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Cagliari: indagini su morte di tre detenuti a Buoncammino
L’Unione Sarda, 16 ottobre 2004
Una dose eccessiva di tranquillanti ha forse causato la morte di tre detenuti nelle carceri di Buoncammino. È quanto la Procura punta ad accertare a tre anni dall’accaduto. Quattro medici sono stati raggiunti da un avviso di garanzia in cui si ipotizza l’accusa di omicidio colposo. I sanitari con i loro legali giovedì prossimo dovranno presentarsi al Palazzo di giustizia per un incidente probatorio disposto dal Pm sulle perizie effettuate a suo tempo dal medico-legale. I tre reclusi sarebbero ex tossicodipendenti affidati alle cure dei medici del carcere dove si conta un alto numero di detenuti per reati legati alla droga.
Disposto dal Gip l’incidente probatorio
Tre detenuti con problemi di tossicodipendenza, tre celle diverse, tre morti sospette. Nel giro di un mese una dose eccessiva di farmaci uccise in silenzio, a Buoncammino e nel carcere di Iglesias. Quattro medici dei due istituti penitenziari devono ora difendersi dall’accusa di omicidio colposo: avrebbero somministrato dosi risultate letali di antidepressivi ai detenuti trovati il giorno dopo senza vita dentro le loro celle. Maria Laura Mangano 51 anni di Guspini residente a Quartu, Giacomino Sassu 54 anni di Sassari residente a Selargius, Maria Vittoria Macciò 41 anni di Cagliari, Daniela Meneghini 45 anni di Cagliari (difesi dagli avvocati Patrizio Rovelli e Roberto Rocca) sono stati invitati a nominare un difensore e un consulente di parte per assistere, giovedì prossimo, all’incidente probatorio chiesto dal pubblico ministero Guido Pani e concesso dal giudice per le indagini preliminari Massimo Deplano: una perizia sui corpi dei tre detenuti dovrà accertare se realmente, così come il medico legale diagnosticò a caldo, i tre sono morti per un sovradosaggio di farmaci. È infatti importantissimo verificare l’esistenza di una nesso di causalità tra le cure mediche e i decessi improvvisi. Le morti sospette risalgono tutte all’autunno di tre anni fa: il primo episodio è datato 16 settembre 2001: Sergio Fadda, un giovane cagliaritano, stava scontando a Buoncammino una condanna definitiva per ricettazione. Il detenuto si trovava in isolamento, stando a quel che si è potuto apprendere, si stava sottoponendo a una terapia per la tossicodipendenza. Sembra, ma sul punto le notizie sono frammentarie, che stesse male da qualche giorno. Fatto sta che, la mattina del 16 settembre, fu trovato privo di vita, adagiato sul suo letto, da un agente di polizia penitenziaria. Subito fu escluso il suicidio perché non c’era alcuna traccia che riconducesse a quell’ipotesi. La madre sospettò che qualcosa non fosse andato per il verso giusto e, il giorno dopo, si recò negli uffici della Procura della Repubblica a sporgere denuncia. Il secondo episodio accadde nella notte tra il 17 e il 18 ottobre dello stesso anno, nel carcere di Iglesias che all’epoca era una sorta di dependance di Buoncammino, nel senso che i due istituti di pena appartenevano alla stessa dipendenza carceraria e il direttore del penitenziario cagliaritano spesso andava in quello iglesiente. Claudio Camba, 31 anni, di Cagliari, aveva anch’egli un passato da tossicodipendente ed era in carcere per ricettazione. Fu trovato senza vita dai compagni di cella: inizialmente si pensò a una morte per cause naturali ma poi il medio legale trovò tracce consistenti di farmaci. L’inchiesta quella volta partì d’ufficio. Neanche tre giorni dopo si verificò il terzo episodio, sempre a Buoncammino: perse la vita inaspettatamente Claudio Murgia e la perizia necroscopica arrivò alle stesse conclusioni dei due casi precedenti. A quel punto l’amministrazione penitenziaria si allarmò: tre morti strane, una di seguito all’altra, di detenuti giovani seppur debilitati dalla droga, lasciavano ampi spazi a dubbi e sospetti. Si volle dunque andare fino in fondo per capire ,ed eventualmente escludere, responsabilità professionali. Le inchieste, inizialmente affidate ai sostituti procuratori Daniele Caria e Guido Pani, furono unificate. Le indagini proseguirono a lungo contro ignoti, sotanto recentemente sono stati iscritti nel registro degli indagati i quattro medici: è stato infatti necessario inviare a ognuno di loro un avviso di garanzia nel momento in cui si è deciso di procedere con l’incidente probatorio. Il reato contestato è genericamente quello di omicidio colposo, nel senso che non sapendo ancora con precisione che cosa abbia provocato la morte di tre detenuti non si può contestare ai medici una condotta particolare. Per giovedì 21 ottobre è fissata l’udienza davanti al Gup Deplano per la nomina dei periti che, alla presenza dei consulenti degli indagati, del pubblico ministero e delle parti offese (le famiglie delle vittime si sono affidate agli avvocati Emanuele Pisano e Stefano Piras) dovranno accertare le cause di quelle morti. Non si sa se il lavoro comporterà la riesumazione dei corpi: la decisione sarà presa all’udienza di giovedì.
