Rassegna stampa 5 luglio

 

Torino: suicida un agente del carcere delle Vallette

 

La Repubblica, 5 luglio 2004

 

Per attutire il rumore dello sparo, s’è schiacciato il cuscino sulla testa, avvolgendo la pistola d’ordinanza puntata alla tempia. Poi ha premuto il grilletto e ha fatto fuoco. Così si è ucciso, ieri pomeriggio alle 15,30, Salvatore P., 22 anni, agente di polizia penitenziaria. Nessuno se n’è accorto. Il suo corpo senza vita, immerso in un lago di sangue, è stato scoperto per caso da alcuni suoi colleghi allarmati dalla sua momentanea scomparsa.

È morto in piena solitudine, nella sua stanza della caserma interna al carcere. Il giovane poliziotto era di Palermo. Il sostituto procuratore di turno, dopo aver ordinato un sopralluogo, ha disposto l’autopsia sul cadavere che sarà eseguita domani. Al momento non è ancora noto il perché di un gesto così estremo. Quel che si può fare, è collegare la sua tragica fine a quella di altri cinque o sei suoi colleghi (il numero esatto non è noto perché alcuni si sono ammazzati durante il periodo di congedo a casa loro), che negli ultimi 4 anni, a partire dal Duemila, hanno deciso di farla finita con la vita.

Sono troppi, 5 o 6 poliziotti morti suicidi, fra gli agenti di polizia penitenziaria delle Vallette. La loro morte non può essere più considerata un fenomeno casuale, episodi non collegati uno all’altro. Evidentemente, la vita d’inferno all’interno del carcere (e il distacco dalle famiglie di molti agenti che vengono dal Sud), ha qualche collegamento con la depressione che li spinge - che li ha spinti - al suicidio. Una volta, a uccidersi in carcere, erano i detenuti, che non sopportavano condizioni di vita disumane dietro le sbarre.

Oggi, le cose si sono invertite: i carcerati talvolta evadono (due i casi), a volte muoiono all’interno della prigione di overdose o di morte naturale. Oggi, invece, sono i loro carcerieri - gli agenti - a suicidarsi. E per farlo usano talvolta la corda per impiccarsi. Altre volte, come nel caso di Salvatore P., la pistola d’ordinanza è lo strumento privilegiato per mettere fine a un incubo. La politica carceraria, del resto, alle Vallette, è tutta incentrata sulla "vivibilità" dell’ospite, del detenuto.

È, questo, sicuramente un importante segno di civiltà. Forse, però, poco o nulla si fa per tutelare chi frequenta la prigione con la divisa addosso. Poco o nulla si fa per evitare che siano lasciati abbandonati a se stessi ragazzi poco più che ventenni, catapultati a Torino da città lontane mille chilometri (come Palermo, nel caso di Salvatore P.), e sradicati dal loro ambiente naturale. Anche in altre carceri italiani esistono gli stessi problemi. Ma altrove si cerca di organizzare attività di aggregazione per creare all’interno del corpo di polizia penitenziaria uno spirito di solidarietà. A Torino, poco o nulla si fa per aiutare i più deboli, quelli che vengono da più lontano costretti, in molti casi, a abbandonare le fidanzate, a inviare alle famiglie parte degli stipendi già esigui.

Livorno: madre del detenuto morto: "La verità vi fa paura"

 

Il Tirreno, 5 luglio 2004

 

"Secondini, la verità vi fa paura": Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto un anno fa per arresto cardiaco nel carcere delle Sughere a Livorno, continua la sua battaglia contro l’archiviazione del caso, sintetizzando la sua rabbia e la sua delusione in una scritta affidata a un lenzuolo appeso da ieri mattina alla finestra della sua abitazione a Pisa.

Maria Ciuffi ha sempre sostenuto che il figlio sarebbe morto in seguito a un pestaggio subito in cella, un fatto che sarebbe dimostrato anche dalle foto che la signora ha reso visibili a tutti attraverso Internet. Ma, a pochi giorni dal primo anniversario della morte - Lonzi è deceduto il 10 luglio 2003 - il Pm Roberto Pennisi ha ritenuto che non vi siano responsabili per quel tragico evento. A fianco della signora Ciuffi, contro l’archiviazione si batte l’avvocato Vincenzo Trupiano, che ha già preannunciato la sua volontà di opporsi e di chiedere il proseguimento delle indagini. "Troppe cose strane avvengono nelle carceri italiane - dice la donna - e in particolare in quello delle Sughere dove alcuni giorni fa è morto un altro detenuto, trovato impiccato a una cintura per pantaloni. Ma si sa benissimo che in carcere non sono permesse né cinture, né altro". La Ciuffi ha inviato anche una lettera al ministro Roberto Castelli chiedendo di "aprire gli occhi".

Roma: il dramma dei bimbi-detenuti, 70 dietro le sbarre

 

Il Messaggero, 5 luglio 2004

 

Il dramma dei bambini dietro le sbarre. Sono una sessantina ogni anno i casi di donne-detenute che dividono l’esperienza del carcere con i propri figli in tenera età. Una legge di tre anni fa ha stabilito che in presenza di bimbi con meno di dieci anni la pena viene sospesa o può essere scontata in luoghi alternativi al carcere. Ma spesso la norma è di difficile applicazione, specialmente per le detenute straniere e nomadi. E solo in poche carceri, come a Roma e a Milano, sono stati realizzati degli asili-nido nelle sezioni femminili. I casi delle terroriste-madri. Anna Finocchiaro, madrina della riforma: "Una legge applicata a metà. Mancano le case-famiglia".

