Rassegna stampa 23 agosto

 

Regina Coeli, il direttore: "Ora c’è un clima di collaborazione"

 

Il Messaggero, 23 agosto 2004

 

Si chiude, si trasloca, via dal cuore della città con tutto il carico di anime, sbarre, masserizie, ricordi, fotografie, "domandine" per i colloqui e quei manifesti con l’oceano blu e i boschi dorati appiccicati nelle celle, per respirare e sognare. Questa volta forse si trasloca davvero, da qualche parte a Roma-nord in un carcere che verrà, grazie a un accordo tra Comune e ministero della Giustizia. Dice Mauro Mariani, il direttore di Regina Coeli, che c’è un filo di malinconia, proprio adesso che le cose cominciano a funzionare con le sezioni ristrutturate e qualche sfollamento in più. Ma che se la vecchia prigione diventerà un museo qualcosa rimarrà di questo pezzo di storia incastonata tra il Gianicolo e il Tevere, del carcere dei romani scaraventato sotto i riflettori martedì notte quando, gracchiavano le radio, c’era una rivolta.

 

Dottor Mariani, cosa è accaduto nella IV sezione?

"C’è stata una scintilla, qualcosa che stiamo cercando di capire e che ha provocato una tensione fortissima. Abbiamo trovato detenuti con il volto coperto, le luci oscurate, le porte delle celle spaccate. Una situazione estremamente pericolosa, ma risolta con il minimo dei danni. E non credo affatto che si possa ipotizzare l’associazione a delinquere, è stato un gesto estemporaneo e isolato durante una protesta pacifica, cominciata il giorno prima con la battitura delle sbarre. Il 30 luglio del Duemila è andata peggio, erano stati anche accesi fuochi. Cinque giorni durissimi. Ora è tornata la calma".

 

Con la calma è arrivata anche una lettera di rammarico dei detenuti. Cosa chiedono?

"È una lettera di pacificazione e assunzione di responsabilità per non aver organizzato bene la protesta. Viene auspicato un clima di incontro che di fatto c’è già"

 

L’incontro che non c’è stato è quello con il garante dei detenuti Luigi Manconi e il consigliere comunale Luigi Nieri a cui non è stato concesso il permesso di entrare. Perché?

"Non è vero, questa polemica è incomprensibile. Il permesso è stato dato e anche ribadito, su mia richiesta, dal magistrato di sorveglianza. Oggi però non sono venuti. Immagino che torneranno la prossima settimana".

 

Domani arriveranno i radicali a raccogliere le firme per il referendum sulla procreazione assistita. I detenuti hanno aderito all’invito per una giornata di sciopero della fame?

"Non mi hanno comunicato niente, quindi non credo, staremo a vedere. Dovrebbe anche essere l’ultimo giorno di protesta con la battitura delle sbarre".

 

Una protesta che dovrebbe ricominciare a metà ottobre in molte carceri per chiedere nuovamente l’indulto e la reale applicazione delle misure alternative. A Regina Coeli ci sono detenuti che possono uscire?

"Soltanto con l’articolo 21, ovvero per lavorare: questo è un carcere di primo ingresso e non ho detenuti definitivi che possano usufruire della Gozzini. Magari si potesse almeno fa uscire di giorno più detenuti possibile per i lavori socialmente utili, come ripulire strade e giardini della città. Questo potrebbe coniugare la certezza della pena con il reinserimento. Trattamento e sicurezza".

 

E quel gesto di clemenza chiesto proprio qui da Giovanni Paolo II durante il Giubileo?

"Potrebbe essere una scorciatoia ma l’esperienza ci dice che non risolverebbe il sovraffollamento. Serve un uso più ampio degli strumenti di deflazione penitenziaria, soluzioni diverse per i detenuti stranieri, che qui sono il 55 per cento, e per i tossicodipendenti. Ma questo appartiene ai politici e non ai penitenzialisti".

 

Alla vita quotidiana appartiene qualche possibile sollievo. Perché le celle restano chiuse il pomeriggio?

"Non sono tutte e sempre chiuse. Il problema principale è quello dei divieti di incontro tra detenuti coinvolti nella stessa inchiesta e lo spazio è quello che è".

 

Anche i numeri sono quelli che sono: 500 agenti di cui 110 al nucleo traduzioni, solo 6 educatori, 30 tossicodipendenti ogni cento detenuti, i malati gravi al centro clinico. Sono numeri che tornano?

"Sono i numeri della fatica di fare carcere garantendo dignità e serenità. Il carcere non cura, ma cerca almeno di salvare le vite: dopo i tre suicidi di gennaio e febbraio ho ottenuto le lenzuola di carta per i detenuti considerati a rischio dai nostri psichiatri. Sono piccole vittorie, qui".

Giovanardi (Udc): "l’amnistia non è all’ordine del giorno"

 

Adnkronos, 23 agosto 2004

 

La drammatica situazione delle carceri rilancia il dibattito sull’amnistia nel centrodestra. Dall’Udc parte la richiesta di una "necessaria soluzione" per far fronte al "grave disagio" esistente nei penitenziari italiani. "Chi non ha voluto l’indulto - afferma Maurizio Ronconi - oggi ha il dovere di indicare gli strumenti per risolvere una questione che diventa di per sé esplosiva e questo indipendentemente dalle legittime ed anche doverose visite alle carceri dei parlamentari".

