|
La pena in carcere è solo un suicidio, di Carlo Taormina
Libero, 26 agosto 2004
Una volta per il suicidio di un personaggio eccellente, un’altra per l’esplosione di sommosse, altre volte per il fatto di sangue commesso da un evaso. Di carceri, pene, detenuti si parla solo in situazioni emergenziali. Il dibattito che si accende tra politica e addetti ai lavori è un fuoco di paglia. Dura 2 giorni e tutto resta come prima. Vorrei provare a trattarne con un po’ di metodo. Pena e riabilitazione Con la Costituzione abbiamo fatto una scelta. Che la pena divenisse strumento di riabilitazione sociale, prima che sanzione. Di questo ci dimentichiamo spesso, quando, ad esempio, qualcuno uscito dal carcere commette un omicidio. Bisogna difendersi da questa eventualità, ma l’eccezione non può cancellare un principio così fondamentale. Piuttosto, ci si dovrebbe chiedere se nei confronti del condannato sia stata tentata la rieducazione. Anch’io, di fronte a un sistema che funzioni, sarei contrario a indulti e amnistie perché diminuiscono la certezza della pena. Ma dall’angolo visuale del principio della rieducazione, ognuno scorge che gran parte dei carcerati non dovrebbe essere detenuta. In primo luogo, non è concepibile parlare di rieducazione nei confronti di imputati in attesa di giudizio perché in carcere non ci dovrebbero entrare. La società ritiene necessarie delle cautele, ma dovrebbero essere limitate a crimini violenti, terrorismo, mafia, traffico di droga, riducendo i carcerati del 30%. In secondo luogo, il 20% dei detenuti è costituito da tossicodipendenti che commettono crimini per drogarsi. I drogati sono malati da curare e, ove ciò avvenisse, forte sarebbe la percentuale di alleggerimento delle carceri. In terzo luogo, ci sono reati puniti con detenzioni brevi che sono incompatibili coi trattamenti rieducativi e potrebbero sopperire sanzioni più efficaci del carcere. Infine, il trattamento rieducativo, introdotto con 30 anni di ritardo, resta una chimera per la sovrappopolazione carceraria, che la rende impraticabile, e per la mancanza di strumenti adeguati, ragione per cui si resta in galera fino all’ultimo giorno di pena e il carcere resta l’università del crimine. Questo stato di cose, che definirei di illegalità costituzionale con cui lo Stato pensa di rispondere all’illegalità criminale, rende ragione del fatto che amnistia e indulto dovrebbero essere sostenuti come strumenti di limitazione dei danni della mala gestione carceraria, e induce a riflessione costruttiva. Un capitolo è al fondo di ogni cosa. Il nostro sistema sanzionatorio è retributivo. Ogni delitto vale tanti anni di galera. Questa fissità della pena contrasta col carattere rieducativo e racchiude la certezza che chi esce dal carcere sia più pericoloso di quando è entrato. La società si garantirebbe meglio se la pena fosse determinata nel minimo e nel massimo e dipendesse dal grado di risocializzazione della persona. Occorrerebbe personalizzare la pena, tenendo conto del delitto, della persona e delle sue modificazioni in melius o in pejus. Questo sistema esige che i giudici possano stabilire il minimo e il massimo della pena, ma anche un altro giudice che, con un distinto processo diretto all’accertamento della personalità del condannato stabilisca se e in quale misura la pena debba essere eseguita e monitorizzi i risultati del trattamento rieducativo. Non è difficile prevedere che le sentenze indichino il minimo e il massimo della pena da scontare e che i Tribunali di Sorveglianza divengano i giudici della personalità del condannato, garantendo detenzione a chi è pericoloso e libertà a chi non lo è. Solo così le carceri possono divenire un laboratorio di crescita individuale e di difesa, contro ogni sottoculturale pregiudizio. Nello specchio del carcere di Patrizio Gonnella e Vincenzo Scalia (Associazione Antigone)
Il Manifesto, 26 agosto 2004
Il dibattito sulle prospettive della sinistra radicale promosso dal Manifesto non ha finora toccato le tematiche relative alla giustizia e al garantismo penale, che nel recente ventennio hanno giocato un ruolo non secondario ai fini del riposizionamento degli equilibri sociali e politici italiani. Attorno al carcere, alla sicurezza, alle prerogative della magistratura e delle forze dell’ordine, non soltanto si sono costruite e distrutte carriere politiche a destra e a sinistra, ma soprattutto, ha preso piede, è cresciuto e si è radicato il modello italiano del neoliberismo-penale. Una sinistra che vuole rimettersi in marcia deve dipanare i nodi della sfera giudiziaria e penale, che avviluppano in maniera quasi soffocante l’attuale assetto sociale del paese. Questo passaggio, lungo e doloroso ma necessario, deve compiersi in tre tappe. Nella prima si deve evidenziare la coincidenza tra stato penale e stato sociale. Nella seconda bisogna sottolineare l’intreccio tra riforma dell’ordinamento giudiziario e della legislazione penale da un lato, e restrizione degli spazi di agibilità democratica dall’altro. La terza e ultima tappa deve consistere nella realizzazione di una genealogia storica, che faccia affiorare le contaminazioni subite dalla sinistra con il giustizialismo. Nel 