|
Indultino: dopo un anno le carceri sono ancora più piene
Corriere della Sera, 30 luglio 2004
La legge doveva servire ad affrontare il sovraffollamento, ma oggi negli istituti ci sono più detenuti che nel del 2003. Solo 5.648 persone hanno beneficiato del provvedimento. L’amministrazione penitenziaria: ma senza quelle norme saremmo al delirio. Nel carcere di Savona la luce non si spegne mai, neanche di giorno. È l’unico modo per togliere dall’oscurità una decina di celle che non dispongono di un benefit abbastanza importante, la finestra. E per consentire ai detenuti di centrare il gabinetto alla turca che in alcuni casi svolge anche funzione di lavandino. Vite al neon bianco per quasi tutti i detenuti del "Sant’Agostino", che da qualche giorno protestano picchiando le inferriate delle celle con le loro pentole. "Non ci vedete, ma ci potete sentire", hanno fatto sapere ai savonesi. Lettera di un detenuto del Badu ‘e Carros di Nuoro: "Qui l’anarchia è totale. Siamo abbandonati a noi stessi. La cosa più angosciosa è che il gabinetto è scoperto e si è costretti a fare i bisogni sotto la vista dei compagni che occupano la stessa cella. Questo ci toglie quel briciolo di dignità che ci è rimasta. Anche questa è una forma di tortura, dell’anima, del sentimento. Non siamo animali". Ultime notizie dalle carceri, per scoprire che non è cambiato nulla. E che secondo il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria, il più grande del settore, l’indultino "non è servito a niente", come il braccialetto elettronico, che almeno era un esperimento. Tutto come sempre. Soltanto che è estate, stagione che per il mondo carcerario significa emergenza. Il caldo acuisce i disagi del sovraffollamento e le proteste di chi lo subisce.
La "svolta"
Il primo agosto del 2003 veniva approvato l’indultino, presentato come una panacea. Almeno al problema del sovraffollamento. Quel giorno, la "conta" della popolazione carceraria era arrivata a 55.400 detenuti, tredicimila in più della soglia di "tollerabilità". Con questi numeri, una media di 135 persone ogni cento posti disponibili, l’Italia era terza nella poco onorevole classifica della densità globale degli istituti di pena stilata dal Consiglio d’Europa, superata soltanto da Grecia (150) e Romania (143). La "conta" di ieri è stata di 55.492 detenuti. Gli effetti dell’indultino non hanno lasciato tracce, se mai ci sono stati. Perché nel marzo 2004 è stata raggiunta quota 57.000, e durante l’anno non si è mai scesi sotto le 56.000 unità. Qualche centinaia di detenuti in meno a luglio sono considerati "fisiologici", in estate diminuiscono gli arresti, aumentano i permessi.
Come prima
L’unica novità è che in un anno la situazione di Romania e Grecia è migliorata. La densità carceraria dei due Paesi - dati del Consiglio d’Europa - è scesa rispettivamente a 148 e 139 posti. Da noi l’effetto-indultino non c’è stato. Era la legge che doveva decongestionare le carceri. Riguardava almeno 9.000 detenuti, le previsioni erano queste. Un anno dopo, ne hanno usufruito in 5.648, dati del 31 maggio 2004. Non erano i numeri sperati, ma non sono neppure pochi. Eppure, il sovraffollamento carcerario ha continuato a crescere come se nulla fosse. "L’indultino è un medicinale a rilascio lento", dice il vicedirettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Emilio Di Somma. "La verità è che senza quel provvedimento oggi avremmo almeno cinquemila detenuti in più, e saremmo al delirio".
Risorse
I mezzi a disposizione sono quelli. Pochi. "Più edilizia penitenziaria, più informatica nelle carceri, questi gli obiettivi dei prossimi anni", ha detto il ministro della Giustizia Roberto Castelli. Tredici luglio 2004, a Pescara, inaugurazione del nuovo Palazzo di Giustizia. Il giorno prima sono stati annunciati gli "interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica" che prevedono l’asciugamento dei fondi per l’edilizia penitenziaria e tagli di bilancio del 15 per cento alla voce "manutenzione ordinaria carceri". Quelli del Sappe sono imbestialiti, minacciano lo sciopero bianco. "Tante esternazioni, nessun fatto", tuona il segretario Donato Capece. "Questo governo sta peggiorando una situazione già delicata". Gli agenti di polizia penitenziaria lamentano da anni una forte carenza di personale. Alla fine del 2003 era stata messa una pezza autorizzando l’ingresso in organico degli "ausiliari" che avevano fatto il militare nelle Polizia penitenziaria. In attesa delle assunzioni, dovevano arrivare 2.000 uomini. Finora non si è visto nessuno, accusano i sindacati.
