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Livorno: si impicca detenuto cileno in attesa di giudizio
Repubblica, 31 luglio 2004
Un detenuto cileno, Carlos Requelme, di 50 anni si è ucciso impiccandosi nella sua cella del carcere livornese delle Sughere. Lo straniero si è impiccato fabbricandosi un cappio con le fibre di nylon dei sacchi dell’immondizia e legandolo alle sbarre della finestra. Carlos Requelme era un detenuto in attesa di giudizio. Era stato arrestato lo scorso mese di aprile in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare in carcere richiesta ed ottenuta dalla procura di Livorno con l’accusa di traffico di sostanze stupefacenti. Marittimo della motonave "Ancud", Requelme fu arrestato insieme con una coppia di romani e la nave perquisita per giorni senza però che la droga venisse mai trovata dalla Guardia di Finanza che conduceva l’operazione. Il sostituto procuratore livornese Mario Profeta ottenne però dal Gip l’ordinanza di custodia cautelare per i pesanti indizi raccolti a suo carico, costituiti in particolare da intercettazioni. Nel carcere livornese Carlos Requelme divideva la cella con un altro detenuto che al momento della tragedia era al passeggio. È stato proprio lui, insieme con un agente della polizia penitenziaria, a trovare, al rientro in cella, il corpo privo di vita del compagno di detenzione. Opera: detenuti e agenti protestano contro carenze sanitarie
Il Giorno, 31 luglio 2004
Caso Squeo: la famiglia chiede al tribunale risposte concrete alla morte del congiunto avvenuta l’estate del 2001. Intanto secondo alcune indiscrezioni non confermate dalla Procura, sarebbero partiti alcuni avvisi di garanzia nei confronti dei responsabili del penitenziario di Opera. Continuano le proteste dei detenuti per l’inefficienza del centro clinico e con una lettera inviata al nostro giornale annunciano una serie di proteste. Anche il principale sindacato degli agenti della polizia penitenziaria (Sappe), per bocca del suo segretario regionale Franco Di Dio, è in fermento per la cronica carenze di personale, non solo del centro clinico. Ad Opera le acque sono sempre più agitate e, dopo l’anomala gravidanza della detenuta che faceva la ragazza pon pon della squadra di calcio del Free Opera Brera, si riaccende il caso Squeo. Lunedì prossimo la figlia del detenuto deceduto in cella a settembre del 2001, Debora Squeo, si recherà in tribunale per sapere e cercare di capire a che punto sia il procedimento aperto sul drammatico decesso del padre. "Vado in tribunale per capire come mai il procedimento è bloccato - ha dichiarato la ragazza -. Sono passati tre anni da quando lanciai l’appello tramite Il Giorno per cercare di salvare mio padre. Voglio la verità". Debora Squeo tre settimane prima del decesso del genitore lanciò un disperato appello affinché il padre fosse ricoverato in una struttura sanitaria esterna. Purtroppo l’appello non venne raccolto e il 6 settembre Pasquale Squeo venne trovato esanime in cella. Secondo indiscrezioni non confermate, nel frattempo sarebbero partiti alcuni avvisi di garanzia. Ma il mal funzionamento del centro clinico è ancora oggetto di proteste. I detenuti di Opera che reclamano un centro medico funzionale, con una lettera inviata al nostro giornale annunciano una serie di proteste se la situazione non migliorerà. E in questa protesta trovano negli agenti degli alleati insoliti. Il Sappe continua a manifestare dissenso per il pessimo funzionamento del centro clinico e la cronica carenza di personale. Busto Arsizio: consigliere comunale chiede visita ufficiale al carcere
Varese News, 31 luglio 2004
La Casa Circondariale di Busto Arsizio versa da tempo in una situazione assai critica, contraddistinta dal preoccupante innalzarsi del livello interno di tensione tra la popolazione detenuta e la direzione del carcere e l’istituto è stato ultimamente oggetto di denunce alla Procura della Repubblica riguardo il trattamento sanitario della popolazione detenuta; A seguito di queste stesse denunce, formulate anche da operatori interni all’istituto, in cui si parla di gravissime omissioni, il Dipartimento Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ha provveduto alla fine di luglio ad inviare un’ispezione. Solo pochi giorni fa un detenuto extracomunitario si è tolto la vita impiccandosi, assegnando alla Casa Circondariale di Busto Arsizio il triste primato, dall’anno 2000, di un suicidio all’anno. Il sovraffollamento è divenuto cronico con una popolazione detenuta stabilmente sopra le 400 unità a fronte di una soglia massima di tollerabilità calcolata dal Ministero in 280 posti-cella. Le celle concepite per un solo recluso ospitano regolarmente da tre a quattro detenuti. Pertanto si invita il sindaco e la giunta ad organizzare, nel più breve tempo possibile, una visita all’interno della Casa Circondariale, per potersi direttamente accertare della situazione in cui versa l’istituto.