Il direttore: "Molti riescono a violare il regolamento"
Sapeva che la Procura aveva disposto una perizia e analisi complesse sul corpo di tre detenuti morti in cella tre anni fa in circostanze misteriose o non sufficientemente chiare. Ma non immaginava che alla fine l’esito delle prime indagini si sarebbe abbattuto come un boomerang sui medici cui è affidata l’assistenza dei reclusi con problemi di salute. Gianfranco Pala, direttore del carcere finito un’altra volta nell’occhio del ciclone dice subito senza esitazioni: "Che c’entrano i medici?". È incredulo ma soprattutto sconcertato. "Mi sembra una cosa impossibile - dichiara Pala al culmine del suo stupore - anche perché su queste cose c’è sempre il massimo rigore. Purtroppo molto spesso si ignora che il carcere è davvero un mondo difficile dove può sempre accadere di tutto". Senza entrare nel dettaglio dell’inchiesta avviata dalla magistratura, il dottor Gianfranco Pala racconta episodi forse poco noti della vita carceraria. "Non per cercare giustificazioni o spiegazioni - aggiunge - ma solo per capire quanto sia difficile e complessa la vita di chi opera all’interno delle carceri". Riferendosi alle ipotesi di accusa che emergono dall’avviso di garanzia indirizzato ai medici per omicidio colposo, Pala ricorda alcuni episodi subito segnalati alla magistratura per la loro gravita: il caso di un detenuto che per un pacchetto di sigarette aveva venduto una dose del farmaco che gli veniva somministrato ogni sera dall’infermiere. "Come era stato possibile visto che il farmaco risultava regolarmente ingerito? Ecco spiegato il mistero: usava due bicchierini, un aveva un piccolo foro. Così faceva finta di bere mentre in realtà il medicinale restava nel fondo. E poteva vendere la dose a un compagno di cella che credeva di aver bisogno di una doppia dose". E questo secondo il funzionario spiega anche quando i periti trovano nelle loro analisi farmaci diversi da quelli ordinati o consegnati dal medico. "Spesso e volentieri basta solo un pacchetto di sigarette". Tralasciando altri particolari ("sempre segnalati all’autorità giudiziaria") Gianfranco Pala svela - si fa per dire - il segreto di un detenuto che non poteva bere vino (in quanto non autorizzato) mentre invece ai controlli risultava non propriamente sobrio. "Come faceva? Il vino arrivava dall’alto appeso a un filo dentro il contenitore regolamentare". Più che la difesa d’ufficio dei medici che operano in carcere, quella di Gianfranco Pala sembra al contrario il tentativo di dare una risposta a situazione difficile e spesso penose. "Da anni dico che i tossicodipendenti in carcere non ci stanno a fare niente, che i malati devono stare in ospedale. Ma il risultato è questo: sembra di essere in una casa di cura molto affollata". Domanda d’obbligo: che fare? "Finché é possibile - dice molto convinto Pala - cerchiamo di stare dalla parte dei giovani che hanno avuto problemi con la droga. Non a caso stiamo cercando di recuperare spazi per lo sport e la socializzazione. Però i nostri sono tempi lunghi che si scontrano con le scarse risorse economiche. Per migliorare i disagi delle famiglie nei giorni dei colloqui, abbiamo aperto un nuovo ingresso; così come si sta lavorando molto per la costruzione di due campi di calcetto e il potenziamento della biblioteca e della sala di ricreazione". Buoncammino, che resta il primo carcere d’Italia ad aver avuto su Internet un sito tutto suo, ora dovrà riaprirsi ai magistrati che indagano su tre giovani stroncati probabilmente da dosi massicce di psicofarmaci o tranquillanti. E i suoi operatori dovranno spiegare come sia stato possibile.