 

La legge prevede misure alternative per le madri, ma spesso restano dentro fino a tre anni

 

Bambini dietro le sbarre, costretti a condividere sei metri quadri con estranei che non sopportano il loro pianto. Bambini che giocano in un cortile senza alberi, circondato da mura troppo alte. Bambini che prolungano il legame simbiotico con la madre, che crescono senza il papà, i fratelli, i nonni. In poche parole bambini detenuti. Tre anni fa una nuova legge ha finalmente stabilito che le donne, con figli di età inferiore ai dieci anni, hanno diritto alla sospensione della pena, possono scontarla a casa o in luoghi alternativi al carcere. Sembrava cancellata per sempre una barbarie, lontana anni luce dalle meraviglie del nostro sistema penitenziario capace di concedere semilibertà e permessi premio anche a mafiosi e terroristi. Ma per mancanza di strutture questa legge non riesce a decollare. Anche se qualcuna ci prova come la nomade che non avendo figli ne ha comprato uno per evitare la cella. Una storia che ricorda il vecchio film di Sofia Loren.

Così gli ultimi veri reclusi sono proprio i bambini. Secondo dati raccolti dalla consulta penitenziaria di Roma, le madri in carcere con figli al seguito sono in media 60 ogni anno. Una ventina sono raccolte nella sezione nido del carcere romano di Rebibbia, vere privilegiate rispetto alle altre che non usufruiscono di spazi specifici e non godono di alcuna assistenza. L’esperienza di Rebibbia è un osservatorio permanente delle sofferenze di questi bambini e delle loro madri, soprattutto nei casi di donne che si trovano ad espiare una condanna pesante e sono costrette a separarsi dal figlio allo scadere dei tre anni. "Un lutto terribile per entrambi, pericoloso soprattutto per il bambino che si trova ad affrontare improvvisamente il mondo esterno accanto ad estranei, anche se si tratta del padre o dei nonni, con i quali non ha alcuna relazione affettiva", scrivono gli psicologi di Rebibbia.

"La maggior parte delle detenute madri non rappresenta un pericolo sociale. Sono in prevalenza nomadi o extracomunitarie, finite in carcere per qualche furtarello", dice Leda Colombini, anziana e combattiva femminista fin dai tempi dell’Unione Donne Italiane. Quelle chiamate a rispondere di reati più gravi, stupefacenti e altro, sono quasi tutte sudamericane. Per loro la legge non conta, al momento dell’arresto nessuna è in grado di indicare una fissa dimora.

Tantomeno le colombiane che sbarcano dall’aereo con la valigia imbottita di cocaina e pargolo al seguito. Non resta che il carcere, dal momento che le case-famiglia ipotizzate dal legislatore non sono mai state costruite. "Per molte la detenzione rappresenta una fase di recupero sociale, ma a fine pena vengono espulse - lamenta Leda Colombini - e nessuno si preoccupa di sapere cosa faranno con i loro figli una volta fuori".

Non ci sono soltanto straniere nelle carceri italiane. Un problema recente è quello delle terroriste condannate a lunga pena, spesso all’ergastolo, che restano incinta durante i permessi premio. Ad eccezione di Cinzia Banelli, la brigatista pisana coinvolta con il gruppo fiorentino delle Br-Pcc nel delitto di Marco Biagi, e che ha partorito in carcere dopo l’arresto, sono quasi tutte dissociate dalla lotta armata e hanno scontato buona parte della pena. Donne che hanno desiderato fortemente un figlio per chiudere con il passato. Come Francesca Mambro, ex terrorista di destra, ergastolana. A lei è andata bene, dopo la nascita di una bambina, che ora ha tre anni, è uscita dal carcere e sarà libera fino al compimento del suo decimo anno. La Mambro non è più socialmente pericolosa, ma sarà difficile trovare un giudice che si impegni a garantire per la Banelli. Strutture alternative, adeguatamente vigilate, non esistono. E una legge da sola non basta ad aprire le porte del carcere per sessanta bambini innocenti.

 

Una riforma applicata a metà, senza le case-famiglia

 

Fare una nuova legge per tutelare le madri detenute, ma soprattutto i loro bambini, è stata una dura battaglia. Anna Finocchiaro, deputata diessina, c’era finalmente riuscita nel 2001. Ma a tre anni da quella che considerava una vittoria personale, oltre che politica, non si considera soddisfatta. Il problema è tutt’altro che risolto, anzi i bambini che vivono in carcere nel frattempo sono aumentati.

 

Che cosa non funziona nella nuova legge?

"La legge funziona, anzi funzionerebbe benissimo, se fossero state costruite quelle strutture di assistenza e accoglienza indispensabili che avevamo previsto. Invece sono passati tre anni e non è successo niente".

 

Non basta dire che donne con figli di età minore a dieci anni possono scontare la pena a casa loro?

"Non basta perché alcune detenute, anche se pochissime, sono considerate pericolose. Ma il problema vero è che molte la casa non ce l’hanno: un campo nomadi non è una fissa dimora. La legge stabiliva che, quando non era possibile ricorrere agli arresti domiciliari, madri e bambini dovevano essere accolti in altro luogo e assistiti, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena o, in caso dell’ergastolo, di 15 anni".

 

Ma a questo punto i figli ormai sono grandi...