Antonio Corrado, consigliere comunale di Rifondazione Comunista Iglesias: dietro le sbarre nasce una piccola zona industriale
L’Unione Sarda, 31 luglio 2004
Il carcere diventa fabbrica. E cerca imprenditori pronti ad avviare un’attività produttiva all’interno della struttura. In cambio si offrono locali gratis, mano d’opera e agevolazioni fiscali. Progetto innovativo, il primo in Sardegna, che dovrebbe vedere gli imprenditori realizzare attività artigianali o piccole realtà industriali all’interno di un carcere. L’applicazione del principio di recupero e reinserimento sociale dei detenuti sancito anche dalla Costituzione. È la proposta che la direzione del carcere di Iglesias sta portando avanti con l’intento di creare, all’interno dell’area detentiva, attività lavorative alternative. Lavoro per i detenuti, in tutto una novantina, che non sia riconducibile all’attività domestica (nella maggior parte dei casi lavori di pulizia), svolta solo da una parte dei reclusi. "Si tratta del primo esperimento effettuato in Sardegna - spiega Elisa Milanesi, direttrice da quattro mesi - e offrirebbe ai detenuti la possibilità di svolgere un lavoro, differente da quello che solitamente viene effettuato all’interno del carcere". Proposta sperimentale, come rimarca la responsabile della struttura, che dovrebbe agevolare il reinserimento nella società dei detenuti. In questo caso, infatti, potrebbero lavorare all’interno della zona detentiva. O meglio, nei due capannoni realizzati all’interno del muro di cinta, in un’area, quindi, ben controllata. "Tre mesi fa è stato eseguito il collaudo della struttura formata da due sale in grado di ospitare anche piccole attività industriali - aggiunge la responsabile - adesso ci stiamo organizzando per poter concretizzare il tutto attraverso la predisposizione di una serie di progetti e cercando di contattare gli operatori e farle funzionare". Per questo motivo l’amministrazione carceraria ha deciso di lanciare un di appello ad artigiani e piccoli industriali che operano nel territorio. "Molti imprenditori non lo sanno, ma la legge Smuraglia offre questa opportunità - aggiunge - ovvero dà la possibilità agli imprenditori di poter utilizzare le strutture messe a disposizione dal Ministero all’interno del carcere e un pacchetto di agevolazioni fiscali che dovrebbero favorire e facilitare l’avvio di attività lavorative riservate ai detenuti. Lavori che, in questo caso, non sarebbero a carico dell’amministrazione". In cambio l’imprenditore dovrebbe assumere, come operai, i detenuti del carcere che potranno continuare a lavorare anche sei mesi dopo aver scontato la pena. Questo intervento dovrebbe rendere meno triste e drammatica la permanenza all’interno del carcere. "La richiesta di lavoro tra i detenuti è molto alta - spiega Giuseppina Pani, educatore - tutti, infatti, vorrebbero poter svolgere attività e allo stesso tempo essere retribuiti". Con il risultato che, "si alleggerirebbe il numero di richieste di lavoro domestico, pagato dal Ministero, e si avrebbero maggiori possibilità di occupazione tra i detenuti". Popolazione, al sessanta per cento composta da extracomunitari di età non superiore ai 30 anni, la metà della quale con problemi di tossicodipendenza che, come spiega Giorgio Serri, ispettore della polizia penitenziaria e responsabile delle guardie "scontano pene che non superano i 3 anni di reclusione". L’intervento dovrebbe andare a fare da complemento ai corsi di formazione e alle altre iniziative, dalla biblioteca che può contare su un migliaio di volumi ("grazie al circuito Biblioteche scatenate"), ai laboratori di pittura, al corso di chitarra previste per il prossimo anno. Progetto sperimentale, come rimarcano i responsabili della struttura, che dovrebbe dare, alla fine, una nuova possibilità a chi ha sbagliato e dietro le sbarre paga il suo debito con la società.