1990 le carceri italiane ospitavano poco più di 25.000 detenuti. Quattordici anni dopo, la cifra ammonta a 56.000, una cifra di quasi due volte e mezzo superiore. Se aggiungiamo i 40.000 che si trovano sottoposti al regime di esecuzione penale esterna, le proporzioni dell’espansione ipertrofica della sfera penale diventano ancora più allarmanti. Chi sono gli ospiti delle patrie galere? Per oltre un terzo sono migranti, spesso clandestini. Tra gli italiani prevalgono ancora oggi i detenuti di origine meridionale. Persone che nell’85% dei casi hanno commesso reati di criminalità di strada, spesso afflitti da problemi di tossicodipendenza, provenienti da contesti sociali marginali e deprivati, in possesso di titoli di istruzione e di qualifiche professionali medio-basse. Non si tratta forse di un esercito di riserva, di manodopera che eccede il fabbisogno della new economy? Il risultato di vent’anni di liberismo, della restrizione delle politiche di sviluppo e di welfare si trova all’interno degli istituti di pena italiani. Se pensiamo alla costante riduzione delle risorse destinate al reinserimento sociale dei detenuti, alla loro assistenza sanitaria, alla manutenzione delle carceri (da qui le recenti proteste), il carcere negli anni a venire sembra destinato a diventare sempre più quella discarica sociale attraverso il quale il neoliberismo governa l’acuirsi delle differenze di ceto e di classe. I centri di permanenza temporanea (vero e proprio scheletro nell’armadio della sinistra), la privatizzazione delle carceri e la costruzione di nuovi istituti programmata dall’attuale governo, sembrano portare all’espansione di questo processo. Il governo delle disuguaglianze attraverso la penalità non sarebbe sufficientemente efficace senza le modifiche dell’ordinamento giudiziario e della legislazione penale. Da un lato, il presidente del consiglio lavora indefesso al varo di provvedimenti legislativi che proteggono lui e chi si trova nelle sue condizioni dal rischio di dovere rendere conto pubblicamente di eventuali violazioni delle leggi. Dall’altro lato, si aumentano i minimi di pena per i reati minori, si sanzionano penalmente il consumo di stupefacenti e le fecondazioni assistite che violano la morale neoclericale, si stringe la morsa sull’immigrazione clandestina. Il principio di uguaglianza davanti alla legge vacilla, e la riforma della magistratura, che si prefigge di consegnare l’obbligatorietà dell’azione penale nelle mani del ministro di turno, lo mette ulteriormente a repentaglio. Last but not least, la mancata riforma del codice penale, la vigenza della legislazione speciale antiterrorismo, il 41 bis, hanno permesso di reprimere senza troppa difficoltà alcuni episodi di dissenso. Il clima creatosi in seguito all’11 settembre rischia di chiudere il cerchio tra terrorismo, immigrazione e dissenso. Non serve a molto chiedersi se bisogna essere partito, moltitudine, movimento dei movimenti o altro, se poi basta poco per finire nelle maglie di una giustizia per alcuni inesorabile. Se non ci si pronuncia nettamente per un diritto penale minimo, se non si affronta la questione carceraria dal punto di vista della riduzione della detenzione a extrema ratio e del reinserimento sociale, non si possono progettare nuove politiche di intervento sociale, ancora meno sperare che un altro mondo sia possibile. Questione sociale e questione penale si richiamano continuamente. Un rilancio della sinistra radicale deve riprendere a collegare le due dimensioni, anche ripercorrendo un pezzo di strada all’indietro e interrogandosi sui propri errori del passato. Il pacchetto sicurezza, il braccialetto elettronico, il mandato di cattura europeo sono frutto di una cieca rincorsa a sinistra di questioni e temi cari alla destra. Le carceri scoppiano, torturare non è proibito, non sappiamo cosa succede nei Cpt e non ci si indigna mai troppo. Dalla fine degli anni settanta, si è passati dalla giustizia sociale alla giustizia penale, dalla sicurezza sociale alla sicurezza tout court. Una sinistra che vuole essere tale, deve percorrere il cammino inverso. Roma: "Manca l’acqua e ci restringono le ore d’aria"
Il Manifesto, 26 agosto 2004
C’è bisogno d’acqua. Quando manca in alcune sezioni, come la terza, bisogna ripristinarla in fretta. Servono frigoriferi, e le ore d’aria non devono essere contratte o spostate negli orari più caldi della giornata per le esigenze degli agenti. Problemi veri e concreti di persone vere e concrete, i detenuti "estremamente esasperati" del carcere romano di Regina Coeli. Le richieste sono in un documento consegnato al direttore e ai membri della commissione carceri che il 23 agosto hanno visitato l’istituto: il presidente Enrico Buemi (Sdi), il vicepresidente Francesco Carboni e Marcella Lucidi (entrambi Ds). Nel documento, tra l’altro, i motivi della protesta del 17 agosto. Perché di protesta si tratta, per una situazione sempre più difficile da sostenere per chi sta dietro le sbarre. "Quello che è accaduto alla quarta sezione poteva accadere ovunque, non è stata né una rivolta né una sommossa...ma solo un momento di esasperazione che per fortuna non ha riportato conseguenze per le