"Il fenomeno nuovo è quello delle donne che restano gravide durante i permessi premio, come abbiamo visto con molte terroriste. Un fatto straordinario, anche dal punto di vista clinico, visto che si tratta di primipare non più giovanissime: mi ha spiegato un medico che il loro corpo si prepara inconsapevolmente all’idea dell’incontro, scatenando una furia ormonale tale da rendere possibile l’ovulazione nel breve tempo concesso. Il corpo delle donne è capace di cose meravigliose. La mia idea era quella di costruire Case Famiglia dove poter allevare i bambini in spazi aperti, sia pure vigilati, dove questi potevano incontrarsi con il padre, i fratelli, frequentare scuole, restando accanto alla madre fino alla fine delle scuole elementari. Le case andavano create, non era un problema che il dipartimento penitenziario doveva affrontare da solo, bisognava coinvolgere altre istituzioni. Almeno i comuni. Una battaglia che mi accingo a fare, non facile".

 

Cosa l’aveva spinta a volere questa legge?

"Vedere bambini in carcere è una sofferenza insostenibile. Per loro che vengono strappati alle madri, per le madri che se li vedono portare via dopo aver condiviso con i figli un legame strettissimo, quasi morboso. A Roma grazie al volontariato i bambini escono: vengono accompagnati ai giardini, a vedere le marionette, qualcuno frequenta l’asilo pubblico. Ma in altre città i piccoli passano in cella quasi tutto il tempo: un trauma gravissimo. Irreparabile quando allo scadere dei tre anni devono affrontare la separazione dalla madre. Non sono più di venti questi bambini, una soluzione va trovata".

 

Castrovillari: Corbelli (Diritti Civili), nel carcere manca l’acqua

 

Asca, 5 luglio 2004

 

Il leader del Movimento Diritti Civili e neo consigliere provinciale di Cosenza, Franco Corbelli, denuncia la situazione di grave disagio dei detenuti del carcere di Castrovillari, dovuta alla mancanza di acqua all’interno della struttura penitenziaria. I detenuti, per segnalare questo grave problema hanno scritto una lettera a Corbelli, chiedendogli di intervenire.

Immediata la presa di posizione e l’appello del leader di Diritti Civili al direttore della casa circondariale. "Nella lettera che mi è stata recapitata oggi - afferma Corbelli - detenuti mi segnalano questo grave problema della mancanza dell’acqua. Mi scrivono che "è arrivata l’estate e qui in carcere fa un caldo che si muore e abbiamo il problema dell’acqua. Non possiamo andare neppure al bagno. Tolgono l’acqua la mattina dalle 9 alle 11 e poi dalle 13 fino a volte anche le 17. Dobbiamo soffrire anche per l’acqua? Perché non si provvede con una cisterna? Chiediamo che venga rispettato questo nostro diritto. Siamo delle persone umane e non delle bestie. Intervenga lei e ci aiuti dott. Corbelli".

Si conclude così la lettera dei detenuti al leader di Diritti Civili. Pronto l’intervento di Corbelli che chiede alla direzione del carcere di Castrovillari un immediato provvedimento per garantire l’acqua ai detenuti per l’intera giornata. "È grave e inaccettabile che, in piena estate, non venga garantita l’acqua alle persone in carcere. Occorre provvedere immediatamente, per eliminare questo grave disagio e rispettare i diritti dei detenuti. È quello che chiedo di fare - conclude Corbelli - al direttore del carcere".

Cassino: liberare la pena, una luce sul mondo del carcere

 

Redattore Sociale, 5 luglio 2004

 

"Liberare la pena: una luce sul mondo del carcere": questo è il titolo di un libro edito dalle Dehoniane di Bologna, che verrà presentato mercoledì 7 luglio alle ore 10 presso il Carcere di Cassino. Promosso dalla Delegazione regionale della Caritas del Lazio, in collaborazione con la Diocesi di Montecassino e la Casa circondariale di Cassino, vedrà la partecipazione di Ettore Ziccone, Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria per il Lazio, Marco Toti, Delegato regionale Caritas del Lazio, mons. Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana, mons. Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani penitenziari d’Italia, don Raffaele Sarno, direttore Caritas di Trani. Concluderà l’incontro mons. Bernardo D’Onorio, abate – vescovo di Montecassino.

"A pochi giorni dall’ultimo drammatico suicidio di un detenuto avvenuto nel carcere di Frosinone – si legge nella nota di presentazione della Caritas del Lazio - si vuole richiamare l’attenzione ad un approccio alla pena e al carcere che metta al centro il recupero dell’uomo e la sua riconciliazione con la società, valorizzando l’accompagnamento della persona detenuta, della sua famiglia e delle vittime dei reati, il ricorso a nuove forme di giustizia come la mediazione penale, il coinvolgimento della società e della comunità cristiana a forme di accoglienza dei detenuti, la promozione di modelli culturali ed iniziative legislative che diano la possibilità di ricominciare una vita anche dopo l’errore".

Nell’occasione sarà anche presentato un progetto delle sei Diocesi del Basso Lazio (Anagni–Alatri, Frosinone–Veroli–Ferentino, Sora–Aquino–Pontecorvo, Montecassino, Latina–Terracina–Sezze–Priverno e Gaeta) per il rafforzamento e l’ampliamento di una rete di ascolto, accoglienza e reinserimento di detenuti, ex-detenuti e loro famiglie, recentemente presentato alla Regione Lazio nell’ambito del programma Equal dell’Unione Europea.