In cella seguono il corso di computer
Il corso per operatori di computer organizzato dall’amministrazione penitenziaria del carcere di Iglesias si è concluso ieri con la promozione e la consegna degli attestati ai tre allievi che hanno superato l’esame finale. "Gli attestati che sono stati rilasciati - spiega Elio Madeddu, direttore dell’Enaip, di Iglesias, l’ente che ha organizzato il corso - sono riconosciuti dall’ufficio di collocamento e daranno la possibilità agli allievi di avere una possibilità in più per il futuro". Il progetto, di seicento ore, è stato iniziato da una decina di corsisti ma è stato concluso solo da tre. "La maggior parte ha dovuto lasciare perché scarcerato o trasferito - spiega Anna Maria Oriti Niosi, tutor e docente - in ogni caso il corso ha dato la possibilità ai ragazzi di poter acquisire una serie di nozioni culturali e di scoprire capacità che, non pensavano di possedere". Pisa: Cofferati da Sofri "Spero che arrivi presto la grazia"
Repubblica, 31 luglio 2004
"Sono venuto a trovare un amico. Abbiamo parlato di tante cose. Ce n’era del tempo da recuperare. Era un po’ che non ci vedevamo , l’ultima volta non ero ancora sindaco". È Sergio Cofferati che parla, ieri, all’uscita del carcere di Pisa. È andato a trovare Adriano Sofri, è stato dentro più di due ore. Argomenti, il racconto della campagna elettorale senza tv, la maschera balinese indossata da Cofferati al comizio di festeggiamento, i fatti del giorno. Con il sindaco di Bologna, il deputato dell’Ulivo Ermete Realacci e la cantante Paola Turci. Un terzetto eterogeneo - entusiasti gli altri detenuti che hanno ottenuto dalla Turci due canzoni - a trovare un amico che compie domani gli anni, per l’ottava volta in carcere. Per ricordare la data, i tre visitatori quando escono diffondono una specie di biglietto di auguri, preparato dal "Comitato contro l’oblio e per la grazia" (2.500 persone coinvolte in due anni), promosso da Silvio Di Francia e Franco Corleone, andati anche loro al carcere ieri in mattinata. Uno strano biglietto di auguri che inizia dichiarando che "non c’è niente da festeggiare" e va avanti citando tutti quelli che si sono pronunciati a favore della grazia e poi non è successo niente. Cofferati dice: "Spero che la grazia arrivi presto". Il biglietto cita i giudici, il presidente del consiglio, il presidente della Repubblica. I giudici che, anche condannando Sofri, si dichiaravano contro il carcere. A Milano nel 1995 quando, il presidente Della Torre sostiene che in caso di condanna avrebbe "chiesto la grazia per tutti gli imputati". A Venezia nel 2000 quando il dispositivo della sentenza della revisione parla di "totale reinserimento dei condannati nella società civile", dell’enorme lasso di tempo intercorso dai fatti e di come queste due peculiarità producano un "effetto distorsivo dell’espiazione della pena". Poi la lettera di Berlusconi al Foglio nel 2002 a favore della grazia. Infine quella con cui Ciampi chiede al ministro Castelli le istruttorie su Sofri e Bompressi. Varese: il carcere fa ancora discutere, Gazzada ricorre al Tar
Varese News, 31 luglio 2004
