Rassegna stampa 27 novembre

 

Castelli: sulla grazia Ciampi interpelli la Consulta

 

La Padania, 27 novembre 2004

 

Il Guardasigilli, Roberto Castelli, torna ad affrontare i temi più delicati e attuali della giustizia italiana. E lo fa in occasione dell’apertura dei lavori della Conferenza che ieri ha riunito a Roma i capi dell’amministrazione penitenziaria d’Italia e di altri Paesi europei.

Dalla grazia a Bompressi alla crisi della Campania, messa a ferro e fuoco dalla camorra, fino alla situazione delle carceri italiane, il ministro Castelli non si tira indietro su nessuna questione.

Per togliere ogni dubbio sulla situazione di empasse che si è venuta a creare dopo il passo di Ciampi, lo stesso ministro indica una possibile via d’uscita, auspicando "un eventuale ricorso del capo dello Stato alla Corte costituzionale sulla questione della grazia ad Ovidio Bompressi" che, secondo Castelli sarebbe "un’operazione chiarificatrice".

Il ministro della Giustizia è tornato così a spiegare la sua posizione dopo il suo no ad un provvedimento di clemenza per l’ex militante di Lotta Continua condannato per l’omicidio del commissario Calabresi, che ha spinto il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha rinviare la sua decisione.

"Auspico - ha detto Castelli - che finalmente, una volta per tutte, venga fatta chiarezza su una questione molto importante, che riguarda le prerogative che la Costituzione assegna, da un lato, al presidente della Repubblica e, dall’altro, ai ministri. Sarebbe un’operazione chiarificatrice".

 

41bis "esportabile" nell’Ue

 

Castelli ha anche toccato il tema del carcere duro per i boss mafiosi, affermando che il sistema applicato dalla legge 41bis può essere "preso ad esempio anche dagli altri Paesi europei". Il Guardasigilli ha escluso che l’eventuale creazione di standard comuni di detenzione all’interno della Ue mettesse a rischio il 41 bis italiano.

"Non credo - ha detto il ministro rispondendo ai giornalisti a margine della Conferenza - che l’adozione di standard comuni possa segnare la fine del 41 bis perché non implica l’impossibilità di applicare regimi straordinari di detenzione nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, che è uno degli obiettivi fondamentali per la sicurezza europea". Anzi, ha aggiunto Castelli, "credo che il 41 bis possa essere preso ad esempio anche dagli altri Paesi".

 

Crisi Campania, chiedono rigore dopo l’indultino

 

Sulla "crisi camorristica" che colpisce la Campania, il ministro non rinuncia a una stilettata contro la sinistra: "Dopo anni in cui sembrava che il ministro della Giustizia era cattivo perché teneva dentro i delinquenti, adesso gli si chiedono misure più severe e mi fa specie che la richiesta arrivi anche dai parlamentari della sinistra che hanno voluto l’indultino: dovrebbero mantenere un atteggiamento meno ondivago, come sta facendo il governo che lavora per mettere a punto un pacchetto-Napoli, fatto di misure coerenti nell’ottica della razionalità".

Il Guardasigilli ha aggiunto che, per quanto riguarda l’ipotesi di modificare i procedimenti sulla custodia cautelare per velocizzarli (saltando l’udienza del gip e il ricorso al Tribunale del riesame), è possibile che siano modificati il codice penale e quello di procedura penale.

 

Napoli, possibili interventi sui codici

 

Ci saranno "interventi sul codice penale e su quello di procedura penale", ma anche sulla "gestione dei detenuti", nel "pacchetto" di misure che il governo sta studiando per rispondere "anche all’emergenza napoletana". Interventi che comunque non possono essere fatti "sull’onda delle emozioni".

"Stiamo pensando ad un pacchetto - conferma il Guardasigilli - che risponda anche all’emergenza napoletana, ma il tutto con un’ottica di razionalità e non cedendo all’emozione del momento. Stiamo studiando una serie di interventi che riguardano sia interventi sul codice penale che su quello di procedura penale, sia la gestione di detenuti".

 

Crescono i detenuti-lavoratori

 

In Italia il 25% dei detenuti è impegnato "in attività di lavoro per conto dell’amministrazione penitenziaria". Una percentuale che ancora "non ci soddisfa", ma che comunque è "in aumento". Il lavoro nelle carceri è una delle attività sulle quali "puntiamo di più per il recupero dei detenuti e il loro reinserimento nella società" ha spiegato Castelli, nell’intervento in Campidoglio di ieri mattina.

Tra i progetti più riusciti, ha ricordato Castelli, il laboratorio per realizzare gli abiti di scena della Scala di Milano e il call-center per una compagnia telefonica. Nuovi centralini di servizio che si punta a creare anche in altre carceri, ha anticipato.

"Le condizioni di detenzione - ha sottolineato il Guardasigilli - sono un parametro per misurare la coscienza civile della nostra società ed è necessario giungere a livelli minimi comuni di esecuzione della pena".

 

Meno extracomunitari nelle carceri

 

Castelli ha evidenziato la necessità di affermare sempre di più "il principio della esecuzione della pena nel paese di origine". Un obiettivo sul quale il governo è impegnato, attraverso i rimpatri.

"È un dato di fatto - ha detto il Guardasigilli - che l’aumento della criminalità oggi in Italia è legato alla presenza di extracomunitari. Abbiamo dato delle risposte interessanti. Se in questo momento la presenza di extracomunitari è stazionaria nei penitenziari italiani, questo è dovuto alla norma che io stesso - ha rivendicato - ho voluto introdurre nella Bossi-Fini, che consente di rimandare nei loro Paesi di origine, liberi, quegli extracomunitari che hanno subito condanne non gravi, fino a 2 anni".

Si tratta di "risposte razionali", ha aggiunto Castelli, che sono "in linea con i principi di rispetto dei diritti umani e ci consentono di mantenere stabile la popolazione carceraria". I Balcani e gli Stati della sponda meridionale del Mediterraneo, ha ricordato, sono i Paesi con i quali l’Italia è "più impegnata" per raggiungere accordi di rimpatrio.

 

Al via programma per nuove carceri

 

Il governo, ha detto ancora il ministro della Giustizia, "con grande impegno" sta cercando di cancellare le "ombre" che ancora gravano sul sistema carcerario italiano. "Sono sostanzialmente quei penitenziari obsoleti, alcuni addirittura non vecchi ma antichi", ha spiegato Castelli, ricordando che è stato varato un programma di costruzione di nuovi istituti. "Oltre 23 carceri, per un totale di oltre 2.000 miliardi".

Castelli: inasprimento pene deterrente importante

 

Adnkronos, 27 novembre 2004

 

Un deterrente importante. Così il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, a margine di un convegno a Reggio Calabria, ha definito l’inasprimento delle pene nei confronti dei mafiosi. "Intanto il pacchetto è articolato.

Tra gli interventi - ha sottolineato Castelli - che abbiamo varato vi è anche quello sulla dislocazione dei detenuti per mafia per allontanarli dai loro luoghi di origine. Intanto c’è il recupero di un altro disegno di legge governativo che giace in Parlamento relativo alla turbativa d’asta".

Castelli: sicurezza, bisogna essere razionali, non emozionali

 

Agi, 27 novembre 2004

 

Il ministro della Giustizia Roberto Castelli, conversando con i giornalisti a Reggio Calabria, è intervenuto anche sulle dichiarazioni del collega di partito e ministro Calderoli, il quale sostiene la necessità che i cittadini possiedono delle armi.

"Il Senato ha in aula un provvedimento sulla legittima difesa che io credo sia razionale. Su questi temi - ha detto - bisogna sempre essere razionali e mai emozionali. Ieri il Consiglio dei Ministri ha varato un pacchetto molto efficace contro la criminalità organizzata. Io rilevo che gli stessi giornali, gli stessi leader, gli stessi uomini politici che oggi invocano grande severità, sono gli quelli che fino a ieri hanno attaccato il Governo perché teneva una politica di rigore nei confronti dei detenuti. Fino a ieri, infatti, quanti oggi invocano grande rigore chiedevano l’apertura dei penitenziari".

Il ministro Castelli ha poi reso noto che presenterà un emendamento sulle norme anticrimine, così come ha deciso ieri il Consiglio dei Ministri. "Il decreto legge potrebbe essere a rischio, perché il Parlamento sta discutendo la legge finanziaria: fare un disegno di legge autonomo comporterebbe tempi lunghi. C’è già una legge alla Camera in stato di avanzato esame - ha concluso - quindi questo è il mezzo più veloce per trasformare in legge queste nostre proposte".

Reggio Emilia: visita all’ospedale psichiatrico giudiziario

 

Ansa, 27 novembre 2004

 

Rocco Giacomino, Capogruppo del Partito dei Comunisti Italiani in Consiglio Regionale dell’Emilia-Romagna, ha visitato ieri l’OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) di Reggio Emilia. La visita si è svolta nell’ambito di un’iniziativa intrapresa insieme ad altri consiglieri regionali, tra i quali, oltre a Giacomino, anche Leonardo Masella (PRC) e Daniela Guerra (Verdi) ed in collaborazione con l’Associazione Papillon-Rebibbia Onlus attraverso il suo responsabile regionale Valerio Guizzardi.

I consiglieri che stanno effettuando una serie di visite programmate nelle carceri emiliano - romagnole hanno già presentato nei giorni scorsi una Risoluzione per impegnare la Giunta Regionale "ad attivare un percorso ricognitivo e di analisi sulle condizioni degli istituti di pena della Regione".