Roma: minori e criminalità, presentato un progetto alternativo

 

Osservatorio sulla legalità, 5 luglio 2004

 

Oggi alle ore 11.00 a Roma, presso il museo della Civiltà Romana, alcuni giovani sottoposti alla misura penale della messa alla prova consegnano simbolicamente al sindaco Veltroni la ricostruzione di un antico giardino romano.

La misura della "messa alla prova" viene adottata dal giudice, sentite le parti, quando ritiene di dover valutare la personalita’ di un minorenne che ha commesso un reato. In tal caso il processo È sospeso, insieme al corso della prescrizione.

Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, di attività di osservazione, trattamento e sostegno e può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato.

Contro l’ordinanza - che viene revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte - possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore. La sospensione non può essere disposta se l’imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato.

I giovani romani sono stati affidati dal Centro per la Giustizia Minorile ad una cooperativa centro giovani che li ha coordinati nella realizzazione del progetto, che rappresenta la prima esperienza in Italia ed in Europa di prevenzione e rieducazione dei minori nell’ambito di un museo.

Per quanto riguarda i progetti rieducativi per minori realizzati in carcere, i ragazzi del Laboratorio di ceramica dell’Istituto Penale Minorile di Nisida sono invece i realizzatori, fra l’altro, della statuetta premio del "Fashion awards 2004 Naples: Oscar della moda a Napoli", che verra’ consegnata il 14 luglio in piazza dei Martiri.

Vicenza: in ristampa "Fratello Lupo", storia di fra Beppe Prioli

 

L’Arena di Verona, 5 luglio 2004

 

È singolare che un libro che parla di carcere, di delitti, di sconvolgenti storie ai limiti, si trasformi in un caso editoriale. Eppure per Fratello lupo, pubblicato per la prima volta nel 1996, è accaduto. La storia del francescano Beppe Prioli, noto nel mondo del volontariato per il suo impegno a favore dei detenuti tramite l’associazione "La Fraternità", è diventata un caso non tanto per la grande attenzione della critica e le numerose copie diffuse, quanto perché ha continuato a vivere di vita propria e a diffondersi, ininterrottamente fino a oggi, in tutte le carceri d’Italia e tra i volontari che lì operano.

Ecco perché, dopo otto anni, "Fratello lupo, un francescano tra gli ergastolani" di Fabio Finazzi, collana Uomini e Donne, viene riproposto con una ristampa che uscirà a giorni. Da tempo il volume era esaurito e quest’anno l’Editoriale libri Paoline ne ha pubblicato un ideale seguito, "Risvegliato dai lupi" di Emanuela Zuccalà, che ripercorre gli ultimi anni del volontariato di fra Beppe dietro le sbarre (a partire dalla drammatica esperienza della malattia e del risveglio dal coma) e le nuove vicende di uomini e donne da lui avvicinati in questo mondo ai margini.

Un secondo libro che doveva sostituire il primo, e che invece si è rivelato un trampolino per il suo rilancio. In "Risvegliato dai lupi" si fa spesso riferimento a "Fratello lupo", poiché grazie alle sue pagine molti detenuti d’Italia hanno conosciuto il frate degli ergastolani che li ha avviati verso un percorso di riscatto. Sono quindi i lettori del secondo volume a chiedere di conoscere la prima puntata della storia.

Questo libro, coinvolgente e immediato nello stile, racconta di esistenze sorprese dal delitto e dalla violenza e disarmate da un saio. Storie di donne e uomini (fra i quali il bandito Cavallero e l’ergastolano-poeta Alfredo Bonazzi) che, senza chiedere sconti per il loro passato, hanno intrapreso un cammino di recupero umano. Per questo, pur narrando vicende iniziate anni fa, "Fratello lupo" conserva intatta la sua forza e la sua attualità. Come dimostra l’interesse manifestato da detenuti, volontari ma anche da tanta gente comune che, grazie a questo libro, ha potuto gettare uno sguardo oltre il buio del carcere.

L’autore del testo è Fabio Finazzi, caporedattore al quotidiano L’Eco di Bergamo. In precedenza ha lavorato al Giorno, a Bergamo Oggi, alla Voce di Montanelli e ad Avvenire e si è occupato spesso di vicende legate alla cronaca giudiziaria e alla realtà carceraria.

Vicenza: volontari e detenuti incontrano i giovani al "Fantasy Bar"

 

L’Arena di Verona, 5 luglio 2004

 

L’idea è venuta stando davanti ad un boccale di birra in un tavolo di un bar. L’esperienza invece è quella maturata in quarant’anni di vita religiosa, trascorsa dentro e fuori le celle di molti penitenziari italiani. Così, un frate e quattro amici, hanno pensato di andare oltre. "Oltre il bar?" come è stata intitolata la prima serata organizzata al Fantasy Bar di Bastia di Rovolon. Un luogo come tanti, se non fosse che questo locale in realtà è uno dei "santuari" del popolo della notte, frequentato da giovani vicentini e padovani.

Un luogo cult dove però, non manca la familiarità di chi lo gestisce a renderlo meno anonimo di altri. Un bar dove tra i giovani da tempo si è mescolato anche un frate. Non un giovane frate, anzi, un uomo brizzolato di quasi sessant’anni con il saio scuro da francescano. Ormai non è più una sorpresa nemmeno per gli abituali frequentatori del locale, attoniti sulle prime nel vedere un frate ordinare una birra, rispondere al cellulare, accompagnato da ragazzi e ragazze.

