Rassegna stampa 25 agosto

 

Roma: arriva il rapporto sulle proteste a Regina Coeli

 

Gazzetta del Sud, 25 agosto 2004

 

Sono ventiquattro i detenuti di Regina Coeli segnalati alla procura di Roma, dopo la violenta protesta della scorsa settimana, dalla polizia penitenziaria, nel rapporto inviato al pubblico ministero Adriano Iasillo, titolare dell’inchiesta. Nel documento del comando del reparto di polizia penitenziaria, si ricostruiscono le fasi di quanto avvenuto quella sera nella quarta sezione della casa circondariale romana e vengono indicati i carcerati ritenuti promotori della protesta. Nella quarta sezione del carcere furono danneggiate porte, finestre, vetrate e sistemi antincendio.

La protesta, alla quale parteciparono 158 detenuti, iniziò intorno alle 20.30 e durò circa un’ora e mezza. Dopo una violenta battitura delle inferriate, furono fatte esplodere nei corridoi, dove si trovava il personale della polizia penitenziaria, alcune bombolette di gas, di quelle in uso per alimentare i fornelli da campeggio. Poi alcuni detenuti, a quanto riferito nel rapporto, istigarono gli altri a saccheggiare e danneggiare tutto.

Alcuni, con lamette e bastoni ricavati dai piedi dei tavoli e altri, con i volti coperti da indumenti, costrinsero il personale ad abbandonare la sezione. Dopo una serie di trattative, 47 detenuti furono subito trasferiti di reparto. Nel suo rapporto, in cui si fa un rendiconto dei danni provocati, la polizia penitenziaria ritiene possibile, nei confronti dei ventiquattro detenuti segnalati, la contestazione di una serie di reati che vanno dal danneggiamento all’istigazione a delinquere, dalla sommossa alla resistenza a pubblico ufficiale, alla minaccia. Intanto dal capo del Dap, Giovanni Tinebra, è arrivata una nota di elogio al capo della polizia penitenziaria del carcere romano, Giuseppe Siciliani, che nel corso della protesta ha parlamentato con i detenuti. "Il governo parla troppo e fa poco".

Lo ha detto il deputato Enrico Buemi (Sdi), della commissione Giustizia della Camera, prima di entrare nel pomeriggio nel carcere di Regina Coeli per visitare i detenuti assieme ai parlamentari diessini Marcella Lucidi e Francesco Carboni e al presidente della Consulta del Comune di Roma per i penitenziari Lillo De Mauro. "Credo che con il contributo che il Parlamento e la commissione Giustizia della Camera in particolare stanno dando – aggiunto Buemi – attraverso il lavoro del comitato carceri a settembre ci possano essere proposte concrete dopo una discussione ampia all’interno della stessa commissione".

A proposito dell’ipotesi di privatizzazione e della vendita del carcere di Regina Coeli, Buemi ha detto: "E’ sbagliato enucleare le carceri come Regina Coeli dal tessuto sociale della città perché i detenuti rappresentano una parte della società, anche dal punto di vista della loro riabilitazione". "Siamo preoccupati che la vendita di un penitenziario come quello di Regina Coeli possa significare rendere incerta la gestione futura di strutture come questa. Mi auguro quindi che non si tratti di vendite scriteriate", ha aggiunto da parte sua la parlamentare diessina Marcella Lucidi. Di Regina Coeli e della protesta sfociata in rivolta nel carcere romano hanno saputo appena tre giorni dopo essere stati additati come i detenuti modello che, il giorno di Ferragosto, si sono rimboccati le maniche e hanno ripulito il parco nazionale della Val Grande, sul Lago Maggiore, assieme alle associazioni ambientaliste.

Non si sono ancora placate le polemiche sull’emergenza sovraffollamento carceri, che altri 19 detenuti del carcere di Verbania usciranno nuovamente dalle celle, giovedì prossimo, stavolta per andare a ripulire le spiagge di Arona e i boschi del San Carlone. E stavolta saranno accompagnati nientemeno che dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tinebra. "Basta alle inutili e sterili polemiche. Parliamo con i fatti – dice Tinebra –. Nei mesi scorsi abbiamo siglato un accordo-quadro con il ministero dell’Ambiente: stiamo puntando su progetti per il recupero dei detenuti a fine civile, così da attirare su di loro l’occhio benevolo della gente".

Napoli: prima di tutto istituire il Garante dei detenuti

 

Il Mattino, 25 agosto 2004

 

Le lettere pubblicate da "Il Mattino", inviate da detenuti nelle carceri della città, non possono restare inascoltate. Perciò mi auguro che dall’amministrazione penitenziaria arrivino risposte chiare e convincenti. La chiusura verso l’esterno, con qualche rara eccezione, è storicamente tratto dominante del sistema penitenziario del nostro paese.

Non a caso per il ministro della Giustizia, il problema oggi sembra essere più le visite dei parlamentari che non le effettive condizioni di vita dei detenuti. Gli enti locali, come è noto, non hanno competenze dirette in materia. Ma i penitenziari, piaccia o no, sono parte integrante di una città e non possono avere una sorta di extraterritorialità.