Suicidi
In carcere intanto si continua a morire. Un po’ meno dell’anno scorso, azzarda Sebastiano Ardita, il magistrato del Dap che dirige l’ufficio trattamentale per i detenuti. In effetti, a livello numerico stava andando bene. Poi è arrivato giugno. Tra l’8 e il 21, otto suicidi (sei impiccagioni), sette tentati con le micidiali bombolette a gas dei fornelletti. A luglio, altri cinque morti. Nel 2003 i suicidi erano stati 57, ad oggi quelli ufficiali nel 2004 sono 27. Comunque troppi. "Sono la misura estrema del disagio all’interno del carcere - dice Ardita -, disagio che dipende soprattutto dal sovraffollamento. Un problema che non possiamo risolvere noi". I tecnici del Dap insistono tutti su un tema. Ardita: "In Italia la funzione penale viene esercitata a tappeto. E i benefici di legge non funzionano per i poveracci, le nostre carceri sono piene di gente povera che sconta reati banali". La soluzione alle carceri che scoppiano, oggi come un anno fa, deve arrivare per legge. L’indultino ha fallito. Amnistia è parola tabù, a destra come a sinistra. E tanto poi l’estate finisce. Nel 2004 sono aumentati gli ammessi alle misure alternative
Italia Oggi, 30 luglio 2004
Più misure alternative e meno carcere per i condannati. Il numero degli affidati in prova al servizio sociale e dei detenuti ammessi alla semilibertà oppure agli arresti domiciliari aumenta di anno in anno. E senza grandi rischi per la sicurezza sociale. Nonostante i ciclici allarmismi che si registrano ogni volta in cui un detenuto che non sconta in carcere la propria pena è protagonista di un fatto di cronaca nera, il numero delle revoche decise per recidività è davvero basso. Si pensi che su oltre 18 mila condannati che in media ogni anno vengono affidati ai servizi sociali, soltanto lo 0,09% riceve la revoca del beneficio per commissione di reati durante la misura. Sono queste alcune delle considerazioni che scaturiscono da una lettura dei nuovi dati elaborati dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sul primo semestre del 2004 e riguardanti il sistema delle misure alternative al carcere. Anche nei primi sei mesi di quest’anno si conferma una continua tendenza alla crescita: oltre 9 mila gli affidamenti in prova, meno di 900 i semiliberi, e 4.600 gli arresti domiciliari. Si tratta di dati che, se confermati anche nella seconda parte dell’anno, determineranno un nuovo e ulteriore aumento. Nel 2003, infatti, gli affidamenti non arrivavano alle 17 mila unità che quest’anno dovrebbero essere ampiamente superate. In controtendenza, però, è il dato che riguarda i tossicodipendenti. Da sempre la soluzione di affidare questi condannati, che abbisognano di assistenza medica e sanitaria pressoché costante, ai servizi sociali è considerata preferibile alla permanenza in carcere. Da quando, infatti, sono entrate in vigore leggi che hanno favorito e ampliato la fascia dei detenuti ammissibili alle misure alternative (come la Saraceni - Simeone) i primi a beneficiarne sono stati proprio i tossicodipendenti. E i numeri lo confermano. A partire dal ‘92 c’è una continua crescita, con un boom nel ‘97 di oltre 8 mila ammessi ai servizi sociali. Ma da quel momento in poi si assiste a una lenta ma costante diminuzione. Nel 2003 erano 6.800 e nella prima metà dell’anno i casi pervenuti sono appena più di 1.700. Una crisi che può essere attribuita in primo luogo alla scarsa efficienza della sanità penitenziaria. La legge approvata nella scorsa legislatura che sanciva il passaggio dei centri di assistenza per i tossicodipendenti dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria al servizio sanitario nazionale non è mai stata attuata. Con il risultato che il ministero della giustizia e quello della salute non si sono mai scambiati le consegne. Altro dato che salta agli occhi riguarda ancora le revoche. I casi di sospensione del beneficio sono più numerosi se riguardano condannati che provengono dal carcere. Simonetta Matone: diamo asilo politico ai figli delle nomadi
L’Opinione on line, 30 luglio 2004
Sotto Natale e sotto Ferragosto con un sussulto di buonismo, e per scarsità di altre notizie, i media riscoprono il problema dei bambini detenuti, ossia di quei bambini che le madri, arrestate, decidono di tenere con se in cella. Ne parliamo con la dott.ssa Simonetta Matone, sostituto procuratore presso il tribunale dei Minori di Roma.
Dottoressa Matone, questa di tenere i bambini in carcere, detta così, sembra una cosa perfida… Sì è vero, i media si occupano poco dei veri problemi della nostra macchina giudiziaria, e quando lo fanno, come nel caso dei bambini detenuti, privilegiano l’aspetto facilmente emotivo. In realtà, quando la legge passò, all’inizio degli anni ‘70, si trattò di una conquista all’epoca molto avanzata: alle madri arrestate veniva concesso di non separarsi troppo bruscamente dai figli piccoli, consentendo loro di terminare l’allattamento e lo svezzamento in carcere, e di tenere con sé i bambini fino al compimento del terzo anno di età.
Col passare dei decenni questa legge ha iniziato a mostrare profondi limiti… È evidente ad esempio che staccare improvvisamente il figlio dalla madre al compimento del terzo compleanno è anche questa una cosa molto negativa per il bambino. Inoltre oggi le donne in carcere non sono solo poche decine come in quegli anni, ma sono diventate oltre 2500.
La legge sulle madri detenute è stata ulteriormente migliorata con un voto all’unanimità del Parlamento dell’8 marzo 2001… Con la nuova legge, tutte le donne che hanno figli al di sotto dei 10 anni la cui pericolosità sociale non sia elevata, che posseggano una casa e un lavoro con cui mantenere il bambino, possono trascorrere il periodo di detenzione agli "arresti domiciliari speciali", ossia con l’autorizzazione, regolata dal magistrato, di uscire di casa per lavorare e per prendersi cura del bambino. Questa legge, una delle più avanzate in Europa, ha risolto quasi per intero il problema di madri e bambini italiani. Non ha invece risolto quasi per niente il problema dei bambini figli di nomadi o di extracomunitarie. Le loro madri, infatti, non hanno quasi mai i documenti in regola, non hanno una casa "vera", e men che mai hanno possibilità di trovare un lavoro "in regola" con cui mantenere se stesse e il figlio.
Alcune importanti parlamentari, intervistate su questo argomento, dicono che perché la legge possa funzionare a pieno ritmo si devono creare delle case di accoglienza, e la cosa spetta ai comuni… Non è esatto. Per come è scritta la legge, molte detenute straniere non possono uscire, indipendentemente dalla casa di accoglienza. A meno di non chiuderle a doppia mandata dentro una casa di accoglienza e farle vivere di sussidi comunali, ma allora tanto vale che rimangano in carcere, dove almeno i bambini hanno un grande giardino e stanno con altri coetanei. Il legislatore non ha voluto dirlo esplicitamente, ma imponendo al magistrato di valutare la "pericolosità sociale" ha voluto evitare la scarcerazione automatica delle nomadi, temendo che questo diventasse una specie di lasciapassare a rubare all’infinito. Questo spiega l’apparente paradosso di donne che hanno commesso reati gravi ma che oggi risultano "reinseribili" nella società, ed altre donne, che apparentemente hanno commesso reati meno gravi, ma si ritiene non siano intenzionate a cambiar vita, e anzi, come purtroppo registriamo spesso al Tribunale dei Minori, fanno dei bambini un uso strumentale.
