|
Roma: Casal del Marmo, progetto di reinserimento per minori
Redattore Sociale, 6 luglio 2004
È stata inaugurata ieri dall’assessore alle politiche per le Periferie, per lo sviluppo locale, per il lavoro del Comune di Roma, Luigi Nieri, presso il Museo della Civiltà Romana, l’avvenuta ricostruzione del giardino del Museo della Civiltà Romana, operata dai ragazzi dell’Istituto Penale Minorile Casal del Marmo. Il progetto "Un giardino per la città: piante, fiori e aromi dell’antica Roma" è finalizzato al recupero ed al reinserimento di adolescenti e giovani entrati nel circuito penale, ed è stato finanziato dall’Assessorato al lavoro e dal Dipartimento V "Politiche sociali e della salute" del Comune di Roma. "Questo intervento atto al recupero delle devianze giovanili rappresenta un esempio concreto di restituzione del danno, un gesto di rispetto e richiesta di comprensione alla città di Roma da parte di giovani che, pur avendo compiuto errori, oggi hanno assorbito l’importanza della propria storia e delle propria cultura", ha commentato Nieri. Le varie fasi dei lavori, dal 2000 al 2003, hanno visto la ricostruzione del giardino del Museo; hanno partecipato ai lavori 20 giovani coinvolti in attività di formazione e pratiche di laboratorio. In questi anni l’Assessorato ha operato in vari modi all’interno dell’Istituto Penale Minorile di Casal del Marmo, dove, per esempio, è stato aperto nel maggio 2003 lo sportello integrato di orientamento La Bussola, che offre ai giovani detenuti informazioni sui corsi professionali, percorsi di orientamento al lavoro personalizzati e tanto altro ancora; sempre nel maggio 2003, è partito il progetto Fattoria didattica con la realizzazione di un corso nato dall’ idea di insegnare ai ragazzi i rudimenti della coltivazione degli orti per poi farli lavorare in una fattoria biologica sulla Cassia." Attraverso questo progetto è stato possibile ottenere un duplice risultato: la ricostruzione del giardino del Museo della Civiltà Romana e la ricostruzione del percorso di vita di questi ragazzi - conclude Nieri. Ai giovani coinvolti è stata data una formazione mirata ed è mia precisa convinzione che proprio attraverso una accurata formazione finalizzata all’inserimento lavorativo si possano solidamente reinserire socialmente persone che dalla nostra società, per motivi differenti, sono stati esclusi più o meno a lungo". Nuoro: incontro tra i sindacati di polizia pen. e il prefetto
L’Unione Sarda, 6 luglio 2004
Dei problemi del carcere di Badu e Carros hanno parlato ieri in un incontro i rappresentanti sindacali dei lavoratori (Cgil, Cisl, Uil, Sappe, Sinappe e Fas) e il prefetto di Nuoro Giuseppe Oneri. I sindacati appena qualche giorno fa avevano sollecitato un coinvolgimento delle istituzioni, rimarcando le difficoltà nelle quali si trova il penitenziario, dove il personale è assolutamente insufficiente, vistl anche la qualità dei detenuti, molti dei quali ad alta pericolosità. Al rappresentante del governo, i sindacati hanno ricordato come anche la mancanza di alcune figure amministrative si risolva in una "distrazione" degli agenti in compiti non di istituto, e come la mancanza di un direttore stabile (quello attuale, Magri, è in missione), impedisca una programmazione almeno a medio termine delle attività. Oggi a Cagliari ha preso servizio il nuovo provveditore regionale, Nello Cesari, inviato in missione. Al funzionario i sindacati hanno chiesto un incontro, per discutere dei problemi dell’istituto di Nuoro, dove anche la struttura, piuttosto vecchia e senza la disponibilità di supporti teconologici, comporta una serie di difficoltà per la sorveglianza. Intanto, dopodomani il consiglio comunale si occuperà della vertenza Badu’e Carros, riunendosi davanti al penitenziario. Ci saranno anche i sindacati, che terranno una manifestazione il prossimo 26 luglio. Missionari Comboniani Castel Volturno: visita al Cpt di Modena
Peace Link, 6 luglio 2004