Molti Comuni italiani si stanno occupando delle loro carceri e Napoli è tra questi. A maggio il Sindaco Iervolino ha insediato l’Osservatorio permanente sul carcere con sede in Palazzo San Giacomo.Ne fanno parte autorevoli rappresentanti delle realtà istituzionali, associative e del volontariato che a vario titolo agiscono sul pianeta carcere.

Ne cito solo alcune: Laboratorio per le città sociali, Associazione Nazionale Magistrati, Camera Penale, Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, Sindacato Forense, Asl Na1, Caritas Diocesana, Associazione Antigone, Italia Lavoro.

Nei prossimi giorni chiederemo di visitare i penitenziari cittadini ed incontrare rappresentanze dei detenuti. Ci sono emergenze che possono diventare drammatiche, quella sanitaria in primo luogo, come si rileva dalle stesse lettere dei detenuti, e che impongono la massima attenzione, anche da parte della Regione.

Ci sono bisogni, fondamentali per le prospettive di recupero, come quello relativo all’istruzione, che possono trovare risposte molto più ampie di quelle finora esistenti. L’Osservatorio vuole essere un "faro" acceso sul sistema carcerario, nel massimo rispetto delle prerogative delle istituzioni penitenziarie, con le quali vogliamo stabilire un rapporto di collaborazione. Ma c’è anche bisogno di rispetto per i diritti dei detenuti, privi di voce, se non quella dei "disperati messaggi affidati alle bottiglie" come efficacemente scrive Pietro Gargano.

Perciò abbiamo intenzione di presentare al più presto una serie di proposte sulle quali confrontarci con l’amministrazione penitenziaria,stabilendo anche incontri periodici per verificare il graduale raggiungimento degli obiettivi. Ed inoltre, accanto all’Osservatorio, pensiamo di istituire la figura del "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale". Una sorta di difensore civico del detenuto, dotato di una particolare autorità morale, e il cui ufficio sarà incardinato presso l’Amministrazione Comunale.

Su questo ci impegneremo coinvolgendo anche il Consiglio Comunale. Ciò nella convinzione che garantire i diritti basilari dei detenuti significa rispondere a fondamentali esigenze di solidarietà e allo stesso tempo garantire più sicurezza per tutti i cittadini.

Roma: Regina Coeli, quelle sbarre nel cuore della città

 

Corriere della Sera, 25 agosto 2004

 

La rivolta dei reclusi a Regina Coeli ha gettato una nuova, inquietante luce sulla condizione delle carceri italiane. Si tratta di un argomento delicatissimo, in cui la posta in gioco riguarda niente meno che lo stato stesso della nostra democrazia. Rispetto a un tema tanto cruciale, occorre dare prova di volontà politica, sensibilità, tempestività e competenza. C’è però almeno un aspetto secondario che merita una breve considerazione.

Mi riferisco alla particolare collocazione dell’istituto di pena, e a ciò che essa significa in rapporto alla città. Infatti non stiamo parlando di uno spazio distante e isolato dal tessuto urbano, bensì di un suo ganglio vitale e centralissimo. Regina Coeli sorge nel cuore stesso di Roma, tra il Vaticano e Trastevere, tra l’Orto Botanico e il fiume, tra l’Ospedale Bambin Gesù e la Villa Farnesina.

Tutto ciò per dire che, quando i detenuti hanno cominciato a battere con i loro cucchiai contro le sbarre, nessuno è riuscito a ignorare quel suono. È dalle nostre strade, fra negozi e officine, dietro il Filmstudio e sotto il monumento a Garibaldi, che sta montando la reazione a un disagio sempre più profondo. Per questo non possiamo permetterci di non ascoltarla.

Roma: i ventiquattro detenuti ribelli di Regina Coeli

 

Corriere della Sera, 24 agosto 2004

 

Sono accusati di aver devastato "l’intera quarta sezione distruggendo porte, finestre, vetrate, sistemi antincendio". Di aver "istigato a saccheggiare e danneggiare forzando e rompendo i sistemi di serraggio per permettere a tutti di uscire dalle celle". Di aver "intimorito anche chi non ha partecipato". Il rapporto sulla sommossa a Regina Coeli del 17 agosto approda sul tavolo del Pm Adriano Iasillo quando, quasi a sottolineare la drammatica situazione degli istituti di pena, viene diffusa la notizia di un altro suicidio tra le sbarre: un giovane rumeno si è impiccato a Frosinone. È accaduto il primo luglio, ma nessuno aveva avvertito i familiari. I genitori hanno saputo della tragedia quando una lettera al figlio è tornata indietro con il timbro "deceduto".

In dieci pagine, l’informativa del Comando di reparto della polizia penitenziaria racconta la notte di ribellione, enumera i danni e indica i presunti autori degli atti di vandalismo: 24 reclusi con in testa G.C., definito "promotore e incitatore della gazzarra". Undici i reati contestati ai detenuti, tra i quali devastazione e saccheggio, istigazione e associazione a delinquere, violenza e minaccia, attentato a impianti di pubblica utilità. Finora però non ci sono iscritti nel registro degli indagati.

Il "trambusto" nella quarta sezione, "a esclusione del piano terra", inizia alle 19.20, quando va via la corrente. Dura pochi minuti, perché il guasto viene subito riparato e G.C. invita "gli altri detenuti a stare calmi". Intanto viene distribuito il documento relativo alla protesta prevista per le 22, stilato per ottenere "l’indulto generalizzato di tre anni".

