Rassegna stampa 1 luglio

 

Riforma della giustizia: la Camera vota la fiducia

 

La Repubblica, 1 luglio 2004

 

Il governo ottiene la fiducia sulla riforma della giustizia. Con 331 voti favorevoli e 229 contrari, la Camera ha detto sì al maxi emendamento sul disegno di legge di delega al governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario. Tutti gli emendamenti presentati sono così decaduti e il provvedimento può passare al Senato.

L’auspicio espresso dal ministro della Giustizia, Roberto Castelli, è che a Palazzo Madama la riforma "possa essere approvata entro luglio, e senza che si ponga la fiducia". I deputati dell’opposizione hanno partecipato al voto. I parlamentari del centrosinistra hanno iniziato a sfilare davanti al banco della presidenza dell’aula di Montecitorio dopo l’arrivo, ed il voto, del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e del vice premier Gianfranco Fini.

"Non abbiamo partecipato alla prima chiamata - spiega il diessino Pietro Ruzzante - per protesta nei confronti della scelta del governo di porre la fiducia su un provvedimento così importante. Dopo che Berlusconi ha votato, abbiamo deciso di partecipare al voto anche noi, ovviamente votando contro".

Fra le novità più importanti contenute nella riforma, la netta separazione di funzioni per Pm e giudici con concorsi d’accesso separati; l’istituzione della Scuola per la magistratura; il divieto, per i magistrati, di iscrizione a partiti e movimenti politici; la censura per le sentenze contrarie alla "lettera e volontà della legge"; la responsabilizzazione dei procuratori, che sceglieranno i vice per assegnare e togliere loro i compiti; gli incarichi direttivi temporanei; i concorsi per fare carriera.

Intanto la giunta dell’Associazione nazionale magistrati ha annunciato per oggi pomeriggio una conferenza stampa, ma già ieri il presidente dell’Associazione, Edmondo Bruti Liberati, aveva ribadito l’opposizione alla riforma ("Contro la Costituzione e contro la magistratura") da parte della magistratura associata e ricordando "il più totale e radicale dissenso" già espresso con lo sciopero del 25 maggio scorso (e un coro di "no" giunge anche dalle correnti dell’Anm). "L’ordinamento giudiziario è una legge complessa - ha sottolineato Bruti Liberati -, disciplina uno dei poteri dello Stato, incide in modo diretto sulla tutela dei diritti dei cittadini.

La si approva, chiudendo ogni confronto e approfondimento, a colpi di maggioranza". Critiche, quelle mosse dall’Anm, che il guardasigilli Roberto Castelli (per il quale "questo voto è un’iniezione di fiducia per la Cdl" dopo le elezioni "perché ne usciamo con un segnale di compattezza) rimanda alla Corte costituzionale: "Se il provvedimento è incostituzionale - afferma il ministro - Bruti non ha da temere perché la Corte lo casserà e questo vale anche per le critiche mosse dal Consiglio superiore della magistratura. Comunque, noi abbiamo fatto il possibile per togliere ogni elemento di incostituzionalità - conclude Castelli - ma la materia è complessa, e sul fatto che non ci sia più alcun elemento di incostituzionalità non può giurarci nessuno". Duro il commento di Piero Fassino.

Aver posto la fiducia sulla riforma dell’ordinamento giudiziario è "gravissimo", ha detto il segretario dei Ds. "Questo provvedimento - ha aggiunto - rappresenta non una riforma ma una restaurazione. E’ un fatto gravissimo che sia stata posta la fiducia su una legge così importante sull’ordinamento giudiziario che viene contestata da tutti gli operatori della giustizia, non solo dai magistrati". "Senza la fiducia - ha aggiunto - su questo provvedimento non ci sarebbe stata coesione all’interno della stessa maggioranza. La Cdl ha dato un’altra prova di sacrificio dell’interesse del Paese ad una buona riforma a vantaggio delle necessità dettate dalla loro crisi interna che è sempre più incomponibile".