Che fare dei bambini delle nomadi? Vuole l’Italia davvero aiutarli? Si potrebbe loro riconoscere una specie di asilo politico interno. Avezzano: "Marocchino impiccato, intervenga il ministro"
Il Messaggero, 30 luglio 2004
Finisce in parlamento la vicenda del presunto omicidio di Mohammed Agrufai, il giovane marocchino 20enne trovato impiccato nel carcere di Avezzano dove era rinchiuso. Gli onorevoli Elettra Deiana e Franco Giordano, di Rifondazione comunista, hanno presentato un’interpellanza al Ministero della Giustizia e al Ministero degli Interni per sapere se il Governo sia informato dell’accaduto e quali provvedimenti intenda adottare "per evitare - spiegano i due parlamentari - che nelle carceri italiane abbiano a ripetersi episodi di tale gravità che recano serio detrimento ai diritti dei cittadini detenuti e concorrono a degradare seriamente la condizione penitenziaria. Sono sempre più frequenti tra i detenuti, nelle carceri italiane - denunciano Deiana e Giordano - casi di morti poco chiare o quantomeno attribuite a suicidi". Per la morte di Mohammed Agrufai il sostituto Procuratore di Avezzano ha aperto, com’è noto, un’indagine per omicidio volontario. Per questa ipotesi di reato sono finiti sotto inchiesta tre agenti di polizia penitenziaria del carcere di Avezzano e sono stati iscritti nel registro degli indagati tre detenuti che dovranno rispondere di favoreggiamento e false dichiarazioni al pubblico ministero. Il giovane marocchino fu trovato agonizzante, con un lenzuolo stretto al collo, in una cella di isolamento dove era stato rinchiuso dopo una violenta discussione con altri detenuti. Trasportato d’urgenza al pronto soccorso, Mohammed Agrufai morì nonostante i sanitari lo avessero sottoposto a tutti gli interventi del caso. Si suppose inizialmente il suicidio. Ma i risultati dell’autopsia hanno poi indotto il sostituto procuratore di Avezzano ad avviare sulla vicenda un’inchiesta per omicidio volontario. Sul corpo di Mohammed Agrufai il medico legale rilevò infatti ferite, ecchimosi e lesioni, in pratica i segni di un probabile pestaggio. Insomma, una vita sfortunata quella del poco più che adolescente Agrufai giunto in Italia chissà con quali sogni semmai ne avesse avuti e che invece ha finito i suoi giorni drammaticamente, in una cella di prigione. Una vita ai margini, senza sconti, troppo dura e spietata per un ragazzino morto non si sa ancora come e perché. Catanzaro: "la polizia penitenziaria non è corrotta"
Quotidiano di Calabria, 30 luglio 2004
In merito al rinvenimento, lunedì 19 luglio, di apparecchi telefonici cellulari nel Penitenziario di Siano, il Segretario Nazionale, ispettore Tommaso Proganò, ed il Segretario Regionale, vice sovrintendente Salvatore Cerra, del Sappe (Sindacato Italiano Autonomo Polizia Penitenziaria) dichiarano "di essere rimasti sconcertati dalle notizie apparse sui giornali quotidiani regionali e intendono precisare particolari fondamentali inerenti alla genesi e gli sviluppi della vicenda". I medesimi tengono a precisare che " in tutte le fasi della vicenda nessuna collaborazione all’azione della polizia penitenziaria è attribuibile ad alcuno dei detenuti, vigendo in quest’ultimi la più ferrea omertà". I due rappresentanti sindacali vogliono poi ricordare al Direttore, dott. Agazio Mellace, che "proprio le attività di socializzazione sono servite ad allentare la maglia dei controlli e quindi a permettere che gli apparecchi di comunicazione cellulare fossero introdotti all’interno dell’istituto di pena". Ancora: "è vero che l’opera di socializzazione porta sicurezza innalzando gli standard di tranquillità nella quotidianità del penitenziario, a patto però che questa si svolga seguendo norme di razionalità e criteri di ragionevolezza e non pretendendo, come consuetudine, ad esempio di tenere aperti contemporaneamente numerosi laboratori di arti manuali, oberando così oltre misura l’impegno del personale di Polizia Penitenziaria. Personale che, proprio a Catanzaro, risultando sottodimensionato in quanto ad organico è quindi costretto a sostenere turni massacranti, tanto più in questo periodo interessato alla turnazione per la fruizione dei congedi per le ferie estive". Proseguono ancora i due, "il Sappe intende precisare che nessuna direttiva è stata mai emanata dall’Autorità Giudiziaria titolare dell’indagine, tanto meno dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per questo quanto rinvenuto è esclusivamente frutto dello scrupoloso impegno e dello zelo operativo del personale di Polizia Penitenziaria, coordinato dal Comandante di Reparto, vicecommissari Antonio Lopardo, e dal Vicedirettore effettivamente presente in Istituto al verificarsi dell’episodio, dottor Roberto Romaniello". Continuando i due sindacalisti " categoricamente smentiscono le notizie di stampa ipotizzanti che alcuni agenti possano risultare inquisiti per tale episodio"; "anzi", rimarcano, "il personale di Polizia Penitenziaria di Siano è sano, ligio al proprio dovere e incorruttibile". In conclusione i due dirigenti sindacali affermano che "oramai si conosce, per sommi capi, la trama di tutta la vicenda, così come anche i soggetti interessati in varia forma al traffico di telefonini, ma al momento si evita di fare nomi per non intralciare l’operato della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro". Proganò e Cerra tengono inoltre a evidenziare che "in questi giorni il personale di Polizia Penitenziaria è stato impegnato in ulteriori perquisizioni e in controlli straordinari, sottoponendosi volontariamente a turni massacranti allo scopo di garantire la massima sicurezza individuale di tutto il personale operante all’interno del penitenziario e degli stessi detenuti". Un accenno polemico e di biasimo è poi rivolto agli operatori della Stampa, che sono invitati a "non inseguire a tutti i costi scoop giornalistici, bensì a prestare maggiore attenzione all’essenzialità dei fatti." Catanzaro: Comitato legalità, approvato il Piano 2004