La ritrovata tranquillità però è apparente. La sommossa è soltanto rinviata. Alle 20.50 la battitura delle pentole contro le inferriate dà il segnale d’avvio. Subito dopo i reclusi escono dalle celle scardinando i "braccetti", rompono "vetri e suppellettili al terzo piano", aprono gli idranti e "allagano le scale con acqua mista a sapone e olio". Nei corridoi esplodono le bombolette di gas modello camping, i detenuti usano le zampe dei tavoli a mo’ di bastoni e minacciano di ferire e ferirsi con le lamette da barba. Molti, per non farsi identificare, hanno il volto coperto. Mentre iniziano le trattative, agli agenti viene ordinato di abbandonare la sezione e chiudere il cancello a piano terra. Dieci minuti dopo mezzanotte la rivolta è sedata: 47 reclusi vengono trasferiti a piano terra, alcuni perché autori dei disordini, altri perché la sezione è inagibile.

Rebibbia: emergenza sanità, fra neo-mamme e malati di Aids

 

Corriere della Sera, 24 agosto 2004

 

Angelo, trentadue anni e poco più di cinquanta chili, malato di Aids. Divide la cella con altri tre detenuti a Rebibbia. La legge che per i casi di Hiv conclamato prevede gli arresti domiciliari, lo pretenderebbe fuori dal carcere. La realtà invece gli concede di vivere in quella stanza schierando le proprie difese contro un virus imbattibile. La famiglia in casa non ce lo vuole e così a lui resta solo la scelta del penitenziario.

A Rebibbia, in via Majetti, un pezzo irriconoscibile di città a un passo da via Tiburtina, la storia di Angelo si moltiplica per diciannove. Diciannove detenuti malati di Aids che restano in carcere perché non hanno un’alternativa alle famiglie. "È il caso limite di un problema enorme che riguarda tutti, una sanità completamente inefficiente.

Occorre che la Regione si assuma le sue responsabilità, facendosi carico del problema. La Toscana ha approvato una nuova legge sull’amministrazione sanitaria nelle carceri. Era previsto che anche il Lazio si dotasse di una legge analoga. Cosa ne è stato?" chiede Luigi Nieri, assessore alle Periferie del comune di Roma in visita a Rebibbia, ieri, assieme ai consiglieri regionali Loredana Mezzabotta (Ds) e Giovanni Hermanin (Margherita) e al presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, per verificare le condizioni dei detenuti.

Milleseicento qui, 5842 in tutta la regione. Numeri destinati a crescere ora che la soglia della tollerabilità è stata innalzata dal ministero della Giustizia. Nel Lazio i posti sarebbero 4.845. I detenuti sono 5.842. La soglia di tollerabilità per il ministero 6.339. "Ci sono detenute neo mamme rinchiuse nel carcere di massima sicurezza. Vivono in nove in una stanza - spiega Loredana Mezzabotta - ccriveremo al dipartimento per chiederne il trasferimento dalla sezione speciale. Fra l’altro si tratta di detenute in attesa di una sentenza definitiva".

Il problema della sanità nelle carceri della regione sembra destinato ad acuirsi, anche a causa delle scarse risorse: "Nel 2004 su tre milioni e centomila euro richiesti per spese sanitarie, il nuovo complesso di Rebibbia ha ottenuto solo due milioni e duecentomila euro. Un milione di euro in meno che peserà sulle condizioni dei detenuti" dice la Mezzabotta.

L’intento, hanno spiegato ieri Nieri, Mezzabotta e Hermanin è quello di rafforzare la mediazione fra il carcere e la città. Verificare che i diritti dei detenuti siano sempre rispettati, coinvolgere nel progetto le amministrazioni regionale e provinciale. "Ci occuperemo direttamente degli ammalati di Aids- si impegna Donato Robilotta, assessore regionale agli Affari istituzionali - per quanto riguarda invece l’amministrazione regionale della sanità delle carceri al momento si tratta solo di una sperimentazione e non mi pare che susciti entusiasmo".

Radicali: raccolta firme nelle carceri di Udine e Tolmezzo

 

Agenzia Radicale, 25 agosto 2004

 

Oggi, mercoledì 25 agosto, i radicali friulani, accompagnati dall’autenticatore Fausto Deganutti, si recheranno nel carcere di Tolmezzo alle 10.00 e di Udine alle 14.00, per raccogliere le sottoscrizioni al referendum abrogativo della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita.

I detenuti della sezione alta sicurezza del carcere di Tolmezzo - fa sapere Gianfranco Leonarduzzi dei radicali Italiani FVG - hanno aderito in massa al digiuno "del carrello" di domenica promosso dai Radicali, e domani verrà consentito all’intera popolazione carceraria rinchiusa nel carcere di Tolmezzo e di Udine di esercitare i diritti civili di cittadini.

Carceri private? un business fallimentare

 

Liberazione, 25 agosto 2004

 

Corrections Corporations, così si chiamano negli Stati uniti le ditte che gestiscono la privatizzazione delle prigioni. Già il termine, "industria della correzione", avrebbe mandato in visibilio Michel Foucault, per l’ipocrisia implicita, per l’idea che si possano imprigionare cittadini a scopo di profitto, per i risultati perversi che in più di vent’anni questo "liberismo carcerario" ha prodotto negli Stati uniti. Un liberismo ora invocato anche in Italia, da esponenti del governo e anche dai soliti radicali.