Sicurezza: Pisanu, scarcerazioni facili e lungaggini giudiziarie

 

Asca, 1 luglio 2004

 

Malgrado i successi riportati nel campo della sicurezza il nostro paese assiste ancora "ad eventi sconcertanti, come la reiterazione dei reati da parte degli stessi soggetti che vanno ripetutamente in carcere e ne escono con troppa facilità o come certe lentezze della giustizia che lasciano lungamente inevase migliaia di richieste di arresto anche per reati molto gravi".

È quanto ha sottolineato il Ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu che ha fatto rilevare come questi episodi producano "effetti devastanti sulla sicurezza in generale e, in particolare, sul morale degli operatori delle Forze dell’Ordine che si impegnano e si sacrificano per assicurare i delinquenti alla giustizia".

"Devo dunque rinnovare qui l’auspicio, che ho già espresso alla Camera, - ha subito aggiunto Pisanu - quando sottolineai l’opportunità di un’attenta riflessione anche di carattere ordinamentale da parte del Parlamento e del Governo". Il responsabile del Viminale, intervenendo alla cerimonia di chiusura dell’Anno accademico della Scuola di perfezionamento delle Forze di Polizia a Roma, ha insistito anche sull’importanza della cooperazione tra le diverse forze ed i sistemi di sicurezza. "La sicurezza è, oggi più che mai, - ha infatti affermato - il prodotto di un sistema complesso, le cui molteplici componenti, nazionali e locali, centrali e periferiche, pubbliche e private, sono chiamate ad interagire e cooperare sempre più strettamente all’interno della salda cornice unitaria definita dalla tradizione giuridica italiana e sancita dalla Costituzione".

Una "cultura" del coordinamento, ha insistito il ministro, che deve tradursi in "effettiva collaborazione tra le Forze di polizia" e che ha fatto scaturire "molti dei recenti successi nella lotta alla delinquenza comune, all’illegalità diffusa, al crimine organizzato e al terrorismo, interno e internazionale. Quando c’è coordinamento diventa più agevole e più efficace il controllo dei territori fisici e virtuali, - ha aggiunto Pisanu - base irrinunciabile di ogni politica di sicurezza. Su questa base, infatti, è possibile sviluppare al meglio tanto le attività di prevenzione quanto le attività di repressione. Mi limito qui a citare, - ha concluso - rifacendomi alla cronaca più recente, quelle che hanno permesso di liberare le vittime dei sequestri di Trento e Voghera".

Sicurezza: Pisanu, fondamentale coordinamento forze polizia

 

Agi, 1 luglio 2004

 

Il coordinamento è "la chiave di volta per il governo degli apparati dello Stato preposti alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico". Lo ha ribadito il ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu, intervenendo alla cerimonia di chiusura dell’anno accademico 2003 - 2004 della Scuola di perfezionamento delle forze di polizia.

Il coordinamento - ha sottolineato il ministro - è prima di tutto una cultura, un modo di pensare e di porsi nella dinamica dei rapporti di collaborazione tra le forze di polizia. Ed è proprio dall’effettiva collaborazione tra le forze di polizia che sono nati molti dei recenti successi nella lotta alla delinquenza comune, all’illegalità diffusa, al crimine organizzato e al terrorismo. Quando c’è coordinamento diventa più agevole e più efficace il controllo dei territori fisici e virtuali, base irrinunciabile di ogni politica di sicurezza. Su questa base, infatti, è possibile sviluppare al meglio sia le attività di prevenzione sia quelle di repressione: mi limito qui a citare, rifacendomi alla cronaca più recente, quelle che hanno permesso di liberare le vittime dei sequestri di Trento e Voghera".

Per Pisanu, "coordinamento, controllo del territorio e prevenzione, accompagnati da una forte capacità di indagine, sono armi efficacissime per combattere un nemico particolarmente agguerrito come il crimine organizzato, in tutte le sue forme. Anche in questo campo abbiamo raccolto risultati notevoli, come dimostra il numero dei latitanti eccellenti arrestati nell’ultimo anno e nei primi mesi di quello in corso: eppure, la soddisfazione per questi importanti successi si offusca quando si assiste ad eventi sconcertanti, come la reiterazione dei reati da parte degli stessi soggetti che vanno ripetutamente in carcere e ne escono con troppa facilità o come certe lentezze della giustizia che lasciano lungamente inevase migliaia di richieste di arresto anche per reati molto gravi. Si tratta di fatti che producono effetti devastanti sulla sicurezza in generale e sul morale degli operatori delle forze dell’ordine che si impegnano e si sacrificano per assicurare i delinquenti alla giustizia".