Quotidiano di Calabria, 30 luglio 2004
La Giunta regionale ha approvato la proposta del Piano di programmazione 2004 elaborata dal Comitato regionale per la legalità istituito con la legge regionale 2/86. La decisione - è scritto in un comunicato - è stata adottata dall’esecutivo su richiesta dell’assessore regionale alla Pubblica istruzione, Saverio Zavettieri. "Il programma - è detto ancora nella nota - tiene conto delle riforme normative avvenute nelle istituzioni scolastiche ed universitarie, nonché del piano del diritto allo studio regionale. Gli obiettivi evidenziati riguardano, in particolare, l’istituzione di borse di studio per corsisti impegnati nel master di secondo livello su "diritti umani e legalità" programmato e già finanziato all’Università della Calabria, il sostegno all’alfabetizzazione in lingua italiana a migranti extracomunitari permanenti, anche in modo transitorio, nel territorio regionale e l’organizzazione di stage lavorativi, in alternativa alla custodia carceraria, per la formazione professionale, di giovani detenuti fino a 25 anni d’età". Nel comunicato si precisa, inoltre, che "avendo il Comitato completato l’iter per l’assegnazione di contributi alle vittime della mafia, è prevista anche l’erogazione di contributi alle vittime del servizio e del dovere". Tra le spese programmatiche, oltre a quelle previste per seminari, convegni, patrocini e altro, - riporta infine la nota - rientrano la realizzazione di un notiziario periodico sulle attività di educazione alla legalità e la pubblicazione, a conclusione della legislatura regionale, del rapporto finale delle attività del Comitato regionale per la legalità. Milano: detenuta acquista bimba per uscire dal carcere
Corriere della Sera, 30 luglio 2004
La libertà costa 30 mila euro e una neonata di pochi mesi. Una zingara 21enne della ex Jugoslavia, detenuta a Milano nel carcere di San Vittore per traffico di droga e altri reati, ha acquistato una bambina di pochi mesi da una connazionale di 15 anni che vive nel campo nomadi romano di Vicolo Savini. In questo modo la detenuta, in regime di isolamento, era riuscita a farsi trasferire al reparto nido con la possibilità di chiedere gli arresti domiciliari. La vicenda è stata scoperta dai carabinieri di Roma al termine di una lunga indagine e sono state eseguite quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti della madre naturale della bambina, della donna detenuta in carcere che l’aveva acquistata, del suo convivente di 26 anni, e nei confronti della nonna del convivente della detenuta, una nomade di 66 anni, che da Roma aveva portato a Milano la neonata. Nell’indagine, iniziata nello scorso gennaio, sono stati analizzati campioni di saliva e di muco prelevati da filtri di sigarette, fazzolettini, pannolini e ciucciotto che hanno permesso di smascherare il piano. La bimba, nata nel mese di agosto 2003, è stata ora affidata ai servizi sociali del Comune di Milano. Recuperata dai carabinieri la documentazione e le foto dell’accordo tra le due famiglie nomadi, oltre a due ricevute di prelevamenti dal conto corrente postale intestato agli arrestati dell’importo di 15 mila euro l’uno. Roma: iniziativa Provincia "Porte aperte a Casal del Marmo"
Liberazione, 30 luglio 2004
Sport, cultura, impegno sociale. Questi gli elementi caratterizzanti di una giornata diversa, vissuta ieri dai minori ristretti nell’Istituto penale di Casal del Marmo a Roma. Un istituto nato 50 anni fa come centro di rieducazione e che oggi ospita 59 ragazzi tutti tra i 14 ai 21 anni (per il 90% stranieri). Ai margini di un campetto sportivo, nel bel mezzo di un partita di calcio, (che vedeva contrapposti i minori detenuti, divisi tra maglie della Roma e della Lazio) è stato presentato il progetto di sostegno socio-educativo promosso dalla vice presidenza della Provincia di Roma, in collaborazione con la cooperativa Made in Jail e le associazioni Uisp e Arci. "Un piano - come spiegato dalla vice presidente Rosa Rinaldi - che vede impegnata la Giunta provinciale nell’offrire a questi ragazzi, attraverso lo sport, l’arte e l’impegno professionale, un forma di riscatto per una vita che fino ad ora certo non li ha aiutati. È anche un modo per dimostrare loro che la comunità non li ha dimenticati". "Porte aperte a Casal del Marmo", questo il nome dell’iniziativa che rientra nel piano dell’assessorato provinciale alle politiche Giovanili e Formazione professionale (con uno sforzo finanziario di 60mila euro) e prevede interventi negli ambiti formativi, culturali e soprattutto sportivi a favore di ragazzi che orbitano nel circuito penale di Roma e provincia. Franco Piersanti della Unione italiana sport per tutti (Uisp), nel corso della presentazione del progetto, ha tenuto a sottolineare "l’importanza dello sport come strumento di socializzazione per i ragazzi che vengono da situazioni difficili. Un modo per insegnare loro anche un sistema di regole condivise, dove il rispetto reciproco e l’assunzione di responsabilità rappresentano gli unici elementi del successo finale". Nell’ambito delle attività sportive sono previsti tornei di calcio, di basket e di pallavolo; vi prenderanno parte squadre giovanili di Roma e provincia per favorire esperienze di socializzazione al "positivo" con giovani della stessa età. L’intervento però non si limita solo allo sport. Alberto Giustini dell’Arci ha infatti ricordato "i corsi di formazione professionale istituiti attraverso la realizzazione di laboratori di ceramica, di cuoio e di lavorazione del legno". Silvio Palumbo di Made in Jail, ci spiega come "attraverso un accordo raggiunto con i servizi sociali alcuni ragazzi potranno usufruire di borse di studio". Ma in questo caso il dubbio è d’obbligo, soprattutto dopo i numerosi tagli applicati dal governo in materia di politiche sociali: "Finanziare questo tipo di attività dice ancora la direttrice di Casal del Marmo, Anna Laura Grifoni - significa permettere a questi ragazzi di uscire dalle celle. Socializzare, imparare a convivere con gli altri". Marocco: festa nazionale, Re concede la grazia a 2.197 detenuti