Certo, nella seduzione esercitata dal privatismo penitenziario conta molto la plateale subalternità della nostra classe politica nei confronti di tutto ciò che proviene dagli Usa. Conta anche il potere ipnotico che la parola privato sembra esercitare, come se per sua natura il privato fosse sinonimo di efficienza, di trasparenza. Eppure il clamoroso fallimento della privatizzazione delle ferrovie inglesi sta a dimostrare quanto questo dogma sia infondato, tanto che perfino il governo Blair è stato costretto a rinazionalizzarle. Anche il dissesto in cui versa il dispendiosissimo sistema sanitario americano dovrebbe instillare dubbi nei cantori della deregulation.

Così ora l’Italia vorrebbe imboccare la strada delle prigioni private proprio quando si è rivelata un vicolo cieco negli stessi Stati uniti. Intanto per cominciare il business delle prigioni non è mai riuscito a sfondare negli Usa: nel 1983 fu fondata l’industria leader del settore, Corrections Corporations of America, ma 21 anni dopo i privati gestiscono appena il 5% dei detenuti, una percentuale ferma ormai da parecchi anni. In secondo luogo tutte queste imprese sono incappate in disavventure legali e insuccessi finanziari. Contro di esse hanno intentato causa gli stati (per non aver rispettato i termini dei contratti), i parenti di detenuti uccisi, gli stessi azionisti che hanno visto evaporare i loro investimenti.

La questione è semplice: anche quando sono gestite dallo stato che non ci guadagna nulla, le prigioni di quasi tutto il pianeta sono sporche, malsicure, sovraffollate. Ora ci vogliono far credere che non solo allo stato costerebbe meno darle in appalto ai privati, ma anche che, con un esborso minore da parte dello stato, questi privati ci possano lucrare sopra. L’unico modo per farlo è risparmiare sui costi, quindi trattare peggio i detenuti (accrescendo così le probabilità di ammutinamenti) e/o pagare meno i secondini. In effetti nelle corrections private Usa i secondini ricevono stipendi da fame, non vengono formati, il loro turn over supera il 60% annuo. Così, per arrivare alla fine del mese, questi secondini si danno allo spaccio di droga dentro al carcere, un traffico che dilaga nelle prigioni private, come hanno dimostrato varie commissioni d’inchiesta. Inoltre la scarsità di carcerieri e la loro mancanza di qualificazione aumentano il numero dei morti, dei suicidi, dei maltrattamenti, e anche delle evasioni. La situazione era così grave che nel 2000 il fondatore dell’azienda leader fu cacciato a pedate. L’ultimo dettaglio inquietante è che una ditta privata che trae profitto dai prigionieri ha interesse a che i detenuti restino in carcere il più a lungo possibile, peggiorando il già spaventoso sovraffollamento penitenziario.

Che importa: sembra un dogma religioso che l’interesse privato, cioè l’egoismo individuale, costituisca una panacea universale per tutti i problemi delle nostre società. E quest’idea è diventata un moderno pifferaio di Hamelin che con la sua musica svuota i cervelli e affoga le menti: ormai nella vulgata dominante è scontato che privato è meglio di pubblico, sempre e ovunque, persino dietro le sbarre.

Primo permesso per Sofri: "Che emozione l’odore dell’aria"

 

Corriere della Sera, 25 agosto 2004

 

Questa volta è successo tutto in forma privatissima, serrate le bocche degli amici più cari che da tempo sapevano della sua richiesta. Un permesso per uscire dal carcere: il detenuto Adriano Sofri lo ha presentato al magistrato di sorveglianza di Pisa, senza clamori. La voglia di fare un bagno. Odorare l’aria. Guardare un tramonto negli occhi di Randi, la sua compagna. Ieri mattina presto Adriano Sofri è uscito dal carcere Don Bosco di Pisa senza telecamere e con una strana coincidenza di date: era il 24 agosto anche nel 1999, quando i giudici di Venezia decisero la sua scarcerazione e la revisione del processo per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Un destino le date per Sofri nel carcere di Pisa: la prima volta vi era entrato il 24 gennaio 1997. Ci sarebbe tornato di nuovo il 24 gennaio del 2000. E da questa volta non aveva mai più messo piede fuori dalla prigione. Fino a ieri, dopo quattro anni e 7 mesi filati.

Una giornata strana, soltanto una. Densa. Intensa. Confusa. "Mi fanno impressione le macchine. Mi colpisce l’odore dell’aria. Mi emozionano i colori. I sapori", avrebbe detto al telefono in un soffio ad Andrea Marcenaro, l’amico dei tempi che furono, quando Lotta continua era un modo di tenersi per mano e non un passato scomodo da cancellare in fretta.

E’ uscito in silenzio dal carcere per mano di Randi, senza dire nulla neanche agli amici più cari. Si è palesato con uno scherzo a Marianna Rizzini, il capo redattore centrale del Foglio , il quotidiano di retto da Giuliano Ferrara dove Sofri ha una rubrichetta giornaliera: "Devo dettare la rubrica di Adriano", ha detto lo stesso Adriano simulando la voce di suo figlio. "Ciao Luca, ti passo i dimafoni", la risposta consueta di Marianna Rizzini. Quindi la rivelazione. "Veramente Adriano sono io, questa volta".

