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Sciopero per la carta (anche igienica), di Adriano Sofri
Panorama, 31 maggio 2004
Se alla protesta dei magistrati non è mancata qualche nota di comicità, molto più seria è la situazione nelle galere. Dove i detenuti, oltre alla libertà, sacrificano spesso la salute e la vita. La comicità che si insinua nelle cose gravi le rende più gravi. Scrivo mentre esplodono scaramucce alla vigilia di uno sciopero dei magistrati. Giudici autorevoli, indignati della minaccia che incombe sulla loro indipendenza, protestano contro un ministero che fa mancare loro l’essenziale. L’essenziale è la carta. Gli avvocati, dicono, devono arrivare con le loro private risme di carta alle cancellerie, che ne sono prive. E poi aggiungono che manca anche, ai tribunali della Repubblica, la carta igienica. Il presidente del tribunale romano, persona palesemente seria, informa un telegiornale del motto di spirito vergato da mani forensi (ed eufemistiche) sull’ingresso del wc: "Nel tribunale non si fa pipì". Non è granché, diciamolo. La controparte, il vigente ministro della Giustizia, dà interviste in cui deplora un’associazione dei magistrati così conservatrice da concentrare le sue proteste sulla mancanza di carta igienica, e lamenta che ai magistrati non sia ancora pervenuta la profezia di Steve Jobs, il fondatore della Apple, "che preconizzò un mondo senza carta". Questo multiverso umorismo segnala che la proverbiale "crisi della giustizia" tocca un punto senza ritorno. Nelle galere il dibattito è più stanco. La carta igienica d’ordinanza, per chi non ha soldi di suo, era sempre scarsa, e non ha fatto che rarefarsi mentre si sovraffollavano gli utenti. È successo così con tutto, anche con le medicine. La questione della sanità in carcere è delle più scabrose. Il pregiudizio delle persone perbene e distratte fa pensare alla cura per la salute dei detenuti come a uno spreco scandaloso. Tuttavia, né nella reclusione detta deliziosamente cautelare né nelle sentenze dei condannati è scritto che debbano sacrificare alla galera, oltre alla libertà, la loro stessa salute. Da anni si trascina una disputa sull’opportunità che la medicina penitenziaria resti di competenza del ministero della Giustizia, o passi alle Asl. Ciascuna scelta ha pro e contro: sta di fatto che il passaggio alla sanità pubblica attraverso una sperimentazione disposta e non avvenuta è finito con un nulla di fatto e intanto l’autonomia e le risorse della sanità penitenziaria sono state sempre più umiliate. Le prigioni sono brutti posti, si sa: portano la bruttezza all’occhiello come un distintivo glorioso. Però la bruttezza eccede nello zelo. I contabili spiegano che ci si suicida, nelle carceri, 17 volte di più di quanto si faccia fuori. È troppo, no? Nella fascia di età fra i 18 e i 24 anni, ci si suicida in carcere 50 volte più che non fuori! La percentuale di suicidi è doppia fra i detenuti in attesa di giudizio (quelli ufficialmente ancora non colpevoli, quelli che all’esito dei processi saranno in gran parte assolti) rispetto ai condannati. Sono migliaia gli episodi di autolesionismo. Il carcere è già per sé una malattia universale e mortale. Lo è due volte per chi si ammali di qualche propria personale malattia. Nel 2002, documenta la Conferenza del volontariato per la giustizia, i fondi per la sanità penitenziaria sono stati ridotti del 20 per cento, un quinto, rispetto al 2001. Nel 2003, ridotti di un altro 30 per cento, quasi un terzo. Di fronte a questa brusca avarizia stanno voci ragionevoli che auspicano umanità e diritti. Una sentenza recente della Corte costituzionale ha raccomandato specialmente la condizione dei cardiopatici. L’alto rischio dei malati di cuore è attenuato dalla regolarità delle cure e dalla tempestività dei soccorsi: figurarsi. Il