Una trentina di associazioni di tutta Italia ha organizzato per i giorni 18-20 giugno di questo anno 2004 un sit-in nelle varie città del "Bel Paese" per dire no ai Cpt e chiederne la chiusura. Io ho partecipato a questo gesto rinchiudendomi durante i giorni 19 e 20 in una gabbia nella piazza principale di Modena, insieme ad alcune persone del Tavolo Migranti di quella città. Il giorno 18 si è voluto iniziare questa manifestazione con una visita al CPT di Modena. L’ho raggiunto insieme ad alcuni membri del Tavolo Migranti ed insieme alla deputata diessina di Bologna Katia Zanotti, perché solo con la presenza di un deputato nazionale è possibile entrare e visitare un Cpt. Le Forze dell’Ordine hanno bloccato all’entrata tutti gli altri ed hanno lasciato entrare solo la deputata Katia e me che sono stato presentato come suo collaboratore: le passavo la penna quando lei voleva prendere qualche appunto e l’aiutavo nell’incontro con gli immigrati di lingua inglese. L’edificio del Cpt di Modena è moderno, essendo stato costruito da poco tempo. È fatto un po’ come un monastero, di forma quadrata, senza finestre verso l’esterno e con un cortile interno suddiviso in 4 grandi gabbie alte 7-8 metri, alle quali i detenuti possono accedere dalle stanze dove vivono, per prendere un po’ d’aria. (Quel giorno c’erano nel Cpt di Modena 29 maschi e 27 femmine). Due gabbie sono per uomini e due per donne e tra le reti degli uomini e quelle delle donne ci sono due metri per permettere ai poliziotti di passare e perché uomini e donne possano guardarsi ma non toccarsi. Questo primo sguardo sui Cpt impressiona molto: le inferriate sono nuove e belle. Ma sempre di una gabbia si tratta. Io nelle gabbie ero abituato a vederci i leoni, gli orsi, le tigri e fa un’impressione strana quando vedi che vi sono rinchiusi degli esseri umani, come se fossero animali feroci e pericolosi, soprattutto quando sai che l’unica "pericolosità" che li tiene lì è il non essere in possesso del Permesso di Soggiorno. Poi ci hanno lasciato entrare tra… quelle belve e ci siamo seduti nelle varie gabbie a chiacchierare con loro, chiedendo loro come andava e come si trovavano. Una prima cosa che ci ha stupito è che alcuni di loro sono stati fermati e portati al Cpt mentre erano in piena attività lavorativa: non avevano un lavoro in regola ma si stavano guadagnando la vita col sudore della loro fronte senza dedicarsi né al vagabondaggio né ad attività delittuose. Una cosa di cui molti si sono lamentati è stato che, diversamente da altri Cpt, a tutti loro viene tolto il cellulare e solo periodicamente viene data loro una scheda per telefono pubblico da 5 Euro. Questo impedisce loro di ricevere chiamate dal paese di origine e limita molto la possibilità di poter comunicare con chiunque viva fuori dal Cpt. Ci si chiedeva insieme perché mai venga loro tolta questa libertà di comunicare non essendo considerati criminali da chi li rinchiude in quelle gabbie. Un’altra lamentela di molti riguarda l’assistenza degli avvocati: dovrebbero per legge aver diritto ad un avvocato gratuito pagato dallo Stato Italiano ma nei fatti l’avvocato nominato si fa vedere molto di rado ed anche quando appare mette poco impegno nel seguire le cause perché gli interessa di più seguire le cause di altri clienti che possono permettersi di pagarlo bene. Qualche altra lamentela si riferiva all’alimentazione che molti consideravano ripetitiva e mai attenta alle culture di provenienza degli "ospiti". Resta poi una domanda che serpeggiava tra gli abitanti delle gabbie e che ci veniva spesso rivolta: "Perché ci tengono in carcere se non abbiamo fatto niente di male? Perché ci chiudono in gabbia se non siamo pericolosi?". Gli abbiamo spiegato che questo accade perché c’è una legge ingiusta che li mantiene in quelle condizioni, una legge che non condividiamo e che speriamo possa presto cambiare. Dopo questo dialogo lasciate le gabbie siamo stati riaccompagnati alla porta del Cpt attraverso la quale siamo tornati nel mondo dei cosiddetti "non feroci".