Urla. Risa. Gioia. Giuliano Ferrara non ha perso tempo: "Adriano, apriamo una redazione del Foglio a Pisa. Così hai già un lavoro e potrai lavorarci di giorno, con il permesso della semilibertà". Anche Vincino si è subito attivato: ci sarà il disegno di un paesaggio dietro il faccino di Sofri nella vignetta sulla sua rubrica di oggi. Il resto è stato un tam tam di telefonate degli amici più cari.

"E’ un segnale molto positivo questo permesso del magistrato di sorveglianza di Pisa", ha detto Franco Corleone spiegando che sarà proprio questo magistrato di sorveglianza che dovrà dare il parere che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha chiesto al ministro della Giustizia Roberto Castelli per la grazia. In realtà Adriano Sofri di giorni di permesso di libera uscita ne aveva chiesti tre e avrebbe voluto uscire per Ferragosto: "Ma deve esserci stato qualche problema per via delle ferie. Del resto non era una valutazione facile: è la prima volta che Adriano chiede di uscire dal carcere", aggiunge ancora Corleone.

Era poco prima della Pasqua di quest’anno quando sembrava che Adriano Sofri avrebbe davvero varcato la soglia del carcere di Pisa per entrare nel Duomo di Milano: lo aveva invitato don Luigi Garbini per leggere versi di Oscar Wilde, una ballata sul carcere di Reading. Ma poi ci avevano pensato le polemiche a far saltare tutto. "Speriamo che questa volta non sia un’ennesima occasione per una cattiveria gratuita", sospira Silvio Di Francia, capofila di un comitato che da due anni e otto mesi sta portando avanti uno sciopero della fame a staffetta per sostenere la grazia per Sofri.

Sta scontando 22 anni di carcere Adriano Sofri, ritenuto di essere il mandante dell’omicidio del commissario Calabresi, avvenuto il 13 maggio 1972.

Modena: al via il progetto "ladri e derubati a confronto"

 

Sesto Potere, 25 agosto 2004

 

Nell’ambito del progetto "Così lontani Così Vicini", organizzato dalla Circoscrizione n. 4, Sportello Non Da Soli, Gruppo carcere - città, Amministrazione Penitenziaria e Regione Emilia Romagna sono in programma tre incontri nel parco Ferrari (zona gazebo) dal titolo "Ladri e derubati a confronto": due mondi che non devono restare completamente separati altrimenti i ladri saranno sempre ladri e i derubati sempre derubati. Mercoledì 25 agosto alle 21 saranno presenti rappresentanti del Progetto Così lontani Così Vicini e dello Sportello Non Da Soli. Domenica 23 agosto, dalle 16 ale 23 serie di iniziative divulgative e ricreative come concerto di ocarine, mercatino, burattini e cabaret. Sabato 4 settembre, alle 21, animazioni concerto e cocomerata finale.

Rivolta a Regina Coeli: rapporto della polizia al Pm di Roma

 

Agi, 24 agosto 2004

 

Hanno danneggiato l’intera quarta sezione di Regina Coeli "distruggendo porte, finestre, vetrate, sistemi antincendio, minacciando di produrre i danni che poi sono stati causati e intimorendo anche chi non ha partecipato".

E ancora: hanno "fatto esplodere con rudimentale sistema di accensione delle bombolette di gas (modello camping) nei corridoi dove si trovava il personale di polizia penitenziaria" e hanno "istigato tutti i detenuti a saccheggiare e danneggiare forzando e rompendo i sistemi di serraggio per permettere a tutti di uscire dalle celle". Sono alcune delle accuse mosse dalla polizia penitenziaria in servizio presso il carcere romano e contenute nel rapporto consegnato al Pm della capitale Adriano Iasillo, titolare dell’inchiesta sulla violenta protesta dei detenuti avvenuta la sera del 17 agosto. I rivoltosi - stando al documento - avrebbero agito coprendosi il volto con degli indumenti "per non essere riconosciuti" e servendosi di bastoni "ricavati dalle zampe dei tavoli distrutti". Altri, invece, si erano armati di lamette "con le quali minacciavano di lesionarsi e lesionare altri".

Sassari: tutti contro il "carcere leggero" all’Asinara

 

L’Unione Sarda, 25 agosto 2004

 

C’è qualche rara voce a favore, ma l’idea di far lavorare all’Asinara detenuti, seppur leggeri provoca una vera e propria rivolta. La mite Gilda Usai Cermelli, sindaco di Forza Italia di obbedienza pisaniana, respinge con sdegno i suggerimenti di Giovanni Tinebra, direttore centrale del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. "Il dottor Tinebra ma anche i suoi collaboratori sardi -dice- devono capire che l’Isola è ormai libera dai vecchi gravami carcerari e non si può neppure immaginare il rientro, sotto qualsiasi forma, di un carcere. La nostra comunità ha già dato, per 150 anni, e oggi trovo non corretto, e neppure etico, che si immaginino destinazioni ormai superate senza neppure consultare gli enti locali".