carcere spezza i cuori, alla lettera. Qua e là si compiono imprese spettacolose, fumo negli occhi a prezzo salato. Nel carcere di Messina era pronta l’installazione del rene artificiale, e per fortuna i medici penitenziari l’hanno sventata: pazzia, che vuole assegnare mezza giornata e più di dialisi a persone detenute, che tornano a trascorrere l’altra metà in una cella sordida e gremita. Ci sono gli ospedali, per chi abbia bisogno del rene artificiale. La legge sui malati di aids è ancora gravemente inapplicata e in cambio la regolarità delle cure è pregiudicata dai bilanci, dall’incuria di alcuni istituti, dalla frequenza improvvisa dei trasferimenti. I medici e gli infermieri penitenziari sono associati in grande maggioranza nell’Amapi e hanno un presidente, Francesco Ceraudo, ormai quasi vitalizio (è stato appena rieletto per la nona volta) che conosco bene, perché dirige il Centro clinico della prigione pisana. I suoi dati sono impressionanti: 57 mila detenuti (21 mila "extracomunitari"), 20 mila tossicodipendenti, 5-6 mila hiv positivi, 600 affetti da aids conclamato, 9.500 affetti da epatite cronica, 7.500 affetti da turbe psichiche. Nel 2003 ci sono stati 54 suicidi, 952 tentati suicidi, 5.200 scioperi della fame, 4.500 episodi di autolesionismo (quelli certificati). Medici e infermieri dell’Amapi contrastano vivacemente quella che a loro sembra una controriforma della medicina penitenziaria, preparata da consulenti del ministero, e confidano calorosamente in un progetto parlamentare di riforma che ha per primo firmatario Mario Pepe. Se ne aspettano un aumento degli organici per la prima volta dal 1970, e allora i detenuti erano in tutto 18 mila, meno di un terzo di oggi. Se ne aspettano anche un riconoscimento della loro peculiare responsabilità, un’attenzione all’aggiornamento professionale, un miglioramento economico e normativo. Naturalmente, il credito dei medici penitenziari è in proporzione diretta alla competenza, alla dedizione e alla indipendenza di cui sanno dare prova: fare il medico in galera non si può senza una dose speciale di vocazione umana. Cioè, si può, ma lo si fa male, e si fa il male di persone spogliate di tutto. In Italia ci sono 6.400 detenuti di religione islamica
Vita, 31 maggio 2004
Per
un musulmano anche una cella può diventare una moschea. E per i circa 6.400
detenuti di fede islamica nelle sovraffollate carceri italiane, basta un tappeto
per rispettare i dettami del culto. È
una situazione a macchia di leopardo quella fotografata dai dati del
Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap) e dai racconti degli
agenti di polizia penitenziaria sui detenuti di religione islamica (perlopiù
marocchini, tunisini, albanesi). Su un totale di 6.390, la maggior parte si
trova negli istituti di pena della Lombardia (1338), del Piemonte (826), dell’Emilia
Romagna (765) e della Toscana (753). I riflettori su di loro si sono accesi dopo
l’11 settembre del 2001. Risale, infatti, al novembre di quell’anno una
circolare del Dap per agevolare le richieste dei detenuti di religione islamica
che vogliono osservare il periodo del Ramadan (digiuno dall’aurora al
tramonto, lettura giornaliera del Corano, preghiera giornaliera con obbligo di
pulizia personale, il venerdì). Nel carcere di Alessandria i circa 150 detenuti islamici possono contare addirittura su sei stanze per pregare. Molto creativa la soluzione trovata nel carcere napoletano di Poggioreale la "moschea" si trova nella sala magistrati, dove il venerdì, quando la stanza è libera, un imam guida la preghiera. La regola, in tutti gli istituti, resta il divieto di carne di maiale, e la distribuzione del cibo dopo il tramonto durante il Ramadan, oppure - quando è possibile - la consegna di alimenti crudi che vengono cucinati in cella. Nel carcere romano di Regina Coeli, ad esempio, non ci sono stanze comuni per pregare ma - assicurano - non manca la varietà di menù. Potenza: com’è la vita dall’altra parte delle sbarre