Aki, 30 luglio 2004
Il re Mohammed VI del Marocco ha concesso la grazia, totale o parziale a seconda dei casi, a 2.197 detenuti. L’occasione è fornita dalla festa del Trono, che sarà celebrata domani, 30 luglio, in Marocco. A darne notizia è stato il ministro della Giustizia marocchino. In particolare, 1.066 detenuti hanno beneficiato della grazia totale, mentre 1.131 persone hanno potuto ottenere sconti di pena o d’ammenda. L’ergastolo, ad esempio, è stato commutato in detenzione a tempo determinato per 29 detenuti. Il re del Marocco concede regolarmente la grazia a detenuti per reati comuni in occasione di feste nazionali e religiose. Ascoli: marocchino di 40 anni si taglia le vene per l’espulsione
Corriere Adriatico, 30 luglio 2004
Pomeriggio movimentato per gli agenti della Questura ascolana che hanno dovuto "fronteggiare" un extracomunitario in preda ad un attacco isterico, forse conseguente al fatto che nei suoi confronti si stava eseguendo un provvedimento d’espulsione dal territorio italiano. Nel pomeriggio di martedì scorso il marocchino quarantenne H.M. è stato prelevato dagli agenti della polizia presso il carcere di Marino - dove era detenuto da 4 mesi per violazione della legge Bossi Fini - per essere trasferito presso il centro di permanenza temporanea di Bologna, in attesa di essere espulso. Mentre si trovava negli uffici della Questura, l’extracomunitario ha aggredito gli operatori della Polizia di Stato che lo stavano vigilando e con una lametta nascosta nei pantaloni si procurava dei tagli sugli avambracci, riuscendo anche ad ingoiarla. Trasportato con un’ambulanza presso l’ospedale Mazzoni, il marocchino veniva sottoposto alle cure del caso. Successivamente è stato trasferito di nuovo presso il carcere di Marino del Tronto per aver commesso i reati di violenza e resistenza nei confronti di pubblici ufficiali. Spoleto: il detenuto Mario Trudu, autore e voce di un cd
L’Unione Sarda, 30 luglio 2004
Quel passato, talvolta feroce, scomodo, se lo vuole gettare alle spalle per davvero. Paga per le sue colpe e fa crescere sulla terra fertile del domani virgulti di speranza. Non è facile dentro le celle di un carcere, specie se negli schedari dell’ufficio matricola c’è scritto fine pena, mai. Eppure Mario Trudu, arzanese oltre la cinquantina, è un uomo nuovo. "Dalla condotta ineccepibile". Diverso dal giovane condannato per delitti che l’ufficio matricola definirebbe di massimo allarme. Parola di Ernesto Padovani, direttore della casa reclusione di Spoleto che ha sancito la riabilitazione di Peppino Pes da Sedilo e sta tracciando la strada della redenzione a tanti sardi. Anche attraverso l’effetto taumaturgico della cultura. Sta tutto in "un’esperienza eccellente", protagonisti cinque detenuti sardi, alunni della sezione dell’Istituto d’arte aperta in carcere, autori e produttori di un cd rom sul tema dell’acqua e delle fontane di Spoleto e della Sardegna. Con Trudu, gli artefici dell’opera premiata ad un concorso indetto dalla Sovrintendenza umbra, sono Pietro Paolo Melis, Salvatore Angelo Moni di Orune, Nicola Dettori di Nuoro e Gianni Paolo Piga di Berchidda, che scontano pesanti condanne "ma sono avviati benissimo sul percorso del recupero. Diversamente - rileva il direttore del penitenziario - l’operazione non sarebbe stata possibile. Il magistrato di sorveglianza non avrebbe mai dato a Trudu e Piga il permesso speciale di uscire dal carcere, andare a scuola, presentare, da portavoce dell’intero gruppo, la loro opera agli altri studenti. Si è trattato di un evento vissuto intensamente dai protagonisti e da tutti i ragazzi presenti". Il Cd è intitolato Panta rei (tutto scorre) e il pensiero di Eraclito non poteva rappresentare meglio contenuto e sostanza di un’opera di altissimo profilo sociale: le fontane di Spoleto ma anche le sorgenti che incarnano la storia della Sardegna, il culto dell’acqua che nell’Isola ha manifestazioni multiformi. Se Gianni Paolo Piga ha curato gli effetti sonori, lo sviluppo del software e il coordinamento redazionale, Mario Trudu la voce narrante del cd. Recita con straordinaria partecipazione emotiva le poesie dei classici. "I detenuti si sono appassionati - dice Ernesto Padovani - la comunità di Spoleto è stata contagiata positivamente. L’obiettivo, importante, è stato raggiunto. Non potevamo sperare di meglio da un progetto in cui credevamo, nato anche grazie all’impegno dell’insegnante Lidia Antonini, coordinatrice responsabile dell’iniziativa. Non appena pubblicato, il cd è stato diffuso largamente. E una copia è arrivata direttamente dall’istituto d’Arte di Spoleto al presidente della Pro loco di Arzana Raffaele Sestu e ai familiari di Mario Trudu. "Quest’opera dei detenuti - sottolinea Sestu - costituisce un modello di imitazione positiva. Ai nostri giovani è utile l’esempio di persone che saldano il loro debito e nel contempo si stanno redimendo". Per la Pro loco la soddisfazione è duplice. "Fa piacere - continua il presidente - che gli artefici dell’iniziativa ci abbiano spedito una copia del cd individuandoci come un referente. Sentiamo riconosciuto il lavoro svolto da tutti i soci per dare del paese un’immagine diversa rispetto al passato e indubbiamente più fedele alla realtà". Nel carcere di Spoleto l’esperimento è riuscito. Tutto scorre: tanto l’opera di redenzione di chi ha sbagliato quanto il fiume della speranza. Immigrati: disegno legge di An introduce reato di clandestinità