Accompagnato dalla direttrice dell’istituto, dott.ssa Calevro, Giacomino ha visitato i vari padiglioni. Nell’OPG di Reggio Emilia sono in corso anche attività e progetti, finalizzati al recupero ed al reinserimento sociale dei reclusi e tra questi il progetto "Antares" sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Reggio Emilia.

Per Giacomino "il problema principale della struttura è la carenza di personale, sia di polizia penitenziaria che infermieristico/assistenziale ed amministrativo. Ho potuto apprezzare l’impegno e la dedizione del personale, che, pur in condizioni difficili, riesce ad assicurare il funzionamento della struttura".

"Il disagio psichico - afferma Giacomino - è stato rimosso e cancellato dal dibattito politico e culturale del nostro paese. Non c’è più discussione su questo tema, manca la spinta culturale che negli anni settanta portò alla legge Basaglia ed al superamento delle strutture manicomiali."

"La Regione Emilia-Romagna - conclude il capogruppo del PDCI - ospita uno dei cinque OPG presenti in Italia e può essere protagonista, anche d’intesa con le altre regioni limitrofe, della riapertura di un confronto sulla riforma degli OPG, ferma da decenni.

Occorre contrastare l’inerzia del governo nazionale, che fa leggi solo per assicurare impunità ai ricchi e potenti, e propone tolleranza zero per i deboli, mostrando totale disinteresse per i pazienti reclusi negli OPG che possiamo considerare gli "ultimi degli ultimi"."

Reggio Calabria: Nucera (Udc), "riassumere gli ex detenuti"

 

Giornale di Calabria, 27 novembre 2004

 

Chiede una risposta scritta il capogruppo dell’Udc in Consiglio regionale, Giovanni Nucera, rivolgendo al presidente della Giunta regionale, all’assessore regionale alle foreste e al presidente dell’Afor, un’interrogazione per sapere "come mai a tutt’oggi nessuna iniziativa sia stata intrapresa a favore degli operai idraulico-forestali ex detenuti per il loro reinserimento sociale nel mondo del lavoro attraverso la loro riassunzione, tutelando così, la loro dignità di uomini, come stabilisce la Costituzione, per la quale tutti i soggetti liberi o detenuti sono uguali nel bagaglio degli inviolabili diritti dell’uomo, tra cui il diritto al lavoro".

Nucera, nell’interrogazione, premette "che la politica della riforma carceraria pone dei principi in materia di lavoro dei detenuti, in quanto la pena, e di conseguenza gli istituti penitenziari, devono favorire, in ogni modo, la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la Regione".

"L’organizzazione e i metodi di lavoro penitenziario - fa presente Nucera- devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale". Da qui, una serie di considerazioni che lo stesso Nucera rileva: "Confrontando tutta la normativa in materia si evince che questa è mirata alla preparazione del detenuto alle condizioni normali del lavoro libero.

Quanto alla vicenda degli operai idraulico-forestali ex detenuti che hanno scontato la pena e che a tutt’oggi non sono potuti rientrare nel posto di lavoro, nonostante vi siano state varie interpretazioni sulle modalità di riammissione nel posto di lavoro, (seguite da due delibere di Giunta regionale, una di riammissione, proposta dall’assessore regionale alle Foreste e Protezione Civile e l’altra di revoca della precedente, in assenza dello stesso assessore proponente, con la motivazione, poco chiara, della non sussistenza dei presupposti per la riammissione al lavoro sanciti dalla L. 442/1984), si evince che non è stata applicata la normativa

Questo, perché oltre la l. 442/1984, vi è comunque una normativa più recente che tutela gli ex detenuti e il loro reinserimento nel mondo del lavoro, alla quale la Giunta regionale doveva fare espresso riferimento". Nel ribadire che "la Regione Calabria ha un altro strumento normativo a disposizione per la loro riassunzione, strumento che è contenuto nella misura - Por 3.3 inserimento lavorativo e reinserimento di gruppi svantaggiati - asse III - risorse umane - 2.2 Integrazione sociale - azione 3.4 - Incentivi alle imprese per l’occupazione, e che può essere avviato attraverso la realizzazione, da parte dell’Afor, di progetti finalizzati a riassumere e reinserire nel mondo del lavoro gli operai idraulico forestali ex detenuti", Nucera conclude ricordando che "in Consiglio regionale è pendente, già da diversi mesi, una proposta di legge tendente ad attivare i meccanismi per la riassunzione dei suddetti soggetti".

Venezia: su pedofilia unificare la legislazione europea

 

Il Gazzettino, 27 novembre 2004

 

I magistrati veneziani hanno lanciato un appello affinché sia riformata la legislatura europea indirizzata all’unificazione delle leggi di contrasto alla pedofilia e pedopornografia. Questo perché, è stato ricordato, ci sono varie interpretazioni nei singoli Stati e quindi ognuno sta agendo diversamente secondo la propria legislazione.

Così è accaduto che in Norvegia un paio di settimane dopo la segnalazione da parte degli inquirenti italiani sono state arrestate quattro persone e perquisite altre decine ancora prima del blitz scattato ieri mattina della polizia postale di Venezia, che ha avviato le indagini su un presunto giro di pedopedofilia on line. Di altre nazioni coinvolte, invece, gli inquirenti veneziani non hanno ancora saputo il risultato delle loro segnalazioni.

Il procuratore aggiunto di Venezia, Michele Dalla Costa, facendo il punto dei primi risultati delle indagini, ha rivelato che le prime indicazioni agli investigatori sono arrivate dai cittadini. E negli accertamenti "si è speso il meglio delle energie disponibili della polizia e della magistratura veneziana - ha precisato Dalla Costa -, il meglio della tecnologia e delle risorse umane. È stato un coordinamento perfetto". Quello che è emerso è stato terribile, ha detto Dalla Costa: "siamo in presenza di un mercato di bambini che sono stati seviziati, che hanno subito violenze d’ogni genere da parte di soggetti che hanno agito per scopo di lucro.

La lotta a questa realtà - ammette - è una strada in salita". La particolarità di questa operazione sta anche nel fatto che è stata l’Italia a consegnare il materiale agli altri paesi "non solo a quelli - ha precisato il pm Maria Rosaria Micucci che ha coordinato l’inchiesta - che sono particolarmente interessati a combattere la pedofilia, ma anche a quelle nazioni che hanno meno risorse nel combatterla". Il magistrato ha sottolineato che non sono state prese in considerazione per questa indagine foto di bambini nudi, ma "quelle in cui, come nei filmati, le immagini erano inequivocabili, crude che non risparmiano neonati di qualche mese d’età.

Ci sono filmati con bambini che subiscono lesioni fisiche, che hanno il volto coperto e un coltello alla gola, legati o bendati e costretti a subire stupri e ogni sorta di violenza. Dalle immagini non si esclude che qualcuna delle piccole vittime sia stata uccisa". Il blitz odierno, sottolineano gli inquirenti, "deve servire da monito a chi consapevolmente alimenta questo mercato" che vedrebbe soprattutto, tra le vittime, persone dei paesi dell’Est (elemento che si deduce dal tipi di arredamento delle case e dal panorama che le circonda).

Analizzando le immagini risulta che sono pochi i bambini di colore o asiatici coinvolti. Gli inquirenti, che attendono notizie dai colleghi degli altri paesi, hanno evidenziato che con questa operazione si apre un nuovo filone d’inchiesta e al centinaio di perquisizioni di oggi, ne seguiranno altre 250 appena avverranno le identificazioni. I quattro arrestati (tre emiliani e un campano), ai quali è stato sequestrato un numero considerevole di materiale, sono stati accompagnati in carcere. Tre di loro sono incensurati, uno invece è già stato condannato, con sentenza definitiva, per reati di pedofilia.

Grazia: il diritto di Ciampi

di Giuliano Pisapia

 

Liberazione, 27 novembre 2004

 

La determinazione del Presidente Ciampi nel voler concedere la grazia a Bompressi, le cui condizioni di salute sono sempre più preoccupanti, ci aveva dato una, seppur limitata, speranza di poter affrontare la questione giuridica dei poteri del Capo dello Stato in una situazione ben diversa dall’attuale. E cioè con Ovidio finalmente libero, come lo sono gli altri tre detenuti scarcerati nei giorni scorsi.

E, invece, ancora una volta, siamo costretti ad occuparci di un Ministro che, in spregio alla Costituzione, e con una caparbietà degna di miglior causa, continua ad impedire al Presidente della Repubblica di esercitare le sue prerogative istituzionali, determinando un conflitto istituzionale che non ha precedenti e che può essere risolto solo da un intervento della Corte Costituzionale.

È pur vero che il ministro Castelli ha sempre dichiarato la sua contrarietà a un atto di clemenza per gli ex esponenti di Lotta Continua. Ma è altrettanto vero che - se solo si considerano le motivazioni, spesso tra loro divergenti, portate a sostegno del proprio dissenso - emerge con evidenza che, per quanto riguarda Bompressi (e, quindi, Adriano Sofri), la sua contrarietà alla grazia ha carattere squisitamente politico, e non deriva da considerazioni giuridiche, in aperto contrasto con la ratio e la finalità di tale istituto.

