funzionanti" . E a proposito di alcune scelte effettuate da parte dell’amministrazione penitenziaria, nella nota si legge che: "Quella che era un’ottima palestra per il personale è stata trasformata in un’aula magna in miniatura, utilizzata solo quattro volte, così come continua il coordinamento nazionale polizia penitenziaria la Direzione ha scelto in questo ultimo periodo di spendere dei soldi per comprare fiori e piante da sistemare in vari punti dell’istituto, senza pensare alla vera innovazione". Ma uno dei problemi più grossi, che da tempo affliggono l’amministrazione penitenziaria e che è stato sollevato da più parti e più volte, è sicuramente quello della carenza di organico: "Più sono i detenuti che si muovono continua la nota più dovrebbero essere gli agenti penitenziari a disposizione: l’abolizione o la soppressione di diversi posti di servizio fondamentali per la sicurezza, non ha visto una visto una conseguente innovazione tecnologica o l’automatizzazione dei servizi, con i risultati che tutti noi oggi conosciamo. In questa situazione, è sempre più frequente la situazione in cui, un solo poliziotto si vede comandato a ricoprire più posti di servizio arrivando ad essere contemporaneamente impiegato in tre o quattro posti". In particolare, per quanto riguarda la casa circondariale di Siano, questa ospita circa 600 detenuti appartenenti alle più diverse tipologie, che vanno dai così detti detenuti comuni a quelli assegnati al circuito dell’alta sicurezza, dai tossico dipendenti ai collaboratori di giustizia: "In un posto del genere fa osservare il segretario regionale del coordinamento nazionale polizia penitenziaria aprire troppe porte per fare troppe attività e parallelamente, sopperire posti di servizio, costituisce un grave rischio, anche per gli stessi detenuti". "La nostra organizzazione sindacale scrive ancora Carmine Vivacqua è conscia che le attività trattamenti producono sicurezza sociale in quanto formano nella cultura, nell’arte e nel mestiere, il soggetto posto a misura privativa e limitativa della libertà, ma l’Amministrazione non può pretendere che queste cose vengano fatte sulle spalle dei poliziotti penitenziari. Osservando ciò che avviene da quasi due anni nel penitenziario d Siano, sembra di esser di fronte ad una demagogia che prevale sulla strategia". In conclusione l’organizzazione sindacale, invita l’amministrazione penitenziaria ad aprire un dialogo con gli operatori, affinch°, scrivono in conclusione, "non si debba affidare tutto al solo valore della Polizia penitenziaria". Francesco Carboni (Ds): "Castelli abusivo a Is Arenas"
L’Unione Sarda, 13 settembre 2004
Ogni anno, a fine estate, l’appuntamento è con la stessa domanda: dove ha trascorso le sue vacanze il ministro della Giustizia Roberto Castelli? L’interrogativo non è inutile quanto sembra. Soprattutto se il ministro usa passare, in agosto, per la Sardegna. Passa vicino alle dune di Piscinas, per essere precisi, dove esiste una colonia penale (di Is Arenas) e una foresteria con 23 bungalow, dove gli agenti di custodia dei penitenziari possono portare, per quindici giorni, i propri parenti. Il deputato diessino Francesco Carboni, anche quest’anno, interroga, questa volta il premier, per via parlamentare. Vuole sapere se il ministro della Giustizia abbia trascorso oppure no il mese di agosto nella foresteria della colonia penale di Is Arenas. Risponde, o meglio, replica, direttamente il ministro: "Sui miei periodi di permanenza a Is Arenas - scrive - ho già fornito in passato risposte in aula a diverse interrogazioni parlamentari. Se l’onorevole Carboni sente poco, oppure se era distratto in quelle occasioni, non è colpa mia. Per quanto riguarda il resto delle mie vacanze, anche il Ministro della Giustizia ha una privacy che merita di essere tutelata. In ogni caso, Carboni dovrebbe sapere che il Ministro della Giustizia è soggetto a misure di sicurezza, che