|
Diritto penale, presto la svolta: l’ergastolo solo in casi limitati
Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2004
Per la riforma del diritto penale arriva il momento della verità. Ieri, nel corso di un convegno organizzato dalla Camera penale di Monza, è stato fatto il punto sullo stato di avanzamento dei lavori, sulle prospettive e sulle linee guida dell’intervento. La commissione Nordio, messa in campo dal ministero della Giustizia, ha terminato i lavori sulla parte generale; mentre anche sulla parte speciale è stata completata la redazione della maggior parte dei libri in cui si articolerà il nuovo Codice. Il sottosegretario alla Giustizia, Jole Santelli, ha tenuto a essere rassicurante: "Il Governo crede in questa riforma - ha precisato -. L’intenzione è quella di presentare il testo in Consiglio dei ministri il più presto possibile. Si tratta, del resto, di un progetto già messo in cantiere anche nelle passate legislature e che potrebbe adesso finalmente vedere la luce. Una revisione di molte delle norme e degli istituti oggi in vigore ci è stata sollecitata da più parti e penso sia arrivato il momento che dalla riflessione teorica si arrivi al confronto anche in Parlamento". Il vero nodo da sciogliere resta comunque politico, visto che andrà verificata la volontà del Governo di portare in Parlamento un testo-chiave per contrassegnare l’orientamento nelle politiche della giustizia di una maggioranza che spesso su questi temi ha dovuto fronteggiare non pochi dissensi interni. E tutto questo quando, a partire da questa settimana, con la decisione di mettere la fiducia sull’ordinamento giudiziario, è praticamente scontato che si andrà a un nuovo muro contro muro con l’opposizione. A chiarire meglio i contenuti della parte generale sono arrivati ieri i contributi di due dei più autorevoli tecnici della commissione Nordio: Antonio Fiorella, docente di diritto penale a Roma Tre, e Fabrizio Ramacci, docente di diritto penale alla Sapienza. Il primo si è soffermato sulla struttura del reato, mentre il secondo ha concentrato la sua analisi sul nuovo sistema sanzionatorio. Sono così emersi alcuni principi ispiratori del progetto. Primo tra questi, quello di offensività, e cioè la limitazione dell’intervento penale ai casi di effettivo danno e pericolo a interessi protetti. E sugli interessi protetti, anche se per una verifica sul campo sarà opportuno concentrare l’attenzione sulla parte speciale per verificare la natura dei beni considerati meritevoli di tutela, la promessa è quella di non procedere per categorie, ma di arrivare a una tipizzazione il più dettagliata possibile. Sul versante della successione di leggi penali nel tempo, introdotta su larga scala dal recente intervento sui reati societari, si andrà a una comparazione in concreto tra fatto criminale e sua possibile ricomprensione nella norma precedente e nella norma successiva. Sull’applicabilità nello spazio di leggi penali italiane, questo sarà possibile in una serie di casi che vanno dalla tratta di persone ai delitti contro la personalità dello Stato, alla tortura e al sequestro di persona. Nella valutazione della responsabilità è ovviamente decisivo il nesso di causalità che va verificato con rigore tanto nella azione che nel l’omissione. Proprio su quest’ultimo punto la commissione si è orientata per dare peso a un accertamento causale su base statistica che sia in grado di accantonare la semplice probabilità logica sulla quale sembra essersi avventurata di recente la Corte di cassazione. L’elemento soggettivo resta identificato con i soli dolo e colpa, senza figure intermedie ibride come il dolo di rischio. Perché ci sia dolo serve comunque la certezza dell’evento criminale o l’alta probabilità dello stesso. Dettagliato poi l’elenco delle scriminanti (che danno la possibilità al giudice di decidere per l’insussistenza del reato senza procedere oltre nell’inchiesta sulla responsabilità) e delle scusanti. Stessa casistica analitica sul versante di attenuanti (scompaiono le generiche) e aggravanti. Per quanto riguarda le pene, invece, l’obiettivo è quello di lasciare alla reclusione uno spazio residuale con un ampio ricorso alle pena alternative per tutti i reati di media gravità. Sopravvive l’ergastolo, limitato a pochissimi reati, ma basta la presenza anche di una sola attenuante perché si arrivi a una pena massima di 24 anni.
Il progetto
Castelli: 55 detenuti suicidi nel 2003, siamo sotto la media europea
Agi, 4 agosto 2004
Sono stati 55, su una presenza totale di 54.230 persone, i detenuti nelle carceri italiane suicidatisi nello scorso anno. Il dato, aggiornato al 31 dicembre 2003, è stato fornito dal Ministro della Giustizia, Roberto Castelli. Confrontando il dato con quello del 2002, quando i suicidi furono 53, "si può affermare - dice Castelli - che il fenomeno risulta stabile" e che sia la percentuale sia il numero assoluto si siano ridotti rispetto al 2001, quando i suicidi erano stati 69. In definitiva, spiega Castelli, "ciò che si può affermare è che la frequenza dei suicidi all’interno del sistema penitenziario italiano si è fortemente attenuata dal 2002". Il tasso di suicidio nelle carceri italiane è di circa 10 su 10.000 detenuti, fa rilevare il Ministro, "molto inferiore rispetto ad altri paesi europei, tra cui la Francia (24), la Danimarca (15), l’Austria (24), il Belgio (19), l’Irlanda (14), l’Inghilterra (14)". Quanto al problema dell’affollamento delle carceri, i detenuti presenti nelle carceri italiane, spiega Castelli, alla data del 9 aprile 2004 erano 55.837, a fronte di una capienza complessiva regolamentare di 42.115 ed una capienza dichiarata di tollerabilità pari a 61.166. Le presenze medie dei detenuti risultano in diminuzione, ma prosegue il piano di rinnovamento e potenziamento del patrimonio edilizio penitenziario. Sono 12 i detenuti morti durante il mese di luglio, 7 i suicidi
Redattore Sociale, 4 agosto 2004
12 detenuti sono morti nelle carceri italiane, soltanto nel mese di luglio: 7 si sono suicidati, 3 sono morti per malattia, 2 per cause non accertate. Sono i dati forniti da "Ristretti", l’Agenzia di stampa dal carcere, e dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Veneto, nel dossier sul tema riferito al mese scorso. Nella pubblicazione, sono indicati, per ogni caso riportato, nome, cognome ed età del detenuto, data e causa del decesso e istituto nel quale esso è avvenuto: informazioni spesso taciute, tragedie che spesso restano nascoste. Il 1 luglio, sono morti Salah Talbouz e Vincenzo Milano: 28 e 30 anni, marocchino il primo, morto nel carcere di Ivrea, italiano il secondo, detenuto a Barletta. Il giorno successivo altre due morti: Nicolae Doru, rumeno, 37 anni, nel carcere di Frosinone; e Carmine Giuliano, 52 anni, italiano, a Cassino. L’11 luglio, è morto Anacleto Locane: aveva 35 anni e si è tolto la vita nel carcere di Padova. Due giorni dopo, è deceduto per malattia Francesco Racco, 48 anni, a Secondigliano (Napoli). Il 16 luglio, sempre per malattia, è morto Michele Profeta, detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Il 21 luglio, si è suicidato nel carcere di Lecce un venticinquenne italiano di cui non è riportato il nome. Ignota invece la causa del decesso di Cristian Orlandi, 26 anni, morto il 22 luglio nel carcere di Verona. Il giorno dopo, a Siracusa, si toglieva la vita Marco Salvatore Garofano: aveva 22 anni. Il 28 e il 30 luglio, altri due suicidi: un dominicano di 34 anni, di cui non si conosce il nome, nel carcere di Busto Arsizio; e Carlos Requelme, 50 anni, cileno, detenuto nel carcere di Livorno. Di queste 12, drammatiche storie, pochi giornali hanno dato notizia: "Il carcere è un buco nero - ha denunciato l’onorevole Giorgio Panettoni (Ds), in un comunicato stampa trasmesso dopo la morte, a Ivrea, di Salah Talbouz - è come se i suoi ospiti vivessero in un altro pianeta. Per esistere qui, con noi, un detenuto deve fare cose eclatanti, per esempio un tentativo di evasione con contorno di particolari piccanti". Nel mese di giugno, "nelle carceri italiane, 9 persone si sono tolte la vita", ricorda Panettoni, rilevando poi che "i suicidi in carcere sono in progressivo aumento": dati, questi, che devono far riflettere sulla gestione delle carceri italiane, alle quali, secondo la legge, spetterebbe un compito educativo e riabilitativo, non vessatorio e punitivo. Tuttavia, "nella gestione pratica - afferma ancora Panettoni - si constata che le risorse dedicate al "trattamento" sono del tutto inadeguate, non solo, ma che sarebbero sprecate per i detenuti stranieri che comunque saranno espulsi al temine della carcerazione". Tra le cause di questa situazione, Panettoni indica innanzitutto la legge Bossi-Fini, che "con palese contraddizione con la legge carceraria, discrimina i diritti delle persone a seconda della loro provenienza"; poi, "la scarsa trasparenza di un’istituzione pubblica e la mancanza di informazioni ostacolano la partecipazione della comunità al progetto di accoglienza verso chi ha espiato la pena". Per questa ragione, conclude Panettoni, "la morte di Salah non sarà inutile e clandestina se sapremo cogliere il rimprovero e l’ammonimento che il suo gesto ci rivolge" Dossier di "Ristretti": i morti nelle carceri italiane hanno nome e volto