Padre Franco Nascimbene Missionari Comboniani Castel Volturno (CE) Rifondazione Comunista chiede mobilitazione per Paolo Dorigo
Il Gazzettino, 6 luglio 2004
Torna alla ribalta lo stato di detenzione del brigatista che nel 1993 aveva lanciato una bottiglia incendiaria alla Base di Aviano L’avvio di una mobilitazione democratica a livello nazionale per portare all’attenzione dell’opinione pubblica il caso di Paolo Dorigo, che da circa un mese sta attuando nel carcere di Spoleto, dove è detenuto, lo sciopero della fame per ottenere di essere visitato in una struttura medica pubblica, è stato sollecitato in una conferenza stampa, svoltasi ieri nella sede del Consiglio regionale del Veneto. Il consigliere di Rifondazione Comunista Mauro Tosi, l’onorevole Giovanni Russo Spena, gli avvocati Emanuele Battain e Vittorio Trupiano, che hanno promosso l’incontro, hanno denunciato, innanzitutto, come quello di Dorigo sia, dal punto di vista, giuridico, "uno dei casi più scandalosi" mai verificatisi. Battain ha quindi ripercorso a grandi linee la vicenda di Dorigo, condannato "alla pena abnorme di 13 anni e sei mesi" per aver compiuto "un atto dimostrativo": il lancio di una bottiglia incendiaria contro la rete metallica di recinzione dell’aeroporto militare di Aviano nel 1993 "senza provocare danni a nessuno". Dorigo, che ha già scontato oltre metà della pena senza mai poter usufruire dei benefici della legge Gozzini, chiede ora di essere sottoposto ad esami clinici per verificare se gli è stato inserito - come lui sostiene - un microchip dietro l’orecchio che gli provocherebbe gravi disturbi fisici. Mariella Cocco, madre di Dorigo, presente all’incontro, ha sottolineato che il figlio "desisterà da questa estrema lotta" solo in presenza di "un forte segnale politico", come la concessione della revisione del processo "per poter uscire a testa alta" da questa vicenda. Ivrea: che cosa succede nel carcere?
di Giulio Delapierre, On. Giorgio Panattoni, Armando Michelizza
Salah Talbouz, anni 28, nazionalità marocchina, detenuto da poche settimane nel carcere di Ivrea, corso Vercelli 165, è deceduto giovedì 24 giugno scorso. Le poche informazioni disponibili dicono che si è suicidato lasciando un biglietto in cui chiede di non avvisare la famiglia. Il suo corpo è stato trasferito a Strambino, al servizio di medicina legale, per essere sottoposto ad autopsia. I giornali locali non hanno dato notizia del fatto. La notizia è comparsa sul giornale "Torino cronaca", praticamente sconosciuto a Ivrea. Come mai? Chi era Salah? Perché si è tolto la vita? Come si sono svolti i fatti? Quali comunicazioni sono state date alle istituzioni locali? Dove si svolgerà il suo funerale? A spese di chi? A chi competeva informare la comunità della città in cui si trovava involontario ospite? Questo è un caso in cui non si può attribuire all’opinione pubblica insensibilità o indifferenza sui problemi del carcere e di chi in carcere vive. Come si può manifestare attenzione o solidarietà per una persona invisibile? Salah, da vivo, era probabilmente un clandestino e da clandestino è morto. Una volta di più dobbiamo constatare che il carcere è un "buco nero". È come se i suoi ospiti vivessero in un altro pianeta. Per esistere qui, con noi, un detenuto deve fare cose eclatanti, per esempio un tentativo di evasione con contorno di particolari piccanti. Un’estrema protesta contro tutti quelli che lo hanno rifiutato, che hanno negato la sua umanità, non basta a fare notizia, a farlo esistere. Nelle carceri italiane, nel solo mese di giugno, 9 persone si sono tolte la vita. La popolazione detenuta in tutt’Italia è poco più che doppia