Più cauto il compagno di partito e ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi. L’amnistia, dice, "non è un argomento, per ora, all’ordine del giorno". Il ministro, poi, pur condividendo il monito del presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini a "non censurare il diritto-dovere dei parlamentari a visitare le carceri", bolla come "inqualificabile" l’iniziativa dei radicali di andare a raccogliere le firme per il referendum nei penitenziari italiani e l’invito ai detenuti di fare uno sciopero della fame.

Netta la posizione di Alleanza nazionale. "Nessuna amnistia - afferma il responsabile sicurezza Filippo Ascierto - e nessuno sconto di pena". Quanto all’iniziativa dei radicali, Ascierto dice: "Strumentalizzare ogni cosa, addirittura coinvolgendo i detenuti mi sembra fuori luogo". E sulla stessa linea del Guardasigilli Roberto Castelli, se la prende anche con chi abusa del diritto-dovere a visitare le carceri: "Nelle carceri troppi politici entrano e troppe persone fomentano anche situazioni che possono creare problemi".

No all’amnistia anche dal parlamentare di Forza Italia, Niccolò Ghedini. Sarebbe solo un "provvedimento tampone" che non risolverebbe il problema delle carceri. "Se mai, potrebbe essere più utile un indulto", anche se Ghedini resta contrario a provvedimenti che incidano "sulla certezza della pena". La ricetta è un’altra. Bisogna "incidere pesantemente - conclude - sulle carcerazioni preventive. Oltre il 50% dei detenuti, infatti, sono in attesa di giustizia".

In una conferenza stampa, il leader dei radicali Marco Pannella spiega l’iniziativa del suo partito prevista per domenica. "Dimostriamo che quanto più sono gravi le lotte -ha detto- tanto più il ricorso alla non violenza diventa utile e necessario. Facciamo appello perché dalle carceri verso il Paese venga una giornata di non violenza, perché è gravissima la posizione di Castelli". Una iniziativa "per rispondere non da maestri ma da militanti, comunque non da cattivi maestri, a questo ministro Castelli".

Roma: a Rebibbia 22 bambini detenuti con le madri

 

Ansa, 23 agosto 2004

 

Quattro bambini di 3 anni sono detenuti assieme alle madri nel reparto di massima sicurezza del carcere romano di Rebibbia femminile. I bimbi si trovano in celle che potrebbero ospitarne solo 2 mentre altri 13 sono nel reparto ordinario e 7 nel reparto nido che dovrebbe ospitarne solo 5.

Le detenute della sezione di massima sicurezza di Rebibbia ieri hanno rifiutato il carrello del vitto "per protestare contro l’insostenibile condizione di sovraffollamento. Una condizione, dicono le detenute, "imposta a 4 bambini inferiori ai tre anni costretti a vivere in celle anguste con le loro mamme".

Altri 16 bambini piccoli vivono a Rebibbia e le detenute annotano che "non è la prima volta che i politici d’estate sbandierano vane e strumentali promesse di indulto e amnistia. Farebbero bene a darsi da fare perché non si commettano abusi e vengano applicate le pene alternative come quelle già previste per le mamme e i loro bambini".

Il deputato verde Paolo Cento, in visita al carcere, ha aggiunto che per la carenza di personale i pasti vengono distribuiti una sola volta al giorno, pranzo e cena insieme, e che non sono più rinviabili per mamme e bambini le case famiglia, la detenzione domiciliare e strutture più adeguate all’interno delle carceri.

Napoli: lettere da Poggioreale... l’inferno del Centro Clinico

 

Il Mattino, 23 agosto 2004

 

Ecco la verità sulla morte di zio Pasquale Scognamiglio, detenuto per reati comuni, deceduto il 23 giugno alle 12 all’età di 79 anni dove si dice che è il miglior centro clinico d’Italia, che menzogna. Zio Pasquale si è impiccato, ma in realtà è l’ennesima vittima della mala giustizia.

È stato trattato come una qualsiasi cosa che va messa in un sacchetto di spazzatura e buttata via; il solo pensiero che aveva scontato quasi tutta la sua pena fa venire i brividi anche a un orso polare. Il giornale non ha dato la notizia.

Il Cdt di Secondigliano non è altro che un lager, non esistono medicinali, c’è un solo medico ma è come se non ci fosse, gli infermieri si sostituiscono alle guardie penitenziarie invece di assistere i gravi malati. Mi sembra di rispecchiarci nel racconto di Primo Levi. La nostra vita non è un’elemosina.

 

C’era un nostro amico, il suo nome era Bruno De Martino. Purtroppo adesso non c’è più, è morto l’8 luglio. Il giorno prima era andato dal medico perché si sentiva poco bene, il medico gli dato un medicinale dicendogli che stava bene, ma purtroppo la mattina non si è più svegliato. Il nostro amico era entrato per scontare una pena di quattro mesi, ma questo carcere gli è stato fatale, in un altro non sarebbe successo.

In una stanza quattro per quattro viviamo in otto e verso le 11 chiudono il blinda, da quel momento non si riesce più a respirare e purtroppo qui ci sono molti detenuti anziani, chi è malato di cuore, chi ha l’asma, ma qui non vengono presi provvedimenti perché nessuno ci vede e ci sente. Noi siamo giovani pieni di vita con delle famiglie che ci aspettano e non vogliamo uscire morti di qui perché qui fanno abusi di ogni tipo, ci hanno tolto ogni dignità.