Il Manifesto, 30 luglio 2004
Il partito di Fini torna alle origini e presenta un disegno di legge che introduce il reato di immigrazione clandestina: arresto fino a quattro anni. Prevista anche l’espulsione dei venditori di merce taroccata e un ministero dell’immigrazione. La sinistra tace. A volte i politici non bisogna prenderli troppo sul serio. A volte sì. Per esempio, la mitica svolta di Gianfranco Fini, quando in ottobre addirittura minacciò di far le barricate per garantire il diritto di voto agli stranieri, ecco, quella era una palese buffonata che serviva solo a regolare qualche conticino aperto con i più destri del suo partito. Sulla pelle degli stranieri. Adesso, visti i punti "qualificanti" del disegno di legge presentato ieri da An per modificare in peggio la Bossi-Fini, è fin troppo facile chiamare le cose con il loro nome (sono fascisti), ma resta da capire a quale giochino stiano giocando i peggiori uomini del segretario di An. Sempre sulla pelle degli stranieri. I quali, dieci mesi dopo, un tempo infinito per politici senza principi, vengono trattati come carne da macello per rinvigorire lo scontro nel centrodestra - e continuare ad attaccare il ministro Pisanu - da quando la Consulta ha cassato due norme anticostituzionali della Bossi-Fini. Difficile pensare che questo sgradevole ritorno alle origini che puzza di olio di ricino possa tradursi in qualcosa di più consistente di una boutade tra camerati, ma non per questo non bisogna prenderlo sul serio, se non altro perché rivela l’anima autenticamente razzista del partito di Fini. Il paradosso è che per aggirare la sentenza della Consulta, che ha cercato di stabilire un minimo di uguaglianza tra cittadini italiani e stranieri, An continua a rilanciare norme liberticide che fanno a pugni sia con il diritto che con la realtà. La Consulta ha stabilito che non si può arrestare il cittadino straniero che non lascia il territorio pur avendo ricevuto il foglio di via perché trattasi di semplice reato amministrativo? E il mite Giampaolo Landi (An), primo firmatario del ddl, per tagliare la testa al toro propone l’introduzione del reato di clandestinità, con l’arresto obbligatorio e la reclusione da 1 a 4 anni (ci sarebbe nuovo lavoro per la Consulta, e nel settore dell’edilizia carceraria). Lo stesso uomo, Landi da Chiavenna, ha proposto nientemeno che un ministero dell’immigrazione, proposta che secondo La Russa "può far discutere ma sarebbe di grande significato". Paolo Cento (Verdi) non ha nessuna voglia di discuterne e parla di proposta forcaiola. "Ostacoleremo con forza ogni tentativo di introdurre in Italia il reato di immigrazione clandestina - spiega - così come giudichiamo culturalmente sbagliata la proposta di un ministero per l’immigrazione: semmai occorre potenziare i ministeri competenti sulla solidarietà sociale come risposta di civiltà al fenomeno dell’immigrazione". Per la serie non c’è limite al peggio, la proposta di legge prevederebbe anche la revoca del permesso di soggiorno per tutti i lavoratori "extracomunitari" che producono, vendono o distribuiscono merce taroccata. Il rastrellamento di massa - e perché non per gli italiani? - si tradurrebbe subito in espulsione, e per i recidivi magari in qualche annetto di carcere. Naturalmente, e qui An sfonda porte aperte, tanto che né la Consulta né il centrosinistra hanno da ridire, va da sé che bisognerà costruire nuovi centri di detenzione. E, per finire, i post-fascisti, con piglio micragnoso, fanno anche i conti della serva proponendo "un ufficio dell’anagrafe tributaria dei cittadini extracomunitari per verificare la regolare predisposizione delle dichiarazioni annuali dei redditi percepiti". Troppo poco per essere bastardi dentro? E allora, accertiamo e verifichiamo anche "la regolarità fiscale e valutaria delle rimesse di valuta effettuate dagli stranieri verso paesi non appartenenti alla Ue". Immigrati: Bari dice no al nuovo centro di detenzione
Liberazione, 30 luglio 2004
Un altro centro di permanenza temporanea si appresta ad essere eretto, stavolta nella periferia barese, nel popolosissimo e popolarissimo quartiere San Paolo; l’obbrobrio dei diritti umani imperversa addirittura a ridosso di Lama Balice, uno di quei canaloni naturali del nostro territorio che, raccogliendo le acque pluviali, servono a mantenere sano l’assetto idrogeologico; tanto per cambiare, i nulla osta e le autorizzazioni sono stati dati con eccessiva foga e repentinità; non solo: tutta la documentazione è giunta in mano all’allora opposizione di centro-sinistra, dopo un’interpellanza del gruppo consiliare dei Ds, quando erano ormai scaduti i tempi per un ricorso amministrativo. La costruzione, con appalto dato alla ditta Matarrese di turno, è anche a due passi dal campo profughi nell’aeroporto militare di Bari Palese, che la scorsa estate ha funto da centro di identificazione per i richiedenti asilo, vera e propria zona grigia del diritto, nell’assenza di una legge organica nel nostro paese in materia di rifugiati. Proprio questo dato, che ha fatto di quel campo profughi un terreno di sperimentazione nazionale delle nuove forme (che sono anche, se non innanzitutto, sostanza) di limitazione della libertà di circolazione, suscitò nel luglio