Redattore Sociale, 4 agosto 2004
Salah Talbouz, Vincenzo Milano, Nicolae Doru, Carmine Giuliano, Anacleto Locane, Francesco Racco, Michele Profeta, Cristian Orlandi, Marco Salvatore Garofano, Carlos Requelme: sono i nomi di 10 detenuti morti nelle carceri italiane nel mese di luglio. Di altri due, deceduti anche loro nello stesso periodo, non si conosce il nome. A rivelare le cifre e i nomi di questo dramma sono "Ristretti. Agenzia di stampa dal carcere" e la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Veneto, che hanno voluto raccontare, nel dossier relativo al mese di luglio, anche le storie che si nascondono dietro queste morti, spesso ignorate dalla stampa. Salah Talbouz aveva 28 anni ed era nato in Marocco: era detenuto nel carcere di Ivrea da poche settimane, quando si è impiccato, il 1 luglio, dopo aver scritto un biglietto in cui chiedeva di non avvisare la famiglia. Lo stesso giorno moriva, nell’ospedale di Barletta, Vincenzo Milano, 30 anni. Non accertate, le cause del decesso. Aveva riportato un trauma cranico e facciale durante la cattura, eseguita dalla Polizia Municipale. Dopo il ricovero, il ragazzo è entrato in un lungo e profondo sonno, dal quale non si è più svegliato. Nicolae Doru, 37 anni, rumeno, si impicca alle sbarre della propria cella, il 2 luglio scorso, nel carcere di Frosinone. Era in carcere da 45 giorni: non aveva rispettato un decreto di espulsione dall’Italia, datogli come pena alternativa per un furto. Ma Nicolae gridava di essere vittima di un errore giudiziario: giurava che qualcuno aveva usato il suo nome e si era spacciato per lui durante un controllo della polizia. Lo aveva dichiarato agli agenti, poi ai magistrati , ma non era servito a niente. Carmine Giuliano, 52 anni, è morto il 2 luglio, nel carcere di Cassino. Ad ucciderlo, un tumore alla gola, a causa del quale era ricoverano da due settimane in ospedale. Cinque anni prima, Carmine Giuliano era fuggito, su una sedia a rotelle, dalla clinica di Cassino dove si trovava ricoverato agli arresti domiciliari per curarsi del tumore che poi doveva ucciderlo. Fu ripreso quasi subito. Agli inizi del 2000 decise di diventare un collaboratore di giustizia, ma dopo qualche mese ritrattò le proprie dichiarazioni iniziali. Anacleto Locane, 35 anni, si è suicidato nella Casa di Reclusione di Padova, l’11 luglio. Ha infilato la testa in un sacchetto di plastica riempito di gas. Stava scontando le ultime settimane di pena, relativa a una serie di truffe. Fino a poche ore prima era allegro con tutti e apparentemente sereno. Anche per questo, i suoi familiari non credono al suicidio e chiedono di conoscere la verità sulla morte del loro caro. Francesco Racco, 58 anni, muore la mattina del 13 luglio nell’ospedale Cardarelli di Napoli, dopo una crisi notturna al carcere di Secondigliano, dov’era detenuto dal 2000, quando era stato riconosciuto colpevole di associazione a delinquere. Da tempo era gravemente malato e, al momento del ricovero in ospedale, pesava solo 39 chili. "L’hanno fatto morire come un animale dentro la sua cella", accusano i familiari, che hanno presentato una denuncia alla Procura di Napoli per ottenere, dicono, "chiarezza e giustizia". Michele Profeta, 56 anni, di origini siciliane, è morto d’infarto il 13 luglio, nel carcere di San Vittore, mentre sosteneva un esame universitario nella sala avvocati del carcere milanese. Condannato all’ergastolo per due omicidi, commessi a Padova nel 2001, Profeta era in carcere a Voghera e si era iscritto all’Università Statale di Milano, facoltà di Filosofia. Il 21 luglio, nel carcere di Lecce, è morto un ragazzo italiano, di cui non si conosce il nome: aveva 25 anni, era di Brindisi: si è impiccato con un lenzuolo nella sua cella. Il giovane era detenuto, per rapina, dal dicembre 2003. Dopo l’arresto, compiuto a Brindisi, era stato rinchiuso nel carcere della sua città, ma quattro mesi fa era stato trasferito nel penitenziario di Lecce. Il giorno successivo, è morto Cristian Orlandi, 26 anni, nel carcere di Verona. Non accertate, le cause del decesso. Era detenuto da otto mesi, in attesa di giudizio per l’uccisione di un suo amico. Il 23 luglio, a Siracusa, si è ucciso Marco Salvatore Garofano, nella località protetta in cui viveva insieme al padre, pentito di mafia. Aveva 22 anni e non era riuscito ad accettare la privazione di libertà a cui, in quanto figlio di un collaboratore di giustizia, era stato sottoposto. Il 28 luglio, nel carcere di Busto Arsizio, si è impiccato nella sua cella un detenuto dominicano di 34 anni, di cui non si conosce il nome. Era in carcere da soli 4 giorni: il 24 luglio, era stato arrestato, dopo essere stato trovato in possesso di grandi quantità di droga dalla Polaria, nell’aeroporto di Malpensa. Infine, Carlos Requelme, 50 anni, cileno, morto il 30 luglio nel carcere di Livorno. Suicida anche lui, si è fabbricato un cappio con le fibre di nylon dei sacchi dell’immondizia. Era stato arrestato lo scorso aprile ed era in attesa di giudizio, accusato di traffico di sostanze stupefacenti. Spoleto: Paolo Dorigo riprende lo sciopero della fame
Il Messaggero, 4 agosto 2004
Paolo Dorigo, condannato a 13 anni di carcere per un attentato alla base militare Nato di Aviano rivendicato dalle Brigate rosse e che però si è sempre proclamato innocente, ha intenzione di riprendere lo sciopero della fame nel carcere di Spoleto dove si trova. Lo affermano i suoi difensori, Vittorio Trupiano ed Ida Pileri. Dorigo aveva interrotto la sua protesta, durata alcune settimane, dopo avere ottenuto dal Tribunale di sorveglianza di Perugia l’autorizzazione allo svolgimento di "esami clinici particolari" quali quello "a mezzo di sintonizzatore universale". Dorigo infatti sostiene che nel suo corpo sono state inserite delle "micro-chip" per manipolazioni genetiche che gli procurano gravi malesseri. Invece il 28 luglio scorso è stato fatto un prelievo di sangue al detenuto "ma non quello mirato all’analisi genetica delle cellule non enucleate che era stato richiesto", dicono i legali. Il Senato ha approvato: carceri in leasing, via libera ai privati
Il Manifesto, 4 agosto 2004
Parere favorevole della Commissione Giustizia del Senato al piano per l’edilizia penitenziaria (circa 270 miliardi di vecchie lire). La novità è che le nuove carceri, a cominciare da Pordenone e Varese saranno costruite in leasing. Ciò significa che gli Istituti saranno costruiti da privati, con l’impegno dello Stato a pagare un canone mensile. La gara d’appalto per la costruzione è stata bandita, i lavori, secondo il presidente della commissione giustizia Antonino Caruso (An), dovrebbero cominciare entro dicembre e concludersi fra tre anni. Alla fine di un periodo di dieci anni l’amministrazione penitenziaria deciderà se riscattare definitivamente le strutture. La formula della locazione finanziaria, applicata per la prima volta nel nostro paese, apre la strada ad una nuova stagione per il sistema penitenziario e in una direzione che convince poco, perché ha il sapore di un inizio di privatizzazione. Nell’operazione un ruolo fondamentale ha la Dike Spa, società nata dalla Patrimonio Spa, che ha il compito di vendere il patrimonio immobiliare penitenziario. Con i fondi di queste cessioni si dovrebbe provvedere al pagamento del leasing. Per Patrizio Gonnella, coordinatore dell’Associazione Antigone, che a ottobre presenterà il terzo rapporto dell’Osservatorio nazionale sulla detenzione "non è certo con la costruzione di questi edifici che si risolve il problema del sovraffollamento. L’ultimo dato è di 56.500 detenuti su una capienza tollerabile di 42.000 posti". Molto critico Alberto Burgio, responsabile Giustizia del Prc, che parla di una atto "sul solco dei processi di privatizzazione in un ottica di riduzione progressiva degli spazi di intervento pubblico. Invece di scegliere la strada della riduzione penale si perseguono le politiche della tolleranza zero e si riducono i diritti di cittadinanza dei detenuti". In effetti, mentre non si discute sulla necessità di sostituire edifici fatiscenti, per migliorare le condizione della detenzione, quello che turba è l’inserimento di meccanismi di profitto nel delicato settore della privazione della libertà. Negli