Sono i suoi lupi: giovani che hanno conosciuto la trasgressione più estrema (droga, carcere, disagio sociale ecc.). Giovani come altri che fra Beppe Prioli, meglio conosciuto come frate Lupo, porta con sé per dimostrare che uscire dal tunnel si può. Così un frate al bar può non fare scalpore, ma quando è lo stesso religioso a spiegare i motivi della sua presenza, allora si capisce che la sua è una missione. Una testimonianza per i tempi moderni.

"Una dimostrazione della Chiesa che cammina, stando al passo anche con i giovani", risponde il frate. Da questo spirito, è nata l’idea di creare una serata a tema, per andare oltre la normalità. Lui, il frate e i suoi lupi, a confronto con chi frequenta il bar. Quasi una sfida considerando che, la volontà era quella di far conoscere, sebbene a distanza, il mondo carcerario. La vita quotidiana di chi ha sbagliato e cerca di riscattarsi.

"Infrangere un muro - ha detto poi fra’ Beppe - per permettere all’uomo di conoscere altri uomini, allontanando per quanto possibile pregiudizi, senza però voler giustificare chi ha sbagliato e sta pagando". All’appuntamento hanno risposto in molti a tal punto che, il locale a stento è riuscito a contenere chi per curiosità o interesse si è seduto ai tavolini del bar ad ascoltare. Niente discorsi prolissi; linguaggio asciutto e moderno. Diretto quanto basta per anticipare le stesse domande. Vivace come è nel suo stile. Fra Lupo aveva tra le mani il suo ultimo libro "Risvegliato dai lupi", una raccolta epistolare con i detenuti, ordinata da Emmanuela Zuccalà, coautrice presente alla serata. Storie vere, senza censura. Racconti che hanno solo una tutela: l’omissione dei nomi anagrafici dei protagonisti. Uomini e donne di tutta Italia: molti sono ergastolani, alcuni in attesa di scontare la pena, altri già fuori.

Ma la serata non era solo per il libro: anche in questo caso si è andati oltre. Fra Beppe alle sue parole ha preferito le testimonianze vere e vissute di chi sta ancora dentro e chi invece è uscito. Di più, ha affiancato con estrema delicatezza ed attenzione detenuti e vittime. Ovvero, quei papà e madri che rimangono vittime involontarie per colpa degli errori dei figli. "È anche a loro che dobbiamo pensare, a chi soffre una pena inimmaginabile per aver perso un figlio o vive il dolore per avere avuto un figlio diventato un criminale", raccontava fra Beppe. "Perdi la voglia di vivere. La voglia di essere padre o madre. La volontà di sentirsi parte di una comunità. È come se ti venisse a mancare la terra sotto i piedi", ricordava Nicola, padre di Alessandro, un giovane vicentino detenuto per omicidio.

La madre racconta il suo dolore fino a quando confessa di aver voluto incontrare un anno dopo il figlio e sentire ancora dentro quel peso che non gli permette di perdonarlo. La sala risponde con un silenzio profondo, segnale che la serata sta arrivando nel vivo della questione. È la volta di Massimo, 30 anni, vicentino, uscito dal carcere da qualche anno dopo una condanna per omicidio colposo. Un giovane di bell’aspetto che porta dentro di sé il peso di essere un carcerato per tutta la vita, spiega lui. Non si viene fuori dal tunnel delle colpe se non guardando avanti. Sarebbe facile scrivere una lettera, continua Massimo, a quei genitori che non hanno più la loro figlia. "Facile perché mi alleggerirebbe di un peso. Invece no! La mia risposta è semmai quella che mi ha voluto offrire suo padre, che conoscendo i miei sforzi per uscire dal tunnel in cui sono finito, mi ha risposto: continua così, che vai bene!".

Luca, 29 anni, anch’egli vicentino, ricorda di aver frequentato anche lui questo bar. È seduto tra i suoi coetanei, eppure, "è qui solo grazie al permesso concessogli, dalla sensibilità del Direttore del carcere di Vicenza", spiega fra Beppe. Al suo fianco il giovane cappellano della casa circondariale, quasi stupito dalla spinta emotiva che ha preso la serata: "Non è stato il solito incontro - dirà poi alla fine - di saccenti o legali; qui si è parlato di vita quotidiana, di coscienze, come non sempre avviene lambendo temi come questi.

A Luca, mancano pochi mesi per finire la pena. Guarda dritto negli occhi i ragazzi, come i tanti genitori presenti inclusa sua madre. Si racconta, parla di cos’è per lui oggi la trasgressione. Racconta il suo passato ma sa che il giudizio che lo aspetterà una volta fuori, potrebbe essere molto peggio della condanna che sta scontando. A chi gli chiede se non si senta un mantenuto della società, lui parla con gli esempi della sua quotidianità dietro le sbarre. L’impressione generale è quella di essere andati oltre per davvero. Fra Lupo sorride e offre ancora una volta una pacca sulla spalla ai suoi lupi. Un gesto che vale bene un esempio e può andare ben oltre una predica, rivolta a quei giovani usciti, almeno per una volta dal bar, con la voglia di sentirsi dei ragazzi fortunati.

"Esperienza sicuramente da ripetere - rispondono i gestori del Fantasy Bar - con altre tematiche, ma con lo stesso clima di questa serata". 