peraltro non sono stabilite dal sottoscritto ma dalle autorità competenti in materia. Lo invito a stare attento a non trasformarsi da deputato, che ha il diritto inalienabile dell’attività ispettiva, in un guardone". Carboni non bada punto alla privacy del suo ministro, invece. Puntuale, manco fosse nato in Svizzera invece che ad Alghero, come da tre anni in qua, a settembre Francesco Carboni torna sul caso. Con un’interrogazione a risposta orale indirizzata al presidente del consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, scrive "per sapere se le notizie hanno fondamento di verità". Le notizie sarebbero queste: "Consta all’interrogante che anche nel mese di agosto del corrente anno il ministro della Giustizia ha impegnato l’alloggio di foresteria, rendendolo indisponibile ad ogni altro uso, per tutto il mese"; "che il ministro nello stesso periodo ha trascorso un periodo di soggiorno in Corsica utilizzando dal 5 al 12 agosto una motovedetta della amministrazione penitenziaria con l’impiego di 7 agenti e con la disponibilità di un canotto di supporto per i piccoli spostamenti". Carboni chiede quindi "se sia legittimo che un membro del governo, decidendo di recarsi con la propria famiglia e amici, fuori dal territorio nazionale per ragioni esclusivamente personali e private, debba disporre di uomini e mezzi resi disponibili dalla amministrazione alla quale è proposto". Dopo la ricostruzione della lunga guerra a colpi di interrogazioni, lunga quasi quanto l’attività parlamentare dell’ultima legislatura di Carboni, l’onorevole algherese ricorda le risposte fornite dal ministro, almeno per le vacanze del 2002-2003. Il ministro aveva mostrato le somme pagate per il soggiorno, che Carboni definisce "irrisorie", e ricorda poi che il ministro è senza "titolo per utilizzare l’alloggio di foresteria". Casal del Marmo: vincere in un Istituto di Pena Minorile
Liberazione, 13 settembre 2004
Ripartono le iniziative dell’Uisp all’interno di Casal del Marmo. Detenuti - società civile: 9 - 3. È questo il risultato della partita che si è svolta ieri pomeriggio nel campetto di calcio dell’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo. Una partita a senso unico dove i ragazzi, in detenzione presso l’Ipm, hanno condotto tutto l’incontro vincendo con risultato tondo. Si tratta di una iniziativa sportiva promossa dall’Uisp in collaborazione con il centro di Casal del Marmo. Ogni anno da 22 inaugurano, con una partita e un buffet, i loro incontri nel campetto esterno, recintato da alte mura, del carcere. Tra gli operatori anche membri del Peacegames, l’associazione che porta avanti il progetto "early warning", per il reinserimento dei rifugiati politici. "Il nostro obiettivo è sempre stato quello di tenere "aperto" il carcere, - ci spiega Nunzia Di Candio coordinatrice attività sportive di Casal del Marmo - di far entrare cioè anche qui la società civile". Quando entriamo all’interno del carcere c’è un silenzio irreale. Gli ampi spazi verdi contrastano nettamente con la vista delle strutture fatiscenti. "Fino a 4 anni fa erano presenti fondi statali da destinare per l’acquisto - continua Nunzia Di Candio - dei materiali sportivi. Questi fondi oggi non ci sono più. È stato falciato quasi il 50% delle entrate destinate alla gestione della giustizia minorile. Siamo così costretti a raccattare casacche e scarpette qua e là all’interno di altre associazioni sportive, approfittando dei loro continui cambi di sponsor. Prendiamo le maglie con lo sponsor vecchio e le diamo ai nostri ragazzi". Loro sbucano all’improvviso sullo sfondo del campo, un gruppo folto. Urlano allegramente e cercano con gli sguardi i loro avversari. Sono tutti di età compresa tra i 14 e i 21 anni. "Qui entrano solo il 5% dei ragazzi condannati. - afferma Andrea Novelli presidente Uisp di Roma - Si tratta di casi molto particolari e che si ritrovano a dover affrontare una detenzione