Roma: ragazzi in misura penale ricostruiscono giardino romano

 

Adnkronos, 1 luglio 2004

 

Si terrà il 5 luglio prossimo alle ore 11 la consegna alla città di Roma da parte del Centro Giovani "La Bulla" della Cooperativa Cecilia della ricostruzione di un giardino romano, a conclusione di un progetto iniziato nel 2000 nel quale sono stati inseriti, nel corso di quattro anni, circa trenta ragazzi, italiani e stranieri, sottoposti a procedimento penale, come gesto di riconciliazione e restituzione del danno. La consegna dei lavori avverrà alla presenza degli assessori comunali, Gianni Borgna (Cultura) e Luigi Nieri Periferie e Lavoro), della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, del Centro Giustizia Minorile del Lazio e del Tribunale per i Minori di Roma. Obiettivo prioritario del progetto è stato quello di favorire, attraverso l’approccio culturale ed un percorso rieducativo, il reinserimento nel contesto sociale di adolescenti e giovani entrati nel circuito penale.

Oristano: agenti di polizia diventano autisti, la protesta dell’Ugl

 

L’Unione Sarda, 1 luglio 2004

 

Agenti di polizia penitenziaria impiegati come autisti personali dei collaboratori amministrativi della casa circondariale di piazza Manno. La denuncia arriva dall’Ugl che segnala come "gli agenti provvedano ad accompagnare alla scuola di formazione di Monastir i collaboratori che devono seguire corsi di aggiornamento". Il sindacato però va oltre e chiede che venga avviata un’indagine amministrativa e "si metta la parola fine allo spreco di risorse economiche, ma soprattutto umane, sottratte ad un organico sempre più ridotto - scrive il vicesegretario regionale Adriano Sergi - Si corre il rischio di mettere in pericolo la sicurezza degli istituti penitenziari per soddisfare solamente dei capricci personali".

Tanto più che in un carcere come quello di Oristano il personale è già stato notevolmente ridotto negli ultimi anni. "In piazza Manno siamo al limite della capienza con centoquindici detenuti - aggiunge il vicesegretario Sergi - La situazione è molto difficile e ridurre ulteriormente il numero delle guardie significa non garantire più i loro diritti dei detenuti e la sicurezza lavorativa".

Nella nota del sindacato viene sottolineato che gli "agenti autisti" sono costretti ad attendere il corsista per l’intera giornata (e quindi dalle 8 alle 17) mentre potrebbero svolgere compiti più utili all’interno del carcere e non vengono nemmeno retribuiti per le ore di straordinario. Immaginabile il malumore tra gli agenti carcerari che tramite il loro sindacato hanno lanciato il loro grido d’allarme e di vibrata protesta. "Il nostro augurio è che le autorità competenti prendano provvedimenti al più presto perché la situazione inizia a diventare sempre più preoccupante e insostenibile", conclude il vicesegretario dell’Ugl.

Renato Soru: giù le mani dall’Asinara, l’isola ci appartiene

 

L’Unione Sarda, 1 luglio 2004

 

Altolà, l’Asinara non si tocca. È un’area naturalistica e un’area naturalistica deve restare. Niente ritorno al passato, dunque. Niente carcere, neppure sul modello delle strutture aperte, con i detenuti (ritenuti a bassa pericolosità) che si occupano di piante e sentieri del parco. Dopo l’ipotesi di una possibile riapertura dell’istituto di pena nell’isola (o meglio a Cala Reale, ancora di proprietà dello Stato), la prima uscita del nuovo presidente della Regione Renato Soru è proprio sull’Asinara. Soru annuncia che chiederà un incontro al ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli. Per chiedere cosa? Intanto per ottenere l’assegnazione totale delle aree e dei beni ancora in possesso dello Stato sulla base di quanto sancito dalle norme contenute nello Statuto sardo. Un passo importante che chiuderebbe tutte le possibili strade a un utilizzo diverso dell’Asinara dopo la chiusura del carcere di massima sicurezza e la conseguente smobilitazione.