persone". Resta da capire per quale motivo una protesta che rivolta non è - come dicono il direttore della casa circondariale capitolina, Mauro Mariani, Paolo Cento dei verdi e gli stessi detenuti - venga punita come tale, con 24 persone indagate e 47 trasferite. Intanto i problemi che c’erano nell’istituto ci sono ancora. Ad esempio quelli sanitari. La struttura ospita 900 detenuti, che dovrebbero essere circa 300 in meno. Per le spese sanitarie hanno bisogno di circa 3 milioni di euro. Ne hanno ricevuto poco più di uno, vale a dire un terzo della cifra di cui hanno bisogno. E non è tutto. È stato ridotto l’orario degli psicologi, da 62 a 40 ore settimanali. Proprio quando ce n’è più bisogno, se è vero che "la stagione calda e le difficoltà che l’afa e le alta temperature producono fanno lievitare di molto il rischio di atti autosoppressivi". Questione di tagli. O forse no, visto che l’istituto vanta due sale operatorie nuove di zecca, mai adoperate, neanche per un’appendicite piccola piccola, del costo di circa 6 miliardi di vecchie lire l’una. Non solo di sanità hanno parlato i detenuti con i membri della commissione carcere. Altro problema è l’applicazione del tutto discrezionale da parte dei magistrati di sorveglianza della legge Gozzini, che regola l’accesso ai benefici di pena, come il lavoro esterno. Vuol dire che, concretamente, un detenuto riesce o meno ad arrivare al lavoro esterno o all’affidamento in comunità od altro in base a alla volontà pura e semplice dei magistrati. E allora possono crearsi situazioni al limite del paradosso. Enrico Buemi parla di "magistrati che non vogliono applicare gli strumenti che hanno, come la Gozzini o l’indultino". Scelgono una lettera anche i detenuti della casa circondariale di Verona - Montorio. Cambia il luogo, non i problemi: il sovraffollamento, che non viene risolto né dalla Gozzini, non applicata, sembra, né da amnistia e indulto, che non ci sono. Vicenza: al S. Pio X un agente ferito, gli altri esasperati
Giornale di Vicenza, 26 agosto 2004
"Al S. Pio X non c’è stato alcun pestaggio di detenuti. In compenso due sere fa è stato aggredito un agente che, dopo essere stato morsicato e colpito duramente da un detenuto, è finito all’ospedale. Un altro, ferito recentemente, ne avrà per due mesi prima di guarire. Perché queste cose non si fanno sapere?". A lanciare l’allarme è Francesco Colacino, agente scelto e dirigente nazionale del sindacato autonomo di polizia che, a proposito di prigioni, precisa anche quali sono le "vere" carenze del S. Pio X in un momento storico dove il sistema carcerario italiano vive la sua più acuta crisi strutturale.
L’aggressione al detenuto c’è stata o no? E quella dell’agente? "Smentisco ufficialmente la prima notizia: al S. Pio X non ci sono squadre di polizia che pestano i detenuti. La lieve collutazione di una settimana fa è nata da una situazione ingestibile che si è trovato ad affrontare il poliziotto di turno. Mentre lunedì sera un agente è finito al pronto soccorso per la gravità delle lesioni che gli ha provocato un detenuto. Casi al limite e spesso molto pericolosi che tutti noi ci troviamo ad affrontare quotidianamente: molti dei detenuti ospiti a Vicenza sono persone che nella vita non hanno più nulla da perdere e che in un attimo possono creare rischi inimmaginabili. La realtà che si crede all’esterno e che spesso viene riportata dai mass media, purtroppo, non corrisponde alla realtà che viviamo noi".
E qual è la realtà che si vive al S. Pio X? "Il carcere cittadino è un’isola felice, rispetto ad altri istituti penitenziari. Ai detenuti vengono proposti più di 20 corsi formativi annuali grazie all’impegno dell’area educativa, fra cui ci si sbizzarisce fra lezioni di agricoltura, saldatura, elettronica ed altro. Tutti accedono alla palestra e alla biblioteca. Ricevono spesso le visite dei vip sportivi e politici e hanno rigorosamente diritto alla copertura sanitaria, vedendosi così pagato tutto, dal dentista all’ortopedico. Inoltre, se si fa ricorso ai servizi ospedalieri, il detenuto ha il diritto di scavalcare tutte le liste d’attesa dei cittadini che, magari, stanno aspettando da mesi di fare una visita o un esame specialistico. Vi sembra ancora che il detenuto sia maltrattato come lo si vuol far vedere all’esterno?"
Insomma, da quanto dice lei, uno entra in galera per chissà quali reati ed esce con protesi dentarie nuove e curriculum scolastico di tutto punto.. "Non voglio far polemica. Dico solo che i veri problemi sono altri".
Quali sono, allora, i veri problemi? "La struttura è carente in tutti i sensi. C’è il problema degli spazi obsoleti e ristretti e c’è il problema del mancato adeguamento agli standard di sicurezza: molti locali interni sono inagibili, altri completamente fuori norma e da anni aspettiamo che venga ristrutturata la mensa e la cucina degli agenti. Non solo, da un’eternità si chiede l’installazione di un apparato di climatizzazione: lei ha idea di cosa significhi lavorare in divisa in piena estate dentro un ambiente blindato dove i gradi non scendono sotto i 60? Il ministro Castelli ci dice che non ha soldi, ma è una grossa presa in giro e noi lo possiamo dimostrare".