difficilissima. L’anno scorso dopo il dimezzamento dei fondi, la direzione del carcere non riusciva neanche a procurare un cambio di vestiti ai nuovi arrivi appena arrestati. Restavano avvolti da una coperta fino a quando non arrivavano i loro vestiti". Inizia la partita e mentre osservi la grinta dei ragazzi e quella palla rotolare, lo sport del calcio ti appare, per un attimo, sotto un’altra veste. "Dietro una di queste partite c’è solo lo sport - afferma Franco Piersanti, responsabile area minori dell’Uisp -: c’è la partecipazione, il riconoscersi in un gruppo, il provare a confrontarsi con l’avversario, la forza di accettare la sconfitta. Ma anche la voglia di realizzarsi e di vincere. Lo sport gli rappresenta un pezzo di quello che è la normalità, spesso da loro sconosciuta, aiutandoli a riappropriarsi della loro adolescenza". Durante la partita un pallone cade all’esterno delle mura, c’è un attimo di imbarazzo, ma non trai ragazzi che si offrono tutti, molto volentieri, di andare a raccoglierlo. Napoli: da Compagnia della Fortezza tammurriata di pace
Il Mattino, 13 settembre 2004
Quel "Moritat" ripetuto infinitamente, in apertura dello spettacolo, l’avevamo già sentito nel maggio scorso al Mercadante. E continuano ad aggirarsi fra gli spettatori - nella stessa luce rossastra da casino o da boîte della suburra - i fantaccini che levano in alto cartelli carichi di messaggi, i maschi nerboruti e delicati che s’avvinghiano a baciarsi in bocca, il figuro in pastrano militare con i baffetti alla Hitler. E identica, sul palcoscenico, è la corte dei miracoli popolata di anime perse ed angeli ribelli, travestiti che slinguano in abito da sposa, magnaccia, barboni, maniaci che si masturbano, ballerini/e, assassini, cantanti, cabarettisti, guappi di cartone, fini dicitori scalcagnati e vescovi dalle lascive occhiate in tralice. Eppure, è molto differente la versione de "I Pescecani" che Carte Blanche e la Compagnia della Fortezza hanno presentato al Teatro della Torre nell’ambito del "Settembre al Borgo". E non solo perché al posto del sottotitolo originario, "ovvero quello che resta di Bertolt Brecht", compariva un "ovvero Sing Sing Cabaret". La differenza sostanziale l’hanno fatta le "guest star": innanzitutto Marcello Colasurdo, il quale s’è incuneato nello spettacolo con una "tammurriata della pace" di assoluta e lancinante pregnanza, che alternava ai frammenti di celeberrime tammurriate della tradizione (vedi, che so, "Bella figliola ca te chiamme Rosa") un ritornello - drammaticamente attuale - che suonava: "Maro’, ue’ Maro’, / leva ‘a guerra primma ‘e mò, / miette ‘nu poco ‘e pace / ‘ncopp’a ‘sta terra!". Identico, del resto, è stato l’impatto espressivo ed emotivo prodotto dalla "Ballata del macrò", il tango dei due maschi nerboruti e delicati già di per sé attraversato da un brivido di rarefatta e malinconica poesia: la traiettoria della rosa lanciata al termine in platea è sembrata prolungarsi - fino a toccare i più lontani e segreti rifugi del sentimento - nelle rauche e tuttavia dolcissime volute della tromba di Roy Paci, carica delle risentite atmosfere conosciute al fianco di Manu Chao, Vinicio Capossela e Ivano Fossati. Bravissimi, inutile dirlo, i detenuti-attori del carcere di Volterra. E al calor bianco, infine, la conclusione dello spettacolo. Si sono sfidate, su ritmi vorticosi tramati d’ironia e divertimento, la banda "Ugo Valerio" di Marcianise attestata sul palco e la Contrabbanda di Luciano Russo venuta attraverso il corridoio fra gli spettatori. E tutti a ballare sfrenati e contenti, con Colasurdo che faceva il controcanto a "Sono fuori dal tunnel" di Caparezza. Ma la sigla definitiva e decisiva l’ha data all’evento "‘O guappo ‘nnammurato" di Viviani: di quel Viviani che fu vicino, insieme, a Brecht e agli "esclusi". Caltanissetta: progetto per dare lavoro a ex detenuti
La Sicilia, 13 settembre 2004