Noi vogliamo pagare i nostri errori, dicono che gli animali devono essere trattati bene, ma a noi ci trattano peggio delle bestie, ci tengono rinchiusi con appena due ore di aria, una la mattina, una il pomeriggio; e dobbiamo scendere con pantaloni lunghi e magliette: pantaloncini e canotte non sono ammessi, se no non ti fanno scendere. Per lavarci, cioé farci la doccia, dobbiamo aspettare il mercoledì e il sabato e con questo caldo immaginate voi come si soffre. Ma lascio stare questo discorso perché è una sciocchezza di fronte a quanto accaduto a De Martino. Poggioreale ha fatto un’altra vittima.

 

Detenuti di Poggioreale

 

Sono un detenuto, peruviano, figlio di Rolado Osorio, che è cattedratico di scienze delle comunicazioni a Lima. Il 2 luglio ho finito la mia condanna, ma non sono stato ancora scarcerato perché ho preso 45 giorni per colpa che in una stanza in mezzo ad altri 15 detenuti avevo discusso e riferito alle guardie. Qui i reati secondo loro sono gravi come questo che io sto pagando per chiedere di avere un rapporto sessuale con una donna di 42 anni, nel luglio 2002. Poi sono usciti i testimoni e un certificato con prognosi di cinque giorni.

Io sono studente del primo anno alla facoltà di economia e commercio alla Parthenope. Hanno scritto che sono pericoloso per la pubblica sicurezza, sono stato contro volontà in mezzo ai fumatori perché affetto da bronchite cronica. Dopo 22 mesi mi hanno trasferito perché ho fatto un po’ di proteste oltre alle richieste innumerevoli.

Nella mia stanza si trova un anziano di 72 anni, Raffaele Di Mare, affetto da artrosi cronica, che non aveva mai avuto a che fare con la giustizia. È accusato falsamente e con tutte le patologie non gli si danno i suoi diritti. E nemmeno a Francesco Di Palma, piantonato perché affetto da asma cronica; ha 65 anni, ha fatto invano domande di scarcerazione. Giuseppe De Vita, 44 anni, è poliomelitico, soffre di varicosi cronica e cirrosi epatica con un carcinoma al piede sinistro e nessuno provvede alle sue cure. Antonio Ammirati anche lui è affetto da poliomelite e ha problemi circolatori e polmonari.

Molti di noi, lo posso garantire, non hanno commesso nessuno dei reati del 609 bis, violenza e oltraggio. Ci arrestano senza curarsi delle circostanze psicosomatiche. In Italia ci sono strutture adatte a noi detenuti ma vedo che forse sono scomparse. In Perù io lavoravo come giornalista con mio padre e lo stesso voglio fare adesso, senza paura della verità. E prevalga la legge ovunque.

 

Rafaele Osorio

 

La lettera di Osorio, con quel suo elenco di nomi di detenuti ammalati, è come un messaggio in una bottiglia. Le carceri sono luoghi in pratica sottratti al controllo della pubblica opinione, come conferma il silenzio che ha avvolto lo sconvolgente suicidio di un ottantenne e l’altra morte dietro alle sbarre. Solo i parlamentari ogni tanto sono ammessi e neppure questo piace - è polemica recente - al ministro Castelli. Tutti raccontano le stesse brutte storie. Gli avvocati napoletani hanno pubblicato un doloroso dossier.

Due delle lettere non sono firmate, è inevitabile. Abbiamo omesso i racconti di maltrattamenti per impossibilità di controlli, ma il quadro c’è tutto. Ad aprile - l’ha scritto l’altro giorno Cristiano Tarsia - la Regione non ha rinnovato il protocollo d’intesa per esami diagnostici e spese farmaceutiche; i penitenziari provvedono da soli ma a settembre i fondi finiranno. Ci piacerebbe avere una qualche smentita, ma abbiamo già pubblicato lettere da Poggioreale e Secondigliano senza un rigo di replica. Sarà ancora così? Eppure la certezza della pena, giustamente invocata, è parallela al ritorno dell’umanità nelle prigioni. Scrisse Dostoevskij che dalle condizioni delle carceri si verifica la civiltà di uno Stato.

Caltanissetta: per il carcere tante promesse, ma resta vuoto

 

La Sicilia, 23 agosto 2004

 

Mentre in tutta Italia infuria la polemica circa il sovraffollamento delle carceri e i politici litigano se concedere o no l’amnistia svuota carceri, in quel di Villalba si continua ad assistere ad un paradosso tutto italiano. Proprio a Villalba infatti, esiste un carcere modello costato miliardi, nuovissimo ma chiuso, o meglio, aperto solo ai colombacci che centinaia lo affollano.

A nulla sono valsi gli sforzi, a suo tempo, del sindaco Lillo Vizzini né le tante promesse istituzionali ricevute dal sindaco Eugenio Zoda a seguito di alcune sue plateali provocazioni (ospitare a spese dell’amministrazione, nel carcere, chi voleva trascorrere le vacanze). Finora non c’è stato niente da fare per riaprire il carcere di Villalba su cui molti confidano per creare anche in questa parte di provincia, un indotto economico derivato appunto dalla messa in funzione della casa mandamentale.

Ed invece, costato diversi miliardi, il carcere aperto per poco tempo, da ormai troppi anni, tanti da fare gridare allo scandalo anche se nessuno grida più, versa in condizioni di totale abbandono, abitato, come già detto, soltanto dai piccioni che ne hanno fatto il loro nido. Ogni tentativo di riutilizzare la struttura è naufragato. Il tempo passa, i problemi sulle carceri italiane sovraffollate si ripresentano puntuali ma quaggiù tutto rimane fermo, tranne appunto i piccioni, che continuano a svolazzare tra le celle vuote.