Dapprima, infatti, il Guardasigilli ha sostenuto che non si doveva concedere la grazia in quanto l’interessato non ne aveva fatto richiesta (dimenticando che questa può essere concessa d’ufficio); quando è emerso pubblicamente che la domanda di grazia era agli atti del suo ufficio, si è fatto scudo della asserita contrarietà dei familiari della vittima. Dopo che la famiglia Calabresi, con grande dignità e sensibilità, ha fatto sapere di rimettersi alla decisioni del Presidente della Repubblica, Castelli ha richiamato i pareri negativi dell’Autorità Giudiziaria.

Infine, quando il magistrato di Sorveglianza, unico magistrato che deve esprimere un parere (art. 681 c. p. p.), si è dichiarato favorevole, allora il ministro si è appellato alla sua coscienza e ha "spiegato" che, in presenza di norme costituzionali non chiare, non intendeva sottoporre al Capo dello Stato il decreto di grazia per Bompressi. Creando così di fatto un potere di interdizione rispetto ad una prerogativa che la Costituzione assegna in via esclusiva al Presidente della Repubblica.

La questione, evidentemente, va ben oltre il caso specifico, anche se è la prima volta che si pone in modo così dirompente: dal 1948 ad oggi sono state quasi 50.000, i detenuti, tra cui quasi trecento condannati all’ergastolo, che hanno usufruito del "perdono quirinalizio", senza alcun ostacolo da parte del Ministro della Giustizia (che, fino a qualche anno fa, si chiamava "Ministro di Grazia e Giustizia"!!!). Una lettura non preconcetta della Costituzione dimostra chiaramente che il parere del Ministro non può in alcun modo essere ostativo alla concessione della grazia, che è di esclusiva pertinenza del Capo dello Stato, proprio in quanto soggetto istituzionalmente "super partes".ù

È pur vero che, sul tema, vi sono opinioni contrastanti, derivanti dal fatto che si era instaurata una prassi tesa a evitare un dissenso tra Presidente e ministro (con esiti, salvo rarissime occasioni, positivi), ma è altrettanto vero - ed è questo che conta - che l’undicesimo comma dell’art. 87 della Costituzione ("il Presidente della Repubblica può concedere grazia e commutare le pene") non può dar adito ad equivoci.

La grazia - come del resto la nomina dei giudici costituzionali e dei senatori a vita - è un atto esclusivamente presidenziale. Tanto è vero che, per quanto concerne la grazia, i Costituenti hanno ripreso, quasi letteralmente, il testo dello Statuto Albertino (art. 8), proprio per ancorare questo istituto a una antica tradizione giuridica, per cui il "sovrano" aveva, in via esclusiva, il potere di clemenza individuale.

Una diversa interpretazione porterebbe a ricondurre l’istituto della grazia al potere di indirizzo politico dell’esecutivo, o di un suo membro, finendo con lo snaturarne la ratio e la finalità. E finirebbe col creare i presupposti di un potere di interdizione "politica" anche rispetto ad altre decisione presidenziali, quali la nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzionali (rispetto alla quale, guarda caso, mai nessuno ha posto il problema della controfirma dell’esecutivo).

Chi sostiene che il potere di grazia sia "duale", per cui sarebbe necessaria la controfirma ministeriale quale atto di condivisione anche politica, richiama l’art. 89 della Costituzione, per cui "nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità".

Ma è facile osservare che la grazia - come la nomina dei senatori a vita e dei giudici costituzionale - non prevede una "proposta" ministeriale o governativa. Se così non fosse, si incorrerebbe in un insanabile contrasto con alcuni principi generale del nostro ordinamento e si finirebbe col condizionare tali poteri presidenziali al previo accordo dell’esecutivo, espressione della maggioranza parlamentare. Si finirebbe, in altri termini, col permettere un condizionamento di schieramento politico rispetto a valutazioni e decisioni che debbono essere "al di sopra delle parti".

La conferma di tutto ciò la troviamo, per quanto concerne la grazia, nel nuovo codice di procedura penale - l’unico codice non risalente al periodo fascista - che, per la prima volta, ha espressamente previsto la possibilità di grazia, anche in mancanza di "domanda o proposta". Basta leggere la relazione al codice per superare eventuali dubbi: con la grazia d’ufficio, si è voluto dare a tale istituto non solo "una funzione correttivo-equitativa dei rigori della legge", ma anche "e sempre di più, il ruolo di strumento di risocializzazione".

Proprio sulla base di ali considerazioni, la Corte d’appello di Venezia - che pure aveva confermato, nel processo di revisione, la condanna di Bompressi, Sofri e Pietrostefani - si era apertamente espressa per la concessione della grazia ai tre imputati, onde evitare che la "giustizia formale" finisse col porsi in contrasto con la "giustizia sostanziale".

A questo punto, il Capo dello Stato non ha altra scelta che sollevare un "conflitto di attribuzione" innanzi alla Corte Costituzionale: solo la Consulta, infatti, può porre fine a un inammissibile e inaccettabile potere di veto, da parte di un Ministro (chiunque esso sia), rispetto all’esercizio di un potere, e di una prerogativa, che il nostro ordinamento attribuisce in via esclusiva al Presidente della Repubblica.

Catania: "i miei 23 anni nel braccio della morte"…

 

La Sicilia, 27 novembre 2004

 

Lunedì prossimo alle 16.30, nell’aula magna del Palazzo centrale dell’Università, si terrà un’incontro con Nick Yarris, ex condannato a morte, riconosciuto innocente dopo 23 anni trascorsi nel braccio della morte di un penitenziario della Pennsylvania.

L’iniziativa è organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Facoltà di Scienze politiche, con il patrocinio del Comune di Catania, nell’ambito delle giornate nazionali contro la pena di morte "Cities for Life". Martedì 30, alle 19,30, si terrà inoltre una veglia di preghiera nella chiesa di San Biagio, in piazza Stesicoro, al termine della quale verrà illuminata simbolicamente la fontana dell’Elefante, in piazza Duomo.

Nick Yarris ha realizzato un cd sulla sua vita nel braccio della morte. Poi ha incontrato Williams Nieves e Ray Krone. Con loro ha deciso di avviare una tournée europea che li ha condotti nelle principali città europee, intitolata "Dal braccio della morte alla libertà: testimoniare l’innocenza"", che ha come obiettivo quello di chiedere l´ammissione del test del Dna come prova alla quale sottoporre i condannati a morte oltre che, naturalmente, sensibilizzare per l´abolizione della pena capitale negli Stati Uniti.

Roma: 3 mila posti per le persone senza fissa dimora

 

Adnkronos, 27 novembre 2004

 

Saranno oltre 3 mila i posti di accoglienza che il Comune di Roma metterà a disposizione quest’anno per garantire assistenza alle persone senza fissa dimora nei giorni più freddi dell’anno. L’iniziativa è stata realizzata grazie anche alla collaborazione delle realtà del volontariato e delle istituzioni cittadine che oggi, nel corso di una riunione convocata dal prefetto Achille Serra, hanno aderito al piano predisposto dall’amministrazione comunale.

Capodarco: emarginare la paura ed evitare "nascondigli"

 

korazym.org, 27 novembre 2004

 

"Nascondigli. Il giornalismo e la paura dei mondi sconosciuti". È questo il tema dell’XI Seminario di formazione per giornalisti a partire dai temi del disagio e delle marginalità organizzato dalla Comunità di Capodarco di Fermo.

Entra nel vivo l’XI convegno annuale organizzato a Fermo dalla Comunità di Capodarco in collaborazione con Redattore Sociale. "Nascondigli: il giornalismo e la paura dei mondi sconosciuti"; questo il tema dell’edizione che ha preso il via ieri sera per concludersi domani. Ci sono luoghi, persone e azioni più difficili da raccontare.

Sono mondi sconosciuti, a volte sgradevoli, che possono metterci a disagio per il solo fatto di porre in discussione i nostri schemi. Spesso si tratta di mondi "incomprensibili", che proprio per questo richiedono una maggiore attenzione. La sfida che ogni anno la Comunità di Capodarco lancia, ha proprio per obiettivo la discussione, almeno per due giornate, di tematiche sociali spesso dimenticate dai giornalisti e dai mass media.

Quest’anno è il tema del "nascondiglio", della paura, dello scomodo, dello sconosciuto. La comunità e Redattore Sociale hanno cercato l’aiuto di chi si è calato in luoghi scomodi per suggerire ai giornalisti e ai partecipanti, strumenti semplici per affrontare tematiche complesse. Con l’obiettivo di superare una paura che non ha ragione di esistere.

"Dentro e fuori. Vittime, origini, affetti, lavoro: i detenuti e il rapporto con l’esterno"; "Ragazzi di famiglia. Il coinvolgimento dei giovani nella criminalità organizzata"; "Illusioni e speranze della manodopera dell’Est Europa"; il caso della Cecenia. Questi alcuni dei temi che saranno affrontati nelle due giornate di Fermo.

Con relatori di spessore: da Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, a Giovanni De Mauro, direttore della rivista Internazionale, da Mario Calabresi, vicedirettore del Corriere della Sera, ad Anna Polikovskaia, giornalista russa considerata la maggiore esperta della questione cecena. Nell’ottobre del 2002 ha svolto il ruolo di mediatrice tra il governo e i terroristi del teatro Dubrovka di Mosca. Se facciamo sì che siano la paura e la voglia di rifugiarsi in "nascondigli" a vincere, contribuiamo a far sì che quei mondi restino, oltre che sconosciuti, anche ignorati.

