Ma
anche i genitori sono colpevoli
di
Carlo Nordio
Il Messaggero, 19.02.2004
Ogni volta che un ragazzino commette un delitto grave, tanto più atroce quanto
più è inspiegabile o banale, ci ripieghiamo in noi stessi, domandandoci
attoniti come sia potuto accadere. Un tempo questi eventi erano visti con la
passiva rassegnazione che ci esentava da riflessioni critiche: ci appellavamo
alla cattiveria, all’ignoranza, alla miseria, al destino o a tutto questo
insieme. Oggi la nostra cultura rifiuta il fatalismo approssimativo, e tende a
individuare le responsabilità: quelle collettive, della società, dei mass
media, della scuola, che alimentano il cinismo e l’aggressività proponendo
modelli negativi. E quelle individuali, del padre e della madre, che rinunziano
irresponsabilmente ai loro doveri di educatori.
Non c’è dunque da stupirsi che il presidente del Tribunale dei minori di
Napoli, Stefano Trapani, abbia auspicato una legge che preveda una "responsabilità
penale aggiuntiva" a carico dei genitori, quando il figlio, autore di un
delitto, non sia stato allevato con la necessaria attenzione. "Ci sono ha detto
l’alto magistrato doveri da parte dei primi verso i secondi, e non solo
diritti. Bisogna verificare se si è adempiuto a questo dovere. E in caso
contrario è giusto punire anche loro". Opportunamente, il giudice ha ricordato
che esiste già una responsabilità civile, ma questa sarebbe insufficiente.
Occorre una sanzione più severa. La questione non è affatto nuova. Il vigente
Codice penale prevede, in modo peraltro generico, la responsabilità di chi
aveva il dovere di impedire il reato. Ma, a parte le difficoltà applicative
della norma, essa è strutturalmente lacunosa. Può valere nel caso di omicidio
o di lesioni, perché questi crimini sono previsti anche nella forma colposa. Ma
se il pargoletto rapina una banca, scippa un anziano o violenta una coetanea il
problema è insolubile, perché non esistono il furto, la rapina, o la violenza
sessuale colposi. E siamo al punto di prima.
Negli ultimi anni, tuttavia, la scienza penalistica ha elaborato delle figure
nuove, le cosiddette ”posizioni di garanzia”. Si tratta di persone sulle
quali gravano doveri di protezione e di controllo: di protezione, contro i danni
che i soggetti loro affidati possono subire, e di controllo, per quelli che
possono provocare. Oltre ai genitori, sarebbero garanti gli educatori, i datori
di lavoro, e altre categorie, via via fino ai poliziotti ed ai medici, nei
limiti, si intende, in cui esplicano il relativo potere di vigilanza e di cura.
Se il concetto è chiaro, la sua applicazione pratica non lo è altrettanto, e
rischia, in mancanza di una ponderata valutazione, di generare odiose iniquità.
Tutte queste persone ”garantite”, siano essi figli minori, pazienti
spedalizzati, lavoratori dipendenti o altro, godono di fatto di un buon margine
di incontrollabile autonomia. Si pensi ai ragazzi del liceo, quasi tutti minori
ma non per questo sottoposti alla rigida sorveglianza dell’insegnante o del
preside. Per i figli vale lo stesso principio: è impensabile che padre e madre
li piantonino fino al loro diciottesimo compleanno. Una sanzione penale nei loro
confronti si avvicinerebbe pericolosamente a quella responsabilità oggettiva
ripudiata da ogni ordinamento civile.
E tuttavia la proposta del giudice Trapani, che è comunque inserita, con
opportuni correttivi, nel nostro progetto del nuovo Codice penale, è ben più
significativa di una semplice tesi giuridica. Essa affronta l’aspetto sociale,
morale e pedagogico della decadenza dell’istituzione familiare. E’ difficile
pensare che un ragazzino giri per la città con un coltello in tasca senza che i
genitori si accorgano di nulla. E, salve le imprevedibili patologie della mente
umana, è ancor più difficile che non ne percepiscano le attitudini violente e
aggressive. Nella stragrande maggioranza dei casi, essi mancano della volontà
di comprenderle e ancor più di correggerle; talvolta le assecondano con i
cattivi esempi; talvolta le subiscono con quella negligenza colpevole che al
momento della tragedia essi stessi, per primi, accollano alla scuola, alla
società e comunque agli altri. La minaccia del carcere forse non eliminerà
questa funesta noncuranza. Ma se servisse a farli riflettere, sarebbe la
benvenuta.