Come? "Osservando gli altri investimenti che fa il Ministero. In tutti gli uffici di direzione, da anni, l’aria condizionata c’è. Per ogni lavoro o lezione che i detenuti frequentano, inoltre, viene loro assegnato una sorta di gettone di presenza, che si traduce in un pagamento. Non sono investimenti, questi? Da Roma non dicano, allora, che non ci sono soldi da spendere".
In che cosa si dovrebbe investire, invece? "Nel personale. Al S. Pio X ci sono 45 agenti in meno del necessario. Molti di noi sono stati mandati in Kosovo o sono impegnati in altre missioni e non c’è mai stato un servizio di reintegro per queste unità. Inoltre subiamo continui ritardi nei pagamenti: gli straordinari di novembre ci sono stati pagati il mese scorso. I nostri turni sono massacranti e passano anche venti giorni prima di fare una giornata di riposo. Siamo a contatto quotidianamente con persone pericolose, senza scrupoli, con tossicodipendenti in crisi di astinenza, con delinquenti che non ci pensano due volte ad aggredirti. E lo facciamo senza nessuna garanzia e nessun incentivo. E quando poi succede il fattaccio, chi paga è il solito agente padre di famiglia che magari ha sparato per legittima difesa".
Cosa chiedete esattamente? "Vogliamo che questo governo la smetta di prenderci in giro. Vogliamo che al silenzio o alle promesse si sostituiscano i fatti. Se in Italia si vuole un sistema carcerario che funzioni, allora sarà bene cominciare ad investire su chi ci lavora". Verbania: detenuti al lavoro su spiagge lago Maggiore
Ansa, 26 agosto 2004
Voleva uccidersi, a 40 anni, oppresso da un passato di reati, poi ha cominciato a sperare che dal carcere davvero si può uscire. È uno dei 19 detenuti del carcere di Verbania partiti stamattina presto sul battello che li ha portati ad Arona. Puliranno le spiagge dai resti lacustri e, soprattutto, dai resti lasciati dall’incuria e dall’inciviltà. Con loro c’è il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra. E con loro c’è quella voglia di riscattarsi, di ritornare ad essere parte attiva della società, come hanno fatto a Ferragosto, quando hanno ripulito il parco nazionale della Val Grande assieme alle associazioni ambientaliste. Sono convinti che, più della protesta, l’impegno civile può scrivere nuove pagine alle loro storie di disperazione. E così Mauro, quarantenne con un curriculum costellato di furti, rapine ed un eccetera di reati che lo hanno portato dentro e fuori dal carcere un’infinità di volte, all’ alba di oggi, attorno alle 4.30, si è svegliato e ha chiamato gli agenti penitenziari. A loro ha raccontato la sua disperazione e a loro ha consegnato la lettera in cui, in un italiano semplice, l’ha riassunta. Poche righe per dire di aver provato più volte a togliersi la vita, "l’ultima - ha aggiunto - volevo soffocarmi con il gas". Poi "il suo odore acre" gli ha ricordato di quando sua madre, la sera, provava ad accendere la stufa per scaldare casa. "Non volevo mortificarla ancora una volta - ha spiegato Mauro - e per fortuna ho vinto la battaglia contro me stesso". "Sono uscito tante volte dal carcere, alcune ho trovato una città completamente cambiata. Aiuole - scrive Mauro - strade, negozi, giardini, eppure sono rimasto sempre per la gente un avanzo di galera". Ai collaboratori penitenziari ha raccontato di quanto sia brutto "non poter dimostrare niente, restare in cella su una branda a tormentarsi in pensieri che portano cattivi consigli". Oggi "forse qualcosa sta cambiando anche perché riesco a vivere la città da dentro il carcere e forse mi abituo ai suoi ritmi, con la speranza di potervi tornare a vivere dignitosamente": è il commiato di Mauro. Poi si è preparato per raggiungere le rive del lago. Verbania: lettera detenuti al Papa "vogliamo cambiare vita"
Ansa, 26 agosto 2004
"Non pretendiamo sconti, ma solo occasioni di riscatto per guadagnarci la salvezza dell’anima": si conclude così una lettera che alcuni detenuti nel carcere di Verbania intendono fare pervenire al Papa in vista dell’iniziativa di domani, quando usciranno dalle celle per rendere agibile una spiaggia ad Arona, sul Lago Maggiore. "Le scriviamo dal carcere - dice la lettera - per dirle che non abbiamo perso la speranza nel suo appello ai governanti di tutti gli Stati. Le sue parole sono ancora vive nei nostri cuori e cerchiamo, con piccoli gesti, di restituire alla società la fiducia che ci è stata data dai cittadini e dalle istituzioni attente al nostro bisogno di riscatto. Vogliamo cambiare vita". L’operazione di domani, che sarà coordinata da Vincenzo Lo Cascio e Marco Santoro del Gom alla presenza di Giovanni Tinebra, numero uno del Dap (il dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria), è stata preceduta a Ferragosto dalla ripulitura di vaste aree di un parco in Val Grande, nel Verbano. Dopo aver ripristinato la spiaggia aronese, il gruppo andrà alla statua di San Carlo e pregherà in suffragio dei detenuti che si sono tolti la vita in carcere. Verbania: Sindaco, "sì ai reclusi che puliscono spiaggia"