Reggio Calabria: accordo Coni e Dap, sport entra nelle carceri

 

Il Quotidiano di Calabria, 27 novembre 2004

 

Lo sport entra nelle carceri calabresi. Per realizzare questa idea è stata firmata oggi, a Reggio Calabria, una convenzione fra il Comitato regionale del Coni e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria.

A siglare l’accordo sono stati il presidente regionale del Coni, Mimmo Praticò, e Paolo Quattrone, provveditore regionale per le carceri in Calabria, alla presenza del presidente nazionale del Coni, Gianni Petrucci, e del sottosegretario alla giustizia, Giuseppe Valentino. "Plaudo all’iniziativa che ha avuto Mimmo Praticò - ha sostenuto Petrucci - nel fare un accordo con il Provveditorato perché lo sport oltre a seguire la pratica agonistica deve intervenire attivamente nel sociale e questa è il degno risultato positivo.

In questo momento il Coni è particolarmente impegnato anche sul piano dell’ etica nello sport oltre che sul piano sportivo, vedasi la campagna contro la bestemmia nello sport". L’accordo prevede la fornitura, da parte del Coni, di una serie di collaborazioni per realizzare in modo più diffuso nelle carceri della regione l’attività sportiva per i detenuti, ma anche per gli operatori penitenziari. All’incontro hanno partecipato anche il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Luigi Fedele, ed il presidente della Provincia di Reggio, Pietro Fuda.

Palermo: una polizia penitenziaria moderna ed efficiente

 

La Sicilia, 27 novembre 2004

 

"Una polizia penitenziaria sempre più moderna e al passo con i tempi". Questo, in sintesi, quanto espresso da Orazio Faramo, provveditore regionale per le carceri, che, ieri mattina, ha presieduto l’annuale Festa della Polizia penitenziaria che si è svolta nella suggestiva cornice del teatro Politeama. "Il servizio oggi offerto dal Corpo alla comunità - ha proseguito Faramo - è senz’altro di prim’ordine e moderno. All’interno degli istituti operano persone preparate e impegnate 24 ore sui 24 a tutelare la sicurezza della collettività".

Alla cerimonia sono intervenute autorità militari, civili e della magistratura e, tra queste, il prefetto Giosuè Marino, il procuratore della Repubblica Pietro Grasso, i vertici di polizia, carabinieri e guardia di finanza e l’ex Presidente della Commissione nazionale antimafia, Giuseppe Lumia. Presenti anche i direttori di tutti i penitenziari e carceri siciliani a cominciare dai direttori palermitani dell’Ucciardone, Maurizio Veneziano, dei Pagliarelli, Laura Brancato, e dell’Istituto di osservazione per Minori "Malaspina", Rita Barbera.

Il via alle celebrazioni lo ha dato un plotone di agenti in alta uniforme che era schierato in piazza Castelnuovo mentre la banda del Corpo degli agenti di polizia penitenziaria ha eseguito brani musicali che sono stati applauditi dal folto pubblico intervenuto.

Sempre in piazza Castelnuovo è stata allestita la mostra degli automezzi in dotazione al Corpo mentre in serata la festa si è conclusa con uno spettacolo di fuochi d’artificio, nel mare dell’Acquasanta con la partecipazione delle motovedette della polizia penitenziaria.

Padova: contro la pena di morte luci sulla Torre dell'Orologio

 

Il Gazzettino, 27 novembre 2004

 

Anche Padova dice no alla pena di morte. Lo farà, come altre 300 città dei vari continenti, martedì prossimo, giornata internazionale dedicata appunto a questo scottante tema. Per l’occasione ogni centro ha deciso di illuminare un monumento-simbolo: da noi sarà la Torre dell’Orologio a lanciare il messaggio luminoso contro la pena capitale.

Ieri mattina in Municipio ne ha parlato Claudio Piron, insieme ai rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio, di Ristretti Orizzonti e di Amnesty International. "Sulla Torre - ha ricordato - sarà appeso un manifesto per sottolineare che Padova è una città per la vita. Su questo bisogna fare una riflessione e tutti dobbiamo impegnarci per promuovere i diritti umani in ogni angolo della Terra.

Martedì, inoltre, in Piazza dei Signori sarà allestito anche un gazebo dove sarà distribuito materiale illustrativo sulla pena di morte. Si tratta di un problema molto sentito, come dimostra il fatto che in Europa 250 mila giovani e 20 mila detenuti hanno formato l’appello per mettere al bando la pena di morte che ha costi sociali ed economici più rilevanti di qualsiasi percorso di recupero della persona".

"La condanna capitale - ha aggiunto Alessandra Coin, responsabile a Padova della Comunità di Sant’Egidio - è la spia di una barbarie, che solitamente viene introdotta in concomitanza con le guerre. La nostra città è particolarmente sensibile a queste tematiche e ha deciso anche di aderire alla campagna "adotta un condannato a morte", sostenendone la difesa legale". La Torre dell’Orologio sarà illuminata quando in parte del mondo si verificherà la commutazione della pena, o quando uno Stato la abolirà.

Rieti: per un Concorso, la poesia di Walcott tra i detenuti

 

Il Messaggero, 27 novembre 2004

 

La poesia, con Derek Walcott, spalanca le porte del carcere di massima sicurezza, coinvolgendolo nel pieno di quell’evento che è diventato il Premio internazionale di poesia intitolato a Laudomia Bonanni, organizzato dalla Carispaq e dalla Provincia. Si è aperta così la terza edizione di questa kermesse letteraria che quest’anno ha trovato il suo testimonial in questo Premio Nobel, poeta, drammaturgo e pittore originario delle isole caraibiche.

"Abbiamo voluto portare in un ambiente di reclusione la poesia, perché ci è sembrato significativo. Quella poesia che scruta il passato, esamina il presente, guarda al futuro, ci racconta le cose dell’uomo, quelle felici, ma qualche volta anche quelle tristi". Ha accolto così gli ospiti Tullio Scarsella, il direttore delle "Costarelle" di Preturo, dichiarando aperto un vero e proprio scambio-dibattito sull’arte poetica. Dopo i ringraziamenti dovuti a tutti coloro che lì hanno reso possibile l’iniziativa e dopo aver sottolineato che non si è trattato di semplice sensazionalismo, ma di attiva e coinvolgente partecipazione, la presidente del Premio, nonché presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, ha dato la parola a Walcott ed ai suoi versi sul sentimento dell’amore, tratti dall’opera recente "Mappa del nuovo mondo".

Tutti incantati i presenti dalla lettura dell’autore tradotta dall’amico ed editore Nicola Crocetti e dall’interpretazione dell’attore Bartolomeo Giusti. Intenso momento che è proseguito quando anche i detenuti hanno dato lettura dei loro componimenti, invitati da Walcott a farsi conoscere con una stretta di mano. "È un onore - ha detto il poeta - essere qui. Voi siete un auditorium particolare, perché in un certo senso la poesia è come un carcere. Il poeta risponde alla chiamata della poesia che, come la reclusione, comporta solitudine. Un sentimento che, insieme agli altri, può essere espresso pur non essendo necessariamente dei Premi Nobel".

Walcott ha iniziato a conoscere la poesia ed a comporre molto giovane, quando la madre, insegnante e attrice dilettante, gli recitava le opere dei grandi poeti. Uno sprazzo di vita privata che il Nobel ha ricordato con spirito nell’incontro di presentazione alla Carispaq: "Lei si dilettava a recitare, molto male, i grandi poeti e noi la pregavamo di smettere. Anche mio padre era uno scrittore, ma morì troppo giovane perché lo potessi conoscere".

Saint Lucia è l’isola segnata da secoli di schiavitù, in cui vive e da cui trae ispirazione, anche per i dipinti. Il ricordo, invece, di un suo componimento che, scritto quando aveva 14 anni suscitò scioccamente l’indignazione di un prelato in missione in quei luoghi, è stato lo spunto per ribadire, non risparmiando critiche alla Chiesa, che la poesia e l’arte si rafforzano laddove c’è maggiore costrizione.

Brescia: francescani in missione nelle celle di Verziano

 

Il Giornale di Brescia, 27 novembre 2004

 

Si è conclusa nei giorni scorsi, nella Casa di reclusione di Verziano, "Camminare nello spirito francescano", una missione organizzata, appunto, dai frati francescani, in collaborazione con l’associazione "La Fraternità" di Verona. Già sperimentata in altri istituti di pena (più precisamente a Reggio Calabria, Cuneo e Tolmezzo), la missione ha trascorso nel carcere quattro giorni, con 27 volontari - tra frati e laici - appartenenti alla Gi.Fra. (Gioventù francescana) e ad altre associazioni. Volontari intenti a condividere con i detenuti spazi e rituali, per fare breccia nella corazza di chi è "poco abituato a ricevere attenzione".

Inquadrare meglio la natura di questa "esperienza di evangelizzazione" spetta, retrospettivamente, a frate Beppe Prioli, coordinatore della missione e da molti anni impegnato sul fronte del sostegno ai carcerati: "Nel breve periodo a Verziano - racconta - abbiamo passato sei ore al giorno con i detenuti, entrando in sintonia al punto da violare la soglia delle celle, che delimitano il loro spazio più intimo". In un clima quasi disteso "non ci sentivamo in pericolo, ma per le guardie la nostra incolumità era motivo di preoccupazione".