Il nuove carcere di Bizzozero fa ancora discutere, come era inevitabile; ma le proteste non arrivano solo dai comitati cittadini o dal Varese Social Forum. È di nuovo il comune di Gazzada, "storico" avversario del progetto, a scendere in campo presentando un ricorso al Tar contro la delibera approvata dal consiglio comunale di Palazzo Estense. L’atto formale che ha approvato la variante al piano regolatore e spianato la strada al maxi penitenziario. La politica dell’amministrazione di Gazzada è rimasta fedele, nonostante il cambio della guardia al vertice. L’attuale sindaco Brusa ha preso il posto del vecchio sindaco Minonzio, peraltro attuale vice, da sempre oppositore del maxi penitenziario. Cambiati i fattori, il risultato non cambia. Anzi, il livello dello scontro si è alzato. Il ricorso, presentato dall’avvocato milanese Giancarlo Tanzarella, punta ad obiettivo immediato: la sospensione della delibera comunale. All’origine della contestazione da parte del comune limitrofo all’area dei Duni, dove dovrebbe sorgere la struttura, è sopratutto la mancata collegialità della decisione nell’ambito di Varese Europea. Il comune di Varese, in sostanza avrebbe assunto la decisione del carcere, mancando di una concertazione con gli altri comuni interessati. Un accordo di programma tra gli enti, insomma, si sarebbe aperto solo a variante approvata. Un atteggiamento che già, all’indomani del consiglio "incriminato", l’allora sindaco Minonzio non aveva esitato a definire "arrogante". Non ci devono essere stati passi avanti nel dialogo, se ora si è giunti alle carte bollate. Caltanissetta: agenti penitenziari protestano contro il direttore
La Sicilia, 31 luglio 2004
Dalla mezzanotte di ieri gli agenti di polizia penitenziaria devono lavorare 8 ore, invece delle 6 previste dal contratto nazionale di categoria. A stabilirlo è stato, a quanto pare in via unilaterale, il direttore del carcere sancataldese, dott. Belfiore. L’allungamento dell’orario di lavoro pare sia dettato dal fatto che presso la struttura lavorino solo 89 agenti. Forse pochi per garantire gli standard di sicurezza di cui la casa di reclusione necessita, tanto più in questo periodo di ferie. Una scelta che però non piace ai sindacati. "Il direttore - afferma Giuseppe Balsamo, delegato Sappe - in via del tutto autonoma ha pensato di allungare di due ore l’orario di lavoro degli agenti di polizia penitenziaria. Secondo lui il personale è insufficiente a garantire in maniera efficiente la normalità all’interno della struttura. Un’interpretazione dei fatti che cozza contro l’opinione del provveditore regionale dott. Faramo". "Secondo il provveditore palermitano, infatti - continua Balsamo - il personale attualmente in servizio a San Cataldo è sufficiente. Almeno questo è ciò che ci ha più volte dichiarato quando abbiamo chiesto spiegazioni sull’invio in missione in altre carceri di 8 agenti sancataldesi. A questo punto è d’obbligo ricevere una spiegazione. Vogliamo capire se il personale è sufficiente o meno per garantire la sicurezza nella struttura. Se è sufficiente ci rifiutiamo di lavorare due ore in più al giorno. Se, invece, il numero di agenti è insufficiente, è indispensabile l’immediato rientro in sede degli 8 agenti inviati in missione". Balsamo auspica un intervento da parte del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Padova: uno sportello legale per i senza fissa dimora
Diweb, 30 luglio 2004
A Bologna gli avvocati di strada sono ormai venticinque: professionisti che, oltre a esercitare il loro mestiere, decidono di mettersi al servizio delle persone senza fissa dimora offrendo loro consulenza e tutela legale gratuita. Lo sportello, che era all’inizio una scommessa intrapresa in due, in meno di quattro anni ha già aperto 400 pratiche. A partire dal prossimo autunno il progetto avvocati di strada partirà anche a Padova. A promuovere l’iniziativa il Gruppo operatori volontari carcerari, che ha deciso di seguire il "modello pilota" di Bologna. La proposta prevede l’apertura, in due diverse sedi, di uno sportello per la tutela legale dei "senza tetto". La segreteria organizzativa del servizio sarà affidata all’associazione Granello di senape e, a fare da