Carcere superaffollato, con alto numero di tossicodipendenti
La casa circondariale di Buoncammino si colloca tra le carceri italiane più affollate con un’altissima percentuale di detenuti tossicodipendenti. Attualmente i reclusi in attesa di giudizio ma anche in espiazione di pena sono 345 (20 donne). Inutile descrivere il disagio per chi è rinchiuso ma anche per le famiglie: per i colloqui e un rapporto meno dispersivo nei contatti settimanali o mensili. "Più che un carcere - aveva a suo tempo osservato il direttore Gianfranco Pala - il carcere in questi tempi assomiglia molto a una casa di cura. Servono maggiori spazi ma anche con le ristrutturazioni in corso le cose potranno solo migliorare in parte". Attualmente il rifacimento di celle e servizi blocca un intero piano dell’edificio carcerario. Per cui molti spazi si sono ristretti. Ma non solo: la costruzione di alcuni campi di calcetto accentua la mancanza di spazi per cui in questo periodo non si può certo dire che la situazione sia la migliore. Il carcere di Buoncammino in teoria non dovrebbe ospitare più di 316 reclusi ma si tratta di un numero relativo. Attualmente sono reclusi 345 uomini e 20 donne. Il numero dei detenuti tossicodipendenti è invece di circa 250, quasi tutti giovani in cella per reati legati allo spaccio di sostanze stupefacenti e alla microcriminalità metropolitana. All’interno del carcere funziona un centro clinico che opera in regime di convenzione con la Asl 8 ed è abilitato anche per piccoli interventi chirurgici. Nei casi gravi o complessi il detenuto sofferente viene ricoverato in una struttura ospedaliera cittadina. Il servizio è affidato a un direttore sanitario e a medici che coprono i diversi settori. Le cure e le terapie sono affidati a infermieri professionali che si alternano nei diversi reparti con competenze specifiche. La sicurezza interna è invece affidata a 218 poliziotti. Un numero ritenuto da sempre abbastanza esiguo per l’alto numero di reclusi e non a caso spesso la situazione è sfociata in forme di protesta come l’astensione dal rancio. All’organico complessivo mancano non solo poliziotti ma anche figure professionali importanti come gli educatori e gli assistenti sociali chiamati a svolgere un ruolo nuovo e importante. Servirebbe un nuovo carcere e da tempo è stata scelta un’area dove costruire un edificio al passo coi tempi. Ma dal ministero della Giustizia finora sono arrivate soltanto promesse. Verona: Christian Orlandi fu ucciso in cella da overdose
La Gazzetta di Modena, 16 ottobre 2004
È stata un’overdose ad uccidere Christian Orlandi, il 26enne che confessò l’omicidio dell’amico Stefano Malagoli, 31 anni, al ritorno da una serata in discoteca a Legnago il 20 dicembre dello scorso anno. Motivo del gesto: una reazione istintiva dopo alcune avances della vittima nei confronti dell’allora fidanzata, Alice, ora moglie, di Chriastian. Orlandi venne trovato morto nella sua cella del carcere di Verona, dove era detenuto in attesa del processo, il 21 luglio scorso. "Una morte del tutto inattesa, persino sconcertante", dichiarò subito dopo essere stato informato della disgrazia il suo avvocato, Mario Secondo Ugolini. In effetti, inizialmente nessuno pensò alla droga come causa della morte anche perché una serie di circostanze smentiva questa ipotesi. Solo un’ora prima del decesso, Cristian era stato visitato dalla madre e dalla moglie Alice, la fidanzata al tempo del tragico litigio che il giovane modenese aveva sposato in carcere. Nessuna delle due donne aveva riscontrato alcunché di sospetto sulla sua salute. Lo stesso aveva riscontrato l’avvocato Ugolini che il lunedì precedente, 19 luglio, aveva visitato in carcere il suo assistito con un medico di fiducia dopo aver ottenuto un permesso dal Ministero di Grazia e Giustizia. Il motivo della presenza del medico era proprio per verificare lo stato di salute di Christian: il giovane era stato, infatti, ricoverato in infermeria. Il motivo del ricovero non era mai stato rivelato. Christian comunque pareva in buona salute e lo aveva anche confermato ai suoi cari. Un’ora dopo è deceduto. Dunque, cosa aveva provocato la sua morte? Proprio per questo venne disposta l’autopsia e l’avv. Ugolini nominò un