In effetti, l’impatto tra il gruppo di fra Beppe ed i detenuti non è stato proprio dei migliori: "Non abbiamo percepito ostilità, ma, inizialmente, gli sguardi erano sospettosi. Dietro le sbarre esiste una società poco avvezza ai contatti con l’esterno e noi ci siamo entrati come estranei". Una volta rotto il ghiaccio, tuttavia, la situazione si è normalizzata e la diffidenza ha lasciato il posto ad un dialogo fatto di confidenze, ma anche di tante domande: "a noi religiosi - spiega frate Andrea, altro affiliato alla missione - chiedono il perché della nostra scelta, con tutto ciò che essa comporta".

"A me - aggiunge Giuseppe, un volontario laico - domandavano cosa mi spingeva a lasciare a casa la mia famiglia per fare volontariato". "In questo modo - riprende frate Andrea - ci hanno trascinato dentro storie fatte di figli ignari di avere un padre in carcere o di una libertà che fa quasi più paura della prigione, perché non c’è un posto o una persona con cui dividerla". "La nostra missione - puntualizza fra Beppe - non è fare proselitismo, ma evangelizzare nel senso più pieno del termine. L’incontro con Dio è un momento importante, ma è necessario offrire ai detenuti un’occasione di confronto sulla loro situazione per cercare di spezzare quell’isolamento da cui si sentono sopraffatti".

Un’esperienza che lascia il segno, ma che non può rimanere un caso isolato: "A Verziano, nonostante il prezioso lavoro di don Carlo Bosio (cappellano del carcere ndr), di suor Mirella e di suor Marisa, manca un gruppo di volontari che diano continuità all’accompagnamento dei detenuti una volta esaurita la pena. È su questo punto che bisogna insistere, per dare loro un supporto che impedisca di ricadere negli stessi sbagli". Una voragine, quella del dopo carcere, che si perde nel mare della carenza di assistenza legale: "Se li abbandoniamo a loro stessi, le speranze di recupero sono oggettivamente poche. Non credo che il carcere sia sempre la soluzione punitiva più indicata e comunque - conclude fra Beppe - oggi non offre reali possibilità di reinserimento".

Treviso: carcere minorile indegno, meglio chiuderlo

 

Il Gazzettino, 27 novembre 2004

 

La struttura di Santa Bona, unica nel Triveneto, inadeguata nonostante l?impegno degli educatori: urge una diversa collocazione. "Chiedo la chiusura dell’istituto penale minorile di Treviso perché non garantisce il rispetto della dignità e dei diritti della persona". Livio Ferrari, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, ha lanciato la forte provocazione ieri pomeriggio a Casa Toniolo, durante il convegno promosso dal Centro di servizio per il volontariato sulle esperienze degli Sportelli giustizia del Veneto.

Con i suoi 18 posti e l’altissima percentuale di stranieri, la struttura di Santa Bona è l’unica del Triveneto ed una delle 17 italiane ad accogliere detenuti minori, colpevoli di reati che vanno dalla detenzione e spaccio di stupefacenti ai furti e alle violenze. Ma l’accusa non va tanto ai dirigenti, di cui si riconosce l’impegno e la volontà di collaborare con i volontari, quanto alla sede in coabitazione con il carcere per adulti (sovraffollato) che impedisce il corretto svolgimento di attività di recupero.

La provocazione è stata accolta dal Centro di servizio attraverso il suo presidente Alfio Bolzonello che ha dichiarato: "Partiamo subito e ritroviamoci lunedì nei nostri uffici per trovare una soluzione alternativa". L’invito è rivolto alle istituzioni, agli enti locali, ai volontari, ai cappellani e ai rappresentanti della Chiesa.

Disponibile si è dichiarato il direttore dell’istituto minorile Alfonso Paggiarino e il suo dirigente veneto, Paolo Attardo, ha elencato alcune ipotesi sfumate come ad esempio la caserma Salsa o il Sant’Artemio. Perché la volontà del ministero è quella di non spostare la sede fuori provincia, dal momento che qui esiste una rete di supporto molto importante: ci sono gli insegnanti che si occupano dell’alfabetizzazione degli stranieri, le scuole che propongono corsi professionali, di computer grafica e fotografia, i mediatori culturali, tutte le associazioni che animano il tempo libero tra cui "Il soffio" e "Nat’s", con lo scopo di creare ponti tra i minori detenuti e il territorio, magari attraverso feste e partite di calcio.

Il problema emergente in questo delicato settore è spesso l’esclusione e la difficoltà di reinserirsi nel tessuto sociale una volta usciti dall’istituto. A maggior ragione se i ragazzi sono stranieri e privi di supporto familiare.

Nel primo semestre del 2004 il minorile di Treviso ha registrato 59 ingressi di cui 49 stranieri; erano 102 nel 2003 (70 stranieri), con un aumento delle presenze medie da 17,7 a 22. Da qui l’importanza di avviare un tavolo permanente di confronto per evitare che, una volta fuori - come denuncia il cappellano don Antonio - i ragazzi si perdano nel deserto.

Trieste: niente benefici agli stranieri "senza nome"

 

Il Gazzettino, 27 novembre 2004

 

Senza nome. Ne hanno tanti, nessuno, ma sotto ciascuno, fasullo o vero che sia, ecco una trafila di pendenze da scontare dietro le sbarre. Il popolo deinameless, una condizione che caratterizza nelle carceri del Friuli Venezia Giulia il 90 per cento dei detenuti immigrati (dall’area maghrebina come dall’est europeo).

Una condizione pesante che determina una difficile gestione da parte degli stessi operatori. Il motivo? Il detenuto clandestino paga sulla sua pelle di anonimo la durezza della legge, o almeno di quella linea intransigente che il Tribunale di sorveglianza di Trieste (competente per tutto il territorio regionale) ha voluto fare propria per ragioni comprensibili di sicurezza. Solo che non funziona così dappertutto: qualche altro Tribunale ha ammorbidito un po’ l’orientamento.

Che rimane però rigido nella nostra Regione dove il popolo immigrato degli alias non può usufruire degli sconti, dei buoni di cui gli altri possono beneficiare. Stiamo parlando dei permessi-premio, del regime di semi-libertà, di tutte quelle misure alternative che rimangono out per i detenuti clandestini senza nome o con troppi nomi. L’unico bonus, se così si può chiamare, è uno sconticino di pena di 45 giorni ogni sei mesi.

Ecco una realtà ancora poco conosciuta che è emersa durante la tavola rotonda promossa a Palazzo Belgrado dall’Ipa (International Police Association), l’associazione che, organismo del Consiglio d’Europa, raggruppa tutte le forze di polizia e annovera, in Regione, quasi mille iscritti, secondo il presidente regionale Antonio Lopetz.

Per chi non è possibile identificare con certezza, la vita carceraria riserva ulteriori inconvenienti come la difficoltà sul fronte dei colloqui con i familiari (6 quelli mensili più una telefonata settimanale). "Dal momento che risulta complicato risalire all’identità dei familiari, considerando l’incognita anagrafica dello stesso detenuto - spiega Irene Iannucci, vicedirettore della Casa circondariale di via Spalato - abbiamo poche altre strade da percorrere": l’autorizzazione al colloquio come terze persone (e ciò implica chiedere la collaborazione della polizia del luogo, non sempre legata da accordi bilaterali con il nostro paese); oppure l’attivazione del canale consolare (e qui rimane in piedi l’incognita dei tempi, non certo celeri, di risposta).

Sul capitolo espulsioni la Questura di Udine, in quest’ultimo anno, ha riaccompagnato 119 immigrati, di cui 66 alla frontiera, come rende noto Antonio Ponzi, dirigente dell’Ufficio immigrazione, mentre 53 nei Centri temporanei di prima accoglienza (vuoi perché gli extracomunitari non erano in possesso di un documento idoneo per il rimpatrio, vuoi perché al momento non era disponibile il treno o la nave).

Il Centro più vicino è quello di Bologna dove sono arrivati gli espulsi, ma anche Modena, Milano, Torino e Roma. Anche il nostro Comune, con il Servizio stranieri, esercita il suo ruolo: nel 2004 si sfonderà quota 5 mila colloqui, a fronte dei 4.500 dello scorso anno.

Tinebra: il 41 bis funziona, noi siamo degli esecutori

 

Agi, 27 novembre 2004

 

"Noi siamo degli esecutori: c’è una legge e la applichiamo". Lo ha detto il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Gianni Tinebra, oggi in provincia di Catania per inaugurare la nuova scuola di formazione, riguardo l’efficacia del 41 bis e commentando la vicenda del boss Leonardo Vitale che riusciva a comunicare all’esterno anche coi fax. "Il caso del boss Vitale l’abbiamo scoperto noi della polizia penitenziaria. Quindi, evidentemente, il 41 bis funziona e non è vero il contrario".

Milano: la paura urbana, convegno dell’Università Bicocca

 

Redattore Sociale, 27 novembre 2004

 

"La paura urbana. Un insieme di insicurezza per un pericolo imminente ma non preventivabile e il timore di non ricevere aiuto nel momento del bisogno". Giandomenico Amendola, docente dell’università di Firenze, ha spiegato così il bisogno di sicurezza sempre più diffuso che accompagna il cambiamento delle città, in Italia e nel mondo.

Il convegno, "La paura urbana. Politiche, esperienze e luoghi comuni", è stato organizzato dal dipartimento di sociologia e ricerca sociale della Bicocca di Milano nell’ambito del laboratorio Periferie Metropolitane. Una serie di appuntamenti mensili per indagare le trasformazioni in atto nelle aree metropolitane e nelle periferie.