"Riteniamo che un bene prezioso, un’area naturalistica di inestimabile valore - ha sottolineato il presidente della Regione - non debba essere destinato a fini diversi da quelli stabiliti dalle popolazioni locali e le amministrazioni che le rappresentano". La riaffermazione di un principio si accompagna a un annuncio: "Percorreremo quindi tutte le strade più opportune per raggiungere questi obiettivi in piena sintonia con le comunità locali. Non intendiamo recedere da questo principio generale che deriva - ha aggiunto Soru -, al di là delle questioni burocratiche o in osservanza di non meglio specificati usi governativi, dal diritto sacrosanto della collettività di disporre dei propri beni e del proprio territorio in piena autonomia senza interferenze o imposizioni da parte né dello Stato né tanto meno dei dipartimenti penitenziari romani".

La possibilità di sottrarre un pezzetto dell’isola per rilanciare l’attività penitenziaria è arrivata attraverso una lettera firmata dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra. Il funzionario aveva scritto proprio al presidente della Regione sarda per invitarlo a organizzare una conferenza dei servizi fra gli enti interessati a Cala Reale. Urgono, ha scritto Tinebra, "urgenti lavori di recupero degli immobili in suo possesso". In realtà la situazione degli edifici non deve essere delle migliori. Tanto è vero che un gruppo di ispettori del Demanio di Sassari, dopo un sopralluogo su specifico incarico della Procura regionale presso la sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti, avevano lanciato mesi fa una allarme.

Ristrutturazione uguale detenuti nell’isola? No, secondo il presidente dell’Ente parco, Piero Deidda. Ma Renato Soru vuole innanzitutto capire e per questo chiede un incontro con Castelli.

Avezzano: pestaggio avrebbe ucciso il detenuto marocchino

 

Il Messaggero, 1 luglio 2004

 

L’ipotesi di un pestaggio in piena regola fin quasi alle soglie della morte. Emerge chiaramente dalle indagini condotte in carcere dagli uomini della squadra di Polizia giudiziaria del Commissariato di Avezzano agli ordini del Sostituto commissario Domenico Palma dei Dirigente Marco Nicolai che hanno profuso nell’indagine, per le loro parti, tutto l’impegno. Un impegno in verità alquanto difficoltoso e scomodo dal momento che i due poliziotti hanno dovuto indagare per mesi sull’operato di alcuni loro colleghi. Ed infatti la procura della repubblica di Avezzano ha inviato a tre agenti della Polizia carceraria ed a tre detenuti in tutto sei avvisi di garanzia nei quali si ipotizza il reato di concorso in omicidio e favoreggiamento.

Una inchiesta delicata, delicatissima iniziata il 13 maggio scorso e per portare avanti la quale fu tenuto segreto anche il vero nome di quel detenuto chiamato prima Agrufay e infine l’altro giorno con il suo vero nome.

Il magistrato inquirente, Anna Maria Tracanna, dopo il rinvenimento del cadavere decise di non autorizzare la tumulazione della salma e di incaricare il professor Sacchetto dell’Università di Roma per un esame autoptico.

Ed eccola sempre più chiara la risposta dopo quell’esame: lesioni in varie parti del corpo dovute forse a percosse. Fu pestato, dunque. Ma qui cominciano altre ipotesi. Chi condusse quella "danza" si accorse che quell’uomo stava morendo? Provvide allora a far trovare il corpo dell’extracomunitario appeso ad un gancio con un lenzuolo?

Durante i controlli all’interno del carcere furono sequestrati diversi fascicoli e furono ascoltati anche alcuni operatori.