Un’ennesima cattedrale nel deserto, che per altro sorge alla periferia di quella cittadina che, solo pochi anni addietro, conquistò il triste primato della disoccupazione. E mentre le carceri scoppiano, quello di Villalba rimane vuoto e inutilizzato, spreco su spreco. Va ricordato che pochi anni addietro, l’allora ministro della Giustizia Piero Fassino, rispondendo all’interrogazione dell’onorevole Gianfranco Anedda circa le problematiche scoppiate nei carceri della Sardegna quattro anni fa, aveva parlato anche del carcere di Villalba, prospettandone la sua prossima apertura assieme ad altre case mandamentali.

Da allora di tempo ne è trascorso, è cambiato un governo, ma il problema relativo alla carenza di personale, ancora non è stato risolto e così l’ex carcere rammenta a tutti il disinteresse di uno Stato sprecone ed incapace di gestire i suoi beni. L’ex sindaco Lillo Vizzini nel dicembre del 99 aveva contattato invano Giancarlo Caselli, Direttore generale delle carceri, chiedendo di riconvertire la struttura in casa circondariale.

In precedenza era andato deserto anche il pubblico incanto per la locazione dell’ex casa mandamentale che, nelle intenzioni dell’amministrazione comunale, si voleva destinare a fini sanitari e o socio- assistenziali, ma nonostante l’avviso pubblicato sulla gazzetta, alla gara non si presentò nessuno. I problemi del carcere iniziarono quando il ministero di Grazia e Giustizia chiuse la casa mandamentale e l’immobile diventò di pertinenza del Comune. ll decreto di chiusura fu trasmesso il 28 novembre 1995 dal ministero di Grazia e Giustizia e tale decisione venne motivata da "complesse problematiche emerse nella gestione degli istituti acquisiti, con particolare riguardo all’organizzazione del servizio sanitario, risultando conseguentemente impraticabile lo svolgimento dei programmi terapeutici e socio riabilitativi prescritti dalla legge".

Gli istituti di pena interessati dal provvedimento furono 18 e tra questi appunto anche quello di Villalba. Da allora fu un continuo peggiorare della situazione sino alla sua chiusura totale, col personale di sorveglianza trasferito ad altre mansioni. Sulla questione intervenne anche il senatore Basilio Germanà di F.I. che presentò una interrogazione in merito a quanto messo in evidenza da un’inchiesta giornalistica su scala nazionale che prese l’avvio in seguito allo scoop di questo giornale.

Il carcere di Villalba si compone di 32 celle a due posti, servizi igienici e docce annesse, la cucina per 250 pasti, la lavanderia, la mensa e spazi verdi per i detenuti, nonché‚ padiglioni per gli uffici, la matricola e gli alloggi del personale. Tutto disponibile, ma tutto chiuso. A chi giova?

Bossi-Fini: per Buttiglione va ritoccata, ma Calderoli s’inalbera

 

Avvenire, 23 agosto 2004

 

Passato il ferragosto le forze politiche "scaldano i motori" in attesa della ripresa autunnale scatenando polemiche a raffica, che dilaniano soprattutto la maggioranza. Così, dopo quella sulle carceri, ecco che arriva la "querelle" sull’immigrazione. A dar fuoco alle polveri è Rocco Buttiglione. Il neo commissario Ue per la giustizia, in un’intervista, sostiene che qualcosa "va cambiato" nella legge Bossi-Fini anche se il bilancio è "positivo". In particolare propone che le quote dei permessi di ingresso vengano in prospettiva, abolite e sostituite con un contratto diretto di lavoro. Bisogna fare "in modo che siano gli imprenditori a determinare quanti posti di lavoro sono disponibili". Inoltre propone una riforma del diritto di asilo studiando la "possibilità di riconosce il diritto d’asilo per motivi economici e non più solo per quelli politici".

Parole che fanno inalberare Roberto Calderoli: "Oggi il sistema delle quote va bene così com’è. Il problema non è la legge Bossi-Fini ma applicarla fino in fondo". Però il ministro per le Riforme non vuole scontrarsi con gli alleati con i quali "c’è grande identità di vedute". Anzi racconta che al telefono Buttiglione si è detto d’accordo con lui sul fatto che si deve "lavorare soprattutto per aiutare lo sviluppo delle economie dei paesi d’origine degli immigrati".

E sottolinea: "Siamo tutti e due d’accordo che mille euro investiti da noi producono un certo effetto, la stessa somma investita da loro è pari a centomila euro". Insomma "bisogna aiutare chi ha fame, ma non vuol dire sfamarli nel nostro Paese, vuol dire fare in modo che rimangano nei loro Paesi". E il commissario europeo, in un’altra intervista, chiarisce che la legge non va cambiata immediatamente e che per fronteggiare l’immigrazione clandestina è necessaria una politica della Ue perché "non è solo un problema di politica dell’immigrazione, ma anche di politica estera".

Ma ormai il dibattito è aperto. Francesco Giro di Forza Italia dice sì all’ipotesi di rivedere il sistema delle quote d’ingresso, che rientra nello spirito della Bossi-Fini. Anche Filippo Ascierto condivide "pienamente quello che ha detto Buttiglione, perché è nei principi ispiratori della Bossi-Fini: coniugare legalità con solidarietà". La legge, sostiene il responsabile sicurezza di An, va "corretta, ma solo riguardo la parte relativa alle espulsione". Le quote, invece, sono necessarie anche se "in futuro sarà la legge del mercato e del lavoro a superarne i limiti e le difficoltà". E Gianfranco Rotondi dell’Udc sottolinea che "la posizione di Buttiglione tiene conto dell’approccio che l’Europa ha sull’argomento". Boccia la proposta invece il ministro per li Italiani all’estero, Mirko Tremaglia: "Per affrontare il problema dell’immigrazione clandestina occorre solo attuare quanto già prevede la legge", a cominciare dal piano di sviluppo trentennale in Africa.