consulente di parte, il dottor Giorgio Gualandri di Medicina Legale di Modena, anche perché vi era il forte sospetto che a provocare il decesso - si sa come a volte vanno certe cose in carcere - potesse essere qualcosa di diverso da un malore. Ora, a tre mesi esatti dalla morte, il responso dei medici legali che attraverso anche gli esami tossicologici hanno accertato che ad uccidere Christian Orlandi è stata un’overdose di droga. Resta l’interrogativo su chi avesse passato la dose al giovane modenese, ma accertare questo è compito della procura di Verona che sulla morte di Orlandi ha tuttora aperta un’inchiesta. La Provincia di Bologna sostiene le iniziative di "Papillon"
Sesto Potere, 16 ottobre 2004
Il Consiglio provinciale di Bologna ha aderito alla richiesta dell’associazione nazionale di detenuti "Papillon" di avviare una serie di iniziative per approfondire i gravi problemi che pesano da tempo sulle carceri italiane, quali ad esempio il sovraffollamento, la fatiscenza delle strutture e le carenze di ordine sanitario. Lunedì, per iniziativa della stessa associazione, inizierà la protesta negli istituti di pena di tutta Italia, per richiamare anche l’attenzione pubblica su questioni che rimangono spesso al margine dell’informazione. Campania: Maranta (Pdci), legge e osservatorio sulle carceri
Asca, 16 ottobre 2004
"Sono favorevole alla proposta di Samuele Ciambriello (presidente Corecom Campania - ndr) di costituire un Osservatorio regionale sulle carceri". Lo ha detto Francesco Maranta, consigliere regionale dei Comunisti italiani. "Seguo la questione - ha aggiunto Maranta - sin dai primi anni del mio impegno politico. Sarebbe un segnale di civiltà se a livello istituzionale si raccogliesse il lavoro sin qui svolto da quelle poche persone realmente interessate al problema della detenzione. Solo pochi giorni fa ho visitato il carcere di Poggioreale e la situazione, nonostante l’impegno degli operatori sociali, mi sembra sempre più grave. Da tempo stavamo studiando l’ipotesi di un Difensore civico per le carceri. Già abbiamo inserito nel nuovo Statuto della Regione Campania il principio della tutela dei diritti delle persone detenute, internate o comunque prive della libertà personale. Al termine di questa sessione sul Bilancio, concluse le verifiche tecniche e gli incontri con le associazioni, presenteremo un articolato disegno di legge. Bergamo: evadono due detenuti aiutati da agente penitenziario
Repubblica, 16 ottobre 2004
Era apparsa subito agli inquirenti come una fuga troppo facile. Max Leitner ed Emanuele Radosta, detenuti nel carcere di Bergamo, ieri notte attorno all’una, sono fuggiti. Dileguati nel nulla, scappati senza lasciare traccia. Adesso sono ricercati. Ma si scopre ben presto che non hanno fatto tutto da soli. Ad aprirgli le porte del carcere è stato un agente di polizia penitenziaria in servizio notturno. I magistrati di Bergamo lo hanno ascoltato per tutto il pomeriggio e l’uomo, un trentenne, alla fine, avrebbe confessato. L’agente ha aspettato che il collega si assopisse. Quindi ha aperto la cella e fatto uscire i due detenuti. Ha anche fornito ai due fuggiaschi una scala per scavalcare il muro di cinta del carcere. Soldi, questo avrebbe spinto l’uomo a organizzare l’evasione di Max Leitner e Emanuele Radosta. A scoprire la fuga è stato questa mattina un agente di custodia, stupito dal ritardo dei due detenuti. E’ andato a cercarli e in cella, sui loro letti, ha trovato due fantocci confezionati con carta e stracci. Max Leitner, 45 anni, di Bressanone, era nel carcere di Bergamo dal luglio dell’anno scorso, e sarebbe dovuto restare dietro le sbarre fino al 2012. A Bergamo era comunque considerato un detenuto ad alta pericolosità, resosi responsabile in passato di numerose rapine e con alle spalle già tre evasioni. Conosciuto come il "re delle evasioni" in passato era riuscito ad andarsene da una prigione austriaca, da Bolzano e da Padova. Emanuele Radosta, figlio di un presunto boss assassinato nel 1991 e originario di Villafranca Sicula, doveva invece scontare una condanna a 28 anni, già confermata dalla Cassazione, per l’omicidio di Calogero Tramuta, un commerciante assassinato il 27 aprile del 1996 a Lucca Sicula. Agli