Iassine Adardour, 21 anni, ebbe innegabili contrasti con gli altri ecco perché decisero di isolarlo. All’alba fu trovato impiccato ad un gancio con un lenzuolo ma era ancora vivo. Fu portato d’urgenza al pronto soccorso dell’ospedale civile di Avezzano dove spirò poco dopo per soffocamento. Andiamoci piano, dunque con la ricostruzione e l’accertamento delle responsabilità. Se gli indiziati saranno mai rinviati a giudizio certamente faranno riferimento al fatto che quel detenuto quando arrivò al pronto soccorso era ancora vivo. E poi: decise lui di impiccarsi? Il pestaggio avvenne prima del tentativo di suicidio, certamente, ma ad opera di chi? Nel frattempo l’avv. Leonardo Cassiere, difensore degli agenti, chiederà un incidente probatorio per stabilire l’ora della morte e si è detto certo che i suoi clienti sono del tutto estranei.

Livorno: autopsia su corpo detenuto, procura convinta del suicidio

 

Il Tirreno, 1 luglio 2004

 

Ancora ignoti i motivi. L’unica cosa certa, per la procura, è proprio il suicidio. Domenico Bruzzaniti, 50 anni, martedì è stato trovato morto nella sua cella, impiccato con la cintola dei pantaloni appesa alle sbarre. Non un biglietto di spiegazioni ma un precedente, dicono, un precedente episodio in cui avrebbe tentato di uccidersi con il gas di una bomboletta da campeggio. Ieri il medico legale Luigi Papi ha eseguito l’autopsia "ma solo per scrupolo, non ci sono elementi che possano far pensare a una causa di morte diversa" spiegava il sostituto Giuseppe Rizzo. Bruzzaniti era rinchiuso nel braccio di massima sicurezza delle Sughere, in una delle aree più sorvegliate. Le guardie lo descrivono come una persona tranquilla. Eppure, fino al suo arresto, Bruzzaniti era considerato pericoloso, uno degli uomini emergenti della ‘ndrangheta.

Aveva ancora nove anni da scontare e un altro processo da affrontare. Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi (il detenuto trovato morto l’anno scorso alle Sughere), osserva: "Sappiamo tutti che in un carcere ai detenuti appena entrano vengono tolti i lacci delle scarpe, le cinture e tagliano persino i cappucci agli accappatoi. Come si è impiccato?".

Napoli: un Vangelo e il teatro per uscire dal carcere

 

Il Mattino, 1 luglio 2004

 

Il teatro è l’arte sociale per eccellenza. Presuppone che un certo numero di persone si riuniscano in un giorno, in un’ora e in un luogo determinati per partecipare a un autentico rituale collettivo che finge la vita e - proprio per questo - può ammaestrare circa la vita reale.

Dunque, non poteva non sfociare nel teatro il progetto "Il carcere possibile", curato per la Camera Penale di Napoli dall’avvocato Riccardo Polidoro e volto, per l’appunto, ad aprire alla società la dimensione asfittica dei detenuti. E giusto con quanto dicevo sopra si collega lo spettacolo "Vangelo di Matteo", presentato nel cortile del Maschio Angioino dall’Associazione Maniphesta e interpretato dai reclusi dell’istituto penitenziario di Secondigliano: l’ideazione di Alessandra di Castri, Giorgia Palombi e Susanna Poole e la regia della stessa Palombi puntano sulle forme e i ritmi di una cerimonia che lascia sistematicamente irrompere nelle alte parole del Sacro il soffio potente e prepotente di un "privato" particolarissimo e, perciò, tale da costituire una probante cartina di tornasole rispetto alla norma comunemente (e acriticamente o razzisticamente) accettata.