segretario, sarà un detenuto semilibero. Un contributo significativo è stato assicurato anche da Cosep, cooperativa di servizi plurimi che gestisce l’asilo notturno di via del Torresino. La proposta elaborata a Padova si caratterizza per la collaborazione fra le realtà del volontariato carcerario e le realtà che si occupano di senza fissa dimora. Recenti studi dell’associazione Amici di piazza grande (il gruppo che ha promosso lo sportello di Bologna) hanno evidenziato infatti che il 30 per cento dei senza fissa dimora ha alle spalle una o più esperienze di detenzione in carcere e che il 50 per cento ha procedimenti giudiziari aperti. Proprio per questo motivo il progetto ha deciso di coinvolgere da vicino la realtà del carcere: lo sportello avrà un’articolazione interna alla casa circondariale Due Palazzi, per offrire un servizio di orientamento e consulenza ai detenuti che si apprestano a uscire dal carcere e rischiano di trovarsi da un giorno all’altro senza un tetto. Quali sono i problemi cui dovrà rispondere il nuovo servizio? I "garbugli" legali in cui incappa un senza fissa dimora sono molto più complessi di quanto si possa pensare: la prima questione da affrontare è nella maggior parte dei casi quella della residenza. Diritto non di rado negato a chi non ha un tetto, pur magari vivendo nella stessa città da tutta una vita. Ogni città ha una via "fittizia" dove viene indicata la dimora delle persone che in realtà un posto dove dormire non ce l’hanno. Un escamotage che permette se non altro di garantire il diritto di vedere riconosciuto "sulla carta" un posto nella propria città e di accedere, una volta ottenuta la residenza, ad altri diritti fondamentali. In questo momento però molti comuni si stanno dimostrando restii a concedere questo diritto e hanno abbandonato la prassi della "residenza inventata": ecco che lo sportello può offrire un supporto legale a tutte quelle persone che ancora non si sono viste riconosciute, come loro diritto, una residenza. Mille altri sono le problematiche sottoposte all’avvocato di strada: dalle cause per l’affidamento dei minori figli di persone che vivono per strada fino alle richieste di asilo politico e al riconoscimento dei diritti del lavoratore extracomunitario privo di permesso di soggiorno. Il progetto presentato a Padova partirà con il prossimo autunno, probabilmente in ottobre: alcuni professionisti e laureati in giurisprudenza hanno già dato la loro disponibilità a coinvolgersi in quest’avventura. Ai volontari viene chiesto un impegno di due-quattro ore al mese. Dopo l’estate saranno distribuiti opuscoli informativi per presentare i nuovi sportelli. Già si sta pensando a riattivare il giornale di strada cittadino, "scomparso" da anni dalle vie della città del Santo. L’attività degli sportelli legali sarà integrata da una serie di incontri di informazione e sensibilizzazione sul territorio. Per informazioni: tel. 049.654233, fax 049.8764481, e-mail: ristretti@virgilio.it Roma: Seac organizza convegno nazionale sul carcere
Diweb, 30 luglio 2004
Una tre giorni di studio per riflettere sulle nuove forme di conflitto sociale e sulle pratiche costruttive di giustizia sociale. L’appuntamento con il 37° convegno nazionale L’Europa e il carcere, promosso dal coordinamento enti associazioni del volontariato carcerario, è a Roma dal 9 all’11 settembre. "Il volontariato della giustizia – dicono gli organizzatori, presentando il convegno - crede che il ripristino del valore della legalità possa essere svincolato dalla unica concezione della punizione carceraria e che lo "strappo" generato dall’azione illecita sia ricucibile attraverso altre pratiche meno degradanti