Usa e in Gran Bretagna i processi di privatizzazione della pena, quelli che il criminologo Nils Cristhie definisce il business penitenziario, sono già ampiamente diffusi attraverso l’affidamento ai privati della costruzione e della gestione degli istituti di pena, con conseguente abbassamento dei diritti delle persone recluse. In Europa, un’esperienza analoga a quella italiana è stata avviata dalla Francia. Più in generale l’esperienza insegna che le politiche della tolleranza zero rappresentano un buon indotto per il settore edile. Il timore è confermato anche da legame che si è stretto tra le lobby di costruttori e l’azione governativa. Nel consiglio d’amministrazione della Dike è presente l’ex presidente dell’Associazione nazionale costruttori. Franco Corleone, oggi Garante per i diritti dei detenuti a Firenze, già sottosegretario alla Giustizia con il centrosinistra, ha un approccio laico, ma a duro nei confronti del governo "Non sarei ideologicamente contrario all’utilizzo del leasing. Quello che mi preoccupa sono tre cose: che i progetti per la costruzione delle carceri, siano funzionali più alle esigenze del costruttore privato che al rispetto delle garanzie previste dalla legge, che vuol dire che non ci sono risorse, e che ci potrebbe essere un pensiero recondito che apra la via alla privatizzazione. In questo il fatto che la Dike sia di fatto una società privata, non sottoposta al vaglio parlamentare mi preoccupa". Certamente l’utilizzo del leasing è dettato da vincoli di bilancio che con questo strumento vengono aggirati. Si simulano spese correnti quando in realtà si fanno nuovi investimenti. Con un bilancio in ordine si potrebbe contrarre un mutuo. Il canone di locazione mensile è infatti molto più alto di un semplice fitto o di un mutuo, perché copre il privato dell’eventuale rischio che il bene non venga acquistato. Il bene acquisito viene alla fine a costare molto di più se si è certi di volerlo riscattare alla fine del contratto. Appare infatti inverosimile che al termine dei dieci anni lo Stato dica "o grazie". Il costo del carcere di Pordenone era inizialmente previsto intorno ai 20 miliardi di lire oggi la stima è di 32 milioni di euro. Varese: Senato dice sì al carcere, leasing finanzierà la struttura
Varese News, 4 agosto 2004
Via libera al progetto di finanziamento in leasing del futuro carcere di Varese. La commissione giustizia del Senato ha infatti dato parere favorevole al piano straordinario di edilizia giudiziaria e penitenziaria del governo. Il progetto prevede che, con i fondi stanziati dalla legge 259/2002, vengano realizzati, con il ricorso allo strumento della locazione finanziaria, i nuovi istituti di Varese e Pordenone. Parte dei fondi previsti dalla stessa legge saranno destinati all’ampliamento della casa di reclusione di Milano Bollate. La formula della locazione, o leasing, comporta in pratica che lo Stato non si accolli direttamente i costi della costruzione ma si limiti a pagare al privato costruttore un fisso annuale, una sorta di canone mensile diluito su dieci o quindici anni. Alla fine di tale periodo sarò poi lo stesso Stato a decidere se rilevare o meno in via definitiva la struttura. Il leasing o il project financing non è propriamente un frutto della finanza creativa applicata all’edilizia penitenziaria. Già la finanziaria del 2000 (la 388/2000) voluta dal governo dell’Ulivo, aveva introdotto l’amministrazione penitenziaria l’opzione della locazione finanziaria: la possibilità, cioè, che il capitale privato si inserisca nella gestione e nella valorizzazione dell’investimento pubblico. L’impresa privata, in sostanza, prende parte alla realizzazione di un’opera di interesse collettivo: nel farlo, manterrà la gestione del bene quanto basta per recuperare i capitali investiti, nutriti dei relativi interessi maturati. L’intera operazione è stata di fatto resa possibile dalla creazione, avvenuta lo scorso anno, delle Dike Aedifica, una società per azioni facente capo a Patrimonio Spa, la società controllata dal ministero del Tesoro per gestire la dismissione del patrimonio pubblico. Sarà per tramite di Dike che verranno alienati i penitenziari storici ritenuti non più utilizzabili per reperire le risorse destinate al finanziamento delle nuove case circondariali. Per il carcere di Varese lo stanziamento previsto è di 43 milioni di euro, per quello di Pordenone, 32,5. Un particolare: il carcere di Pordenone, inizialmente previsto in base ad un programma ordinario di finanziamento, sarebbe dovuto costare 20 miliardi di vecchie lire. Con il project financing la cifra è salita di circa tre volte, 60 miliardi. Il vantaggio, a quanto sembra, rientrerebbe nella velocizzazione delle procedure burocratiche e nei tempi di realizzazione. Le gare d’appalto sono già iniziate e, secondo le rassicurazioni del ministro, i lavori anche a Varese potrebbero partire già dal 2005. Ricorsi al Tar e petizioni popolari permettendo Castelli: "Il nuovo carcere di Varese sarà innovativo"
Varese News, 4 luglio 2004
"Sarebbe irrazionale ristrutturare il Miogni. Il nuovo carcere di Varese sarà un edificio che rispetterà le nuove normative e finanziato in maniera innovativa". Non ha dubbi il ministro di Giustizia Roberto Castelli. È a Malnate, alla passerella dei candidati leghisti in vista delle elezioni, dove arriva in ritardo. Nella tarda mattinata ha dovuto infatti essere a Lecco, all’inaugurazione del carcere, appena ristrutturato. L’occasione è troppo ghiotta per non tornare su uno degli argomenti più caldi delle ultime vicende amministrative del capoluogo.
Ministro Castelli, uno degli argomenti contro il nuovo carcere di Bizzozero è proprio il riferimento a Lecco: in entrambi casi un carcere di modeste dimensioni. Lì restaurato, qui a Varese se ne vuole costruire uno nuovo per forza. Cosa ne pensa? "Credo che i paragoni siano improponibili. A Lecco c’è un piccolo carcere da 60/70 detenuti. A Varese c’è un struttura più grossa. Nel suo caso non era proponibile, conveniente o razionale ristrutturarlo".
Eppure in molti continuano a sostenere la tesi della non necessità del nuovo penitenziario. "Mi stupisce la polemica. L’Italia è un paese strano. Ho ricevuto da tutte le parti inviti e sollecitazioni perché si andasse oltre ai Miogni, ritenuti superati in quanto obsoleti. La nuova struttura sarà invece innovativa secondo molti punti di vista e costruita secondo le nuove normative che regolano le condizioni di vita dei detenuti. Penso sia solo una polemica politica".
L’altro aspetto che ha scatenato polemiche è la ubicazione della nuovo insediamento che andrà ad intaccare una zona verde che molti vorrebbero protetta. "L’area su cui sorgerà è di stretta competenza decisionale degli enti locali, il ministero non decide. E penso che il comune abbia scelto quell’area a ragion veduta".
Le opposizioni e non solo, sostengono che così com’è delineato il nuovo progetto darà vita ad un carcere sovradimensionato rispetto alle reali esigenze della città. "Anche questa polemica la trovo strana. Sono continuamente sollecitato, anche dalla stessa opposizione, proprio a causa del problema del sovraffollamento carcerario. Un problema che ha tutta Italia, alle prese con un flusso migratorio che va ad allargare gli strati di microcriminalità e di cui la Lombardia ha un triste primato. Non faccio affermazioni politiche, ma riporto una dato fisiologico: ogni anno in Italia la popolazione carceraria aumenta di circa 2000 unità. A San Vittore c’è una media di 70 arresti al giorno. Chi solleva obiezioni di quel tipo è fuori dalla realtà".
Lei accennava al carattere innovativo del penitenziario. In che senso? "Intanto abbiamo fatto una legge apposta, uno strumento legislativo che permetterà modalità d’appalto nuove e più rapide. La novità più sostanziale è che la struttura sarà costruita in leasing. Ciò significa che sarà un’entità privata ad erigere la struttura, seguendo i dettami ministeriali, mentre la gestione sarà totalmente a carico nostro. Il vantaggio è che noi copriremo l’investimento non pagando subito l’intera cifra, ma diluendola in 15 anni.
Una sorta di canone annuo. Questa è l’innovazione, si tratta del primo caso in Italia. "E d’altro canto, il privato sarà sgravato da tutta una serie di rallentamenti burocratici che gli consentirà di completare l’opera in tempi più brevi. Recentemente ho inaugurato un carcere nel sud d’Italia cominciato nel 1984. Cose di questo tipo non possono più succedere"
Tempi previsti, dunque? "La gara d’appalto è già stata istituita, apriremo le buste entro fine estate, si può pensare che per il 2005 i lavori possano iniziare. Realisticamente si prevedono cinque anni per la consegna. Sembrano tanti, ma le assicuro che per l’Italia è un tempo molto breve".