È sintomatico, del resto, che lo spettacolo s’ispiri al film di Pasolini: e non solo, ovviamente, per la contiguità di ceto dei suoi interpreti agli operai e ai sottoproletari utilizzati in quella pellicola; ma anche, e specialmente, perché, assai più degli altri Evangelisti, Matteo mise l’accento sull’umanità del Cristo. Singolarmente "caldo" suona nella Vulgata latina il siro-caldaico in cui scrisse colui che, non a caso, s’era chiamato Levi e aveva voluto farsi "piccolo" da pubblicano ch’era stato. E dell’invocazione finale di Gesù sulla croce ("Eli, Eli, lamma sabacthani?") afferma deciso che "vuol dire" ("quod est") "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Matteo, XXVII, 46), mentre Marco si limita ad osservare che in quel senso l’invocazione citata "s’interpreta" soltanto (Marco, XVI, 34).

Ecco, allora, che - tanto per fare un esempio - l’incontro/scontro fra Cristo e Satana si carica, qui, di un’urgenza e di una violenza che hanno radici in ben altri "duelli", senza che, però, si possa non sottolineare la circostanza che nessuno dei detenuti abbia voluto interpretare la parte di Giuda. Invece si sono accollati alla meglio anche i ruoli dei due compagni ai quali non era stato concesso il permesso di uscita.

Già, proprio la realtà che si sovrappone alla finzione, proprio la vita che si prende la rivincita sul teatro. Gli "spettatori" erano, in prevalenza, le mogli e i figli degli "attori": e perciò, alla fine, sono stati veri, e tenerissimi e toccanti, gli applausi per quegli "apostoli" vestiti di tuniche fatte con le lenzuola del carcere.

Bologna: bando da 2.5 milioni di € per progetti di solidarietà

 

Gazzetta di Parma, 1 luglio 2004

 

Fronteggiare il disagio sociale e l’emarginazione di persone svantaggiate, aumentandone il grado di occupabilità e facendo loro ritrovare fiducia e dignità sociale: è questo l’obiettivo di "Noi Con", il Consorzio promosso da Fondazione Alma Mater dell’Università di Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Fondazione Cesar e Cooperativa Oltremare. Il consorzio ripropone un bando di finanziamenti per fini sociali per il triennio 2004 - 2006, dopo il successo nel 2002 dei suoi finanziamenti a progetti per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

"Noi Con" mette a disposizione fino a due milioni e 505mila euro. Potranno concorrere ai finanziamenti _ avanzando candidature fino alle 12 del 23 luglio prossimo soggetti operanti nel Terzo settore: associazioni, cooperative, organizzazioni non governative, enti a carattere privato senza fine di lucro e forme di partenariato locale. I destinatari degli interventi sono uomini e donne a rischio di emarginazione a causa di problemi psico-fisici o economico-sociali, partendo dai portatori di handicap, sieropositivi, ex detenuti, tossicodipendenti, alcoolisti e finendo con le persone appartenenti a minoranze etniche, a categorie legate alla "nuova povertà", o al percorso della prostituzione.

L’anno scorso "Noi Con" ha finanziato 41 progetti di solidarietà in Emilia - Romagna, tre dei quali a Parma: in due casi ha favorito l’inserimento lavorativo di disabili psichici attraverso cooperative di solidarietà sociale, mentre un altro progetto ha aiutato le donne immigrate.

Cremona: carcere in musica, un concerto per i detenuti

 

La Provincia di Cremona, 1 luglio 2004

 

Domani mattina dalle 10 alle 13 presso la Casa circondariale di Cà del Ferro si terrà la festa concerto per i detenuti. L’iniziativa si svolge in collaborazione con EDA Centro Territoriale per l’Educazione in Età Adulta - servizio pubblico per la formazione permanente - a conclusione di un anno scolastico di attività educative e formative nel carcere di Cremona, tra le quali il Laboratorio Musicale e il Corso di Chitarra realizzati dalla Scuola Popolare di Musica di Arci grazie all’appassionato impegno volontario di Achille Meazzi, Gianluca Monti e Lorenzo Colace, la cui esperienza - realizzata da ottobre 2003 a maggio 2004 - verrà presentata in un apposito Convegno nel prossimo mese di settembre, anche al fine di valutarne i possibili sviluppi futuri. Ospite d’onore della mattinata sarà Cucciolo dei Dik Dik che interverrà proponendo un mix dei suoi brani migliori.

 

 

Precedente Home Su