scorso le proteste delle realtà che hanno organizzato il no border camp a Frassanito di Otranto (tant’è che all’indomani del campeggio si attuò una iniziativa di disobbedienza in cui alcuni compagni e compagne entrarono nell’aeroporto militare) e di molte associazioni antirazziste baresi, che sopportarono settimane di mobilitazione permanente sotto un caldo torrido, con il telefonino sempre acceso, pronti e pronte ad intervenire ad ogni minaccia di espulsione, a fare bus stopping e plane stopping ad ogni frettoloso rimpatrio, dall’Arci ai Padri Comboniani, dal Forum dei diritti a Rifondazione. Ma questa volta è diversa. Il Cpt innanzitutto non piace al quartiere. Il 13 marzo scorso si è tenuta una gremita assemblea alla scuola Lombardi, dove cittadine e cittadini della zona dove sta sorgendo il Cpt, rappresentanti della circoscrizione, del sindacato, delle associazioni, delle forze politiche hanno detto il loro no ad un altro luogo di reclusione e di invisibilità, proprio come le periferie delle città (e non è certo casuale il fatto che molti di questi centri vengano costruiti in periferia se non addirittura in aperta campagna). Inoltre, la Rete contro il Cpt si è allargata a realtà come la Cgil, Psichiatria Democratica, l’associazione Giraffah, in un elenco in crescendo. Non da ultimo, il nuovo sindaco di Ulivo e Prc, il Pm antimafia Michele Emiliano, ha preso a cuore la questione e si è impegnato, già in un incontro con le associazioni tenutosi prima della campagna elettorale, di individuare strumenti normativi e atti amministrativi utili a bloccare l’entrata in funzione di un altro "carcere atipico". Il 5 giugno e il 24 luglio scorsi si sono svolti due presidi, rispettivamente in Piazza Prefettura e nella strada adiacente al costruendo Cpt; in entrambe le occasioni erano presenti parlamentari e amministratori locali - fra cui il neo-assessore con delega anche all’accoglienza al comune di Bari, Pasquale Martino (segretario regionale del Prc); un assaggio delle molte future iniziative con cui la società civile barese tenterà di impedire l’apertura del centro. Come si legge nel documento delle associazioni, "Bari non ha bisogno di ulteriori luoghi di reclusione né di ulteriori investimenti in operazioni di facciata; il Cpt che si sta costruendo al quartiere San Paolo, sottrae fondi al welfare municipale (…). Questi centri sono imposti dall’alto, senza alcuna considerazione dei bisogni dei territori in cui vengono costruiti e della volontà dei cittadini di non ospitare sul territorio nessun luogo di privazione del diritto". Le nuove pene contro il maltrattamento degli animali
Giornale di Brescia, 30 luglio 2004
Roma. Dal domenica primo agosto gli animali saranno più protetti e scatterà il carcere per chi li abbandona o mette in atto violenze nei loro confronti. La legge anti-maltrattamento, approvata in via definitiva dal Senato l’8 luglio scorso, ha avuto tempi record per la sua entrata in vigore. Sarà pubblicata infatti il domani in Gazzetta Ufficiale per avere pieno titolo di applicazione il giorno dopo la sua pubblicazione. Lo ha annunciato Forza Italia in una conferenza stampa per illustrare le linee guida della legge. "Rispettato un fondamentale appuntamento con la civiltà", hanno commentato il ministro degli Esteri, Franco Frattini e il coordinatore nazionale di Forza Italia, Sandro Bondi. Ecco in sntesi i contenuti della legge.
Maltrattamento e doping
Reclusione da 3 mesi a un anno o multa da 3.000 a 15.000 euro per chi causa una lesione a un animale, danno alla salute, sevizie, lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. Aumento della metà se deriva la morte dell’animale.
Da contravvenzione a delitto
Questa elevazione non permette l’estinzione del reato con una semplice oblazione e allunga la prescrizione a 5 anni (7 e mezzo se prorogata) a fronte degli attuali 2 (3 se prorogata).
Abbandono di animali
Arresto fino a un anno o ammenda da 1.000 a 10mila euro. Anche per detenzione incompatibile con la natura degli animali e produttiva di grandi sofferenze.
Spettacoli
Con sevizie o strazio, reclusione da quattro mesi a due anni e multa da 3mila a 15mila euro. Aumento di un terzo se vi sono scommesse o se ne deriva la morte dell’animale impiegato.
Uccisione per crudeltà
Reclusione da 3 a 18 mesi. Si supera la distinzione fra uccisione di animale altrui considerato "patrimonio" e uccisione di animale proprio senza maltrattamento o di animale di "nessuno" (previsione finora limitata a cani e gatti ma senza specifica sanzione).
Combattimenti e competizioni non autorizzate
Reclusione da 1 a 3 anni e multa da 50mila a 160mila euro per chi promuove, organizza o li dirige. Aumento di un terzo della pena se presenti minorenni, persone armate o promozioni video.
Scommesse
Reclusione da tre mesi a due anni e multa da 5mila a 30mila euro anche per chi alleva, addestra e fornisce animali da combattimento.
Pelli di cani e gatti
Per chi le commercia arresto da 3 mesi a un anno o ammenda da 5mila a 100mila euro, confisca e distruzione del materiale.
Vivisezione
Reclusione da 3 mesi a un anno o multa da 3.000 a 15mila euro.
Condanna su richiesta delle parti
Sono sempre disposti la confisca degli animali impiegati sia per i combattimenti che per i maltrattamenti e l’affidamento verrà fatto alle associazioni con spese anticipate dallo Stato che potrà rivalersi sul condannato. È disposta anche la sospensione da tre mesi a tre anni dell’eventuale attività di trasporto, commercio o allevamento di animali. In caso di recidiva è disposta interdizione.
Interessi lesi
Le associazioni animaliste riconosciute perseguono finalità di tutela degli interessati lesi dai reati previsti dalla legge.