Qual è esattamente la cifra stanziata? "So che il Ministero ha stanziato complessivamente 90 milioni di euro per la costruzione dei carceri carcere di Varese, Pordenone e l’ampliamento di quello di Bollate. Per Varese, credo che la cifra sia intorno ai 35 milioni. Ma io, nel mio ruolo, come potrà immaginare, mi tengo lontano dalle questioni "contabili" del progetto. Non si sa mai, in Italia...". D.C. sollecita Ministro Giustizia a risposta per Francesco Pazienza
Comunicato stampa
Il Coordinatore e Portavoce nazionale della Democrazia Cristiana, il friulano Angelo Sandri, interviene sul caso di Francesco Pazienza, auspicando che le autorità competenti intervengano prontamente su di una vicenda che sta suscitando notevoli perplessità Pazienza, detenuto nel carcere di Livorno (era stato condannato per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna e la bancarotta del Banco Ambrosiano) da giorni sta attuando lo sciopero della fame al fine di rendere note le gravi violazioni subite nel corso della detenzione e chiedere la declassificazione dall’Eiv (il regime penitenziario ad Elevato Indice di Vigilanza) al quale è sottoposto da oltre quattro anni. Va sottolineato, come afferma anche il suo avvocato difensore Renato Borzone, che l’Eiv continua ad essere applicato a Pazienza "pur in costanza di un comportamento carcerario che gli organi competenti definiscono, ormai da anni, inappuntabile". In particolare - afferma il D.C. Angelo Sandri - stupisce non poco lo sconcertante comportamento del Ministero competente, tuttora ancora silente. "Siamo di fronte ad un caso - afferma Sandri - che merita attenzione. Pazienza sta semplicemente chiedendo di ottenere, come suo diritto, una decisione su una sua richiesta, decisione che tarda da molto tempo. Inoltre, benché la legge non lo preveda espressamente, va constatata anche la circostanza che - con l’applicazione di questo regime detentivo - non vengono concessi i benefici carcerari. Così è da oltre un mese che a Pazienza è stato negato da parte del Magistrato di sorveglianza il primo permesso premio che era stato chiesto dopo molti anni". Comunicazione inviata al Ministero della Giustizia, Via Arenula n° 70 - 00186 - Roma
Sandri Angelo - Sede regionale D.C. Friuli Venezia Giulia Via Gervasutti n. 4 - 33052 - Cervignano del Friuli (Ud) Tel. 0431-32841 - Fax 0431-35750 - Cell. 335-7083513 democraziacristiana@democraziacristiana.net Pordenone: la situazione del carcere è sempre più drammatica
Adnkronos, 4 agosto 2004
Dopo l’interpellanza sulla situazione del carcere di Pordenone, il consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia dei Cittadini per il Presidente, Piero Colussi, ha deciso di andare a verificare di persona le condizioni di vita dei reclusi. "L’interpellanza - spiega Colussi - nasceva da alcune denunce che evidenziavano come la vivibilità all’interno della prigione fosse ulteriormente peggiorata causa il fatto che la struttura, che ha una capacità massima di circa 40 detenuti - dice Colussi - ne ospitava una novantina con conseguenze negative anche sugli agenti di polizia penitenziaria". Frosinone: poco personale e tanti detenuti, il carcere scoppia
Il Messaggero, 4 agosto 2004
Il Carcere di Frosinone sta per scoppiare. Nato per ospitare poco più di dieci anni fa 230 detenuti oggi è arrivato a contenerne 450. Oltre alle celle costituite per ospitare una massimo due persone (oggi tutte ne ospitano almeno due) anche i cosiddetti spazi comuni, cortile, mensa, sale di attesa realizzate per ospitare un certo numero di persone ora soffrono la presenza numerosa della presenza così massiccia di carcerati. Gli spazi si sono notevolmente ridotti ed il direttore Luigi Lupo lancia l’allarme: "Il problema del sovraffollamento del carcere di Frosinone - dichiara - si trascina oramai da anni. In questo periodo, però, la situazione si è aggravata. Oltre agli arrivi sempre più numerosi, infatti, nel carcere ci sono alcune zone destinate a celle che abbiamo chiuso per lavori di ristrutturazione. Ciò ovviamente aggrava i disagi". Ad una popolazione carcerata che cresce non fa seguito un aumento della polizia penitenziaria addetta al controllo della struttura. "Siamo in pochi ed a volte - continua il direttore - il poco personale mi costringe ad adottare misure più restrittive per i detenuti che magari non possono uscire dalla loro stanza perché non è possibile controllarli. Ciò ovviamente determina anche uno stato di tensione in più sia negli stessi detenuti che nel personale". A crescere sono soprattutto gli stranieri: la presenza di extracomunitaria è cresciuta tanto che, ad oggi, la popolazione carceraria del capoluogo, può essere equamente suddivisa tra italiani e stranieri. All’aumento dei detenuti dovrebbe far seguito oltre a quello della polizia anche quello degli assistenti e degli insegnanti che, specie per gli stranieri, cercano di insegnare la lingua i diritti ed i doveri previsti dalla Costituzione. Molta attenzione è posta, a Frosinone, all’insegnamento. Per chi vuole è possibile conseguire diploma e laurea. "Quest’anno - conclude Lupo - avevamo un detenuto iscritto all’Università. E’ riuscito a laurearsi studiando in cella: un’apposia commissione è venuta da Napoli per consegnagli il diploma di laurea". E da settembre ci sarà una novità: partirà, in fase sperimentale, la musicoterapica. "Si tratta di un tentativo - spiega Lupo - di aiutare, attraverso l’ascolto di una musica appositamente studiata, il detenuto a scrollarsi di dosso lo stato d’ansia che spesso lo accompagna nel corso della sua vita all’interno del carcere".
Pittura, web e artigianato per impegnare i reclusi
Molteplici le attività previste nel carcere di Frosinone. Oltre a percorsi scolastici ed educativi, i detenuti hanno la possibilità di seguire corsi di alfabetizzazione informatica, web designer, pittura, lavori artigianali. E da settembre ci sarà una novità: nel penitenziario ciociaro partirà, in fase sperimentale, la musicoterapica. "Si tratta di un tentativo - ha spiegato il direttore del penitenziario, Lupo - di aiutare, attraverso l’ascolto di una musica appositamente studiata, il detenuto a scrollarsi di dosso lo stato d’ansia che spesso lo accompagna nel corso della sua vita più o meno lunga all’interno del carcere. Si tratta di un esperimento, uno studio per verificare la reazione che la musica ha nei riguardi di una persona cui le è stata sottratta la libertà".
La scheda
Costruito tredici anni fa, il carcere di via Cerreto, nel capoluogo (a poche centinaia di metri dal confine con Ferentino) venne realizzato per sostituire quello vecchio di piazza Risorgimento (struttura che, in un prossimo futuro, ospiterà gli uffici del comando provinciale della Guardia di Finanza). Due i fabbricati esistenti: una palazzina (quella di color verde) dove c’è la direzione e gli uffici poi un altro edificio con diverse ali dove ci sono le stanze dei detenuti (in tutto sono 450), il cortile dove si gioca a pallone, la mensa e le sale per il ricevimento degli ospiti. Considerato supercarcere per i livelli di sicurezza che riesce a garantire (rari i casi di fuga) ospita 85 persone nell’ala più sicura. Le celle sono 230 mentre gli agenti di polizia sono 256 di cui sette sono donne. I reati più comuni delle persone che vivono nel penitenziario ciociaro riguardano quelli legati alla tossicodipendenza ed alle sue varie sfaccettature. Numerosa anche la presenza di extracomunitari, molti dei quali provenienti dalla capitale. Oristano: nel 2005 prenderanno il via i lavori per il nuovo carcere
L’Unione Sarda, 4 agosto 2004