Airola (Bn): spettacolo realizzato con i giovani dell’IPM

 

Il Quaderno, 5 luglio 2004

 

Il 24 giugno, nella sala teatrale dell’Istituto Penale per i Minori (Ipm) di Airola, si è tenuta la prima rappresentazione dello spettacolo "Urla nel silenzio, viaggio comico e drammatico insieme ai giovani dell’Ipm". La messinscena è stata finanziata grazie al Servizio Tecnico Amministrativo Provinciale (Stap) di Benevento – Formazione Professionale – della Regione Campania ed è stata realizzata con l’Ipm, dopo lo svolgimento di un laboratorio con i giovani ospiti dell’Istituto, tenuto dalla compagnia teatrale casertana "I Refrattari", guidata da Nicolò Antimo.

Undici ragazzi ivi reclusi hanno potuto così esprimersi in un modo insolito ed entusiasmante, riuscendo a commuovere e divertire l’uditorio, in gran parte parenti, che ha mostrato di apprezzare con continui e scroscianti applausi. Con loro in scena c’erano anche quattro ragazzi e ragazze operanti nell’Istituto come volontari e tre attori e attrici della compagnia casertana.

Tutti sono apparsi sul palcoscenico vestiti di nero ed hanno recitato quasi sempre in dialetto. Significativo è stato il fatto che in tale maniera si sono espressi anche alcuni ragazzi extracomunitari detenuti. Si sono alternate scene drammatiche - come quella iniziale in cui gli attori si lamentavano del mancato pagamento di quanto aspettavano - con scene ilari, come quella con Sarchiapone che andava "frienno" perché aveva commesso un "involontario" omicidio, chiudendo in una cassa piena di ghiaccio un’ammalata con la febbre alta!

Nonostante i pochi giorni utilizzati per l’allestimento, i tempi teatrali sono stati quasi sempre rispettati e non sono mancati momenti d’intensa suggestione, come quando un ragazzo cercava un mare che non c’era: "Je ‘o veco, ‘o sento".

Struggente il monologo sulla solitudine, prima che la tammorra - suonata da Antimo (pure regista) - scandisse l’apertura della scena delle comari che cantavano storielle licenziose (alla maniera della "Gatta Cenerentola" di Roberto De Simone). Il tutto prima del terribile monologo finale di Ada, una donna sterile, che - tormentata fino alla pazzia dal suo problema - aveva rapito "per amore…" una bambina. Alla fine, la direttrice dell’Ipm Mariangela Cirigliano ha lodato tutti gli attori e la compagnia "I Refrattari" ed ha ringraziato il dirigente dello Stap di Benevento, Ugo Chiavelli, che ha reso possibile la realizzazione dello spettacolo "soprattutto in un momento, come questo, in cui il Ministero, da cui l’Ipm dipende, ha operato forti tagli alle spese relative a queste attività di integrazione". Momento di felicitazione generale all’uscita dalla sala teatro, nel corridoio dell’Ipm, e poi un po’ di tristezza, perché spettatori e parenti sono usciti da una parte, mentre alcuni attori sono dovuti rientrare dall’altra.

Ugo Chiavelli, il giorno dopo, ha indirizzato a Sandra Lonardo Mastella, presidentessa dell’associazione Iside Nova che organizza "Quattro Notti di Luna piena", e Ruggero cappuccio, direttore artistico di "Benevento Città Spettacolo", per aver incluso, a luglio ed a settembre, nei cartelloni delle rassegne, lo spettacolo con i ragazzi dell’Ipm di Airola.

"Lo Stap di Benevento – ha affermato Chiavelli - crede molto nell’opportunità di esercitare la propria funzione istituzionale anche nei confronti dei settori più disagiati ed a rischio della comunità. Per questo, da decenni, agisce nel carcere di Capodimonte e nell’Ipm di Airola, promuovendo attività corsuali e no. Voglio ringraziare pubblicamente Ruggero Cappuccio e Sandra Lonardo Mastella per aver inserito Urla nel silenzio nei cartelloni delle due importanti manifestazioni.

Li ringrazio per il sostegno e la ribalta concessa ad un’attività promossa dallo Stap, ma soprattutto perché ogni occasione di coinvolgimento e di positiva attenzione per questi ragazzi - mostrata delle varie espressioni della società - potrà contribuire a far scattare in loro o rinsaldare la molla per un diverso impegno nella vita, quando saranno liberi, nel rispetto della legge e della cooperazione sociale".

Spoleto (Pg): 6 detenuti si diplomano nel carcere di massima sicurezza

 

Redattore Sociale, 5 luglio 2004

 

"L’esperienza scolastica è stata la tappa più importante del nostro percorso di crescita umana e culturale nel pur lungo periodo di carcerazione". Lo dicono i sei detenuti reclusi nel carcere di massima sicurezza di Spoleto (Perugia) che si sono appena diplomati all’interno della struttura penitenziaria umbra. Nella biblioteca del carcere ad Aldo, Gregorio, Girolamo, Rosario, Ciro e Tommaso sono stati consegnati ufficialmente i diplomi, a conclusione dei cinque anni di frequenza della sezione dell’Istituto Statale d’Arte "Leoncillo Leonardi" associata presso la casa di reclusione.

I diplomi sono stati consegnati dalla direttrice dell’Ufficio scolastico regionale Anna Maria Dominici che ha ribadito il "ruolo fondamentale della cultura e dello studio come momento di riabilitazione" e ha evidenziato la sensibilità e l’impegno della direzione del carcere di Spoleto, "sempre attenta alla funzione rieducativa e alla collaborazione con le istituzioni e il territorio".