Un dibattito aperto dall’intervento del professor Amendola, autore di due volumi strettamente legati all’argomento del dibattito "Il governo della città sicura" e "Paura in città". "Oggi in Italia - secondo l’analisi proposta dal docente - c’è un tematizzazione insistente della criminalità, ma non ci sono dati disponibili per fotografare la situazione.

Negli ultimi vent’anni è stato riscoperto il significato di paura come attacco alla serenità". Un sentimento diffuso in ogni zona della città, non solo in determinati quartieri. "L’elemento del degrado è fondamentale. Il degrado stimola altro degrado e genera insicurezza".

Sul concetto di nevrosi da insicurezza si è soffermato anche Piero Colaprico, inviato speciale del quotidiano "La Repubblica" e scrittore di romanzi gialli. "Oggi le paure reali vengono ingigantite. La gente non si sforza di capire, ma vive nel luogo comune. Milano, ad esempio, non è mai stata sicura come in questi anni, eppure aumenta la percezione di rischio. Nessuno ricorda che nelle pieghe di questa città il crimine ha vissuto fenomeni di primo piano mondiale: Adonis, Turatello, Epaminonda, Vallanzasca, Tangentopoli".

Lucia Castellano con il "crimine" vive ogni giorno. È la direttrice del carcere di Bollate: "La città penitenziaria è stata creata dalla città metropolitana per rieducare le persone che hanno violato il patto sociale. Però nessuno si occupa della condizione dei detenuti dietro le sbarre. E, al termine del periodo di reclusione, tornano a vivere nel disagio sociale. Per questo a Bollate cerchiamo di fare in modo che i detenuti si approprino del loro tempo di carcerazione, attraverso attività lavorative. Così speriamo di restituire alla società persone non peggiorate".

Quale può essere la ricetta per combattere paure e nevrosi? Livia Pomodoro, presidente del Tribunale dei minori di Milano, propone una soluzione semplice, ma dimenticata. "Per convivere con la criminalità, che cambia troppo velocemente e non si può mai estirpare del tutto dalla società, occorrono meccanismi di rassicurazione obiettiva. Sapere di poter contare sull’aiuto degli altri agevola a superare i problemi".

Como: mancano volontari, bloccati corsi inglese e francese

 

La Provincia di Como, 27 novembre 2004

 

Insegnanti di inglese e francese cercansi. L’appello è lanciato dai volontari della casa circondariale di Como per poter continuare a sostenere i corsi di insegnamento interni. "Siamo in difficoltà con le lingue - spiega Ida Morosini, responsabile della biblioteca al Bassone e dei piani d’istruzione per i detenuti - Per inglese c’è un solo professore, ma al momento, per problemi di salute ha dovuto sospendere le lezioni".

Insomma, se per le materie scientifiche come fisica, scienze e matematica la situazione è più rosea, per le discipline linguistiche manca proprio personale. E bisogna trovarlo al più presto, perché i dieci detenuti della sezione alta sicurezza a cui è rivolto il progetto educativo e formativo dovranno poi sostenere a fine anno l’esame d’idoneità all’istituto superiore Romagnosi di Erba.

"Per ora purtroppo, per quanto riguarda l’istruzione superiore, abbiamo solo delle ore di sostegno allo studio - aggiunge la Morosini - Praticamente una possibilità di assistenza. Per le scuole medie ed elementari invece è diverso, sono corsi completi". In questi casi, infatti, il programma di formazione, aperto a tutte le sezioni della struttura, è uguale a quello delle scuole comuni. E le ore di insegnamento sono affidate ai docenti Eda, il centro di educazione per gli adulti cittadino. Le lezioni per le superiori invece sono gestite da insegnanti volontari, a livello di supporto e affiancamento.

Ma si spera, in futuro, di poter garantire un’offerta formativa più completa. "Sarebbe bello - commenta Ida Morosini - se si riuscisse ad avviare per l’anno prossimo dei corsi istituzionalizzati anche per le superiori, come già lo è per gli altri gradi d’istruzione". E a questa opportunità guardano di buon occhio anche i vertici direttivi del Bassone.

"L’istruzione scolastica - afferma la direttrice Francesca Fabrizi - è uno degli elementi fondamentali per poter avviare un percorso di recupero. I corsi dell’alta sicurezza poi hanno una valenza particolare perché sono stati pensati proprio per fare in modo che i detenuti si distacchino dalle organizzazioni criminali attraverso l’acquisizione di capacità critiche e conoscenze culturali". Insomma, la causa da sostenere è veramente valida.

Chiunque fosse interessato a candidarsi e dare la propria disponibilità può contattare Ida Morosini al numero 031.283229 oppure il cappellano della casa circondariale, don Giovanni Milani allo 031.520434. Altrimenti si può scrivere all’indirizzo di posta elettronica imorosin@libero.it.

Brescia: "l’isola di Verziano" il carcere diventa teatro

 

Giornale di Brescia, 27 novembre 2004

 

Oggi usciranno dal carcere di Verziano sotto buona scorta: così vuole il regolamento. Daranno un po' nell’occhio, forse, visto che la destinazione non sarà, come spesso accade, un’aula di giustizia, un’udienza del tribunale di sorveglianza, un’altro carcere. La destinazione sarà un teatro di periferia, un palco da oratorio: 200 posti a Buffalora.

Una piccola Scala rispetto alla fredda cappella del Carcere di Verziano dove dagli inizi di novembre hanno provato quasi ogni pomeriggio sotto la guida delle regista Sara Poli. Loro sono le ospiti della sezione femminile del carcere di Verziano, le "ragazze di Verzè", come amano farsi chiamare, quando si trasformano in giornaliste per il periodico carcerario "Zona 508", quando raccolgono soldi per i bisogni del terzo mondo facendo decoupage, icone e altri lavori manuali.

Questo pomeriggio sette di loro diventeranno attrici sul palco del teatro dell’oratorio di Buffalora, interpreteranno "L’isola di Verziano", un testo elaborato dalla giornalista Paola Carmignani e portato in scena da Sara Poli, affiancata da Daniele Squassina.

Oggi l’appuntamento è alle 16 per le scuole, domani alle 19 toccherà al pubblico "normale" applaudire le detenute di Verziano per questa uscita "fuori le mura", frutto di un progetto voluto dalle presidenti dei consigli comunale e provinciale (Laura Castelletti e Paola Vilardi), con il contributo della Fondazione della Comunità bresciana, della Fondazione Asm, dell’Aidda di Brescia e del Soroptimist cittadino, oltre ad altri sponsor privati.

Un progetto ambizioso quello di far diventare attrici le detenute, di far raccontare loro il naufragio sull’Isola di Verziano, lembo di terra perduta, dove il sole è sole solo da dietro una grata, dove le porte si chiamano "blindi" e hanno lo spioncino e dove le stanze si chiamano celle. Insomma, altro che tropici. E in questi giorni il freddo è ancora più freddo, soprattutto in quella cappella trasformata in sala prove per lo spettacolo. Un lavoro che le detenute hanno ripreso in mano da alcune settimane non senza difficoltà (molte di quelle che avevano partecipato alla prima messinscena, sono uscite dal carcere e qualcuna domani siederà fra il pubblico).

Ma dopo giorni di lavoro duro eccole pronte a portare in scena l’allegoria di un carcere, con i momenti di sconforto e i sorrisi, i silenzi e i canti. Pazienza se oggi e domani qualcuna stonerà (nello spettacolo c’è spazio anche per vocalist e musicisti professionisti).

Pazienza se qualche battuta non avrà il timbro dell’attrice navigata. Pazienza. Qui più che il talento (e secondo la regista Sara Poli sull’Isola ce n’è quanto basta) conta il cuore. Più che l’oggi, conta il domani: come quando il naufrago scruta l’orizzonte, sogna una scialuppa che possa riportarlo a casa, fuori dall’isola dei "blindi" e dei quarti di luna. Così per le "ragazze di Verzè" il teatro diventa una scommessa. Sul futuro.

L’appuntamento con il pubblico, dunque, è per domani alle 19 al teatro di Buffalora: ci sono ancora posti liberi, il biglietto costa 15 euro (per prenotazioni si può chiamare dalle 10,30 alle 12,30 la segreteria organizzativa della Liason sas, telefono 030-46815). E quei soldi serviranno per una buona causa, per finanziare un progetto in favore di donne e bambini malati di Aids del Burkina Faso. Perché sull’Isola, se ci si salva, non ci si deve salvare da soli. Parola delle "Ragazze di Verzè".

Savona: Sappe organizza un sit-in di protesta…

 

Ansa, 27 novembre 2004

 

"Senza certezze definitive sul nuovo carcere di Savona, attueremo un sit-in di protesta davanti al Comune di Savona le sere della vigilia di Natale e di Santo Stefano. Porteremo cento fiaccole per illuminare le coscienze dei politici locali, così distanti da una situazione attuale che è semplicemente incresciosa e vergognosa.

Il carcere di Savona è al collasso, con le oggettive responsabilità di tutti coloro che lo sanno e non fanno niente. Per questo, in rappresentanza del Sindacato SAPPE, il più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con 13 mila iscritti ed il 40% di rappresentatività, abbiamo scritto oggi al ministro della Giustizia Roberto Castelli ed al capo dell’Amministrazione Penitenziaria un dura lettera in cui chiediamo immediate iniziative per una definizione sollecita delle procedure di carattere edilizio - la favola del nuovo penitenziario savonese - nonché interventi idonei ad alleggerire i carichi di lavoro, davvero onerosi, di tutto il personale di Savona".