Il centrosinistra ovviamente plaude a Buttiglione e si scaglia contro la Bossi-Fini, da sempre fonte di contestazione. "Come dire: meglio tardi che mai. Siamo stati tra i primi a criticare la Bossi-Fini. Abbiamo votato contro e ci avrebbe fatto piacere farlo in compagnia del ministro Buttiglione, che solo oggi, dallo scranno europeo, si accorge che la legge sull’immigrazione va cambiata. Bene, speriamo che riesca a convincere i suoi alleati, in particolare Lega e An", polemizza Clemente Mastella dell’Udeur.

"Anche Buttiglione è costretto ad ammettere che la legge Bossi-Fini è platealmente fallita. Serve subito una nuova normativa più civile, ricercando soprattutto il confronto e il dialogo con la Caritas, le organizzazioni umanitarie e le Ong, che permetta di colpire la criminalità e garantire nel contempo accoglienza e diritti per chi viene in Italia a cercare lavoro e possibilità di vita" afferma il verde Alfonso Pecoraro Scanio.

"Le dichiarazioni di Buttiglione, neo commissario europeo per l’immigrazione, vanno nella giusta direzione della riforma della legge Bossi-Fini" sostiene Pierluigi Mantini della Margherita. "Calderoli non ci venga a raccontare che Buttiglione la pensa come lui sull’immigrazione: ci lasci almeno la speranza che un Commissario europeo non si lasci condizionare da chi crede che l’Europa sia Forcolandia", polemizza Marco Rizzo dei Comunisti italiani.

Cremona: carcere sovraffollato, in 320 a Cà del Ferro

 

La Provincia di Cremona, 23 agosto 2004

 

Cà del Ferro soffre la situazione di affollamento tipica delle carceri italiane. Il carcere cremonese è al 67° posto nella classifica dei 190 istituti penitenziari, stilata dal Ministero della Giustizia. Sono presenti 320 detenuti contro la capienza regolare di 196 presenze per un tasso di affollamento pari al 158,7 per cento. A rendere noti questi dati, ieri mattina fuori da Cà del Ferro, Sergio Ravelli ed Ermanno De Rosa dei Radicali, insieme a Matteo Lodi, consigliere comunale. Ieri i rappresentanti radicali sono entrati in carcere per una giornata di non violenza e referendum. Il fine era raccogliere le firme per richiedere una consultazione referendaria sulla legge sulla fecondazione assistita.

"L’iniziativa radicale si inserisce nella precisa volontà di permettere alla comunità carceraria di poter esercitare il loro diritto costituzionale di partecipazione alla vita civile - ha affermato Sergio Ravelli -. Si tratta anche di una continuazione al dialogo che caratterizza i radicali, un dialogo che chiama in causa tutta la popolazione carceraria, dai detenuti alla polizia penitenziaria, in nome di un confronto attivo e proficuo".

L’ingresso in carcere di ieri mattina ha offerto uno spaccato preoccupante e in sintonia con il panorama italiano dell’affollamento delle carceri italiane. "A tutt’oggi i detenuti a Cà del Ferro sono in totale 320 contro una disponibilità effettiva di 196 posti, per una percentuale di affollamento del 158,67%". La situazione dell’istituto penitenziario cremonese non s’allontana di molto dai dati nazionali, neppure per quanto riguarda l’indultino. "L’indultino in tutta Italia ha fatto uscire 5.500 detenuti, il 10 per cento della popolazione carceraria - continua Ravelli -.

A Cremona hanno usufruito di questa possibilità solo 25 detenuti. Chi era allo scadere della pena ha preferito non chiedere l’indultino che lo avrebbe vincolato a ulteriori controlli per cinque anni". Anche la composizione della popolazione carceraria fa discutere: "Su 320 detenuti attualmente presenti a Cà del Ferro solo 40 sono cremonesi - continua l’esponente dei Radicali -. Il 60 per cento della popolazione carceraria cremonese è composto di extracomunitari. Ma non è questo l’unico dato significativo di questa nostra visita a Cà del Ferro. Il 50 per cento dei reati è connesso con gli stupefacenti e questo dato è destinato ad aumentare in maniera esponenziale se verrà approvata la legge Fini sull’utilizzo delle droghe".

L’ingresso di Sergio Ravelli, membro del comitato nazionale di Radicali Italiani e di Ermanno De Rosa, presidente dell’Associazione per l’iniziativa Radicali a Cremona, insieme a Matteo Lodi, in veste di autenticatore per la raccolta delle firme referendarie, ha permesso di accendere i riflettori sul carcere cremonese e di azzardare alcune priorità: "È importante intervenire sulle norme che regolano la carcerazione preventive e monitorare le iniziative legislative sull’utilizzo delle droghe con le relative sanzioni.

Ma soprattutto si conferma la necessità di interventi di ammodernamento delle celle e della struttura di Cà del Ferro. Oggi i detenuti possono fare 2 docce alla settimane ed è già un lusso, rispetto ad altri istituti. C’è forse la possibilità di ricavare una doccia in ogni cella". Continua Ravelli: "Ma il problema di Cà del Ferro è quello della figura dell’educatore, una figura professionale - ora c’è un incaricato che proviene da Napoli - cui è affidato il compito di stilare rapporti e inoltrare richieste per permessi, l’opportunità di lavorare all’eterno del carcere, per tutte quelle possibilità previste dalla legge per un’effettiva riabilitazione sociale". A Cà del Ferro hanno aderito alla giornata di digiuno e non violenza un centinaio di detenuti.