inquirenti l’evasione era apparsa subito anomala. Non sono state trovate tracce di effrazione né nelle celle interne né al portone esterno della casa circondariale bergamasca. Per tutto il pomeriggio, il pubblico ministero Angelo Tibaldi è stato impegnato per lunghe ore in Procura negli interrogatori. Tutto il personale del carcere in servizio notturno ha dovuto rimanere a disposizione dell’autorità giudiziaria. Il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria ha disposto un’ispezione interna e lo stesso Ministero di Grazia e Giustizia ha deciso di avviare un’indagine. Di cui forse, a questo punto, non ci sarà più bisogno. Oggi e domani si svolge la "Notte dei senza fissa dimora"
ICN News, 16 ottobre 2004
Povertà: vite in carcere e senza fissa dimora- Tra sabato e domenica, in 12 città, torna la "Notte dei senza fissa dimora", la manifestazione nazionale di solidarietà che si terrà sabato 16 in occasione della Giornata Mondiale Onu di lotta alla povertà del 17 ottobre con . Per il quinto anno consecutivo, il giornale di strada Terre di mezzo lancia la provocazione di dormire per strada su cartoni e dentro a un sacco a pelo. Un modo per condividere e denunciare la situazione di migliaia di persone (oltre 8mila solo tra Roma e Milano), italiani e sempre più stranieri, costretti a vivere sulla strada. Quest’anno Terre di mezzo propone a Milano, su iniziativa dell’associazione "Insieme nelle terre di mezzo" che collabora con il giornale, una visita alle "frontiere della solidarietà". "Il primo anno si svolse solo a Milano con l’affluenza di ben 124 saccoapelisti solidali. Oggi riproponiamo questa iniziativa per informare e denunciare la situazione invitando i media e gli amministratori pubblici perché diano conto delle loro politiche a favore dei senza dimora" ha detto Carlo Giorgi, direttore del giornale di strada Terre di mezzo. Alla conferenza stampa di presentazione tenutasi a Genova è intervenuto tra gli altri Paolo Pezzana, vice presidente Fiopsd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) che ha presentato una ricerca realizzata nel carcere di Padova sul tema carcere ed emarginazione: questione spesso poco considerata, ma capace di produrre ulteriore esclusione. Dalla ricerca, accompagnata dal commento dell’associazione Antigone e da altri dati dell’associazione Avvocati per strada di Bologna (per la tutela legale dei senza dimora), emerge infatti che un quarto dei detenuti del carcere di Padova non sa dove potrà andare a dormire una volta finita la pena, così come circa un terzo dei detenuti era, prima di finire in carcere, una persona senza dimora. La ricerca condotta è stata condotta dal giornale di strada Terre di mezzo, in collaborazione con "Ristretti orizzonti", il giornale realizzato all’interno del carcere veneto. Una realtà allarmate secondo l’associazione Antigone secondo cui bisognerebbe investire in strutture di accoglienza per far funzionare le tante, inapplicate leggi di contorno all’ordinamento penitenziario. "Sono necessarie strutture per le detenute madri, per i detenuti in permesso premio, per gli stranieri privi di residenza. Per tutti costoro la pena è un po’ più dura che per gli altri. Per loro la pena è rigida, inflessibile. Per loro non vi è possibilità di accesso alle misure alternative, infatti non hanno un luogo dove vivere". "I nuovi poveri crescono perché non ci si cura abbastanza dei vecchi poveri" commenta il direttore della Caritas Italiana, Mons. Vittorio Nozza, che fornisce dati, analisi e stime su vecchi e nuovi fenomeni di esclusione sociale. "Occorrono livelli essenziali di intervento sociale per costruire una rete protettiva universale che aiuti gli ultimi a rientrare in campo e impedisca ad altri di cadere". Il Progetto Rete nazionale dei Centri di Ascolto e degli Osservatori delle Povertà e delle Risorse, ha fatto un monitoraggio relativo al trimestre gennaio-marzo 2004 con i dati dei Centri di Ascolto collegati alle 222 Caritas diocesane italiane. Oggi l’ 80% dei poveri in Italia hanno tra i 20 e i 60 anni (gran parte tra i 30 e i 40 anni) e il 54% è costituito da donne. Di questi più del 15% sono senza fissa dimora, il 51,3% vive con dei familiari, il 27,2% con conoscenti, il 21,5% vive