Gazzetta del Mezzogiorno, 31 maggio 2004
"Con questo documento - ha detto in apertura di incontro il coordinatore cittadino di Azione Cattolica Giancarlo Grano - intendiamo sottolineare la necessità di una grande trasformazione urbana e sociale. E’ il tempo di avviare il rilancio della città e di restituire pieno vigore alla partecipazione popolare. Associazioni e movimenti ecclesiali si sono ritrovati intorno a un progetto che vuole essere un contributo di riflessione con alcuni intenti essenziali che sono il segno della presenza dei cristiani nella città. Vogliamo costruire la città di tutti ed evitare l’appannamento civile e sociale di Potenza". Dal dopo guerra al dopo terremoto, oggi Potenza necessità di un nuovo cambiamento. "La nostra - ha concluso Grano - è una città ripiegata in se stessa, che ha bisogno di essere rilanciata con investimenti e idee". Secondo gli esponenti dell’associazionismo cristiano "i prossimi amministratori hanno quindi una eccezionale opportunità". Sono intervenuti esponenti delle associazioni cittadine e , tra gli altri, Don Marcello Cozzi del Cestrim e Don Peppino Nolè della Caritas. Tutti hanno sottolineato le nuove emergenze come ad esempio l’usura, la casa e il bisogno di una maggiore attenzione a chi non ha voce, ai disoccupati, agli immigrati. Un ultimo segnale è stato lanciato ai candidati: "Solo le cose fatte con amore riescono bene. La politica va intesa quindi con amore, perché è l’esercizio più alto dell’essere cristiani, in quanto produce il bene comune". Grosseto: Reinserimento dei detenuti e promozione del territorio
Provincia di Grosseto, 31 maggio 2004
Grazie all’ente fiera si aprono nuove prospettive di lavoro per gli ospiti della struttura carceraria di Massa Marittima. Il progetto potrebbe essere esportato anche in altre realtà. Reinserimento dei detenuti e promozione del territorio: il binomio, che a prima vista può non aver nulla in comune, sta al contrario alla base di un piano di lavoro che ConArte ha avviato in collaborazione con l’ente fiera, Fimar Spa, e che mira appunto a creare nuove opportunità di lavoro per chi è costretto a scontare la reclusione nel carcere di Massa Marittima. Il Consorzio Artigianato Artistico e Tradizionale della Maremma (ConArte) con sede in via Mameli 17, per la verità, aveva avviato già nel 2002 un piano che prevedeva l’insegnamento ai detenuti della struttura massetana dell’arte di lavorare il cuoio, il legno, la ceramica e del decoro, tutte attività di competenza del Consorzio maremmano. Al termine dei corsi ConArte verificò all’epoca una maggiore predisposizione dei soggetti all’arte della confezione; da qui la decisione di portare avanti il settore. All’interno della struttura carceraria massetana è stato allestito un laboratorio e oggi, grazie alla collaborazione di Fimar che ha messo a disposizione esperienza e conoscenze di mercato, il progetto ha ripreso vigore. Dunque oggi le opere confezionate dai detenuti, confezionate accostando opere artistiche degli artigiani del consorzio ConArte a produzioni agroalimentari tipiche della Maremma vengono proposte sul mercato registrando buoni consensi e assolvendo anche ad un secondo scopo: promuovere il nostro territorio e le sue tipicità. Ma
c’è di più: grazie all’interessamento dell’azienda Salumificio Mori di
Torniella che opera da anni anche su realtà internazionali con punti vendita
qualificati, si aprirebbe l’opportunità di travalicare i confini italiani e