Ansa, 26 agosto 2004
"La tutela dell’ambiente e degli spazi verdi è sicuramente un servizio utile ai cittadini, ma anche una concreta possibilità di riscatto per i carcerati": con queste parole il sindaco di Arona (Novara), Mario Velati, manifesta il suo appoggio all’iniziativa di domani, quando un gruppo di detenuti del carcere di Verbania sarà presente in città per ripristinare una spiaggia sul Lago Maggiore. "La reclusione - spiega - sospende i condannati dalla società, ma non li esclude. Con questa consapevolezza abbiamo avviati i contatti con Giovanni Tinebra (il presidente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - ndr) per fargli sapere che la comunità aronese accetta volentieri l’impegno dei detenuti seriamente intenzionati a rendere un contributo alla collettività". Verbania: Vendola (Rc) "segnale di speranza i reclusi al lavoro"
Ansa, 26 agosto 2004
"Un segnale di speranza" che "contraddice il clima di restaurazione repressiva che oggi si respira negli istituti di pena": con queste parole Nichi Vendola, deputato di Rifondazione Comunista, commenta quanto accadrà questa mattina ad Arona (Novara), dove un gruppo di detenuti nel carcere di Verbania lavorerà per rendere agibile una spiaggia sul Lago Maggiore. "Bisogna incoraggiare - dice - tutto ciò che rompe la separatezza del carcere e tutto ciò che opera percorsi di alternativa alla segregazione. È un segnale tanto più interessante perché proviene dall’ interno dell’amministrazione penitenziaria". A coordinare l’opera dei detenuti - lavoratori saranno funzionari del Gom, il gruppo operativo della polizia penitenziaria. È annunciata la presenza di Giovanni Tinebra, numero uno del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria). Osapp: con privatizzazione caso Verbania sarebbe irripetibile
Ansa, 26 agosto 2004
Le iniziative della polizia penitenziaria a Verbania, il giorno di Ferragosto, e ad Arona, domani, con la ripulitura di spiagge e boschi da parte di 19 detenuti volontari, sono la dimostrazione - secondo l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) - "dell’esatto rapporto tra il carcere e la società, come non potrà più accadere a seguito della privatizzazione delle carceri". "La politica - afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp - in luogo delle sterili e ferragostane diatribe, dovrebbe rendersi responsabilmente conto che tale è la "strada da intraprendere, come irrinunciabile condizione di civiltà e progresso nel Paese, e reale contributo del carcere alla società". In linea con le iniziative della polizia penitenziaria nel carcere di Verbania, tre sono i fronti su cui - secondo l’Osapp - in futuro si dovrà intervenire per il carcere "con la massima urgenza": la revisione delle finalità del sistema penitenziario ("da mera modalità di appoggio e ripiego anche nei confronti delle emergenze sociali a luogo di intervento e di ripristino delle condizioni di convivenza, con il carcere inteso quale ultima e definitiva ratio); la revisione "dell’obsoleto sistema di acquisizione e distribuzione sul territorio dei beni e dei servizi penitenziari"; la riforma, la riorganizzazione e il potenziamento della polizia penitenziaria "quale unico Corpo di Polizia dello Stato in grado, anche per legge, di svolgere funzioni di pubblica sicurezza, di polizia giudiziaria e per il trattamento rieducativo dei detenuti". Verbania: Tinebra accompagna i 19 reclusi tra la gente
Ansa, 26 agosto 2004
Di Regina Coeli e della protesta sfociata in rivolta nel carcere romano hanno saputo appena tre giorni dopo essere stati additati come i detenuti modello che, il giorno di Ferragosto, si sono rimboccati le maniche e hanno ripulito il parco nazionale della Val Grande, sul Lago Maggiore, assieme alle associazioni ambientaliste. Non si sono ancora placate le polemiche sull’emergenza sovraffollamento carceri, che altri 19 detenuti del carcere di Verbania usciranno nuovamente dalle celle, giovedì prossimo, stavolta per andare a ripulire le spiagge di Arona e i boschi del San Carlone. E stavolta saranno accompagnati nientemeno che dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra. "Basta alle inutili e sterili polemiche. Parliamo con i fatti - dice Tinebra -. Nei mesi scorsi abbiamo siglato un accordo-quadro con il ministero dell’Ambiente: stiamo puntando su progetti per il recupero dei detenuti a fine civile, così da attirare su di loro l’occhio benevolo della gente". E con la gente questi detenuti - perlopiù condannati per rapina, traffico di droga e furto - ai quali resta da scontare un residuo di pena di tre anni, staranno a diretto contatto: scortati da una ventina di poliziotti penitenziari e sotto il controllo di 20 allieve della scuola di polizia penitenziaria di Verbania, attraverseranno il centro storico della città di Arona, tra cittadini e