Prima sì al carcere a Pabarile, poi forse quindi un deciso dietro front. Oggi un altro sì ma attenzione a credere che sia quello definitivo. Anche se viste le ultime novità che arrivano direttamente da Roma e soprattutto a sentire il deputato di Forza Italia Giovanni Marras che si sbilancia e parla addirittura di tempi di inizio lavori sembra che il carcere sia praticamente cosa fatta. "Spingerò perché il cantiere per la costruzione dell’istituto penitenziario possa aprire già dai primi mesi del 2005". Alt, stop, fermi tutti. Ripeta prego. "Sì, sì ha sentito bene nei primi mesi del 2005 e a Pabarile chiaramente". Un netto cambiamento rispetto alle recentissime voci che tagliavano fuori la zona di Fenosu perché troppo vicina alla discarica consortile. Non più di un mese fa era stato lo stesso sindaco Antonio Barberio a far conoscere la bocciatura dei funzionari del Ministero per quell’area. Cosa è cambiato nel frattempo, se è vero come è vero che su Bau Craboni non c’è alcuna novità? "Intanto c’è il decreto dei ministeri della Giustizia e delle Infrastrutture sul programma di edilizia penitenziaria - precisa il deputato azzurro - Sono stati stanziati 27 milioni 664 mila euro per questi interventi che rivestono carattere di urgenza". Le risorse, dunque, pare non manchino, ma resta sempre aperta la questione della zona in cui costruire la struttura. "Anche questo aspetto è stato risolto - assicura Giovanni Marras - il problema del sito non esiste proprio. Il carcere sarà realizzato a Pabarile, nell’area individuata da Giuseppe Magni (segretario particolare del ministro della Giustizia) e dal sindaco Antonio Barberio nell’ultimo incontro avuto in città". Sarebbero state superate le difficoltà per la vicinanza della discarica: la zona è molto grande e il nuovo istituto penitenziario sarà costruito a debita distanza da Bau Craboni. In buona sostanza quindi il sindaco Antonio Barberio, un mese fa, disse cose inesatte ("Il carcere non potrà nascere vicino a Bau Craboni, individueremo un altro sito"). Nessun problema invece, secondo il deputato di Forza Italia "si potrà partire già tra qualche mese. Sono previsti anche i soldi per la progettazione, poi si dovranno appaltare i lavori e finalmente sarà data una risposta concreta ai problemi di sovraffollamento delle carceri sarde". Ottimista e soddisfatto il parlamentare, anche se visti i precedenti forse sarebbe il caso di tenere i piedi per terra (di sicuro per ora c’è che due nuovi carceri verranno costruiti a Varese e Pordenone). Troppe volte si è gridato al successo dell’opera, tante le spedizioni nella capitale per trovare i finanziamenti e le autorizzazioni e poi soltanto parole. Ciò che oggi alimenta i sogni degli oristanesi è che il deputato azzurro di Arborea promette l’inizio dei lavori nei primi mesi del 2005, praticamente nelle vicinanze delle Politiche. Se i lavori non dovessero partire per un motivo qualsiasi la promessa di oggi sarà un boomerang mica da nulla domani. Ragusa: il carcere resterà aperto durante la ristrutturazione
La Sicilia, 4 agosto 2004
Il carcere di Piano del Gesù non chiuderà per consentire l’esecuzione dei previsti lavori di ristrutturazione. In ogni caso continuerà a funzionare nei locali dell’antica struttura conventuale d’epoca medievale, tra l’altro dichiarata monumento nazionale. Tutto ciò fino a quando non sarà realizzato il nuovo penitenziario a Catanzarello. Confermato anche che non sarà soppresso alcun posto in organico nell’ambito della polizia penitenziaria. Sono queste le conclusioni alle quali si è pervenuti a conclusione della conferenza di servizi tenutasi nella mattinata di ieri a Modica Alta nella casa circondariale. Ai lavori, promossi dalla Soprintendenza ai beni culturali di Ragusa, hanno preso parte il sindaco Piero Torchi, l’assessore alle infrastrutture, Giorgio Cerruto, il capo dell’Utc, Puccio Patti, il direttore del carcere dottor Mazzone, il capo della sezione operativa del Dipartimento di Protezione civile, Chiarina Corallo, i progettisti Pace e Fidone, i tecnici della Soprintendenza Rizzuto e Battaglia, l’ingegnere Andò del Provveditorato alle opere pubbliche dell’amministrazione penitenziaria, i rappresentanti della ditta appaltatrice dei lavori, la Coge di Catania. I componenti del tavolo tecnico, su proposta del sindaco Torchi, hanno all’unanimità deciso di mantenere operativa la struttura. diminuendo lievemente il numero dei detenuti da ospitare, mantenendo inalterato l’organico degli agenti di custodia ed elaborando un piano d’interventi strutturali sequenziale e modulare che riguardi progressivamente i lavori di ristrutturazione della chiesa e del chiostro. La novità importante riguarda la decisione di stabilizzare le strutture provvisorie che verranno realizzate al servizio dei detenuti e le condizioni di sicurezza, allo scopo di rendere pienamente fruibile ai visitatori sia il tempio che il chiostro, predisponendo anche un sistema d’ingressi alternativi. I lavori per circa tre miliardi delle vecchie lire inizieranno dopo l’estate. "E’ stata una battaglia vinta da questa amministrazione - dichiara il sindaco Piero Torchi - con l’aiuto dei parlamentari modicani Giuseppe Drago (che finanziò l’opera quando ricopriva la carica di assessore regionale alla Presidenza nell’anno 2000) e Riccardo Minardo, dopo due anni di trattative intense ed un numero eccezionale di riunioni e sopraluoghi. E’ il frutto del nostro ottimismo e della nostra perseveranza a fronte del pessimismo e della sfacciataggine di chi si augurava ed auspicava che l’importante struttura carceraria venisse chiusa con gravi danni all’indotto e al personale residente. E’ anche l’occasione per rendere fruibile a tutti e non solo restaurare in tempi brevi due autentici gioielli del nostro patrimonio: la chiesetta seicentesca ed il chiostro cinquecentesco, unici per caratteristica ed importanza. E’ anche la testimonianza ulteriore del nostro impegno per Modica Alta, laddove i servizi saranno potenziati e non eliminati". Ascoli: nozze in carcere, ex assessore testimone dello sposo
Il Messaggero, 4 agosto 2004
Si è celebrato presso il carcere di Marino del Tronto il matrimonio civile fra un detenuto e la sua donna, con la quale sedici anni fa aveva avuto un figlio. È stato quest’ultimo a volere fortemente che l’unione venisse legalizzata. Inoltre, il detenuto ha anche riconosciuto la paternità del ragazzo che ora porta il suo cognome. A solennizzare l’inconsueta cerimonia è stato il sindaco di Ascoli Piero Celani. "Era la prima volta - ci ha detto il primo cittadino - che mi capitava di celebrare un rito civile in carcere. Una cerimonia di particolare emotività per tutti i presenti, me compreso, in quanto ci siamo trovati al cospetto di un uomo provato dal carcere ma deciso a riscattarsi per il grave errore commesso in gioventù". "Gli agenti di polizia penitenziaria mi hanno riferito che è sempre stato un detenuto modello che non ha mai creato alcun problema e si è reso disponibile a collaborare per qualsiasi iniziativa". Lascerà il carcere di marino nel 2006 forte di aver imparato durante la sua detenzione il mestiere di rilegatore che potrà continuare quando tornerà alla vita normale. Alla sposa - ha aggiunto il sindaco - ho regalato un mazzo di fiori giallo e rossi, i colori del nostro comune, mentre a lui una libro sulla storia di Ascoli ed una pergamena dove a penna è stato trascritto l’atto di matrimonio. Al termine del rito abbiamo brindato con gli sposi, felicissimi e fiduciosi in un futuro migliore". Per la cronaca, i testimoni della sposa sono stati due persone amiche, mentre per lo sposo l’ex assessore provinciale Emidio Catalucci. Roma: nel museo del Gonfalone visite guidate al crimine
Il Messaggero, 4 agosto 2004