L’iniziativa è della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, che da notizia della lettera inviata questa mattina ai vertici del ministero della Giustizia a firma di Donato Capece, segretario generale del Sindacato.

La Segreteria Generale Sappe lancia nuovamente l’allarme sociale e istituzionale a Castelli e Tinebra: "Il carcere "Sant’Agostino" della città ligure è ormai invivibile e ogni aspetto operativo rischia di degenerare se non intervengono provvedimenti immediati. Il sovraffollamento causa condizioni assurde certamente non più accettabili. L’ambiente, poi, è assai fatiscente, sicché la struttura non corrisponde proprio ai concetti dell’ordinamento penitenziario: mancano le docce e l’acqua calda e i bagni sono ancora "alla turca".

"La situazione del "Sant’Agostino" la denunciamo da anni, con lettere e interventi a tutti. Quello che è certo" commenta Capece "è che sono in molti a doversi vergognare per l’attuare stato delle cose: e cioè che a Savona la situazione penitenziaria è da Terzo Mondo!"

Presidente Anm: controriforma Castelli peggiorerà le cose

 

Ansa, 27 novembre 2004

 

"È la prima volta nella storia ormai centenaria dell’Anm che ricorriamo per la terza volta ad uno sciopero in una legislatura: noi ricorriamo a queste forme di protesta con estrema attenzione ma purtroppo questa riforma merita il dissenso più netto possibile". Così il presidente dell’Anm, Edmondo Bruti Liberati, poco prima di partecipare a Roma all’assemblea indetta dalla giunta distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati in occasione dello sciopero indetto dai giudici.

"Questa non è una riforma ma una controriforma - ha aggiunto Bruti - non affronta nessuno dei problemi reali della giustizia che sono la lentezza delle procedure, la complicazione inutile dei rituali nel processo civile e penale.

Ma il ministro della giustizia non fa alcuna proposta su questi punti. Lo stato di disorganizzazione della giustizia è sotto gli occhi di tutti e noi magistrati ci sentiamo umiliati per non riuscire a rendere un servizio efficace ai cittadini". Secondo il presidente dell’Anm la riforma dell’ordinamento giudiziario "riuscirà nel mirabile risultato di peggiorare ancora le cose".

Dorigo; Zanella (Verdi), aspettiamo risposta di Castelli

 

Ansa, 27 novembre 2004

 

"Insieme ai colleghi Russo Spena, Giulietti e Vianello, ho chiesto un incontro urgente al ministro Castelli perché vorremmo esporgli le nostre argomentazioni sul caso di Paolo Dorigo ma fino ad ora non abbiamo ricevuto alcuna risposta": lo ha detto la deputata dei Verdi Luana Zanella.

La parlamentare, impegnata in questi giorni nelle iniziative di solidarietà con Dorigo, detenuto nel carcere di Spoleto e in sciopero della fame da oltre 60 giorni, spiega - in una nota - che "la richiesta di intervento del ministro della giustizia è dettata dalla gravità dello stato di salute di Dorigo e della necessità di contrastare una palese ingiustizia".

"Il caso di Dorigo - prosegue la nota - è l’ emblema di una giustizia distante dai cittadini e dal rispetto dei principi costituzionali. Per questo speriamo che Castelli non resti silente di fronte alla detenzione di Dorigo e alla sua estrema forma di protesta".

Zanella esprime quindi "grande solidarietà agli avvocati che assistono Dorigo, Vittorio Trupiano e Sergio Simpatico che domani si incateneranno davanti al carcere di Spoleto per denunciare le inadempienze del governo di fronte alle reiterate risoluzioni del Comitato dei ministri europeo che ormai da cinque anni chiede all’Italia un nuovo processo a carico di Paolo Dorigo, avendo definito ingiusto quello che lo ha condannato". Dorigo, che si è sempre dichiarato innocente, sta scontando da 11 anni una condanna a 13 anni di reclusione per un attentato alla base Nato di Aviano (Pordenone).

 

Servono cure immediate, appello a giudice

 

"Le condizioni di salute di Paolo Dorigo impongono cure immediate: se venisse trasportato in ospedale, sono certa che smetterebbe lo sciopero della fame". Lo afferma l’on. Luana Zanella (Verdi), che, insieme ai parlamentari Giovanni Russo Spena, Giuseppe Giulietti e Michele Vianello, rivolge un appello al Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Perugia, dottor Mario Esposito, "affinché Dorigo non venga fatto morire in carcere".

Zanella, che ha espresso solidarietà e vicinanza alla protesta degli avvocati di Dorigo, Vittorio Trupiano e Sergio Simpatico, che oggi si sono incatenati davanti al carcere di Spoleto, sostiene che "questo caso ha risvolti politici e umani incredibili, di fronte ai quali non è comprensibile il silenzio del ministro della Giustizia, al quale abbiamo chiesto un incontro senza ricevere alcun segnale di un suo interessamento".

"Dorigo, secondo la giustizia europea - ha ricordato la parlamentare dei Verdi - ha subito un processo ingiusto che lo ha condannato a tredici anni di detenzione per un attentato dimostrativo alla base militare Nato di Aviano che non ha causato danni né a persone né a cose.

Non solo questo aspetto giuridico ma anche le attuali condizioni di salute di Dorigo, che sta sostenendo da oltre sessanta giorni uno sciopero della fame, dovrebbero indurre la magistratura ad assumere una iniziativa nei suoi confronti". "Per questo - ha concluso - ci auguriamo che il nostro appello al dottor Esposito non cada nel vuoto".

Roma: ricerca sulle condizioni dei detenuti stranieri

 

Inform, 27 novembre 2004

 

È stata presentata a Roma la ricerca dal titolo "Le condizioni civili dei detenuti stranieri nelle carceri italiane". L’indagine, illustrata nel corso di un incontro presso l’Università San Tommaso d’Aquino, è stata promossa dalla stesso Ateneo Pontificio (Angelicum), dalla Fondazione Migrantes e dall’Ispettorato generale dei cappellani delle carceri.

Scopo della ricerca, partita nel 2003 e realizzata attraverso la distribuzione in sei carceri italiane di uno specifico questionario, quello di stabilire la reale applicazione dei diritti spettanti al detenuto straniero e la concreta efficacia dei normali trattamenti penitenziari per la riabilitazione.

Delle oltre mille risposte pervenute - i questionari per superare la diffidenza dei detenuti sono stati distribuiti agli immigrati dai cappellani - circa seicento sono state ritenute idonee ed utilizzate per l’elaborazione dei dati.

"Con questa ricerca - ci ha spiegato il professore Alberto Lo Presti della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università San Tommaso d’Aquino che ha diretto l’indagine - abbiamo dimostrato che il concetto classico di trattamento penitenziario entra in crisi nel caso del detenuto straniero che finisce con il vivere da emarginato anche dentro il carcere.

Gli immigrati non riescono infatti a lavorare nei progetti degli Istituti di pena sia per problemi di sicurezza, sia per evidenti difficoltà linguistiche. Quindi gli stranieri oltre a condurre, nella maggioranza dei casi, una vita di esclusione sociale nel periodo precedente alla reclusione, finiscono con l’essere emarginati anche dentro il carcere.

Per loro - ha proseguito il docente di sociologia ricordando che anche una semplice telefonata alla famiglia d’origine può rappresentare per il detenuto straniero un ostacolo difficilmente superabile - la situazione è davvero drammatica perché non possono ricorrere alle forme alternative di pena e godere, in quanto privi di fissa dimora, di permessi premio.

Rispetto a tutto questo la funzione riabilitativa fallisce completamente. Anche se noi riuscissimo ad introdurre gli immigrati in un circuito virtuoso - ha concluso Lo Presti - dove possano imparare la lingua e trovare da lavorare, noi dovremmo infatti rispedire, vanificando tutto il lavoro svolto, il detenuto straniero al Paese d’origine. Esiste quindi un problema a livello sistemico".

Il direttore della Migrantes per la pastorale degli immigrati, Padre Bruno Mioli ha ricordato l’opera di evangelizzazione svolta da chiunque operi e fornisca dei servizi ai migranti su mandato della Chiesa ed ha sottolineato il pesante carico di sofferenza che viene abitualmente portato dall’immigrato e dalla sua famiglia.

Un trauma inevitabile dovuto al duro impatto del migrante con la società del Paese straniero che dovrebbe accoglierlo. "Le migrazioni - ha aggiunto Padre Mioli auspicando che il primo passo del dialogo con gli immigrati venga compiuto dalla società d’accoglienza - hanno un loro costo che devono pagare anche gli italiani. Non dobbiamo avere la pretesa che siano loro ad avvicinarsi a noi, ma dobbiamo incontrarci a metà strada".

Nel sottolineare il grosso carico di responsabilità che grava sugli italiani che utilizzano gli immigrati per il lavoro sommerso e alimentano la prostituzione straniera, il rappresentante della Migrantes ha poi evidenziato come la storica diaspora dei nostri emigranti non sia stata per gli italiani "eccessiva maestra di vita".