solo. Il 62,6% degli "utenti" non sono italiani e di questi circa il 40% è senza permesso di soggiorno. Situazioni legate al reddito, al lavoro e all’alloggio, spesso interconnesse, rappresentano i ¾ delle povertà dichiarate. Circa l’8% sono relative a problemi familiari, soprattutto separazioni e conflitti tra genitori e figli. Per rispondere a questi bisogni i Centri Caritas hanno offerto un ascolto attento, sostegno economico e alimentare, ma anche animazione promozionale, cioè coinvolgimento della comunità, e segretariato sociale, cioè orientamento ai servizi dei territorio. Il prossimo giovedì mattina 21 ottobre si terrà a Roma presso la sede della Fivol un incontro per creare una piattaforma italiana di sostegno alla mobilitazione internazionale contro la miseria in programma per il 2005. Due appuntamenti importanti sono in programma: il prossimo G8 in Gran Bretagna (giugno 2005) e il vertice dei Capi di Stato che si svolgerà a New York tra settembre ed ottobre 2005 a 5 anni dal Millennium Summit, nel quale si dovrà rispondere alla domanda "Che fine hanno fatto gli Obiettivi di sviluppo del millennio? Da qualche mese, per iniziativa di alcune organizzazioni inglesi, è nata una coalizione internazionale contro la Povertà che si è riunita a Johannesburg il 20-21 settembre scorsi. Alla riunione hanno partecipato anche Maurizio Gubbiotti di Legambiente in rappresentanza della Tavola della pace, e una rappresentante della Focsiv. La "Notte dei senza dimora". Come si vive sulla strada?
Redattore Sociale, 16 ottobre 2004
Scopritelo, provando a dormirci per una notte. Per il quinto anno consecutivo, il giornale di strada Terre di mezzo lancia la provocazione: in occasione della Giornata mondiale di lotta alla povertà indetta dall’Onu per il 17 ottobre, in 12 piazze di altrettante città italiane, centinaia di coraggiosi sono invitati a dormire su cartoni e dentro a un sacco a pelo. Un modo per condividere e denunciare la situazione di migliaia di persone (oltre 8mila solo tra Roma e Milano), italiani e sempre più stranieri, costretti a vivere sulla strada. Non solo. Quest’anno Terre di mezzo propone, su iniziativa dell’associazione "Insieme nelle terre di mezzo" che collabora con il giornale, una visita alle "frontiere della solidarietà". A Milano, tra sabato e domenica, sarà possibile conoscere da vicino alcune realtà dell’assistenza a persone in difficoltà: Fondazione Fratelli di San Francesco, Opera San Francesco per i poveri, associazione Amici di Gastone, Sos Fondazione Exodus. Tutte le iniziative di Terre di Mezzo sono state presentate presso la "Bottega solidale café" di Genova, città scelta in quanto capitale europea della cultura 2004. Nel dettaglio, le città in cui sarà possibile partecipare all’iniziativa (che prima della "notte" prevede una serie di incontri, concerti e interventi in piazza diversi da città a città) tra la notte di domani 16 ottobre e domenica sono: Genova, Milano, Roma, Bologna, Bergamo, Como, Cremona, Verona, Trento, Bari, Grosseto, Trieste. Programma, iniziative, realtà organizzatrici sul territorio sono reperibili sul sito del giornale di strada: www.terre.it. La presentazione della "Notte dei senza dimora", durante la quale sono intervenuti Paolo Pezzana, vice presidente Fiopsd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora), Carlo Giorgi, direttore del giornale di strada Terre di mezzo, Stefano Tabò direttore della Fondazione Auxilium, ente organizzatore della "Notte dei senza dimora" di Genova, è stata anche l’occasione per presentare una ricerca realizzata nel carcere di Padova sul tema carcere ed emarginazione: questione spesso poco considerata, ma capace di produrre ulteriore esclusione. Dalla ricerca, accompagnata dal commento dell’associazione Antigone e da altri dati dell’associazione Avvocati per strada di Bologna (per la tutela legale dei senza dimora), emerge infatti che un quarto dei detenuti del carcere di Padova non sa dove potrà andare a dormire una volta finita la pena, così come circa un terzo dei detenuti era, prima di finire in carcere, una persona senza dimora. Fiopsd: "risposte a bisogno non possono essere sporadiche"
Redattore Sociale, 16 ottobre 2004