Gilda Usai non ha tentennamenti: "Anche se - aggiunge - per pronunziarmi ancora più nel dettaglio vorrei conoscere i progetti ministeriali. Il metodo adottato è comunque disdicevole, perché non è stato chiesto alcun parere su precisi progetti alla comunità del Parco, della quale il Comune fa parte insieme alla Regione. L’amministrazione penitenziaria non può neppure pensare di decidere verticisticamente sui destini dei territori altrui".

Forzitaliota con forti radici democratico cristiane, la prima cittadina di Porto Torres si dice "favorevole al recupero dei detenuti attraverso il lavoro, ma non qui, all’Asinara, un’isola liberata e recuperata alla comunità che ha deciso di farne un Parco. E a questo proposito vorrei proprio che il dottor Tinebra vedesse lo stato degli immobili e dei terreni, che non è affatto degradato come dice lui. Molto c’è da fare, ma la presenza del carcere non era affatto ambientalmente positiva.

Questa gemma nel Mediterraneo va protetta e valorizzata, con modelli di sviluppo adeguati. Non vorrei che il ministero della Giustizia se la voglia riprendere denunciando un presunto degrado dei suoi beni. Un degrado tutto responsabilità dell’amministrazione penitenziaria, che insiste a tenersi gli edifici invece che a cederli al Parco.

Ci lascino tutto, la comunità di Porto Torres, e anche della Sardegna e dell’Italia interna li trasformerà rendendo Fornelli e le altre realtà carcerarie del passato luoghi di studio e di turismo". È un fiume in piena la professoressa Usai: "Altro che riprendersi l’Isola - dice - semmai dovrebbero pagarci i danni per aver utilizzato per un secolo e mezzo la metà più pregiata del territorio di Porto Torres. Raramente la mite prima cittadina si è espressa con tanta durezza, quasi eguagliando i toni aspri di un suo predecessore, Eugenio Cossu, sindaco comunista di Porto Torres prima e poi presidente diessino del Parco nazionale dal 1997 per sei anni "provvisoriamente", s’intende.

"Tinebra e il ministro Castelli - dice - hanno in mente da tempo l’idea di riportare i carcerati all’Asinara utilizzando la via dei detenuti leggeri, come dicono loro. Sono certo che non ci riusciranno, anche perché gran parte delle strutture sono già ufficialmente passate alla regione, che non penso sarà loro complice. A meno che Castelli non pensi di ricorrere a un decreto di requisizione, come fece lo sfortunato re Umberto I. Se il ministro padano vuole abbandonare Is Arenas e fare le vacanze all’Asinara - aggiunge polemico Cossu - potrei suggerirgli, vista la sua origine padana, di scegliere San Vittore. Lasci l’Asinara al suo destino di Parco, destinando, come abbiamo ipotizzato Fornelli a museo, Trabuccato e Campu Perdu a scuola di vela".

Porto Torres è unita nel no, e trova sostegno in Renato Soru, presidente della Regione che sta tentando anche in questi giorni di organizzare un incontro con il ministro della Giustizia Castelli. "L’obiettivo - ha chiarito il presidente della Regione - è quello di ottenere l’assegnazione totale alla Regione delle aeree e dei beni ancora in possesso dello Stato. Un bene prezioso come l’isola, un’area di valore inestimabile valore, non deve essere destinato a fini diversi da quelli stabiliti dalle popolazioni e dalle amministrazioni che le rappresentano ".

Polemico con i non meglio specificati "usi governativi", Soru ribadisce "il diritto sacrosanto della collettività di disporre dei propri beni e dei propri territori in piena autonomia, senza interferenze o imposizioni da parte dello Stato. Tanto meno dai dipartimenti penitenziari romani". L’impressione è che l’idea del dottor Tinebra si stia rivelando un boomerang. Non trova soltanto dinieghi, ma i no sono pesanti. Disponibile a discuterne, ma con grande cautela, è il presidente del Parco Piero Deidda, professore di Agraria all’Università.

"Non ho per le mani alcun progetto - premette - dunque non ho la più pallida idea delle intenzioni del ministero. Non appena avremo i documenti, porterò il tema all’esame del direttivo. L’idea ha i suoi pro, e i suoi contro, questi ultimi al momento prevalenti. I pro? l’idea di avere un sostegno nelle attività di manutenzione di un patrimonio molto vasto. Ma, ripeto, senza progetti concreti non mi posso pronunciare. Ne riparliamo a settembre ". Il più possibilista è Mario Lissia, direttore del Centro ustionati di Sassari, componente del direttivo.

"Istituzionalmente sembra un’eresia - dice - ma a livello personale l’ipotesi di un carcere leggero non mi scandalizza. L’isola è manomessa dall’aggressione della natura e del clima e anche dalla mancata programmazione. Conosco i fondali dell’Asinara da 35 anni, sono una meraviglia, ma vanno difesi dall’aggressione degli imprenditori che non pensano alle generazioni future. Il carcere? L’esperienza passata è stata negativa, il carcere era imposto a Stintino.