La 7,65 di Pupetta Maresca, assassina per vendicare l’omicidio del marito, delitto di passione e di camorra del 1955, e la Browning calibro 9 con cui la contessa Pia Bellentani sparò a bruciapelo all’amante Carlo Sacchi, nel settembre del 1948 e in una festa sul lago di Como, delitto di passione e nobiltà: oggetti e delitti, collezionati e sigillati nelle vetrine di cristallo di quello che era un vecchio e cupo carcere, e dove erano rinchiusi i detenuti forse di notte conversano i fantasmi. Tra le sbarre e sotto le volte, il fruscìo del vento sembra animare il manto rosso di mastro Titta, il boia di Roma, appeso accanto alla ghigliottina dello Stato Pontificio, finita qui dal museo di Castel Sant’Angelo insieme al cappuccio del frate "consolatore", al bicchierino per l’ultimo sorso del condannato, ai crocifissi innalzati per l’ultima preghiera sul patibolo. Dalla liturgia dell’esecuzione alla strategia della tensione: dalla strage di Portella delle Ginestre e dall’oscura fine, avvelenato in carcere, di Gaspare Pisciotta, sono stati recuperati e repertati l’anello con un diamante di Salvatore Giuliano e l’orologio d’oro del suo luogotenente. Dai misteri allo scandalo finito nel sangue: l’istituto di medicina legale di Roma nel 1934 impacchettò e recapitò per competenza una ciocca di capelli biondo cenere e le forcine insanguinate della contessa Giulia Trigona uccisa a coltellate dall’amante Vincenzo Paternò in una camera dell’albergo Rebecchino nel 1912. Sfumata tra il delitto e la sentenza ogni differenza tra l’Italia dei nobili e quella della mafia, tra mondo rurale, nuova borghesia e malavita organizzata, restano i corpi di reato a raccontare, qui nel museo criminologico di via del Gonfalone, le storie di sangue che hanno sconvolto l’Italia e l’esordio nel primo Novecento delle indagini di polizia scientifica; le spy story più intricate e la nascita dell’antropologia criminale; le fosche esecuzioni nei sotterranei dei castelli principeschi e i primi grandi processi alla criminalità organizzata. Delitto e castigo, condanna e prigione, la prigione ai tempi dei bagni penali e delle catene ai polsi e alle caviglie, e poi un salto nel buio, nella stanza delle torture e delle gogne: lo specchio nero della nostra storia si spalanca oltre il portone del palazzetto-museo all’angolo con via Giulia. Qui un tempo c’erano i carcerati-ragazzini; qui, nella casa di fronte abitava Bianca con i suoi genitori. Aveva quattro anni, nel ‘24, quando venne rapita e uccisa, e della sua morte venne accusato Gino Girolimoni detto il mostro di Roma. Chi si ricorda della piccola Bianca? I fantasmi, forse, di carnefici e vittime di quei delitti raggelati nel cristallo sotto la luce fredda del tempo passato, nel vortice di sale e di scale del museo che una legge del ‘30 aveva affidato al ministero della Giustizia destinandolo a "raccogliere e tenere a disposizione degli studiosi gli oggetti di maggior rilievo che attengono anche indirettamente alla criminalità". Oggetti che comprendono "il magnifico materiale che si nasconde e si perde nelle ignote intimità delle prigioni". Come le "malizie carcerarie", i rudimentali coltelli costruiti dai detenuti, brandelli di lettere e scodelle di zinco, e tutte le povere cose della prigione un secolo prima delle riforme. L’ultimo cimelio: la campana di bronzo che scandiva il lavoro, il sonno e la preghiera nell’antico carcere femminile delle Mantellate. "L’intenzione, con la legge del ‘30, era di far nascere una sorta di laboratorio storico, scientifico e criminologico, con il contributo degli uffici giudiziari dei tribunali, delle carceri e degli istituti di medicina legale - racconta la curatrice del museo, Assunta Borzacchiello -. Così, dall’inizio dell’800 alla fine degli anni ‘60 abbiamo ricevuto reperti da ogni dove: storicamente preziosissimi, come la ghigliottina e alcuni scheletri, armi e documenti, o apparentemente inoffensivi come gli oggetti d’uso quotidiano in casa o nelle campagne che sono serviti ad uccidere, che hanno conservato una straordinaria potenza evocativa del delitto. Così abbiamo scelto di esporli accanto alla spada con cui fu giustiziata Beatrice Cenci e della pistola dell’anarchico Bresci, usata per assassinare Umberto I. Siamo anche riusciti a fare spazio a una collezione di opere d’arte e oggetti di culto finiti nel giro dei furti, della ricettazione e del contrabbando, recuperati e mai restituiti per l’impossibilità di rintracciarne la provenienza". Proviene dalla Corte d’Appello di Roma in data 1952 il coltello da cucina usato dalle sorelle Lidia e Franca Cataldi, di 22 e 17 anni, per uccidere una giovane donna, Angela Barruca, e il suo bambino di tre anni, il 20 ottobre del 1945 in un appartamento di piazza Vittorio al numero 70. Divenne un delitto famoso, a Roma, ed era un delitto per soldi. Quei soldi che spesso la vittima prestava alle sue assassine, compaesane sfollate da Colleferro, e che loro continuavano a chiedere. Divenne "il delitto della volpe d’argento" perché le sorelle, fuggendo per poi essere viste mentre abbandonavano il coltello insanguinato su un muretto, avevano afferrato la pelliccia della loro benefattrice. Catturate, nelle foto dell’epoca le imputate Cataldi sono ritratte in tribunale: Lidia guarda nel vuoto, Franca piange e sembra una bambina. Taranto: ex sindaco Giancarlo Cito trasferito al carcere di Torino
Gazzetta del Sud, 4 agosto 2004
L’ex sindaco Giancarlo Cito è stato trasferito nella casa circondariale di Torino. L’esecuzione del provvedimento, disposto dal Dap di Roma (Dipartimento amministrazione penitenziaria), era attesa da più di una settimana. Il leader di AT6 aveva reagito in modo plateale, stendendosi sul pavimento in segno di protesta e bloccando temporaneamente il trasferimento nel capoluogo piemontese. Il carcere di Torino, peraltro, è in grado di garantire al detenuto un’adeguata assistenza sanitaria. Cito, affetto da cardiopatia, era ricoverato da due mesi nell’infermeria della casa circondariale di via Magli. Lunedì mattina, l’ex parlamentare è stato trasportato in ambulanza al carcere "Le vallette". Il provvedimento con il quale il Dap di Roma ha ordinato il trasferimento in altra sede dell’ex sindaco, condannato a 4 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, è stato adottato a scopo precauzionale. Nel penitenziario di Torino, infatti, esiste un centro clinico per il ricovero e la sorveglianza dei reclusi affetti da cardiopatie. I legali di Cito avevano presentato un ricorso d’urgenza, chiedendo di annullare la nuova assegnazione. Non bisogna dimenticare che l’ex sindaco tentò il suicidio durante il periodo di ricovero alla clinica San Camillo. Forlì: interrogazione al ministro Castelli sulla situazione del carcere
Senato della Repubblica – Resoconto seduta del 3 agosto 2004
Il senatore Sauro Turroni (Verdi) ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Roberto Castelli per chiederne ragione e soprattutto per ricevere un riscontro circa la volontà e le modalità attraverso le quali intende intervenire per sanare la situazione che ogni giorno si fa, a detta del parlamentare, sempre più urgente.
Al Ministro della giustizia, premesso che:
si chiede di sapere:
Francia: penitenziari sovraffollati e costosi, gestione ai privati
Il Secolo XIX, 4 luglio 2004
Prigioni sovraffollate, malsane e popolazione carceraria in aumento in Francia, come in gran parte del mondo, ma anche costi di gestione sempre più alti. Così il governo di Jean Pierre Raffarin pensa a nuovi penitenziari e, per far quadrare i conti, ricorre ai privati, affidando loro costruzione e gestione delle celle. Non è una novità assoluta, perché l’ingresso delle imprese private nel settore delle carceri risale al 1987. Ma il ministro della Giustizia, Dominique Perben, vuole andare oltre, lasciando ai privati la proprietà dei penitenziari, con lo Stato che ne diventa semplice inquilino. Il piano del governo prevede complessivamente 30 nuovi penitenziari entro il 2007, metà resterà di proprietà dei costruttori. Le prigioni dovranno essere nuove non solo dal punto di vista della gestione, ma anche, assicura il ministero, della vivibilità. Attualmente l’indice di occupazione, cioè di sovraffollamento, è attorno al 124%. Resta sempre, sullo sfondo, il tema tanto dibattuto del carcere come deterrente contro i crimini. "Creare nuove prigioni - spiega il portavoce dell’Osservatorio internazionale sulle prigioni, Patrick Marest - non ha mai ridotto il sovraffollamento carcerario. Il problema non è il numero limitato di posti in prigione, ma quello troppo elevato di detenuti". Dipendenze: avremo presto un "ministro della droga"?