e più costruttive. Il convegno si propone di discutere su questi temi, facendo dialogare esperienze, per consentire una maggiore presa di coscienza e possibili ipotesi di lavoro congiunto che costruiscano, a scapito delle ideologie, vere pratiche di giustizia sociale". Fra i tanti relatori chiamati a intervenire al convegno ricordiamo Livio Pepino, presidente di magistratura democratica ("Migrazioni e politiche penitenziarie europee", 9 settembre), Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana ("Aspetti legislativi e sociali sulle migrazioni", 10 settembre) e Domenico Mogavero, sottosegretario Cei, ("Il Seac come promotore di cambiamenti: identità e azione sociale"). La quota di partecipazione è di 130 euro (comprende l’iscrizione e il soggiorno, dalla cena di mercoledì 8 settembre al pranzo di sabato 11), 20 per cento di sconto per i giovani sotto i 26 anni. Le iscrizioni dovranno essere effettuate entro il 28 agosto mediante la compilazione della scheda di iscrizione e il versamento di 70 euro sul c/c postale n. 42043000, intestato al Seac. Segreteria convegno: Via Aurelia, 773 - 00165 Roma, tel. 338.9489515. Unione Europea studia creazione "campi di accoglienza" in Africa
Agi, 31 luglio 2004
La Commissione europea starebbe studiando una nuova strategia per cercare di ridurre il numero di migranti che chiedono asilo in Europa. Secondo il quotidiano "Berliner Zeitung" la Commissione ha all’esame un piano che prevede la creazione di campi di accoglienza con condizioni standard internazionali in paesi confinanti con quelli in cui esistono crisi umanitarie, destinati ad accogliere i profughi diretti verso l’Europa. Negli stessi campi verrebbero, poi, scrutinate le richieste di asilo e, contestualmente, verrebbe deciso il loro accoglimento o la la loro bocciatura. Bruxelles, scrive il giornale, ha già intavolato trattative con il governo del Marocco per convincerlo ad accogliere i profughi in fuga dai paesi africani. Il quotidiano berlinese pubblica estratti del verbale di una riunione della Commissione interni del Bundestag, che nel giugno 2003 ascoltò il commissario europeo alla giustizia e agli affari interni, Antonio Vitorino. "Io non propongo - affermò nell’occasione il commissario - che per i profughi dalla Somalia si debbano avere in Egitto gli stessi standard di protezione internazionale esistenti in Baviera". Sarebbe sufficiente, a suo avviso, che per i profughi vengano create condizioni di accoglienza accettabili. Il quotidiano "Die Welt" riporta oggi i dati di uno studio sull’immigrazione compiuto dal "Forum europeo per gli studi sulla migrazione" dell’università tedesca di Bamberg. Da esso risulta che il giro d’affari dei trafficanti di uomini ha ormai superato quello mondiale realizzato dalla mafia della droga ed ha raggiunto 9,5 miliardi di dollari, con prezzi che salgono quanto più protette sono le frontiere dei paesi di destinazione dei clandestini. Lo studio mette anche in evidenza che dal gennaio 2003 sono stati 250 mila i clandestini che hanno varcato illegalmente le frontiere dell’Ue. Diffamazione a mezzo stampa: la rettifica fa evitare il carcere
Italia Oggi, 31 luglio 2004