Ma una piccola presenza di detenuti che coltivino i campi e gli orti abbandonati non sarebbe male. Soprattutto se in cambio avremo una vigilanza intorno all’Isola affidata nuovamente alle guardie carcerarie. Vanno combattuti bracconaggio e pesca abusiva, va tutelato il patrimonio più affascinante dell’Isola, quello sottomarino. E le guardie in giro con le loro motovedette potrebbero essere un bel deterrente contro le aggressioni all’ambiente. Ripeto, parliamone, magari in una bella Conferenza di servizio, con Regione, Comune, ministeri".

Milano: "I germogli", un cooperativa per i giovani detenuti

 

Il Cittadino, 25 agosto 2004

 

Nasce "I germogli", cooperativa per il reinserimento di giovani detenuti: oltre a vino e miele biologico, produrrà siero curativo per l’artrite estratto dal veleno delle api. Vogliono portare in collina l’apiterapia, l’impiego delle proprietà curative del veleno d’api nelle patologie reumatiche quali artrosi, artrite e tendiniti.

È la sfida della cooperativa sociale "I germogli", nata a maggio da una costola di "Sherwood", onlus già impegnata nel recupero sociale di detenuti minorenni ammessi a beneficiare di misure alternative al carcere come la "messa alla prova". Un recupero, quello attuato nella comunità "Sherwood", che esplora percorsi differenti e insoliti come la dog therapy: i ragazzi sono stimolati a prendersi cura di un pitbull, cane ritenuto feroce ma che, allevato con le opportune attenzioni, rivela un’inaspettata mitezza.

Come già avviene nella comunità "Sherwood", anche la struttura de "I germogli" accoglierà detenuti ed ex detenuti ma in questo caso trattandosi di una cooperativa di tipo B si occuperà prevalentemente del loro inserimento lavorativo: in cantiere c’è la produzione di vino banino doc e di ortaggi. Poi ci sono le arnie: oltre a ricavarne miele, la cooperativa vuole esplorare la possibilità di portare in collina l’impiego delle punture di api nella cura di alcune patologie.

"Stiamo studiando questa possibilità con la dottoressa Marilla Buratti, un medico di Milano specializzata nella medicina alternativa - spiegano Giancarlo Tosi, presidente de "I germogli", e Gianni Lunghi, operatore di "Sherwood" e collaboratore di Tosi in questa nuova avventura -. Potrebbe essere un’attività sperimentale da affiancare alla produzione di miele che effettueremo spostando le arnie in varie zone della collina per ricavarne le qualità migliori, dal tiglio all’acacia al millefiori".

Quanto all’utilizzo del veleno, considerato un vero e proprio antinfiammatorio naturale, si tratta di una terapia vecchia di secoli, a lungo sfruttata nella medicina popolare, da qualche anno entrata ufficialmente negli ospedali in Russia e abbinata, in Cina, all’agopuntura per controllare la pressione alta.

Il veleno può essere iniettato utilizzando l’ape viva applicata più volte con l’ausilio di una retina finissima per estrarre il pungiglione, che altrimenti resterebbe conficcato nella pelle, o con attrezzi simili a quelli dell’agopuntura da immergere in una fialetta di siero estratto dal corpo delle api.

Curiosità a parte, l’attività principale della cooperativa (che ha la sede legale, campi e vigne sulla collina banina mentre la casa della comunità si trova a Lambrinia, frazione di Chignolo attigua a San Colombano) sarà la produzione di vino e miele: "Ottenuti con tecniche di agricoltura biologica - sottolineano Tosi e Lunghi -, senza l’utilizzo di organismi geneticamente modificati e abbinando a tecniche moderne la saggezza dei "vecchi della collina"".

Anziani coltivatori come "Nonno Panigada", 84 anni, vicino di casa e di orto, e di Ezio Cattaneo: "Un uomo di 72 anni che da 60 anni alleva api - racconta Lunghi -. Le conosce così bene che ormai mette le mani nelle arnie senza utilizzare alcuna protezione per le braccia".

Con loro operatori e ragazzi cercheranno di riscoprire vecchie tecniche di coltivazione: "Per esempio ripristinando l’uso della "poltiglia bordolese", il vecchio verderame ottenuto spegnendo la calce nel rame. La impiegheremo al posto dei prodotti di sintesi che si usano oggi, prodotti che entrano in circolo nelle fibre della vite".

Sono progetti resi possibili da una sovvenzione Cres, un finanziamento previsto dall’Unione Europea: partono dalla realtà già consolidata della gemella "Sherwood", (di tipo A, quindi a carattere socio sanitario ed educativo) che oggi accoglie cinque ragazzi minorenni italiani e stranieri che stanno scontando il proprio debito con la giustizia lavorando nell’orto e seguendo, allo stesso tempo, un cammino di recupero di valori sociali. "Da noi potranno arrivare questi ragazzi, una volta terminato il loro percorso - spiega Tosi -. Altri ragazzi potranno invece arrivare dal Beccaria, il carcere milanese".

Li aspetta il lavoro nei campi, sotto il sole, o con le arnie. Tutt’altro che rilassante ma rispetto alle quattro mura di una cella sembrerà un paradiso.