Redattore Sociale, 4 agosto 2004
Sarà nominato in autunno un "ministro della droga"? È la prospettiva che emerge dalla bozza di regolamento del Dipartimento nazionale per la lotta alla droga che, con un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, potrebbe essere emanato in questi giorni di inizio agosto. Il regolamento è molto atteso dagli addetti ai lavori (enti locali e associazioni in particolare) perché da esso dipenderà l’attuazione pratica delle politiche più volte annunciate dal governo in materia. Dopo la nomina di Nicola Carlesi a direttore del Dipartimento, restava infatti da conoscere con quale organizzazione questa struttura opererà concretamente, gestendo tra l’altro la quota annuale di circa 25 milioni di euro del Fondo nazionale antidroga assegnata alle amministrazioni dello Stato (altri 75 milioni sono gestiti direttamente dalle Regioni). E il primo elemento di interesse nella bozza di regolamento, circolante in queste ore, riguarda proprio il riferimento governativo da cui il dipartimento dovrebbe dipendere: "dal presidente del Consiglio - è scritto nel testo - o da altro ministro". Nessun cenno, come ci si poteva aspettare, al vice-presidente del Consiglio, che nella persona di Gianfranco Fini ha finora seguito la vicenda in prima persona; e una dicitura - "da altro ministro" - che sembra richiamare espressamente a una figura ad hoc che, seppure senza portafoglio, dall’interno del governo si rapporterebbe direttamente con Carlesi. Circolano anzi le prime indiscrezioni che vedrebbero in Alfredo Mantovano, attuale sottosegretario agli Interni, l’uomo designato a ricoprire questo ruolo. Quanto all’assetto organizzativo del Dipartimento, vengono confermate nella bozza 4 direzioni generali, a loro volta articolate in una decina di uffici diversi, tra i quali sarebbero ulteriormente ripartite le competenze. La prima direzione si occuperebbe di affari generali e relazioni internazionali; la seconda sarebbe preposta al monitoraggio del fenomeno (inglobando quindi l’Osservatorio nazionale sulla droga) e all’impostazione di attività di contrasto, oltre che al raccordo operativo tra i vari ministeri che hanno competenze in materia (Istruzione, Interni, Difesa, Welfare); la terza direzione sarebbe competente riguardo la prevenzione, la riduzione della domanda, la riabilitazione e il reinserimento dei tossicodipendenti; infine la quarta direzione si interesserebbe in sostanza dei progetti presentati dalle amministrazioni dello Stato e da altri soggetti pubblici e privati da finanziare con le risorse sopra accennate. Resta da vedere se una tale suddivisione non si presti a sovrapposizioni di competenze e, soprattutto, se non "invaderà" quelle degli enti locali. È infatti molto forte, in tal senso, l’attenzione delle Regioni, la cui sollevazione aveva già portato al ritiro della proposta di riforma dei Ser.T. (servizi pubblici tossicodipendenze) e dalle quali era venuta una netta bocciatura persino del cosiddetto "ddl Fini". Anche qui circolano comunque già alcune indiscrezioni sulle persone che potrebbero diventare direttori generali. Uno di questi dovrebbe essere quello di Mariano Martone, ingegnere, oggi a capo della direzione droghe e alcool del ministero del Welfare (che perderebbe così ogni competenza diretta in materia). Un’altra persona di cui si parla è Andrea Fantoma, medico, componente del comitato scientifico dell’Osservatorio nazionale. L’approvazione del testo entro il mese di agosto non sarebbe un mero fatto burocratico: esso permetterebbe infatti di gestire i fondi 2004 secondo la nuova organizzazione, mentre un ritardo obbligherebbe ad assegnarli secondo la vecchia modalità. Sul fronte parlamentare, dovrebbe essere "calendarizzato" a settembre il ddl Fini, ovvero la proposta governativa di riforma della legge sulla droga. Assegnato alle commissioni congiunte Sanità e Giustizia del Senato, potrebbe entrare nel vivo del suo iter in autunno inoltrato. Stati Uniti: microchip da polso obbligatori per i detenuti
Punto informatico, 4 agosto 2004
I radiochippetti saranno legati al polso da migliaia di carcerati e guardie carcerarie in Ohio. Per sapere sempre dove sono e far suonare allarmi alla bisogna. Sono 44mila i detenuti delle prigioni federali dell’Ohio che "vestiranno" al polso gli RFID, i radiochip dotati di identificatore unico la cui presenza può essere rilevata da appositi scanner. La misura, di cui si parla ormai da molto tempo, è stata decisa dal Dipartimento di riabilitazione dello stato americano che ha scelto le tecnologie della società specializzata Alanco Technologies per un progetto pilota che potrebbe presto essere esteso ad altre prigioni al di fuori dell’Ohio. Secondo Alanco in qualsiasi momento sarà possibile per la polizia penitenziaria sapere dove si trova un certo detenuto, in quanto gli spostamenti da un locale all’altro saranno registrati da un sistema apposito di rilevazione. Un allarme viene attivato, inoltre, qualora il detenuto entri in aree dove non è abilitato ad accedere. La stessa tecnologia verrà integrata anche alle cinture delle divise degli ufficiali di polizia che lavorano all’interno delle prigioni. In quel caso fungeranno anche da sistema automatico di allarme qualora la guardia che indossa il chip sia aggredita da un carcerato. Il progetto iniziale da 415mila dollari verrà esteso a 33 prigioni in Ohio qualora la sperimentazione presso il Penitenziario di Ross a Chillicothe si rivelerà efficace. Il progetto americano rappresenta, secondo gli osservatori, un’altra testimonianza della possibile varietà di applicazione delle tecnologie RFID, che si stanno rapidamente affermando in tutto il mondo. Presto potrebbero trovare applicazione in certi ospedali, anche mediante impianti sottocutanei. Vagliati non senza preoccupazione dagli esperti in materia di privacy, i radiochippetti sono anche al centro di una seria contesa per essere stati utilizzati apparentemente in modo molto maldestro in appuntamenti internazionali.
I chip sottopelle arriveranno presto
Non è ancora l’ok definitivo ma per VeriChip il mercato americano sta rapidamente schiudendosi grazie ad un secondo via libera accordato ieri dalla severa Food and Drug Administration - FDA americana. In pratica FDA dovrebbe presto dare l’ok definitivo all’utilizzo del chip sottopelle negli ospedali a scopo di identificazione e autorizzazione. Come noto, VeriChip è un prodotto lungo 11 millimetri che viene impiantato nel braccio e che contiene un tag RFID, un radiochip che si attiva quando è nei pressi di appositi scanner che lo "leggono" e che consegna alla rilevazione i dati che sono stati inseriti, in primis l’identità del "portatore". L’impianto avviene mediante iniezione che deposita il chip nel braccio avvolgendolo nel "biobond", una sorta di gelatina di isolamento che consente a VeriChip di agganciarsi ai tessuti. Di recente VeriChip era salito agli onori delle cronache per l’uso intensivo che se ne sta facendo negli uffici del procuratore generale messicano. Ma dal 2001 ormai la casa produttrice, Applied Digital Solutions, sta lavorando perché l’impianto non scandalizzi e si sviluppi un approccio favorevole alla diffusione della tecnologia. In questo senso va letto il Giorno dell’impianto lanciato da una discoteca spagnola per i suoi frequentatori più assidui. Sul piano tecnico, VeriChip viene letto da scanner fissi, che possono essere posizionati a diversi metri di distanza dal portatore, o da scanner manuali, che di converso devono trovarsi a distanza ravvicinata. Oggi il chip è "dormiente" fino a quando non si avvicina ad uno degli scanner dedicati e FDA dovrà stabilire in quale modo dovranno essere gestite negli ospedali le informazioni contenute nel chip. Nelle sue varie versioni, evidentemente, VeriChip può consentire l’accesso ad aree riservate o persino servire quale strumento per le transazioni. In futuro, Applied ci sta lavorando, ne sarà prodotta una versione contenente un sistema GPS in grado di localizzare il portatore. FDA in queste settimane approfondirà gli aspetti relativi alla privacy, la questione forse più delicata sollevata dagli impianti che è stata non a caso recentemente affrontata dal Garante della privacy italiano, Stefano Rodotà, nella relazione annuale dell’Autorità.
Rodotà: l’alba dell’uomo connesso
La voce di Stefano Rodotà, presidente dell’Autorità garante dei dati personali, ha ieri avvertito delle possibili pericolose derive che può provocare l’introduzione di certe tecnologie nel vivere quotidiano. Tecnologie che non sono più soltanto un modo per facilitare la vita all’individuo ma che ormai arrivano a trasformarne il corpo. Presentando la Relazione annuale del Garante, Rodotà ha spiegato con la consueta chiarezza come "siamo ormai di fronte alla concreta possibilità di vere e proprie modificazioni del corpo" che può essere utilizzato come veicolo di tecnologie di identificazione, autenticazione, transazione commerciale, di rintracciamento e via dicendo. Rodotà ha insistito sul modo in cui le rapide evoluzioni di queste piattaforme e l’uso sempre più pervasivo che ne viene fatto possa essere sottovalutato dalle persone. Il timore è quello che il cittadino perda "la sensibilità necessaria per avvertire i rischi per la propria libertà personale". E in questo senso il Garante ha messo l’accento su quella che ha definito anestesia tecnologica che porta alla "progressiva cancellazione delle percezioni legate alla perdita del controllo esclusivo sul proprio corpo". Come già in passato, la percezione distorta delle nuove tecnologie biometriche è al centro dell’analisi di Rodotà secondo cui si rischia il "ricorso massiccio alle soluzioni basate sulla biometria, presentato e percepito come una panacea tecnologica, tanto che l’opinione pubblica tende a sopravvalutare la loro accuratezza, associando impropriamente tali tecnologie con una protezione assoluta contro il terrorismo". Ciò nonostante il Garante non intende bocciare la biometria "anche perché in molti casi l’utilizzazione di questi dati può semplificare la vita delle persone" ma sottolinea come "bisogna evitare che si banalizzi il loro utilizzo e fare in modo che vi si ricorra quando è indispensabile per identificare una persona. Fare attenzione che questi dati siano trattati in modo accurato e non siano facilmente accessibili dall’esterno e trovare un punto di equilibrio fra utilizzazione e