proporre i lavori eseguiti dai detenuti in nuovi ed interessanti mercati. Credo che l’esperimento, visti i buoni risultati, possa essere esportato anche in altre strutture di recupero e a tal proposito ho già alcune idee. D’altro canto per i soggetti che lavorano si tratta di una buona opportunità per tornare a far parte del mondo produttivo locale". "Il potere psichiatrico", ovvero la morale del controllo sociale
Il Manifesto, 31 maggio 2004
Il Paolo Pini, ex manicomio di Milano, è un posto giusto per parlare di buone e cattive pratiche della psichiatria contemporanea. Lo spunto, venerdì pomeriggio, l’ha fornito la pubblicazione del volume Il potere psichiatrico, traduzione in italiano del corso su questo argomento tenuto da Michel Foucault al Collège de France nell’anno 1973-74 (Feltrinelli pp. 408, € 40). Su invito del laboratorio di sociologia dell’azione pubblica "Sui generis" (università di Milano-Bicocca), si sono ritrovati a discutere studiosi, psichiatri ed esponenti di associazioni appartenenti al "Forum per la salute mentale". La riflessione di Foucault nelle lezioni ora tradotte, ha osservato Giovanna Procacci, docente all’università di Milano, si presta bene a stimolare un’analisi "in concreto" perché è incentrata sull’aspetto pratico-politico della critica della psichiatria tradizionale. Il tema qui non è tanto la follia come concetto quanto il rapporto tra i medici e i loro pazienti, il dispositivo di potere che crea e plasma i modelli teorici nel vivo dei corpi dei folli allo scopo di ricondurli alla norma. È qui che nasce il trattamento morale per ricondurre le passioni nei loro "giusti limiti". Ed è qui che si qualifica come uno scontro, che dati i metodi di coercizione utilizzati dagli psichiatri ricorda da vicino la guerra, e per inciso anche quella ultramoderna. Foucault ha contribuito come pochi altri a smascherare la truffa politica incorporata nel binomio follia/norma e a rendere "ovvia" la condanna morale della psichiatria basata sull’uso della forza fisica e ideologica. Ma gli psichiatri di cui parlava lui, come ha puntualizzato la coordinatrice del dibattito Ota De Leonardis, fornivano almeno delle (per quanto ridicole) giustificazioni scientifiche di quel che facevano. Oggi le pratiche coercitive ancora utilizzate nelle strutture psichiatriche (e anche ben oltre) "non hanno alcuna pretesa di giustificazione scientifica, tanto meno terapeutica: sono, semplicemente, una reazione punitiva a un disturbo dell’ordine costituito". Dal trattamento morale insomma siamo passati a quello "amorale" che "nemmeno pretende giustificazioni, discorsi di verità, legami tra il vero e il giusto, per quanto discutibili, per quanto disciplinari e disciplinanti. Si giustifica solo per stato di necessità e si realizza semplicemente come prova di forza". Una rozzezza di intenti del tutto in linea con lo spirito dei tempi. La beata falsa coscienza di una volta, comunque, non è del tutto scomparsa. Alcune recenti proposte legislative della destra al governo, citate come esempi dallo psichiatra Luigi Benevelli, usano un linguaggio arcaico e rispondono "a una domanda di terapia morale che è ancora forte nella società". Basti pensare alla legge sulle tossicodipendenze (che tratta per l’appunto "la droga" come un pericolo morale minacciando trattamenti coatti in comunità per tutti i consumatori di qualunque sostanza illegale) o, per passare all’ambito più strettamente psichiatrico, a proposte che in nome della "cura" escogitano tutta una serie di percorsi obbligatori e giustificano forme di controllo forzoso. Magari con l’aiuto della tecnologia, come nel caso di un proposto monitoraggio elettronico in tempo reale dei "pazienti rischio". Il potere psichiatrico, nei progetti della destra, è restaurato in tutto il suo antico splendore. Secondo una proposta della Lega Nord (2001), ci sono persone che necessitano di un trattamento sanitario obbligatorio costante. Anche fuori dall’ospedale, mediante un affidamento a terzi a discrezione dei medici e subordinato