 

E a settembre l’ispezione con Lucio Berté

 

La presenza di ieri di Ermanno De Rosa, presidente dell’Associazione per l’iniziativa radicale a Cremona, di Sergio Ravelli, membro del comitato nazionale di Radicali Italiani e Matteo Lodi, consigliere comunale, è una prima tappa delle iniziative sulla sensibilizzazione sulla realtà carceraria, da sempre un punto di forza delle azioni civili radicali. Ai primi di settembre infatti prevista una visita ispettiva di una delegazione radicale, capitanata da Lucio Berté, a Cà del Ferro. "In quell’occasione sarà possibile entrare nelle celle - afferma Sergio Ravelli - e parlare con i detenuti".

Roma: Lucini, Carboni e Buemi visitano Regina Coeli

 

Adnkronos, 23 agosto 2004

 

I parlamentari di opposizione Marcella Lucidi e Francesco Carboni, dei Ds, e Enrico Buemi, dello Sdi, componenti della commissione Giustizia della Camera, visiteranno domani (ore 14), il carcere romano di Regina Coeli, in seguito allo stato di agitazione dei detenuti. I parlamentari saranno accompagnati dal presidente della Consulta per i problemi penitenziari del Comune di Roma, Lillo De Mauro.

Manconi: auspico più visite dei parlamentari nelle carceri

 

Vita, 23 agosto 2004

 

"Credo che nelle carceri italiane ci siano poche non molte visite, come dice il ministro Castelli (che ha giudicato Manconi "persona non gradita" negli istituti di pena italiani, ndr). Mi auguro pertanto che ci siano moltissime visite, in particolare di parlamentari ma anche e soprattutto di cittadini. E questo perché nelle carceri c’è molto da imparare, come in ogni luogo in cui si soffre molto", spiega paziente l’ex parlamentare e portavoce dei Verdi, Luigi Manconi, di mestiere sociologo e che oggi svolge l’incarico di "Garante delle persone private della libertà" per conto del Comune di Roma.

Manconi ha sollecitato maggiori visite di deputati e sentori nelle carceri in risposta alla polemica del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, parlando al Meeting di Rimini, durante l’incontro intitolato "Un’altra opportunità" coordinato da Renato Farina e cui sono intervenute le ex terroriste Francesca Mambro e Nadia Mantovani. Manconi ha contestato il concetto stesso di carcere, perché "le carceri sono progettate come luogo di annichilimento dell’umanità". Manconi ha quindi invitato le amministrazioni comunali a dotarsi di un ufficio per la difesa dei diritti dei detenuti "perché la popolazione carceraria non sia relegata in quel mondo segregato e lontano".

"L’indultino è stato un provvedimento con risultato clamorosamente inadeguati" ha proseguito Manconi sottolineando che il provvedimento approvato lo scorso anno dal Parlamento non ha per nulla diminuito il sovraffollamento delle carceri italiane che, invece, "è drammaticamente aumentato". "Secondo dati ufficiali - spiega Manconi - l’anno scorso nelle carceri italiane erano detenute 55.400 persone. Malgrado l’indultino abbia permesso la liberazione di 5.400 carcerati, alla fine di questo luglio i detenuti italiani erano 55.500.

Questi numeri bastano a far comprendere quanto l’indultino sia stato uno strumento inadeguata". Manconi poi snocciola altri dati sulla popolazione carceraria in Italia. "Il nostro Paese -rileva - è il terzo in Europa per affollamento delle carceri, preceduto solo da Grecia e Romania che però nell’ultimo anno hanno fatto notevoli passi in avanti verso un miglioramento della situazione". E denuncia "l’avvenuto o futuro adeguamento dei parametri italiani per il calcolo dell’affollamento delle carceri italiane".

"Secondo la normativa Ue - spiega - ogni detenuto ha diritto ad avere nove metri quadri; da quello che so, in Italia questo parametro è già stato abbassato, o sta per esserlo, a otto metri quadri". Infine, Manconi chiede alle forze politiche di "non parlare più di indulto o di amnistia finché non ci sarà un accordo vero". "Scongiuro tutti - sottolinea - di non dar vita al solito inutile dibattito agostano sulla pelle dei detenuti".

Australia: immunità a epatite C "scoperta" su detenuti

 

Ansa, 23 agosto 2003

 

Un gruppo di ricercatori australiani ha scoperto, studiando un gruppo di detenuti in carceri dello Stato, che 117 di essi non sono stati infettati nonostante un’esposizione costante al virus tramite l’assunzione di droghe con siringhe, tatuaggi, piercing.

Il responsabile del progetto, Andrew Lloyd, ha spiegato alla radio Abc che i detenuti esaminati non hanno sviluppato anticorpi, il che suggerisce che sia un’altra parte del sistema immunitario a combattere il virus. Ha aggiunto che il prossimo obiettivo e’ scoprire la fonte dell’immunità e sviluppare un vaccino sintetico. Lloyd ha ammesso di aver trovato sorprendenti i risultati. "Abbiamo identificato quattro individui che erano stati contagiati, ma poi si sono liberati del virus e ne sono rimasti liberi in seguito nonostante la persistente esposizione all’infezione, senza sviluppare anticorpi all’epatite C", ha spiegato.