Sebbene gli immigrati detenuti siano quasi 17.800 con un’incidenza sulla popolazione carceraria del 31,4%), l’immigrazione non è di per se portatrice di atteggiamenti asociali e non può essere identificata con la criminalità. Un accostamento sbagliato che ha creato in Italia un diffuso clima di diffidenza e di severità nei confronti degli stranieri che potrà essere superato solo attraverso una paziente opera educativa dell’opinione pubblica.

Da questo difficile contesto è nata la legge Bossi-Fini che, secondo Padre Bruno Mioli, ha snaturato il precedente testo unico sull’immigrazione ponendo al centro la lotta alla clandestinità e tutta una serie di misure che hanno reso più precaria e complessa presenza dello straniero in Italia. Un indirizzo legislativo che contrasta però con tutti i numeri dell’immigrazione in Italia che evidenziano, come ad esempio quelli relativi alla crescente presenza nelle scuole italiane di bambini stranieri, la progressiva stabilizzazione del fenomeno migratorio.

"Il vero problema - ha concluso il direttore della Migrantes dopo aver ricordato la mancata ratifica da parte delle più importanti nazioni occidentali della Convenzione internazionale sui diritti dei migranti del 1990 - sarà dunque come regolare, assistere e accompagnare questa immigrazione, spesso innescata da pure ragioni di sopravvivenza, in modo che possa dare i suoi frutti".

Bollate: patente europea computer a dieci detenuti

 

Ansa, 27 novembre 2004

 

Oltre alla notizia del corso per i detenuti denominato "Informatica di base, reti e sistemi di telecomunicazioni (Moduli formativi Cisco Systems)", dal carcere di Bollate oggi è arrivata anche una notizia di solidarietà: un detenuto ha realizzato 32 quadri che verranno venduti all’asta per raccogliere fondi per la ricerca sul cancro.

Oggi, durante l’incontro alla Siam, è stata infatti inaugurata una esposizione di quadri realizzati da Santi Sindoni, pittore attualmente detenuto a Bollate. I quadri saranno esposti nella sede del Siam fino al 28 novembre e poi venduti all’ asta: il ricavato andrà all’ Istituto europeo di oncologia.

Cima (Verdi): Castelli pensi a problemi carceri, non a Bompressi

 

Ansa, 27 novembre 2004

 

Interrogazione parlamentare dei Verdi al ministro Guardasigilli Roberto Castelli sulla situazione delle carceri in Italia. "Castelli - dice Laura Cima - invece di accanirsi sul no alla grazia a Bompressi, aprendo un scontro istituzionale con il presidente Ciampi, per motivi di bassa politica, dovrebbe dire ai cittadini che cosa sta facendo di concreto per risolvere i problemi gravi delle carceri italiane".

"Dovrebbe dire anche in sede parlamentare - aggiunge - quale è stata la sua risposta alla forte mobilitazione pacifica dei detenuti che, ad ottobre, ha coinvolto molti istituti di pena su tutto il territorio". "Castelli - conclude - la smetta di farsi paladino della giustizia giusta quando proprio ieri in commissione Giustizia si è consumato l’ennesimo atto di ‘difesa degli amicì e dei provvedimenti su misura con la legge salva Previti, anche da parte del partito a cui appartiene il ministro".

"La Mattanza", Lucarelli racconta la mafia ai giovani

 

Ansa, 27 novembre 2004

 

Quando i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vennero trucidati dalla Mafia i liceali di oggi erano bambini. A loro soprattutto si rivolge Carlo Lucarelli con il suo libro "La mattanza - dal silenzio sulla mafia al silenzio della mafia" (Einaudi Stile Libero, prezzo speciale fino al 31 gennaio, euro 15,80), un volume accompagnato da un Dvd che ripropone lo speciale trasmesso da "Blu notte" su Raitre nell’estate 2003.

"È sempre interessante parlare con i ragazzi di queste cose - dice Lucarelli - perché spesso si scopre che sono molto più curiosi e attenti, e che ne sanno molto di più di quanto ci aspettavamo". E proprio ai giovani il celebre giallista e conduttore della fortunata trasmissione dedicata ai casi misteriosi presenterà il suo libro scegliendo un mezzo molto amato dai ragazzi: una video chat che si terrà domani alle 13 sul sito kataweb.it nella quale Lucarelli parlerà con gli studenti di due licei classici, l’Umberto I di Palermo e il Vittorio Alfieri di Torino, moderatrice sarà Loredana Lipperini.

Nel libro Lucarelli commenta e narra, scena per scena, le immagini delle due ore di DVD nel quale vi è anche la famosa puntata di Blu Notte che nell’aprile del 2004 venne bloccata dalla Rai per ragioni di par condicio suscitando diverse polemiche. Al video, firmato anche da Giuliana Catamo, hanno partecipato per le inchieste giornalistiche quattro fra i più famosi cronisti esperti di mafia: Francesco La Licata, Guido Ruotolo, Vincenzo Vasile e Nicola Biondo. Il commento di Lucarelli, sobrio e appassionato insieme, prende l’andamento e la suggestione di un romanzo giallo.

Ma, purtroppo per l’Italia, non è un romanzo. È la storia della mafia che si intreccia morbosamente e mortalmente con la storia di un Paese che ancora non riesce a liberarsi da una cancrena con metastasi ovunque. Una storia che i giovani hanno già dimostrato di voler conoscere, prova ne sono gli straordinari ascolti delle due puntate della fiction tv dedicata a Paolo Borsellino seguita in modo particolare proprio da loro. Nel Dvd la storia parte dall’ 11 giugno 1969 con il processo di Bari.

In un susseguirsi di flashback, immagini di repertorio, storia presente e ipotesi future, Lucarelli, come in un film, ci conduce davanti a personaggi e situazioni. Si racconta la storia del giornalista Mario Francese e la sua uccisione. Del vice capo della mobile di Palermo Boris Giuliano ucciso da Leoluca Bagarella. Dei grandi boss Tot. Riina, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano.

Dei politici Salvo Lima e Vito Ciancimino (sindaco e assessore ai lavori pubblici di Palermo), del Sacco di Palermo ("la più grande speculazione edilizia portata avanti da un sistema politico mafioso"), la guerra dei Corleonesi. Accosta, obbedendo più alle ragioni del romanziere, la figura di Francesca Morvillo (moglie del Giudice Falcone morta con lui e i tre agenti di scorta nell’attentato di Capaci) e Ninetta Bagarella (moglie di Totò Riina).

Lungo è il rosario delle morti violente dei servitori dello stato: dal giudice Cesare Terranova, al segretario regionale del Pci Pio La Torre, dal giudice Rocco Chinnici e al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. E ancora: la strage di Ciaculli, la nascita del Pool antimafia, la stagione dei pentiti, il Maxiprocesso.

E poi il momento in cui la Mafia alzò il tiro e sembrava inarrestabile: le stragi di Capaci e di via D’Amelio dove persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La conseguente reazione dello Stato con il 41 bis che introduce per i mafiosi il regime del carcere duro. Un capitolo è dedicato alla morte di don Pino Puglisi, e non manca il capitolo dedicato alle relazioni, sempre difficili da raccontare, tra Mafia e politica. Per presentare il suo libro Lucarelli ha scelto di farlo fra i giovani. Dopo la chat su kataweb di domani i prossimi appuntamenti saranno: lunedì 1 dicembre a Roma alla libreria Mel Bookstore alle 18,30; martedì 2 dicembre a Bologna alla Feltrinelli International alle 18,00 e il 3 dicembre a Napoli alle 21,00 alla Feltrinelli. In tutte le presentazioni ospiti d’eccezione saranno gli studenti delle scuole superiori cittadine.

Myanmar: scarcerazioni, ma solo per pochissimi dissidenti

 

Asia News, 27 novembre 2004

 

In Myanmar la giunta militare ha liberato circa 500 detenuti dei 3.937 dei quali aveva di recente era stata promessa la scarcerazione. Lo riferiscono testimoni oculari, senza però chiarire se tra essi ci sono anche prigionieri politici. Sembra infatti che ad essere liberati siano solo individui condannati a pene brevi, come 2 o 3 anni per reati comuni.

La notizia segue l’annuncio della prevista liberazione di altri 5.300 prigionieri "ingiustamente" incarcerati, diffuso ieri dai media di Stato birmani. Finora i testimoni parlano di meno di 30 prigionieri politici scarcerati: tra loro c’è Min Ko Naing, leader degli studenti e attivista democratico.

Le modalità con cui si stanno svolgendo le scarcerazioni hanno suscitato diverse critiche nel Paese. I familiari dei prigionieri politici hanno accusato la giunta di non aver liberato nessun da sabato scorso. Kyaw Thu, vice ministro degli esteri del Myanmar, ha risposto che il governo ha intenzione di rispettare le promesse. "Se non mantenessimo la parola - ha detto il ministro - saremmo sottoposti a forti pressioni soprattutto dall’Occidente". Egli ha giustificato i ritardi con motivi logistici.

Secondo dissidenti e attivisti per i diritti umani, i prigionieri politici in Myanmar sono circa 1.400. C’è attesa anche per la liberazione di Aung San Suu Kyi, icona del partito democratico e premio Nobel per la pace, in carcere per diversi anni. Anche il suo più stretto collaboratore, Win Ti (incarcerato dal 1989), dovrebbe essere liberato. "Win Ti - ha detto Kyaw Thu - è già nella lista". Il ministro non ha invece saputo dire quando Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari da maggio 2003, potrebbe essere rimessa in libertà.

 

 

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