Quello appena portato a termine dai sei allievi è il primo ciclo di studi concluso dalla sezione dell’Istituto d’arte interna al carcere: buoni i risultati, con ben quattro dei sei diplomati che hanno conseguito la votazione massima di 100/100. Ma al di là della valutazione, il diploma testimonia l’importanza di un impegno che per cinque anni ha accompagnato quotidianamente, spesso ostinatamente, persone che avevano lasciato la scuola da tanti anni e che l’hanno riscoperta, e apprezzata, in un’età in cui è difficile rapportarsi con lo studio.

Sostiene il direttore del carcere Ernesto Padovani: "La scuola per chi si trova in carcere ha un significato inimmaginabile: è zona franca, palestra dell’anima, della testa, del pensiero... Si fa ricerca di qualcosa che è mancato, le tradizioni, la cultura, per arrivare a fare i conti con se stessi. Che poi significa avere la possibilità di spazi di libertà e di assoluta apertura. Vedi persone di 50 anni col quadernino ad ascoltare e apprendere...".

La scuola, che dentro il carcere è organizzata d’intesa con gli istituti della città, è percepita dai neodiplomati anche come "l’opportunità di un contatto con il mondo esterno, grazie ai docenti e alle iniziative che sono state portate avanti nell’ambito dei corsi". La cerimonia di consegna dei diplomi ha rappresentato anche un momento d’incontro per tutte le realtà scolastiche presenti all’interno del ‘supercarcerÈ, che hanno ribadito la volontà di collaborare per potenziare ulteriormente l’offerta formativa e creare occasioni di incontro con il territorio e la società esterna. Hanno preso parte l’educatore Pietro Busetti, il comandante degli agenti di custodia, il presidente della Commissione d’esame Dario Trionfetti e tutti i docenti dell’Istituto operanti presso la casa di reclusione, nonché i docenti del Centro territoriale permanente presso il quale avevano conseguito la licenza di scuola elementare e media i sei neodiplomati. Alcuni di loro hanno già espresso il desiderio di continuare gli studi a livello universitario.

Varese:  i risultati dei corsi di formazione professionale

 

Il 6 Luglio alle ore 10.30, presso l’Istituto penitenziario di Varese, avverrà la presentazione ai Rappresentanti della Comunità Locale e delle Istituzioni, (civili e religiose), dei risultati conclusivi delle varie iniziative di formazione professionale cui hanno partecipato i detenuti.

Nell’Anno Formativo 2003/’04 la Fondazione Enaip Lombardia, a cura della sua sede di Varese, ha proposto ai detenuti tre Corsi professionali, tutti finanziati con i Fondi Sociali Europei: Operatore alla Prestampa, Ristorazione Collettiva e Manutenzione degli Ambienti.

Allo scopo di formare professionalmente detenuti in grado di inserirsi nel mondo del lavoro, i settori di intervento sono stati individuati tra quelli che presentano una forte domanda ed offrono reali opportunità di occupazione.

Le domande di ammissione sono state numerose, segno dell’esistenza, nei detenuti, di un desiderio di cambiamento e di reimpostare la loro esistenza su nuove basi, di qui il titolo dato alla manifestazione "rewind e replay – occasioni per ricominciare".

Il rilevante numero di domande ha imposto una selezione, alla fine della quale sono stati ammessi 22 detenuti, scelti tra coloro che davano garanzie di maggior impegno, interesse e continuità di applicazione nello studio.

I risultati di tutti e tre i percorsi formativi sono andati oltre ogni più ottimistica aspettativa e si vogliono presentare visivamente e concretamente alle Autorità.

Più precisamente, i risultati del Corso di Manutenzione degli Ambienti, hanno comportato la riqualificazione delle Aule Scolastiche e della Sezione Detentiva, ed i gli Ospiti saranno fatti partecipi degli esiti di essi tramite una mostra fotografica. Ai buoni esiti del Corso suddetto ha contribuito anche la Provincia di Varese, finanziando l’acquisto, da parte dell’Associazione Assistenti Volontari "San Vittore Martire", di materiale per la pavimentazione della sezione detentiva.

I risultati del Corso di Prestampa, hanno comportato l’acquisizione di una specializzazione nel settore a detenuti già in possesso di abilità informatiche di base: un saggio dei risultati raggiunti dai corsisti è rappresentato dal pieghevole inviato ai Sig. invitati.

Infine il Corso di Ristorazione Collettiva, ha fatto sì che i Corsisti affinassero le loro abilità nella preparazione e presentazione del vitto. Un primo risultato di questo Corso, è stato il miglioramento della qualità del vitto offerto ai detenuti ristretti, da parte della cucina interna: infatti i corsisti sono stati già assunti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria in qualità di cuochi. Le Autorità presenti potranno, a loro volta, constatare personalmente i risultati raggiunti dai Corsisti, grazie alla degustazione dell’Aperitivo a Buffet, che sarà offerto agli Intervenuti alla manifestazione.

La manifestazione del 6 luglio, oltre al suddetto obiettivo, ha anche quello di rivolgere una pubblica Lode agli Operatori penitenziari che, con il loro silenzioso impegno, hanno creato le condizioni perché le attività formative potessero svolgersi con successo, raggiungendo gli obiettivi prefissati.