turisti, per distribuire volantini sulle regole d’oro per proteggere l’ambiente. Poi si metteranno al lavoro sulle spiagge aronesi, e in un paio d’ore, le puliranno completamente; pranzeranno con i villeggianti e la gente del luogo e, nel primo pomeriggio, andranno a pulite le aree boschive del San Carlone; concluderanno la giornata con mezz’ora di raccoglimento in preghiera con i frati cappuccini del San Carlone. Come la volta scorsa, si sono offerti volontari. Eppure qualcuno di loro partecipò alle proteste che due anni fa si estesero a macchia d’olio in tutte le carceri italiane per chiedere l’indulto. Oggi, con un passato alle spalle non facile, fanno di tutto per dimostrare di aver preso una strada diversa. Ne sa qualcosa G.F., cinquantenne napoletano, condannato a 23 anni per un cumulo di pene, e passato per le carceri di Porto Azzurro, di Viterbo e di Poggio Reale. A Verbania è ora in semilibertà e gli mancano tre anni da scontare: "Dopo vent’anni lascio un carcere diverso", dice. Anche se, in ogni caso, le condizioni di sovraffollamento restano immutate, anche nel piccolo carcere di Verbania, dove la sezione dei detenuti comuni ospita 55 detenuti anziché i 40 previsti. Pure questo progetto promosso dal Dap nasce dall’idea di due poliziotti penitenziari del Gom, già ideatori di "Argo" (l’iniziativa grazie alla quale i detenuti possono adottare in carcere cani randagi o abbandonati) e di "Un libro, una voce" (che ha permesso l’incisione di libri o favole letti da detenuti su cd o nastri e poi donati ai non vedenti o ai bambini ammalati). "Così facendo - dicono Marco Santoro e Vincenzo Lo Cascio - speriamo che il carcere metta le ali e arrivi in mezzo alla società civile". Buemi (Sdi): il governo parla troppo e fa troppo poco
Ansa, 26 agosto 2004
"Il governo parla troppo e fa poco". Lo ha detto il deputato Enrico Buemi (Sdi), della commissione Giustizia della Camera, prima di entrare nel pomeriggio nel carcere di Regina Coeli per visitare i detenuti assieme ai parlamentari diessini Marcella Lucidi e Francesco Carboni e al presidente della Consulta del Comune di Roma per i penitenziari Lillo De Mauro. "Credo che con il contributo che il Parlamento e la commissione Giustizia della Camera in particolare stanno dando - aggiunto Buemi - attraverso il lavoro del comitato carceri a settembre ci possano essere proposte concrete dopo una discussione ampia all’interno della stessa commissione". Poi, riguardo alle proposte che verranno presentate all’interno della commissione, Buemi ha risposto: "Bisogna innanzitutto dare un segnale molto chiaro alla popolazione carceraria che le istituzioni per essere attivate non hanno bisogno di mobilitazioni particolarmente eclatanti". A proposito dell’ipotesi di privatizzazione e della vendita del carcere di Regina Coeli, Buemi ha detto: "È sbagliato enucleare le carceri come Regina Coeli dal tessuto sociale della città perché i detenuti rappresentano una parte della società, anche dal punto di vista della loro riabilitazione". Verona: 27, 28, 29, tre giorni di protesta dei detenuti
L’Arena, 26 agosto 2004
I detenuti della casa circondariale di Montorio protesteranno domani, sabato e domenica a sostegno della raccolta di firme per la campagna referendaria per l’abrogazione della legge sulla fecondazione assistita e per denunciare le condizioni di degrado in cui riversa il sistema carcerario nazionale. In particolare i detenuti vogliono porre l’accento sul "sovraffollamento e gli annessi problemi igienici-sanitari, più volte denunciati agli organi competenti e all’opinione pubblica". Lo ha spiegato il capogruppo di Rifondazione comunista Fiorenzo Fasoli con i rappresentanti dell’Associazione Luca Concioni-Radicali italiani, Laura Vantini e Mario Luigi Albini. "Nel documento, presentato dal coordinamento dei detenuti di Montorio, si precisano le motivazioni della protesta", prosegue Fasoli. "Si tratta di uno sciopero essenzialmente pacifico, che per tre giorni vedrà l’astensione dal lavoro di tutti i detenuti lavoratori. Nella giornata di domenica sarà effettuato uno sciopero della fame; una protesta simbolica che, in solidarietà con altre carceri, sostiene la lotta per il riconoscimento dei diritti umani fondamentali a tutti i detenuti".
Lettera del comitato detenuti di Verona - Montorio, 26 agosto 2004
I detenuti della Casa Circondariale di Verona - Montorio protesteranno nelle giornate di venerdì 27 - sabato 28 - domenica 29 agosto 2004. La protesta sarà essenzialmente pacifica e si articolerà nell’astensione dal lavoro di tutti i detenuti lavoranti per tutti e tre i giorni. L’amministrazione penitenziaria garantirà il vitto ed i servizi essenziali durante l’astensione dei lavoranti. Nella giornata di domenica 29 agosto sarà effettuato uno sciopero della fame, a titolo simbolico, per solidarietà con le altre carceri e con la lotta a fianco dei detenuti, per il riconoscimento dei fondamentali diritti.