Un lavoro per cambiare vita, voltare le spalle alla delinquenza, alla mafia, all’illegalità e ritornare a stare nella società in modo civile e pulito guadagnandosi da vivere. Il Comune di Gela ha bussato alle porte della Comunità Europea per chiedere fondi a favore di chi ha sbagliato e ora è intenzionato a rimediare e presto si trasformerà in una sorta di ufficio collocamento dei "pentiti del malaffare", di chi vuole scegliere la via dell’onestà. Si chiama " Incipit vita nova" il progetto a favore dell’inserimento di ex detenuti nel mondo del lavoro. Lo hanno presentato alcuni mesi fa il Comune insieme con la Curia vescovile, l’Arci ed altri partner. Il neo assessore regionale al Lavoro Francesco Scoma nei giorni scorsi ha firmato il decreto relativo alla graduatoria provvisoria di Equal, un’iniziativa comunitaria che ha lo scopo di promuovere nuove pratiche di lotta ad ogni forma di discrimine e disuguaglianza nel mercato del lavoro. Incipit vita nova è un progetto presentato proprio nell’ambito di Equal. Nella graduatoria provvisoria che sarà pubblicata sulla Gazzetta ufficiale il 17 settembre il progetto del Comune di Gela si è classificato al nono posto su un centinaio di aspiranti a quei finanziamenti. Segno che Incipit vita nova ha convinto ed è stato giudicato valido. Il finanziamento richiesto ammonta a un milione di euro e vista l’altissima posizione in graduatoria si può ormai considerare finanziato. Ex detenuti al lavoro nel 2005. Per loro un ventaglio di possibilità: curare il verde pubblico ma anche gestire delle serre su terre che il Comune potrebbe anche mettere a disposizione, fare i prospetti delle case o gestire il parco di Montelungo. Già quest’anno con fondi comunali si è avviata una sperimentazione sull’inserimento lavorativo di ex detenuti. Il Comune li ha impiegati nel rifacimento delle strisce pedonali, per pulire i cimiteri e i giardini. Stavolta il progetto sarà più duraturo e destinato a una più vasta platea. Incipit vita nova, infatti, è destinato a 400 persone ma non si tratta però solo di ex detenuti ma anche di disabili psichici, gente affetta da malattie particolari, insomma soggetti che per vari motivi sono ai margini del mondo del lavoro. Il sindaco Crocetta è legato a questo progetto. "Ci tengo moltissimo che si realizzi - dice - anche per dimostrare ai denigratori che non è vero che noi seguiamo una linea forcaiola". Polizia: riordino carriere, sindacati chiedono legge-delega
Ansa, 13 settembre 2004
Una legge delega capace di dar voce alle esigenze di tutto il personale e impiegare le risorse già stanziate nella legge finanziaria 2004. È la richiesta fatta dai sindacati di categoria Sap, Sappe e Sapaf nel corso del primo incontro tecnico sul riordino delle carriere con il vice capo della polizia, prefetto Giuseppe Procaccini. Procaccini - è detto in una nota del Sappe - ha ricordato che dopo la mobilitazione di ferragosto della categoria "il Governo ha voluto accelerare i tempi hanno per giungere alla soluzione dei problemi sollevati dai sindacati". I responsabili del Sindacato Autonomo Polizia (Sap), del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), e del Sindacato Autonomo Polizia Ambientale Forestale (Sapaf) hanno criticato il fatto che migliaia di agenti siano stati collocali tra i "militari di truppa" (5° livello retributivo); il trattamento riservato agli ispettori i cui omologhi del pubblico impiego sono stati inquadrati nel ruolo direttivo e, l’urgenza di realizzare la dirigenzializzazione di funzionari e dirigenti. "I sindacati autonomi delle Polizia Civili - conclude la nota - hanno chiesto l’accelerazione delle procedure concertative e un incontro per la precisazione delle rispettive posizioni, al fine di consentire al Governo di assumere l’azione legislativa". La riunione è stata aggiornata al 18 settembre. Oms: suicidi, un morto ogni 40 secondi, più che in guerra
Ansa, 13 settembre 2004