Infatti, l’Area Trattamentale, ha coordinato gli interventi formativi con quelli di istruzione, lavorativi e ricreativi, ha curato la selezione, la motivazione ed il sostegno ad ogni singolo corsista durante l’anno, avvalendosi della collaborazione di tutti gli Operatori afferenti all’Area Trattamentale, sia dipendenti che esterni.

Analogo rilievo va dato all’opera degli appartenenti alla Polizia penitenziaria, i quali, intendendo la "Sicurezza" e "l’Ordine" non in senso sterile e fine a se stesso, ma nel senso, produttivo di risultati, di condizioni per lo svolgimento delle Attività Trattamentali e della creazione nel detenuto, di una cultura della Legalità.

Si ringraziano le SS. LL. della cortese attenzione sin qui prestata e del rilievo che vorranno dare all’iniziativa descritta.

Attualmente l’Istituto di Varese ospita 122 detenuti, di cui 1 ammesso al lavoro all’esterno (c.d. art. 21) e 12 semiliberi. Si sono tenuti il corso di scuola media, con il rilascio della licenza a 5 detenuti, il corso di italiano per stranieri, laboratorio di pittura e disegno, corso di Inglese, a cura degli assistenti volontari. Sono in procinto di iniziare, per svolgersi nella stagione estiva, un corso di avviamento al basket, tenuto dall’UISP, di educazione alla salute, tenuto dai sigg. medici convenzionati con la direzione, un corso di spagnolo, uno di inglese ed uno di informatica di base, a cura del volontariato.

Forlì: dedicata alla giustizia la festa nazionale dell’Unità

 

Sesto Potere, 5 luglio 2004

 

Apre a Forlì, nell’Area della Fiera, il 5 luglio e proseguirà sino al 11 luglio 2004 , la V° Festa Nazionale de L’Unità sulla Giustizia promossa dall’Autonomia Tematica Aequa dei Ds. Il programma è stato presentato oggi dall’Avv. Patrizia Graziani, Responsabile Giustizia- Aequa Forlì, e dal segretario della federazione DS di Forlì, Giuliano Peduli.

"Non si erano mai ritrovati (nella nostra città e non solo) in un’unica occasione tanti protagonisti del panorama giuridico e della magistratura italiana e, oltretutto, in un frangente così delicato per l’intero mondo della giustizia, a pochi giorni dal voto di fiducia della riforma imposto dal Governo. A Forlì potremo dibattere proposte, tematiche e argomenti – come il carcere, la mafia, la sicurezza, il terrorismo - che, nonostante la soluzione adottata in parlamento da Berlusconi e Castelli, rimangono irrisolti e quotidianamente sull’agenda della cronaca politica e sociale del nostro paese": ha dichiarato Patrizia Graziani.

Il primo appuntamento della Festa Nazionale de L’Unità sulla Giustizia è per lunedì 5 luglio, alle ore 21, con un convegno dal titolo: "Lotta alla mafia: servono nuove regole?", vi parteciperanno: Giancarlo Caselli, Procuratore della Repubblica di Torino; Giuseppe Lumia, Capogruppo DS Commissione Antimafia e Tano Grasso, Presidente Associazione Antiracket.

Martedì 6 luglio, sempre alle ore 21, un altro convegno: "Cambiamo sistema: un progetto per la giustizia",tema scottante alla luce del voto sul maxiemendamento giustizia dei giorni scorsi, al quale parteciperanno Anna Finocchiaro, Responsabile Nazionale Giustizia DS e Edmondo Bruti Liberati, Presidente Associazione Nazionale Magistrati, che nei giorni scorsi, per protesta, aveva offerto la sua poltrona ed ha accettato di rimanere per portare avanti la strategia di protesta dell’Assiociazione Nazionale Magistrati, e a Forlì ci fornirà anticipazioni al riguardo.

Mercoledì 7 luglio: "Quali riforme per la giustizia", sarà un faccia a faccia tra Luciano Violante, Presidente Gruppo DS Camera dei Deputati, ex Presidente della Camera dei Deputati e Avv. Ettore Randazzo, Presidente Unione Camere Penali.

Giovedì 8 luglio ore 21: "Il carcere e la città", con: Paolo Mancuso, Procuratore aggiunto Procura della Repubblica di Napoli, e Francesco Carboni, Vice Presidente Comitato Carceri della Camera, Fabrizio Rossetti, responsabile CGIL Nazionale settore penitenziario.

Venerdì 9 luglio, discuteranno di : "Sicurezza e legittima difesa" l’On. Marcella Lucidi. Responsabile Nazionale DS Sicurezza; Claudio Giardullo, Segretario Nazionale SILP CGIL; Massimo Brutti, Vicepresidente Gruppo DS Senato; e Giuseppe Fanfani, responsabile giustizia e Deputato della Margherita, presiederà Marco Colonna, direttore Agenzia on line Sesto Potere.

Sabato 10 luglio, questa volta alle ore 21, la presentazione del libro di Gianni Cipriani "Brigate Rosse. La minaccia del nuovo terrorismo", con l’On. Valter Bielli, capogruppo DS Commissione Mitrokhin, Armando Spataro, procuratore aggiunto e capo del pool antiterrorismo di Milano e l’On. Roberto Pinza ,già avvocato parte civile processo "Ruffilli".

Serata conclusiva, domenica 11 luglio ore 21 con: Piero Fassino, Segretario Nazionale DS interrogato dal giornalista de l’Unità Ninni Andriolo.

 

 

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