Frosinone: rumeno s’impicca in cella, la famiglia non sa nulla

 

Il Messaggero, 25 agosto 2004

 

"Restituita al mittente. Detinatario deceduto". Si è impiccato in una cella del carcere di Frosinone, Vassile Tanase, 28 anni, rumeno. Il 1 luglio ha legato i lacci delle scarpe a una grata delle finestra. Ma nessuno lo ha comunicato alla famiglia né all’avvocato difensore, Fernando Catanzaro. Il fratello e i genitori di Vassile gli avevano scritto in carcere. Quindici giorni fa la lettera è tornata indietro. Sulla busta la notizia. Nessuna telefonata per comunicare la tragedia. Solo un timbro. Sono stati i familiari a chiamare Catanzaro: "Ma Vassile è morto? La nostra lettera è tornata indietro".

L’avvocato ha risposto che non era possibile: "Ho visto Vassile il 25 giugno. Nessuno mi ha comunicato nulla". Poi è andato in carcere, a Frosinone. Il corpo del ragazzo era ancora all’obitorio. Vassile era laureato in informatica. Uno dei tanti che in Italia cercava fortuna. Ad aprile era stato arrestato per furto. Lo avevano sorpreso in un grande magazzino di Roma mentre rubava un capo di abbigliamento. Fino a giugno era rimasto a Regina Coeli, per quel vestito era stato condannato a due mesi e 20 giorni. Ma da Trieste era arrivata la notizia di un’altra condanna, due anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Vassile a Trieste non era mai stato. Il suo legale lo aveva rassicurato "Faremo un incidente di esecuzione. Dimostreremo che non hai a che fare con questa storia". Ma la pausa feriale aveva fatto slittare tutto a ottobre. E la prospettiva di rimanere in carcere fino al 2006 aveva fatto cadere Vasile in una brutta depressione. Quando a giugno era stato trasferito al suo curriculum di detenuto era allegata la diagnosi del medico.

Dopo la telefonata della famiglia, l’avvocato Catanzaro si è presentato al penitenziario. Un ispettore gli ha mostrato le foto del cadavere. Sul collo i segni erano evidenti.

Verbania: 19 detenuti ripuliranno spiagge del lago Maggiore

 

Adnkronos, 25 agosto 2004

 

Per una giornata saranno liberi e socialmente utili. Diciannove detenuti scortati dalla polizia penitenziaria usciranno domani dal carcere di Verbania per essere trasportati ad Arona con un battello messo a disposizione dalla navigazione del Lago Maggiore e dal Comune di Arona e svolgere attività a favore dell’ambiente.

L’iniziativa è di due poliziotti penitenziari, Vincenzo Lo Cascio e Marco Santoro del Gruppo operativo mobile, il reparto speciale che opera alle dirette dipendenze di Giovanni Tinebra, il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, che seguirà di persona le attività della giornata. Arrivati ad Arona, i detenuti attraverseranno il centro storico della città e distribuiranno dei volantini per incitare alla protezione dell’ambiente, successivamente si recheranno nelle spiagge aronesi inutilizzate per renderle, in due ore circa, pulite e utilizzabili dai turisti. Nel pomeriggio i carcerati visiteranno il San Carlone, una delle statue più alte del mondo, e si raccoglieranno in preghiera con i frati cappuccini. Poi ancora pulizia delle aeree boschive attorno al San Carlone e alle 18.00, il rientro in carcere.

Vicenza: la Provincia studia nuove sinergie con il carcere

 

Il Gazzettino, 25 agosto 2004

 

Prima di dare il via al suo nuovo impegno amministrativo con la ripresa di settembre, il neo assessore al lavoro e alla formazione professionale della Provincia, Roberto Tosetto, già sindaco di Trebaseleghe, ha sfruttato anche il mese di agosto, iniziando il suo mandato con una visita ai nove "Centri per l’impiego del territorio": Abano, Camposampiero, Cittadella, Conselve, Este, Monselice e Montagnana, Padova e Piove di Sacco. Obiettivo: conoscere il personale e valutare lo stato degli uffici sia da un punto di vista strutturale che per quanto concerne le attrezzature informatiche e gli arredi.

La visita ha consentito di mettere in luce alcune priorità, come l’adeguamento degli uffici di Abano Terme, Monselice, Conselve e Montagnana. Il problema è stato affrontato con alcuni degli amministratori comunali interessati e sarà oggetto di ulteriori incontri nei prossimi giorni.

L’assessore Tosetto incontrato anche il direttore della casa di reclusione di Padova, Salvatore Pirruccio, che ha espresso apprezzamento per le iniziative attuate dalla Provincia a favore dei detenuti e per il loro inserimento (anche da ex) nel mondo del lavoro mediante l’apertura di uno sportello decentrato del Centro per l’impiego. Un elogio particolare ha riguardato il contributo erogato a favore di due corsi di formazione per decoratori. I detenuti che hanno partecipato al corso hanno decorato, durante lo stage, le pareti dell’auditorium e delle sale colloqui della casa di reclusione, rendendole così più accoglienti con vecchi manifesti del cinema italiano. Con la direttrice della casa circondariale di Padova, Antonella Reale, sono state invece esaminate le possibilità di avviare attività analoghe anche presso quell’istituto.

Un altro incontro propedeutico all’attività dell’immediato futuro è avvenuto con Orazio Drago, direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro: tema del confronto lo "Sportello sociale", che avrà lo scopo di fornisce sostegno e consulenza alle cooperative sociali. Tra gli altri temi affrontati, le modalità di ingresso dei cittadini neocomunitari ed extracomunitari.

 

 

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