della popolazione di Ivrea: è come se qui si togliessero la vita 4 o 5 persone in un mese. I suicidi in carcere sono in progressivo aumento. La gestione delle carceri deve essere richiamata all’osservanza delle leggi che ne regolano la funzione. Queste leggi dicono che il carcere è un luogo di custodia temporanea e di risocializzazione delle persone ivi rinchiuse per scontare la pena. Nel linguaggio penitenziario si dice che la funzione del carcere è "custodia e trattamento". Nella gestione pratica si constata che le risorse dedicate al "trattamento" sono del tutto inadeguate, non solo, ma che sarebbero sprecate per i detenuti stranieri che comunque saranno espulsi al temine della carcerazione. Questa è una delle conseguenze della legge sull’immigrazione, la cosiddetta Bossi-Fini, che, con palese contraddizione con la legge carceraria, discrimina i diritti delle persone a seconda della loro provenienza. La negazione dell’universalità di un diritto apre la strada all’erosione della democrazia e mette a repentaglio anche la nostra sicurezza. La scarsa trasparenza di un’istituzione pubblica e la mancanza di informazioni ostacolano la partecipazione della comunità al progetto di accoglienza verso chi ha espiato la pena. La morte di Salah non sarà inutile e clandestina se sapremo cogliere il rimprovero e l’ammonimento che il suo gesto ci rivolge. Aids: cure uniformi sul territorio e anche in carcere
Adnkronos, 6 luglio 2004
Contro le disuguaglianze legate al federalismo sanitario e per l’uniformità di trattamento dei malati Hiv positivi a livello nazionale. È questo il primo obiettivo di Nps Italia Onlus, il Network delle persone sieropositive presentato oggi da Rosaria Iardino, presidente della nuova associazione, nel corso di una conferenza stampa all’assessorato ai Servizi sociali e Sanità del Comune di Roma. A Nps Italia Onlus in solo due mesi hanno aderito già oltre mille pazienti. Obiettivo del Network è la lotta contro la discriminazione e per l’accesso e il mantenimento del lavoro e delle cure. Un compito svolto garantendo informazioni sulle terapie e i loro effetti collaterali e fornendo a tutti informazioni legali, pensionistiche e mediche per tutelare le persone sieropositive, con una particolare attenzione per il carcere e la scuola. Realtà che, come ha detto il senatore Antonio Tomassini, presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato, intervenuto all’incontro di oggi, "sono assolutamente sottostimata la prima e poco considerata la seconda". "Nps dispone di una propria sede nazionale a Roma - ha detto Rosaria Iardino - e di una serie di sezioni regionali, oltre a strumenti indispensabili per il raccordo e l’interazione con tutti i pazienti e gli iscritti come il Portale Nps. Un’iniziativa gestita unicamente da persone con Hiv, le sole che convivendo con questa malattia sono in grado di conoscere le reali problematiche legate al lavoro, alle cure, alla dieta, al sostegno medico-psicologico, alla convivenza nella famiglia e nella società, alla tutela dei diritti della privacy delle persone sieropositive. Ma c’è anche il Gruppo italiano terapie anti-Hiv, che informerà sulle terapie in uso, sui protocolli di sperimentazione e su tutto ciò che concerne i medicinali per la cura dell’Hiv. Nel corso dell’incontro di oggi una targa in riconoscimento dell’attività svolta in difesa dei pazienti con Hiv è stata consegnata al senatore Antonio Tomassini, al Direttore del reparto Aids del Dipartimento malattie infettive, parassitarie e immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità, Barbara Ensoli e all’Assessore ai Servizi sociali e Sanità di Roma, Raffaella Milano.
|