La Fiopsd appoggia e incentiva le iniziative a sostegno dei senza dimora che in questi giorni si susseguno in occasione della Giornata mondiale di lotta contro la povertà, a cominciare dalle ormai tradizionali Notti dei senza dimora. "Questi eventi non concorrono direttamente a ridurre la grave emarginazione, - avverte però il vicepresidente della Federazione italiana organismi di aiuto per senza dimora, Paolo Pezzana -. Servono piuttosto a sensibilizzare la comunità, a permetterle di prendere coscienza della situazione dei suoi cittadini più poveri". "Solo una cittadinanza attiva e consapevole – ha proseguito Pezzana – può essere in grado di superare l’approccio emergenziale al problema, sviluppando servizi capaci di lavorare sulle relazioni umane necessarie all’integrazione degli ultimi. D’altra parte, il grado di civiltà di una comunità si misura anche sul modo di trattare i suoi elementi più fragili. Le statistiche, inoltre, ci dicono che la fascia dei cittadini a rischio di povertà va sempre più allargandosi. I dati sono allarmanti, quindi riteniamo indispensabile lavorare a una progettualità effettiva e concreta, che permetta alle persone di ricucire i legami che sono stati strappati. Le risposte al bisogno di inclusione non possono essere sporadiche, ma ragionate e pianificate con tutte le parti sociali". "Il primo passo è sensibilizzare le persone al problema - ha concluso - per questo è bene che l’Onu continui a dedicare una giornata alla lotta contro la povertà; ma allo stesso modo dobbiamo impegnarci perché questo tema non venga accantonato durante il resto dell’anno e dia vita a precise azioni politiche". Caritas e Fondazione Zancan: ricerca su vecchie e nuove povertà
Redattore Sociale, 16 ottobre 2004
Fra le nuove povertà, in Italia, si affacciano le "dipendenze senza sostanze", come gioco d’azzardo, shopping compulsivo, telefonini, internet. Ma anche persone e famiglie intere con minori opportunità economiche e senza possibilità di accedere a determinati servizi, oppure vittime delle conseguenze psico-sociali della flessibilità del lavoro, della depressione e dell’Alzheimer o delle demenze senili. Analizza vecchi e nuovi fenomeni di esclusione sociale "Vuoti a perdere", il Rapporto 2004 su "esclusione sociale e cittadinanza incompiuta" edito da Feltrinelli e curato da Caritas Italiana e Fondazione Zancan di Padova. Il volume sarà presentato tra una settimana, venerdì 22 ottobre alle ore 11, presso la Sala Ucsi - Stampa Cattolica in via in Lucina 16/a, a Roma. Il mensile "Italia Caritas", nel numero di ottobre fresco di stampa, anticipa alcuni dati del rapporto, che contiene anche i risultati della prima indagine sul rapporto tra povertà delle famiglie italiane e accesso ai servizi sanitari, frutto di un’intensa collaborazione con la Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg). Per quanto riguarda le dipendenze senza sostanze, il Rapporto evidenzia che nel 2002 i proventi del gioco del lotto in Italia hanno superato i 4 miliardi di euro, bypassando anche le entrate fiscali derivate dalla vendita dei tabacchi; inoltre nel 2000 sono stati installati nel nostro paese oltre 800mila videopoker, per un giro d’affari complessivo che supero i 40mila miliardi di vecchie lire. Invece lo shopping compulsivo - riferisce Walter Nanni, dell’Ufficio studi e ricerche di Caritas italiana - riguarderebbe "una quota compresa tra l’1 e l’8% della popolazione adulta italiana". Passando ai cellulari, il 21% dei ragazzi tra 11 e 14 anni (510mila) li utilizza tutti i giorni, mentre il 28% degli studenti che frequentano il primo anno delle superiori non spegne mai il telefonino, neppure di notte, e il 33% lo spegne raramente. Relativamente a internet, il 7,5% degli adolescenti tra i 15 e i 17 anni lo usa quotidianamente, come il 4% dei ragazzi tra 11 e 14 anni. In sensibile aumento anche la quota dei lavoratori atipici, passata dall’11 al 16% in 3 anni, dal ‘99 al 2002; sul totale degli occupati, fa notare Nanni, "i lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa costituiscono l’11%, quelli occupati a tempo determinato quasi il 10%, quelli che lavorano part-time quasi il 9%". E il lavoro sommerso resta "una componente strutturale dell’occupazione: interessa quasi il 20% delle