all’osservanza delle terapie prescritte. Un progetto di "riforma" della legge 180 firmato da Maria Burani Procaccini (Fi) nello stesso anno descrive percorsi terapeutici con lavoro o perfino fitness obbligatori. E il Burani-Procaccini-bis, dell’anno successivo, ipotizza un circolo virtuoso in cui l’eventuale salario corrisposto ai pazienti-lavoratori vada a coprire le spese delle strutture psico-alberghiere che li ospitano. La moralità dell’uso della forza, anche in questo caso, è però una foglia di fico molto trasparente di processi di espansione "amorale" della filosofia del controllo sociale basata sul concetto di "sicurezza". Qui, appunto, bando alle chiacchiere: si tratta, ha spiegato il criminologo Adolfo Ceretti, di individuare il potenziale rischio e di scatenare la lotta contro i gruppi di popolazione che lo rappresentano. Va da sé che in queste circostanze perennemente eccezionali ogni deroga è valida, i centri di permanenza temporanea per gli immigrati sono un esempio abbastanza chiaro in proposito. Il discorso si allarga al circuito penale, che ha peraltro parecchi punti di contatto con quello psichiatrico perché il carcere e l’ospedale non sono esperienze incompatibili nella realtà. In entrambi i casi si è assistito negli ultimi decenni a un aumento del numero delle persone da controllare, leggibile nel modo più semplice, in Italia, con la costante tendenza alla crescita della popolazione carceraria (il ministro Castelli, per mantenere il trend , ha annunciato la costruzione di 24 nuove carceri). La domanda di terapia o punizione va al rialzo secondo la strategia di eliminazione del rischio, in cui le persone diventano oggetti da neutralizzare. Questo potrebbe far rimpiangere le relazioni di potere ancora "tra esseri umani" dei manicomi narrati da Foucault. Sassari: la situazione del carcere di San Sebastiano in cifre
L’Unione sarda, 31 maggio 2004
20 anni di attesa
Aurelia: Polizia Penitenziaria in agitazione, interrogazione di Tidei (Ds)
Maremma news, 31 maggio 2004
L’onorevole
Pietro Tidei (Ds) ha presentato una interrogazione parlamentare al Ministro
della Giustizia Castelli in merito allo stato di agitazione proclamato dai 220
agenti di Polizia Penitenziaria della casa Circondariale di Aurelia. Milano: a San Vittore sorteggio per gli arbitri di serie B
Vita, 31 maggio 2004
Per
la prima volta il sorteggio arbitrale per la penultima giornata del campionato
cadetto sarà celebrato nel carcere milanese di San Vittore. Il
sorteggio degli arbitri per la penultima giornata del campionato di serie B sarà
ospitato - per la prima volta nella storia del calcio italiano - dal carcere
milanese di San Vittore. Quello del sorteggio è comunque solo uno degli
appuntamenti previsti in carcere per giovedì 3 giugno, giornata che vedrà
tutti e 37 gli arbitri della Can di serie A e B impegnati in una fitta serie di
iniziative insieme ai detenuti di San Vittore all'insegna della solidarietà: si
tratta infatti di raccogliere fondi per le adozioni di bambini a distanza. Il
clou è l'incontro di calcio Aia-Palla al piede, cioè la squadra degli arbitri
contro quella dei detenuti di San Vittore Bollate e Monza (rinforzati questi
ultimi da ex giocatori del valore di Ielpo, Bergomi, Monelli e Leonardo) in
programma all'Arena con inizio alle ore 20. Telecronaca diretta su Telelombardia,
mentre arbitro dell'incontro è stato designato un giornalista sportivo, Fabio
Bianchi. Per l'incontro di calcio all'Arena sono stati già venduti 10.000
biglietti con l'aiuto di alcuni sponsor e di un gran numero di scuole di Milano
e Provincia, e gli organizzatori - ha spiegato l'arbitro Cosimo Bolognino che ha
presentato le iniziative della giornata - contano di poter arrivare ai 15.000
del tutto esaurito per l'impianto milanese.
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