Motivi della protesta
Buemi (Sdi): "Carcerazione preventiva, ultima ratio"
L’Opinione on line, 26 agosto 2004
"Io nelle carceri ci vado tutto l’anno e in ogni stagione. Incontrando sia i detenuti (che altrimenti non potrei mai avvicinare) sia gli agenti di polizia penitenziaria. Il ministro della Giustizia dichiara invece di incontrare solo questi ultimi? La sua è demagogia da strapazzo. Farebbe meglio a garantire a questi lavoratori il pagamento degli straordinari che hanno maturato dal lontanissimo 1992". Non lesina le stoccate a Roberto Castelli il deputato dello Sdi Enrico Buemi, presidente del Comitato carceri della Camera e tra i principali promotori dell’indultino approvato la scorsa primavera, che proprio ieri pomeriggio si è recato nel carcere di Regina Coeli per constatare di persona lo stato di agitazione dei detenuti. Gli chiediamo se non corra il rischio di essere additato dal titolare di via Arenula come un pericoloso mestatore istituzionale. "Finora non sono riuscito a fomentare alcun animo, a scatenare alcuna rivolta: da questo punto di vista sono un gran fallimento…".
Quest’estate il clamore suscitato dal suicidio in cella del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini è servito perlomeno a ridestare l’attenzione sulle modalità di applicazione dell’istituto della carcerazione preventiva… È indubbio che col tempo troppi magistrati disinvolti abbiano trasformato questo istituto in un indebito strumento di pressione psicologica sul detenuto, nella speranza di ottenere informazioni e soprattutto una rapida confessione. Una situazione inaccettabile per uno stato di diritto. In questo modo viene comminata una sanzione anticipata - e sulla scorta di un pregiudizio (che cioè possano scappare, inquinare le prove o commettere di nuovo il reato di cui sono accusati) - nei confronti di cittadini che per i quali vale ancora la presunzione di non colpevolezza sancita dall’articolo 27 della nostra Costituzione.
Cosa propone per evitare il più possibile abusi che non di rado portano al suicidio? Alla ripresa dei lavori parlamentari depositerò una proposta di legge che consenta la carcerazione preventiva solo in condizioni di eccezionale rilevanza e qualora il magistrato abbia saputo motivare il provvedimento in maniera non generica. Soprattutto credo che vada istituito un circuito differenziato per tutti i detenuti in attesa di giudizio. Il cittadino che si sospetta possa aver commesso un certo tipo di reato (in primo luogo quelli contro la persona, che nella mia personale scala di valori vengono molto prima di quelli contro il patrimonio) ha tutto il diritto di non convivere in cella con pregiudicati e deve semmai essere trattenuto in una situazione non di carcerazione vera e propria ma di semplice limitazione delle sue capacità di muoversi e di parlare.
Per il ministro Castelli amnistia e indultino sono solo dei palliativi: "il problema vero - ha detto - è depenalizzare tutti quei reati che non sono più ritenuti tali". Intanto sono ansioso di poter ricevere al più presto la prima bozza di revisione del codice penale elaborata dalla commissione Nordio sulla depenalizzazione dei piccoli reati: se ne parla da molti mesi ma nessuno ha ancora potuto vederla. Quanto al resto, il ministro in parte ha ragione: se ci ostiniamo a voler sanzionare con il carcere qualsiasi tipo di infrazione alle regole, allora è ovvio che le carceri non basteranno mai a contenere tutti i rei. Semmai il problema è quello di adattare di volta in volta la sanzione al tipo di condannato. Se a un delinquente abituale sei mesi di carcere non aggiungono e non tolgono nulla, nel caso del grande professionista (la cui preparazione è costata molto alla comunità in termini sia di denaro che di tempo) la condanna più efficace potrebbe invece essere quella di obbligarlo a lavorare gratis per un determinato periodo. Ma soprattutto non dimentichiamo come il carcere debba costituire una possibilità di riscatto. Vanno quindi potenziate tutte le opportunità di lavoro per i detenuti, ad esempio impiegandoli nella bonifica del territorio oppure in apposite colonie agricole. Oggi invece il processo di rieducazione del condannato si svolge spesso in una cameretta di tre metri per due, con una seggiola e un televisore. Davvero troppo poco. Roma: protestano le detenute - madri di Rebibbia
Gazzetta del Mezzogiorno, 26 agosto 2004
Terzo giorno consecutivo di protesta, con la battitura delle sbarre delle celle e lo sciopero della fame, da parte delle detenute-madri, con bambini al di sotto dei tre anni, nel carcere romano di Rebibbia. La sezione femminile del carcere romano ospita 20 bambini, di cui due figli di detenute in regime di alta sicurezza, contro i 15 posti massimi disponibili. Anche l’Organizzazione sindacale autonoma di polizia penitenziaria (Osapp) fa notare come tale situazione di sovraffollamento sia frutto dell’ennesima contraddizione del sistema carcere perché - spiega il segretario generale, Leo Beneduci - "le detenute comuni di Rebibbia con figli di età inferiore ai tre anni potrebbero beneficiare, per legge, della detenzione domiciliare o del differimento della pena". E un’ulteriore contraddizione - sempre secondo l’Osapp - riguarderebbe i detenuti sieropositivi in diverse carceri del Lazio, alcuni dei quali in carcere nonostante abbiano manifestato i sintomi dell’Aids conclamato. Nella sezione femminile di Rebibbia, su un totale di circa 15 donne con Hiv, tre avrebbero l’Aids conclamato, malattia manifestata anche da 18 detenuti nel nuovo complesso di Rebibbia su un totale di 50 sieropositivi. Così pure nel carcere di Frosinone due dei circa dieci detenuti con Hiv sarebbero affetti da Aids conclamato. "Nella maggior parte dei casi - spiega Beneduci - il magistrato di sorveglianza nega il ricovero in strutture ospedaliere esterne perché la diagnosi di Aids conclamato dovrebbe essere fatta da strutture sanitarie pubbliche e non da quelle penitenziarie. E se anche dovesse essere accordato il ricovero, il detenuto viene comunque piantonato da agenti penitenziari perché considerato un detenuto comune. È l’ennesima contraddizione: laddove la legge consente di evitare la carcerazione, non viene applicata". Roma: Malaspina, il piano carceri rimane prioritario