Rettifica contro carcere. È "il baratto" legislativo, il meccanismo individuato dalla commissione giustizia della camera per disciplinare il reato di diffamazione a mezzo stampa. Il giornalista non andrà più in carcere (anche se sarà sospeso dalla professione da uno a sei mesi) ma dovrà essere più responsabile nella rettifica e non potrà più corredarla di commenti. Ieri la commissione di Montecitorio ha approvato in sede referente il testo della legge, poche ore dopo la promessa del presidente della camera Pierferdinando Casini che, parlando durante la cerimonia per la consegna del ventaglio da parte dei giornalisti parlamentari, ha promesso che a settembre si impegnerà per calendarizzarlo in aula. "Il provvedimento è un utile compromesso tra le due diverse esigenze di rispetto della onorabilità delle persone e di garanzia per una informazione libera e pluralistica", ha affermato Casini. Inoltre è prevista l’interdizione fino a sei mesi, ma solo per coloro che sono stati già condannati per lo stesso reato, nel presupposto per questo che non siano in buona fede. Taranto:
“Impegniamoci per il reinserimento dei detenuti” Gazzetta
del Sud, 31 luglio 2004 Il
presidente della Provincia, Gianni Florido, ha incontrato ieri, nel suo ufficio,
il direttore della Casa circondariale, Luciano Mellone, il vicedirettore,
Antonio Fullone, ed il comandante delle guardie carcerarie, l’ispettore
Antonio Gugliotta. “La
Provincia - ha detto Florido - pianificherà subito dopo l’estate una serie di
attività culturali in favore dei detenuti”. Il direttore del carcere ha
evidenziato come “già da tempo esista un impegno forte di tutta la
struttura” e come siano “le iniziative messe in atto per rendere meno
difficile la vita all’interno della casa circondariale”. Le
attività finora promosse per i detenuti si sono mosse su due versanti:
alleviare in qualche modo la loro permanenza in carcere e prepararli al mondo
esterno, fornendo gli strumenti per poter condurre una vita più dignitosa dopo
la detenzione. In tal senso, si agisce sul recupero scolastico, sulla formazione
professionale e sulle attività ludico-sportive. Tutte attività volute dalla
direzione della casa circondariale. Ora l’arrivo di un nuovo interlocutore
istituzionale quale la Provincia, rappresenterà per i detenuti la possibilità
di contare su nuovi progetti di reinserimento e risocializzazione. Florido s’è
infatti dimostrato estremamente sensibile verso questa realtà, dove attività
come queste riescono a portare uno spiraglio di luce. Accolto
ricorso contro espulsione per profughi Cap Anamur Il
Manifesto, 31 luglio 2004 Accolto
il ricorso contro l’espulsione dei naufraghi della Cap Anamur. Ma è troppo
tardi. Il giudice chiede la concessione di un permesso di soggiorno. Lo avrà
solo l’unico non ancora espulso e detenuto nel Cpt di Ponte Galeria Dovevano
restare in Italia, perché le loro richieste di asilo fossero sottoposte
all’esame di un giudice. Invece ci si è messa di mezzo la politica di
governo, e per gli africani salvati da un naufragio dalla nave tedesca Cap
Anamur il viaggio verso l’Europa si è concluso presto, con un’espulsione
verso il Ghana e la Nigeria. Ma quell’espulsione non avrebbe dovuto esserci: a
dirlo è il tribunale di Roma, che ieri si è espresso sul ricorso presentato
dai legali dei 14 africani - Simona Sinopoli e Fabio Baglioni - dopo il diniego
alla domanda di asilo da parte della Commissione speciale inviata nel centro di
permanenza di Caltanissetta, dove i 37 africani erano stati rinchiusi per alcuni
giorni una volta sbarcati sulle coste siciliane. Secondo il giudice esiste sia
il “fumus boni iuris” per la domanda di asilo - considerando che gli
africani si dichiaravano sudanesi della regione del Darfur - che il “periculum
in mora”, poiché esiste un decreto di respingimento con accompagnamento alla
frontiera firmato il 12 luglio dal questore di Agrigento, appena ai naufraghi fu
concesso di scendere dalla nave. Per
questo il giudice ha accolto il ricorso, che chiedeva di sospendere
l’espulsione e di concedere un permesso di soggiorno temporaneo ai 14
naufraghi in attesa che un tribunale si esprimesse sulla loro domanda di asilo.