Due dei quattro individui esaminati hanno prodotto cellule T, ossia le cellule che indicano una risposta immunitaria ad un’infezione. "È possibile - ha osservato - che siano stati infettati anche più volte in passato, e forse e’ per questo che l’organismo è riuscito a liberarsi del virus efficientemente e senza sviluppare anticorpi".

Fra il 30% e il 40% delle persone che contraggono la malattia sradicano il virus entro sei mesi dal contagio, ma rimangono vulnerabili a una nuova infezione. Al contrario, i detenuti immuni sono rimasti liberi dall’infezione per l’intero anno in cui è durato lo studio, nonostante la continua esposizione al virus.

Solo in Australia i malati di epatite C sono 210.000, con 16 mila nuove infezioni ogni anno. Il virus, che può impiegare decenni a svilupparsi in una grave malattia del fegato, imporrà un pesante fardello sul sistema sanitario negli anni a venire, con il moltiplicarsi di pazienti che necessitano un trapianto di fegato.

Padova: l’emergenza è nella carenza di agenti

 

Il Gazzettino, 23 agosto 2004

 

Gli ospiti della casa di reclusione "Due Palazzi" sono 710, più del doppio della capienza teorica prevista al momento della costruzione. Nel vicino carcere circondariale vivono mediamente 220 detenuti, a fronte di una previsione normale di un centinaio di unità in meno. Eppure non si può parlare di emergenza sovraffollamento, secondo il direttore del Due Palazzi Salvatore Pirruccio: "Le celle del carcere misurano in media quattordici metri quadrati, sono dotate di due armadietti, un tavolo con sedie, tv color e dispongono di un’ampia finestra. I bagni sono separati dalla stanza - spiega Pirruccio - inoltre i detenuti della casa di reclusione godono di quattro ore libere nel cortile di passeggio più due ore destinate alle attività di socializzazione comune".

Tutto bene insomma, una situazione ottima rispetto a quanto si legge in questi giorni riguardo al sovraffollamento delle carceri in Italia, con strascichi di manifestazioni di protesta al Regina Coeli e una infuocata querelle politica sul tema carcerazione.

"Anche noi abbiamo i nostri problemi, e se i detenuti scendessero di un centinaio di unità il lavoro sarebbe più semplice per tutti - precisa il direttore del Due Palazzi - il fatto che ci sia chi sta peggio non innalza la qualità della vita nella casa di reclusione padovana, dove anche il personale è chiamato ad un continuo sacrificio. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio sono circa 350, l’organico sufficiente a non fare dello straordinario la prassi comune sarebbe di 410 unità.

Risultato: gli agenti sono chiamati a fare turni di otto ore continuative ed incontriamo oggettive difficoltà a concedere i riposi e le ferie previste dal contratto". Forse è questa la vera emergenza, che sempre passa sotto silenzio quando si parla di carcere, soverchiata regolarmente dalle polemiche politiche sul troppo o troppo poco garantismo.

"Noi non facciamo politica, svolgiamo il nostro lavoro al meglio delle nostre possibilità, cercando di ottimizzare le risorse che ci vengono assegnate. Gli uomini in servizio al Due Palazzi sono un po’ pochini, ma riescono con qualche sacrificio a supplire alle carenze con l’impegno quotidiano - conclude Pirruccio - la situazione ambientale nel nostro carcere è tutto sommato buona, anche grazie agli sforzi dei gruppi di volontariato e alle cooperative che ci supportano nello svolgimento delle attività lavorative e culturali all’interno della nostra struttura.

A settembre ricominceranno i turni di lavoro dei detenuti nell’officina e da ottobre saremo dotati anche di una pizzeria interna con cuochi già formati tra i detenuti che hanno seguito i corsi organizzati dall’associazione "Pizza connection". Oltre la metà dei reclusi che ospitiamo svolge attività lavorativa o culturale continuativa, credo che questo contribuisca a far sopportare meglio le ristrettezze".

Castelli: l’amnistia? in Parlamento i Ds non la vogliono

 

Ansa, 23 agosto 2004

 

Amnistia o indulto sarebbero solo "palliativi". Per evitare il sovraffollamento delle carceri meglio pensare alla depenalizzazione "di alcuni reati non più ritenuti tali" da richiedere la carcerazione.

A ribadirlo è il ministro di Giustizia, Roberto Castelli. "L’amnistia - ha spiegato il ministro - è una decisione che spetta al Parlamento con il 70% dei consensi, e questa maggioranza oggi non c’è. Non ci sono i numeri perché i Ds non la vogliono".

Sulmona: la polizia penitenziaria difende il suo lavoro

 

Il Messaggero, 23 agosto 2004

 

"Non si può criminalizzare una struttura e il lavoro che quotidianamente centinaia di agenti di polizia penitenziaria svolgono in silenzio e tra mille difficoltà". In silenzio per "ordini superiori", il personale di polizia penitenziaria del carcere di via Lamaccio non ci sta. Lavoro duro, turni massacranti per la cronica carenza di personale, eppure nessuno si lamenta. Tutti lavorano in silenzio. Come in silenzio negli ultimi anni il personale di polizia penitenziaria ha salvato la vita a numerosi detenuti che volevano suicidarsi. L’ultima volta è accaduto l’altra sera con un detenuto ad "alta vigilanza" che ha tentato di tagliarsi le vene dei polsi. Il pronto intervento del personale ha evitato il peggio.