Asca, 26 agosto 2004
"È importante riuscire a definire il rapporto che dovrà esistere tra il Piano carceri e la commissione permanente proposta dal Comune di Roma e dalla Regione Lazio, proseguendo contestualmente nell’attivazione dei progetti sui quali si sta già lavorando da tempo". Lo dichiara l’assessore provinciale al Lavoro e qualità della vita, Gloria Malaspina. "Alla luce delle dichiarazioni dell’assessore capitolino Luigi Nieri, - continua la Malaspina - la Provincia di Roma ritiene che possa essere utile l’istituzione della commissione, purché assolva ad un preciso compito di monitoraggio della situazione nelle carceri. Dunque, uno strumento integrato nel piano, un tavolo di confronto con i detenuti per l’adeguamento dei progetti che verranno inseriti e applicati nel piano stesso. Fa piacere vedere che anche le forze sindacali sono in perfetta sintonia con le nostre impostazioni". "Rimane sempre - puntualizza la Malaspina - una perplessità di fondo se l’organismo di controllo proposto dal Comune e dalla Regione assolverà compiti che si sovrappongono a quelli istituzionali definiti nei progetti del Piano carceri". "Il ruolo della commissione quindi, - conclude la Malaspina - non dovrà vanificare il lavoro svolto fino ad oggi, ma dovrà rimanere in un ambito di verifica, necessario per l’adeguamento continuo dei progetti alle necessità dei detenuti e di una civile gestione del sistema carcerario". Castelli: con la Bossi-Fini rimpatriati 2.200 detenuti stranieri
Sesto Potere, 26 agosto 2004
Il Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, nel corso di un’intervista radiofonica ha dichiarato: "I dati sulle presenze nei penitenziari forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sono gli unici ufficiali, parlano chiaro e non si possono strumentalizzare: nel 1996, quando la sinistra è andata al Governo, i detenuti mediamente, nel corso dell’anno, erano 48.500; nel 2001, alla fine del governo di sinistra, erano più di 55.000; nel 2003 le presenze sono scese mediamente a 54.200. Nel 96 ci sono stati 45 suicidi, nel 2001 sono saliti a 69. Appare chiaro che in cinque anni di governo la sinistra ha riempito le carceri oltre misura: a noi è toccato porre rimedio, tenere sotto controllo la situazione. Ma non si può pretendere di riuscire a sanare questo stato di cose in pochissimo tempo. Con la "Bossi-Fini" sono stati rimpatriati 2.200 detenuti extracomunitari e inoltre sono stati stanziati oltre duemila miliardi per la costruzione di 23 nuovi istituti". "Alla luce di quanto accaduto negli ultimi giorni - ha aggiunto il ministro Castelli - ritengo opportuno richiamare l’attenzione su due fatti per i quali ciascuno poi darà la propria interpretazione: primo, con cadenza costante, ogni anno d’estate sono più numerose le visite negli istituti da parte di esponenti politici; secondo, dopo alcuni giorni negli istituti si verificano tensioni. Io non do alcuna interpretazione, raccomando solo a chi va a visitare i penitenziari di non accendere nei detenuti false speranze, anche involontariamente e in buona fede, perché quando si ha a che fare con i detenuti, si ha a che fare con una tipologia di persone che vive una situazione di per sé critica, aggravata, poi, dalla passata legislatura." Roma: i detenuti di Rebibbia "noi diciamo basta!"
Ansa, 26 agosto 2004
"Come ogni estate scoppia l’emergenza carcere e sempre, con una buona dose di cinismo, si lanciano nuovi proclami, si fanno nuove promesse e dichiarazioni d’assunzione di responsabilità, cosicché ancora una volta i detenuti diventano il soggetto estivo prediletto su cui scaricare inadempienze e responsabilità politiche". Lo affermano in una nota i detenuti dell’Istituto penitenziario di Rebibbia. "Se da una parte il Ministero della Giustizia è impegnato solo a tagliare i fondi destinati all’amministrazione penitenziaria, bloccando quindi qualsiasi progetto per ridurre il sovraffollamento degli istituti e ogni iniziativa finalizzata al recupero e al reinserimento - proseguono i detenuti - dall’altra parte i politici seminano a piene mai illusioni e assurde proposte di nuovi tavoli di lavoro e di commissioni di studio per affrontare l’emergenza. Noi diciamo basta!!" Roma: Rinaldi, sono urgenti interventi strutturali e sociali
Adnkronos, 26 agosto 2004
"È quanto mai urgente apportare delle profonde riforme strutturali all’interno degli istituti di pena di Roma e provincia, senza dimenticare la necessità di interventi sociali efficaci e risolutivi". È quanto afferma Rosa Rinaldi, vicepresidente della Provincia di Roma, in merito alle vicende degli ultimi giorni che hanno portato alla ribalta la situazione degli istituti di detenzione in Italia.
|