Applicazione della legge
Creazione di un coordinamento tra le Forze dell’Ordine. La vigilanza è ristretta agli animali d’affezione per le guardie particolari giurate delle associazioni. Le feste locali riconosciute dalle Regioni saranno escluse dalle previsioni della legge. Le entrate derivanti dalle sanzioni saranno destinate dallo Stato alle associazioni affidatarie degli animali sequestrati o confiscati. È Internet la nuova frontiera del narcotraffico
Rai Net News, 30 luglio 2004
Grazie a un sofisticato sistema di e-mail, Cosa Nostra e ‘ndrangheta per oltre due anni hanno piazzato sul mercato italiano cocaina per un valore di oltre 10 milioni di euro. Gli spacciatori creavano delle caselle di posta elettronica nelle quali si limitavano a comporre messaggi mai inviati. Il destinatario, a conoscenza di password e nome utente del titolare, si limitava a entrare nella casella e a leggere l’e-mail archiviata È Internet la nuova frontiera del narcotraffico. Lo rivela l’ultima operazione antidroga della mobile di Palermo, coordinata dalla Dda, che ieri ha portato all’emissione di 30 ordinanze di custodia cautelare. Grazie a un sofisticato sistema di e-mail, gruppi criminali, pronti a stringere alleanze per gestire il business della polvere bianca, per oltre due anni hanno piazzato sul mercato italiano chili di cocaina per un valore di oltre 10 milioni di euro. Dietro il business, la mano di Cosa Nostra, disposta a investire soldi sporchi nell’acquisto dello stupefacente, in società con la ‘ndrangheta calabrese. La "roba", comprata in sud america, arrivava sulle piazze italiane di Palermo, Roma e Milano, attraverso l’Olanda e la Spagna. I pusher si rifornivano dai boss attraverso intermediari insospettabili, ma anche attraverso nomi noti agli investigatori. Come Gianfranco Puccio, arrestato due anni fa con il figlio del padrino di Corleone Totò Riina, Giuseppe Salvatore. Imprenditore edile, Puccio sconta in carcere una condanna a 8 anni per associazione mafiosa. L’inchiesta ha preso il via dai "gradini" più bassi dell’organizzazione: piccoli pusher, spesso assuntori di droga che smerciavano la cocaina nei salotti della buona società palermitana. Tra loro c’è anche il figlio di un penalista palermitano, Giulio Romano, e nell’inchiesta risulta coinvolto anche Fabrizio Romoli, vice sovrintendente di Polizia in servizio presso la stradale di Ladispoli, che acquistava e rivendeva stupefacenti sul mercato romano. Dalle pedine minori, gli investigatori sono risaliti, attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, ai personaggi di rilievo come Andrea Cacioppo e Antonino Cangelosi - che avrebbero fatto da tramite con Cosa Nostra - e a boss della mafia e narcotrafficanti calabresi come Giovanni e Paolo Talia e Antonio Palumbo, detenuto in Spagna. Il meccanismo, studiato per conversare in tranquillità della merce da piazzare, era semplice: gli spacciatori creavano delle caselle di posta elettronica nelle quali però si limitavano a comporre messaggi mai inviati. Le e-mail, infatti, non venivano spedite, ma salvate in bozza. Il destinatario, conoscendo password e nome utente del titolare, si limitava a entrare nella casella e a leggere l’e-mail archiviata. Per rendere ancora più complessa l’intercettazione dei messaggi, i presunti trafficanti si servivano anche di schede gsm acquistate in serie e non riconducibili ad alcun intestatario e di cellulari e Pc portatili che, non essendo ricollegabili durante la navigazione in Rete ad alcuna utenza Telecom, non potevano portare al titolare né a un provider di zona e quindi a un luogo fisico preciso. Volterra: Compagnia della Fortezza, dal carcere alla tournee
Redattore Sociale, 30 luglio 2004
Gruppo di attori detenuti presso il penitenziario di Volterra durante una sequenza dello spettacolo "I Pescecani ovvero quel che resta di Bertold Brecht". "Fotografo da sei anni la Compagnia della Fortezza e i suoi spettacoli. Cosa posso dire di questa esperienza? Che mi diverto. Il gruppo di attori è straordinario nella sua capacità di essere unito, di superare gli ostacoli di una burocrazia terribile, di apprezzare i momenti di vita, lo stare insieme che noi nella nostra normale quotidianità tendiamo a dare per scontati". Stefano Vaja racconta così la sua esperienza, umana e professionale, con il gruppo di attori detenuti presso il penitenziario di Volterra. In questi giorni, nell’ambito del Festival Volterra Teatro, è allestita presso il cortile della pinacoteca di Volterra la sua "La Compagnia della Fortezza dal carcere alla tournèe", mostra fotografica che in 52 scatti a colori raccoglie un anno di vita degli attori, dalla realtà quotidiana del carcere alla tournèe che nel corso di questo 2004 ha portato la compagnia in vari teatri italiani. La mostra è divisa in tre sezioni. La prima, circa 15 fotografie, vuole portare alla luce quello che da fuori rimane difficile immaginare: la vita di ogni giorno all’interno di un carcere che, nei limiti intrinseci ad un penitenziario, riesce ad essere non solo un luogo di punizione e pena. I detenuti hanno la possibilità di studiare (sono attive elementari, medie e geometri), lavorare, frequentare corsi di pittura. Le foto li ritraggono nelle loro celle – dove la sera possono cucinare – o mentre sono coinvolti nelle attività, in mensa, nella sartoria in cui realizzano pigiami per altre carceri. Gli scatti sono accompagnati da brevi testi che descrivono quello che le foto già comunicano, e riportano parole e riflessioni dei detenuti. La seconda sezione della mostra è dedicata a "I Pescecani ovvero qual che resta di Bertold Brecht", spettacolo presentato al Festival di Volterra nel luglio del 2003. Circa 20 immagini per fissare nella mente la fatica dei mesi delle prove e uno spettacolo "rumoroso, pieno di ritmi, divertente, amaro, spiazzante", in cui 70 protagonisti su una scena "claustrofobia" e monocromatica – rosso totale – lanciano un "grido delirante di denuncia contro la folle malattia che sta contagiando il mondo (…) dove sete di denaro, arroganza e potere sono tipiche dei pescecani che ormai stanno divorando tutto". Altre 15 foto chiudono la mostra presentando la tournèe che si è conclusa nel maggio scorso e che ha portato "I Pescecani" nei teatri d’Italia, toccando Genova, Napoli, Mantova. Gli scatti si soffermano sugli attori in pullman, durante gli spostamenti da una sede all’altra, nelle hall degli alberghi. Cercano di cogliere l’emozione di attori veri che si preparano a recitare, la soddisfazione di essere in compagnia di mogli, madri, parenti e amici, la tensione dei controlli dei carabinieri per ottenere le autorizzazioni, fino al ritorno in carcere ad affrontare la vita di ogni giorno. Uno dei protagonisti ha avuto il suo primo permesso nell’aprile scorso, dopo dieci anni di carcere. La sua libertà non l’ha spesa per tornare a casa ma per unirsi al suo gruppo e andare a recitare a Reggio Emilia. Forse basta questo per far capire cosa dev’essere la Compagnia della Fortezza, per chi la vive e per chi la osserva.
|