Purtroppo per 13 di loro la sentenza del giudice Sergio Pannunzio arriva troppo
tardi: sono già stati espulsi, cinque verso la Nigeria e il resto verso il
Ghana, come detta la legge sull’immigrazione Bossi-Fini, secondo cui il
ricorso contro il diniego della Commissione non sospende il rimpatrio. Pochi
giorni dopo furono espulsi pure gli altri 22, per cui la Commissione aveva
invece chiesto la concessione di un permesso umanitario, rifiutato dal Viminale.
Sul loro ricorso si esprimerà il 5 agosto il tribunale di Caltanissetta. La
decisione del giudice, quindi, vale solo per l’ultimo africano rimasto in
Italia. Si chiama Fatawu Lasisi e di lui, fino al tardo pomeriggio di ieri, si
erano perse le tracce. Nell’ultima “infornata” di espulsioni a carico dei
naufraghi - avvenuta in tre tappe - Lasisi infatti fu lasciato a terra. I motivi
non sono mai stati chiariti dal governo - che su questa vicenda ha utilizzato la
strategia del blackout informativo - ma secondo l’ipotesi più accreditata è
stato salvato perché faceva parte del gruppo su cui la Corte di Strasburgo, in
seguito a un esposto presentato da Sinopoli e Baglioni, aveva chiesto maggiori
informazioni sulle procedure seguite Lasisi
era finito in un primo momento nel centro di permanenza milanese di via Corelli,
ma da due giorni era sparito. Ieri è ricomparso nel Cpt romano di Ponte Galeria.
Della sua presenza a Roma si è venuto a sapere solo grazie all’interessamento
di Rifondazione comunista, perché gli avvocati non sono stati avvertiti da
nessuno. Dopo un tira e molla durato tutto il pomeriggio e una diffida
presentata da Sinopoli e Baglioni contro Viminale e questura di Roma, ieri sera
è arrivata la notizia che Lasisi oggi verrà liberato, e gli sarà concesso il
permesso di soggiorno temporaneo di cui parla esplicitamente la sentenza del
giudice. “Il
provvedimento stabilisce un principio importantissimo, e dimostra che le
espulsioni a carico dei 37 sono state illegittime”, commentano Sinopoli e
Baglioni. Soddisfazione per la decisione del giudice è stata espressa anche
dall’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati dell’Onu:
“Dimostra quello che abbiamo sempre sostenuto: non si può espellere un
richiedente asilo che ha ottenuto un diniego e presenta un ricorso”, ha detto
la portavoce Laura Boldrini. Il
deputato dei Verdi Paolo Cento chiede le dimissioni del ministro Pisanu, il
deputato della Margherita Giuseppe Fioroni l’abrogazione della legge
Bossi-Fini. Il senatore Antonello Falomi dei riformatori per l’Ulivo auspica
invece “un gesto riparatore”, e cioè la richiesta ufficiale del rientro in
Italia dei 13 naufraghi. Il diessino Antonio Soda ricorda che nella vicenda di
Lasisi c’è un’assurdità in più: il ragazzo parla soltanto uno stentato
inglese, la sua lingua sembra essere il dialetto sudanese Ausa: “Nessuno è
riuscito a porgli domande - conclude Soda - perché, secondo il ministero, non
si riusciva a trovare un interprete che conoscesse la sua lingua”.
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