Ogni quaranta secondi da qualche parte del mondo qualcuno sta mettendo fine alla propria vita, una macabra cadenza che ogni anno produce un olocausto di un milione di vittime, più di quanto ne facciano il crimine e tutte le guerre messe insieme. Sono i crudi dati resi noti oggi a Ginevra dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che intende strattonare la comunità internazionale perchè si renda conto che il fenomeno dei suicidi, un invisibile fantasma che si perde dimenticato nelle pieghe delle statistiche sociali e sanitarie, è un problema sociale di prima grandezza, un mostro più grande e più brutto delle stesse guerre, perché pur producendo più vittime di queste, appunto, resta sconosciuto. Con l’aggravante, spiegano gli esperti sanitari dell’Onu, che è un fenomeno in gran parte evitabile. Il suicidio rappresenta circa la metà delle morti violente a livello mondiale. Ma si tratta di un problema che si potrebbe prevenire se l’opinione pubblica ed i governi mostrassero la volontà politica di affrontarlo", sottolinea il norvegese Lars Mehlum dell’Associazione internazionale per la prevenzione dei suicidi. Il comunicato dell’Oms dedica spazio alla prevenzione sociale, riconducendola soprattutto alla solidità familiare e al giusto trattamento del malessere esistenziale fin dalla giovane età. Ma l’amorevole attenzione di famiglia e società non sono tutto. Le statistiche brute indicano che il fenomeno può essere in parte ridimensionato intervenendo anche sui mezzi. Mehlum, docente di psicologia all’Università di Oslo, spiega che studi compiuti in molti Paesi dimostrano che le restrizioni all’acceso alle armi da fuoco, specie ai giovani, ha ridotto il numero dei suicidi. "Le pistole sono lo strumento più letale per togliersi la vita e pochissimi sopravvivono", ha detto Mehlum, ricordando come però in alcuni Paesi argomenti di questo genere incontrino forti resistenza, come negli Stati Uniti. "Occorre prendere coscienza che l’accesso ad un mezzo per togliersi la vita costituisce un serio fattore di rischio", e lo dimostra il fatto che il numero di tentativi di suicidio falliti sia da 10 a 20 volte più elevato di quelli riusciti, cioè delle vittime. Il comunicato dell’Oms passa poi in rassegna alcune statistiche. Si apprende, per esempio, che se la fascia d’età più colpita è quella dei sessantenni, dei pensionati, cresce il numero di giovani fra i 15 e i 29 anni che decidono di mettere fine ai loro giorni. E questo, ancora, è in parte colpa della accessibilità alle armi da fuoco. Le donne, dicono gli esperti dell’Oms, tentano di più il suicidio dei maschi, ma falliscono anche più volte. Questo perché "gli uomini in generale fanno ricorso a mezzi più estremi delle donne". Il mezzo a cui più comunemente si ricorre sono i pesticidi, particolarmente fra le donne di famiglie contadine in Cina, seguono le armi da fuoco e i medicinali. A questo riguardo infatti alcune società farmaceutiche hanno scelto di commercializzare i loro analgesici in scatole contenente blister piuttosto che in flaconi il cui contenuto può essere prelevato istantaneamente. Insomma, l’immediata accessibilità all’arma, propria o impropria, è un elemento di incoraggiamento sembrano dire gli esperti. Passando all’analisi geografica dei dati, parziale per l’assenza di statistiche in molte parti del mondo, le aree più colpite - dati relativi - sono gli ex Paesi comunisti, con le repubbliche baltiche (Lituania, Lettonia, Estonia), Russia e Ungheria in testa. Nella cattolica Lituania nel solo anno 2000 si stima che almeno 42 persone ogni 100.000 si siano tolte la vita, 40 in Estonia, 38 in Russia. Seguono Sri Lanka, Kazakhstan, Bielorussia, Slovenia e Finlandia. In termini assoluti in Cina sono morte suicide 195.00 persone nel 2000, pari a 16 ogni 100.000. Segue l’India, il secondo Paese più popoloso della terra, con 87.000, (9,7 ogni 100.000), terza la Russia con 52.000.
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