tutela della persona". "Ci sono studi - ha proseguito il Garante - che dimostrano come le grandi banche dati centralizzate diano risultati modesti, siano difficili da gestire tecnicamente e siano vulnerabili perché chi riesce a entrare in una banca dati con intenti criminali riesce ad acquisire tutta una serie di informazioni con effetto boomerang, cioè ciò che dovrebbe servire alla sicurezza diventa rischio più grave". Il riferimento, evidentemente, è alla tentazione del controllo come unico strumento di sicurezza. Ha aggiunto infatti Rodotà che "bisogna allora valutare caso per caso, giudicando quali sono gli impieghi più funzionali e affermando il valore della democrazia. I sistemi totalitari che utilizzavano questi strumenti di controllo hanno tutti perduto nei confronti delle libere democrazie". "La privacy - ha sottolineato - è un valore aggiunto per la democrazia". I prodotti della ricerca su cui si concentra il mercato e che aprono molte prospettive anche sul fronte dei servizi pubblici vanno dai braccialetti elettronici agli RFID, i chip a radiofrequenza, ai chip sottopelle e ad altre tecnologie il cui uso però è solo talvolta giustificato o giustificabile secondo il Garante. Sugli RFID, Rodotà ha spiegato che "sostituendo i codici a barre, permetteranno di seguire i prodotti nei loro spostamenti, creando così le condizioni per controllare anche chi ha acquistato ed usa quel prodotto". Si tratta dunque della concretizzazione di un tassello di quello che il Garante definisce guinzaglio tecnologico. "Molti impieghi RFID - ha affermato - sono sicuramente utili e benefici: migliore gestione delle merci, possibilità di rintracciare l’origine di prodotti particolarmente delicati, come i medicinali, rapidità di operazioni commerciali, come la lettura istantanea dei prezzi di tutti gli oggetti posti nel carrello di un supermercato. Se, tuttavia, le etichette intelligenti non vengono disattivate nel momento in cui il prodotto passa nelle mani dell’acquirente, diventa reale il rischio di una sorveglianza generalizzata di persone e comportamenti". Riguardo ai braccialetti elettronici Rodotà ha ricordato con preoccupazione l’uso proposto "anche per controllare i bambini sulle spiagge". Attorno al chip sottopelle, il Garante ha ricordato come la possibilità che questo chip possa portare con sé informazioni personali o di localizzazione di persone o detenuti in libertà provvisoria, "ha indotto una società americana a lanciare il servizio VeriChip con lo slogan Get chipped. Questa società ha poi presentato il servizio VeriPay, consistente sempre in un chip sotto la pelle, che dovrebbe prendere il posto di una comune carta di credito, rendendo così più sicuri e veloci i pagamenti". Rodotà ha dunque avvertito del maturare di "pericolose derive tecnologiche" anche in Italia, prima nazione al Mondo che cerca di affrontare con il Codice della Privacy le sfide portate dall’innovazione tecnologica alla tutela della riservatezza. Ma se privati e imprese devono fare uno sforzo in più e adeguare la propria cultura e il proprio business alla tutela della riservatezza e dell’individuo ancora di più in questo senso, ha spiegato Rodotà, deve fare la pubblica amministrazione. "Il massimo numero di inadempienze - ha commentato - lo riscontriamo nella pubblica amministrazione, forse più che nel settore privato, e riguardano molti aspetti, dal mancato rispetto di norme sulle misure di sicurezza alla disciplina dei dati sensibili che ogni amministrazione deve utilizzare. Ci sono molte cose da fare, per questo abbiamo iniziato un lavoro di informazione presso la pubblica amministrazione". Alle novità legislative e normative in futuro, Rodotà si augura che si applichi una valutazione d’impatto privacy. In caso contrario "la corsa verso raccolte sempre più imponenti di dati personali non produce strumenti migliori di conoscenza della realtà, ma un assordante rumore di fondo tecnologico che può addirittura rendere più complessa l’azione pubblica". Rodotà è anche tornato, in conclusione, su quello che ha definito un Codice deontologico per Internet, uno strumento che a suo dire deve premiare quello che il web e la rete sono diventati. "Internet - ha affermato rispondendo alle frequenti preoccupazioni che appaiono su certa stampa - non è assolutamente un pericolo. Ha anzi consentito, e continua a farlo, una espansione senza precedenti dei diritti individuali. Basti pensare al numero di conoscenze che riusciamo ad attingere, e alla possibilità di espressione e alla diffusione di discussioni in rete. Il mondo del web come tutte le realtà, però, può presentare problemi e richiede regole". Il presidente dell’Autorità ha infine inviato un chiaro segnale politico segnalando ancora una volta come la propria Authority, pur essendo sempre più centrale come l’ha definita il presidente della Camera Casini, vede scendere progressivamente le risorse a disposizione. "Non sappiamo - ha concluso Rodotà - fino a quando il Garante potrà tener fede a questo impegno se continuerà la lenta riduzione delle sue risorse. Questo stillicidio non pregiudica soltanto l’efficienza: rischia di minare la nostra autonomia. La Camera dei deputati ha votato all’unanimità una mozione nella quale si sottolinea appunto la necessità di attribuire al Garante le risorse necessarie: su questa base ci siamo rivolti al Governo e speriamo che, in attesa di una più attenta considerazione nella prossima finanziaria, alcuni interventi siano già possibili attingendo al fondo di riserva". Che il Garante versi in difficoltà sul fronte delle risorse non è una novità. Intervenendo dopo Rodotà, il ministro all’Innovazione Lucio Stanca ha affermato che "allarmi eccessivi" sulle nuove tecnologie possono rallentare l’innovazione e danneggiare l’Italia che è "in grave ritardo nell’impiego di queste tecnologie". Secondo Stanca il Garante sarebbe "un po’ troppo preoccupato" e "sta alla politica valutare il bilanciamento tra due legittimi diritti spesso in conflitto: alla riservatezza e alla sicurezza". Il rappresentante del Governo ha comunque riconosciuto il ruolo del Garante affermando che è suo compito "lanciare allarmi su potenziali rischi". Cassino: attore Vincenzo Salemme improvvisa dietro le sbarre
Il Messaggero, 4 agosto 2004
Visita a sorpresa dell’attore in carcere: "Tornerò a trovarvi". Momenti di festa domenica sera nel carcere di Cassino per la visita improvvisa dell’attore e regista napoletano Vincenzo Salemme. Un centinaio di detenuti lo ha accolto nel salone dei ricevimenti accompagnato dalla direttrice, Irma Civitareale, e dai responsabili del corpo di polizia penitenziaria. Salemme si è intrattenuto con i detenuti parlando della sua attività di attore e di regista e degli spettacoli di questa estate che sta tenendo in varie parti d’Italia. I reclusi hanno molto apprezzato la sua disponibilità a parlare ed anche a recitare qualche spezzone dello spettacolo. Ha scherzato e divertito i presenti con la sua verve tutta partenopea. Un detenuto napoletano gli ha cantato la canzone "Reginella" e Salemme lo ha applaudito. L’attore si è congedato promettendo di ritornare al più presto. I detenuti gli hanno regalato la locandina di uno spettacolo teatrale preparato nei mesi scorsi in collaborazione con un’associazione umanitaria. Tolmezzo: l’Udinese va in carcere per allenamento di solidarietà
Il Gazzettino, 4 agosto 2004
La giornata è stata organizzata dalla associazione di volontariato "Vita nuova" di Tolmezzo. "E’ un regalo preziosissimo". "Non avevamo terminato di chiedere la disponibilità dell’Udinese per questa partita che ci hanno detto subito di sì..." La direttrice del carcere di Tolmezzo, Silvia Della Branca, è soddisfatta. Per il terzo anno i giocatori bianconeri hanno regalato ai reclusi una mattinata speciale, giocando con loro a calcio. Ovvero "parlando" la lingua universale dello sport, quella che fa intendere tutti. Una partita vinta dai gialli del carcere, 9 a 8, che potranno vantarsi, almeno fino al prossimo anno, alla inevitabile rivincita, di aver battuto la quinta forza della serie A. E poco importa se mancavano tanti titolari bianconeri. La squadra che avevano davanti aveva le maglie bianconere. Una serie di striscioni inneggianti all’Udinese e a Spalletti appese al muro che delimita il campo di gioco, davano un’immagine molto più "aperta" dell’istituto di pena, un’immagine ce non è sfuggita a Luciano Spalletti: "Nella mia carriera calcistica qualcosa ho realizzato, ma un simile trattamento non mi era mai capitato". E a fine partita, vinta dai carcerati per 9 a 8 quando i giocatori della squadra dei carcerati si sono tolti la maglia gialla di gioco sono apparse a sorpresa altre scritte: "Grazie Udinese" e "Spalletti sei grande". "L’Udinese ha dimostrato che il gioco del calcio professionistico non è solo soldi, ma anche solidarietà, questo è un regalo preziosissimo per i reclusi e un modo per ragazzi che vivono un’esistenza privilegiata per addentrarsi nei problemi della società", ha rimarcato Bruno Temil, segretario del gruppo di volontariato "Vita nuova" di Tolmezzo che svolge attività nel carcere e ha organizzato l’incontro. "Vedere qui l’Udinese, apprezzare la disponibilità dei giocatori e del mister Spalletti per noi è molto importante, ci fa sentire meno emarginati. Ringraziamo tutti, dalla direttrice Della Branca al procuratore Enrico Cavalieri, da Bruno Temil, che ha un cuore grande a Spalletti e i suoi ragazzi" ha sintetizzato per tutti un carcerato, visibilmente commosso, nel dopo partita, durante un rinfresco organizzato dagli stessi detenuti con cibi da loro cucinati. L’Udinese ha portato molti giovani, che sono apparsi molto interessati e toccati dall’esperienza. "Questa della partita in carcere - ha detto capitan Valerio Bertotto - è diventata per noi una consuetudine piacevole, che spezza il ritiro di Arta, dandoci modo di riflettere, di vivere un’esperienza diversa". Le caratteristiche del carcere di Tolmezzo, che ha un alto turn over di detenuti non è favorevole a un’esperienza come quella del carcere di Opera Brera, a Milano, la cui squadra ha partecipato a un campionato regolare della Figc. Ma la direttrice Silvia Della Branca lascia aperto uno spiraglio. "Non è detto che non si possa pensare a qualcosa di simile, nonostante le difficoltà oggettive". Il campionato carnico è li che aspetta. E i detenuti hanno già le maglie dell’Udinese.
|