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Il mistero della Cassa delle Ammende di Luigi Manconi e Andrea Boraschi
La Cassa delle Ammende è un ente di diritto pubblico, incardinato nel Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (quindi dipendente dal ministero della Giustizia), e suo presidente è il capo del Dipartimento stesso o un suo delegato. Del consiglio di amministrazione, oltre al presidente e ai dirigenti del Dap, fanno parte rappresentanti del Ministero dell’economia e delle finanze. La Cassa custodisce un fondo dove viene depositato il denaro proveniente dal pagamento di ammende e multe, oggetto di sentenze penali di condanna, e dove confluiscono beni mobili ed immobili confiscati alla criminalità. Le finalità della Cassa sono definite dal regolamento di esecuzione dell’ordinamento penitenziario, che all’art. 129 stabilisce come le risorse debbano essere destinate a progetti co-finanziati dall’amministrazione penitenziaria e da fondi europei, per interventi di assistenza economica in favore delle famiglie di reclusi e per programmi che favoriscano il reinserimento sociale di detenuti, anche nella fase di esecuzione di misure alternative alla detenzione. Insomma, una buona gestione dei fondi di cui la Cassa dispone potrebbe rivelarsi assai preziosa: ma quanto la legge opportunamente stabilisce è rimasto sin qui lettera morta. E per decenni. Fino ad oggi la Cassa delle Ammende non ha finanziato alcun progetto, nonostante disponesse, già nel dicembre del 2000, di 80 milioni di euro. In passato, il Dap ha giustificato questo ritardo con la mancanza di un regolamento interno, che disciplinasse le modalità di presentazione dei progetti e delle relative attività istruttorie. Questioni di modesta, modestissima burocrazia, se solo si considera la potenziale utilità sociale di quelle risorse. Ebbene, dopo mesi di pressione da parte dei Radicali (e, in particolare, di Iolanda Casigliani) e di Radio Carcere (la benemerita trasmissione curata da Riccardo Arena), dopo numerose interrogazioni parlamentari e articoli di stampa, dopo un appello firmato da centinaia di operatori penitenziari, questo regolamento, infine, è stato approvato il 18 febbraio 2004 ed emanato il 26 dello stesso mese. Per la verità, già il 15 maggio 2003, il ministro Castelli, rispondendo a una interrogazione parlamentare, dichiarava che il regolamento era stato elaborato e alcune richieste di finanziamento erano già all’esame. Il 4 febbraio 2004, poi, Castelli affermava che il Consiglio d’amministrazione della Cassa doveva ancora approvare il regolamento predisposto dal Dap; e che nel frattempo erano stati esaminati due progetti, per i quali era stato predisposto il finanziamento. E tuttavia, da quando quel benedetto regolamento è stato approvato, ogni richiesta di accesso a esso è stata respinta "per ragioni amministrative": fino a quando, il 30 luglio 2004, è stato inoltrato alle direzioni delle carceri e ai Provveditorati regionali. Ancora il 22 luglio, in risposta a un’interrogazione, Castelli ricordava l’avvenuta approvazione del regolamento, aggiungendo che due progetti (denominati "Va dove ti porta il cuore" e "La rete che cura") erano stati approvati in via definitiva; e che altri due erano all’esame. Questa, in sostanza, è la cronistoria farraginosa e – lo riconosciamo - un po’ noiosa di una vicenda che più "italiana" di così non si può: fatta, cioè, di buoni intenzioni e di quanto di più vischioso e paralizzante la cosa pubblica sia in grado di mettere in campo. Ora, dopo moltissimi anni di ritardi e di vuoti normativi, e dopo ancora un lungo periodo di inerzia, si intravede una qualche opportunità? Forse: e ci auguriamo che i progetti approvati siano meritevoli di finanziamento e utili agli scopi istituzionalmente previsti. Restano, tuttavia, alcuni tenaci e fastidiosi interrogativi. Perché il regolamento non è stato diffuso prima? Com’è possibile che siano stati finanziati due progetti prima che fossero rese pubbliche le modalità di presentazione degli stessi? E questi, uno sulla telemedicina e l’altro sull’assistenza psichiatrica, rientrano effettivamente nelle competenze e nelle finalità proprie della Cassa delle Ammende? E perché non si rende noto il bilancio della Cassa? Non solo. Il regolamento prevede una disparità di trattamento tra gli enti pubblici (per i quali sono previsti meccanismi di controllo) e gli enti privati (per i quali tali meccanismi non vengono richiesti). Infine, nel decreto del 2000 si fa riferimento all’assessorato alla sicurezza sociale della provincia territorialmente competente, il cui parere è necessario per la presentazione dei progetti. Poiché tale assessorato non esiste in tutte le province, il regolamento "risolve" il problema indicando l’amministrazione supplente con la formula "organismo analogo": e, così facendo, alimenta di fatto un nuovo vuoto legislativo. Che pasticcio, e che peccato. L’impiego assennato e lungimirante di quei fondi deve essere ritenuto utilissimo, finanche vitale, da chi abbia una qualche idea delle condizioni in cui versa l’amministrazione penitenziaria in Italia. Chi, come il ministro Castelli, si picca di conoscere le carceri del nostro paese meglio di chiunque altro, può cortesemente rispondere alle nostre domande?
Scrivere a abuondiritto@abuondiritto.it
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