persone che lavorano". Sul fronte malattia, nel nostro paese soffrono di Alzheimer oltre 500mila anziani ultra 65enni; ben il 60-70% dei casi di grave deterioramento cognitivo in età avanzata riguardano questo tipo di demenza. "Secondo alcune ricerche - rileva Nanni - l’8,5% dei pazienti che si rivolgono al medico di famiglia soffre di depressione". Uno sguardo d’insieme sulle facce della povertà in Italia rivela che il fenomeno tocca le famiglie numerose; ma non bisogna dimenticare gli alti tassi di disoccupazione nel Mezzogiorno, i problemi dell’affitto per tanti nuclei familiari (le persone in condizioni abitative estreme sarebbero circa 70mila). E l’Istat ricorda la fascia dei "quasi poveri": l’11,1% delle famiglie ha riscontrato difficoltà nell’utilizzo dei servizi pubblici sanitari, il 6% a pagare le spese mediche, mentre il 4,9% ha ricevuto almeno una forma di aiuto informale per superare diversi disagi. Caritas: questi sono i volti dei "nuovi poveri" in Italia
Redattore Sociale, 16 ottobre 2004
Disoccupati, emarginati, migranti, analfabeti. Ma anche diplomati, famiglie monoreddito con più figli, pensionati. Sempre più giovani e sempre più donne, soprattutto tra gli immigrati. Sono i volti dei "nuovi poveri" in Italia, fotografati dal progetto "Rete nazionale dei Centri di ascolto e degli Osservatori delle povertà e delle risorse", nato per rilevare in modo sistematico situazioni di povertà ed esclusione sociale delle persone che si rivolgono ai servizi collegati alle 222 Caritas diocesane italiane. I dati vengono diffusi da Caritas Italiana alla vigilia della Giornata internazionale di lotta alla povertà (17 ottobre). Il monitoraggio relativo al trimestre gennaio-marzo 2004 riguarda 14 diocesi del Nord, 30 del Centro e 28 del Sud. Sono stati elaborati i dati delle 11.696 persone che si sono rivolte ai Centri di ascolto di 72 diocesi. L’80% ha tra i 20 e i 60 anni (gran parte tra i 30 e i 40 anni); il 54% è costituito da donne. Sono numerosi celibi e nubili (33%), ma è più consistente la quota di coniugati (46,5%). Più del 15% sono senza fissa dimora, il 51,3% vive con alcuni familiari, il 27,2% con conoscenti, mentre il 21,5% vive solo. Il 62,6% degli "utenti" non è italiano; fra loro, circa il 40% è privo di permesso di soggiorno: "indice del riproporsi in termini significativi del fenomeno degli irregolari, nonostante l’ultima regolarizzazione del 2002", commenta la Caritas. Emergono anche significative differenze tra italiani e stranieri che ricorrono ai Centri d’ascolto: questi ultimi sono più giovani (più del 90% ha tra 20 e 55 anni), in prevalenza donne (55,7%), in maggioranza coniugati (53,6%) e con un titolo di studio medio-alto. Ben 3/4 sono disoccupati, rispetto al 58% dei cittadini italiani. Invece tra gli italiani si nota la presenza di pensionati: circa il 13%, cioè uno su 8. Situazioni legate al reddito, al lavoro e all’alloggio, spesso interconnesse, rappresentano i ¾ delle povertà dichiarate. Circa l’8% sono relative a problemi familiari, soprattutto separazioni e conflitti tra genitori e figli. I Centri Caritas hanno offerto "un ascolto attento, sostegno economico e alimentare, ma anche animazione promozionale, cioè coinvolgimento della comunità, e segretariato sociale, cioè orientamento ai servizi dei territorio", riferisce Caritas Italiana. "I nuovi poveri crescono perché non ci si cura abbastanza dei vecchi poveri. A livello mondiale, ad esempio, nonostante una forbice crescente tra ricchi e poveri, si allarga il divario tra il poco che si destina alla cooperazione e ciò che si stanzia per spese militari", osserva il direttore di Caritas Italiana, mons. Vittorio Nozza, che auspica interventi in situazioni di crisi o sottosviluppo, progetti di pace, dialogo interreligioso, promozione di metodi nonviolenti e un impegno crescente sullo studio dei motivi strutturali e culturali dell’impoverimento del Sud del mondo. "Quanto al nostro Paese – è l’analisi di Nozza - servono strumenti di lotta alla povertà. Occorrono livelli essenziali di intervento sociale per costruire una rete protettiva universale che aiuti gli ultimi a rientrare in campo e impedisca ad altri di cadere".
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