Per questo nel carcere di via Lamaccio nessuno teme i risultati dell’indagine amministrativa avviata dal ministero. "Ogni anno siamo soggetti ai controlli di routine ed ogni anno le relazioni che arrivano al Dipartimento sono positive". Per capire il carcere di Sulmona bisogna prima sapere che genere di detenuti ospita. Si tratta per la maggior parte di detenuti con sentenze passate in giudicato condannati a 30 anni o all’ergastolo. Non esiste il regime del 41 bis, ma dentro convivono pentiti mafiosi di Cosa nostra e della Sacra corona unita ed esponenti irriducibili della malavita organizzata e del terrorismo, oltre a delinquenti "comuni". Due anni fa il ministero vi inviò i presunti terroristi della cellula di Al Qaeda scoperta a Milano. Un chiaro segnale che in quella struttura il ministero ritiene il sistema di vigilanza affidabilissimo.

Bolzano: "giallo" su capienza; Rovereto affollamento record

 

L’Adige, 23 agosto 2004

 

Qualche giorno fa il Ministero della giustizia ha reso noti i dati relativi all’occupazione carceraria in Italia. E come era prevedibile, i numeri sono preoccupanti. Al 30 giugno del 2004, i detenuti nelle prigioni nazionali sono 56.440, di cui 2.660 donne. Tra i carcerati, oltre ventimila - pari al 35,65% - sono in attesa di giudizio. Ma la vera piaga è il sovraffollamento: invece di essere più di 56mila, i detenuti dovrebbero essere 42.313, per cui risulta un indice di affollamento medio pari al 133 per cento.

Ma ci sono realtà in cui la situazione è decisamente più grave. In ben quindici case circondariali, infatti, si supera quota 200%. Mistretta (provincia di Messina) è in vetta con 45 detenuti sui 16 previsti (+ 281%), seguita da Busto Arsizio (250%) e Rovereto: nella città della Quercia ci sono 72 detenuti maschi contro i 30 previsti, per un affollamento pari al 240%. Le donne invece sono 14, sotto il numero previsto (19). Tornando agli uomini, tra il 16. ed il 78. posto sono compresi i carceri con indice compreso tra il 150 ed il 200%, quindi - in 86. posizione - troviamo il carcere di Trento, che ospita 141 detenuti a fronte dei 100 in organico.

E Bolzano? Qui c’è da segnalare un piccolo giallo. Il capoluogo altoatesino risulta essere al 104. posto: i carcerati al 30 giugno erano 158, e la cifra è realistica. Quello che "stona" è la capienza dichiarata, pari a 123 posti, quando invece tutti - compresa la direttrice - parlano di una capienza ottimale di 80 persone. E la differenza non è da poco. Con questa cifra infatti, l’indice di affollamento schizza dal 128,46% dichiarato dal Ministero al più realistico 200%, che proietta la struttura di via Dante tra i 15 carceri maschili più affollati (su 273) d’Italia.

Vicenza: dopo pestaggio, detenuti in sciopero della fame

 

L’Arena, 23 agosto 2004

 

Sciopero della fame tra i detenuti del carcere di Vicenza, dopo che uno di loro è stato ricoverato al pronto soccorso per le conseguenze di un pestaggio. L’episodio, dai contorni ancora incerti e segnalato alla Procura, è avvenuto il 12 agosto, quando è iniziata anche l’agitazione. Il carcere del capoluogo berico, costruito per ospitare cento detenuti, in questo periodo ne conta circa 230. Difficili anche le condizioni lavorative per gli agenti della polizia penitenziaria, che tramite i loro rappresentanti in Cgil Cisl e Uil hanno chiesto l’intervento dello Spisal per una verifica degli ambienti di lavoro. I tecnici dell’Usl, secondo quanto si è appreso, hanno effettivamente riscontrato una situazione critica. Intanto i Radicali hanno proclamato una giornata di digiuno, protesta non violenta e democrazia in vari istituti di pena d’Italia, tra i quali il carcere di Montorio.

Sciopero della fame e raccolta di firme nei penitenziari

 

Il Messaggero, 23 agosto 2004

 

"Non violenza e digiuno". I cancelli di 38 penitenziari si sono aperti ieri all’iniziativa dei radicali: un giorno di sciopero della fame, per dar forza alle richieste che arrivano dal mondo delle carceri, e una firma per il referendum abrogativo della legge sulla fecondazione assistita. Da Bari a Bolzano, da Catania a Trieste, passando per Napoli, Roma e Bologna.

Incassato il via libera del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, Daniele Capezzone, Rita Bernardini, e Sergio D’Elia, lanciano un appello: "Chiediamo ai detenuti, agli agenti di polizia penitenziaria e ai direttori di dare vita con noi a un giorno di sciopero della fame per sostenere con la non violenza le loro richieste e di firmare il referendum abrogativo della legge sulla fecondazione, dando seguito a una lunga tradizione di sostegno dalle carceri alle grandi battaglie civili. Una giornata di legalità senza disordini e con il recupero di quei diritti umiliati dalle condizioni di detenzione". All’iniziativa aderiscono anche i detenuti del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere.

E intanto da Regina Coeli sono proprio i detenuti a esprimere "rammarico" per "gli episodi di estrema esasperazione avvenuti la sera del 17 agosto alla quarta sezione del carcere". Con una nota indirizzata alla direzione spiegano: "La nostra responsabilità è quella di non avere comunicato abbastanza tra sezioni, di non avere organizzato bene la protesta. Quanto accaduto poteva verificarsi ovunque. Non è stata una rivolta né una sommossa, ma solo un momento di esasperazione che per fortuna non ha comportato conseguenze per le persone. Non vorremmo - si legge ancora nel documento - che il clamore suscitato da questa notizia giocasse negativamente nei confronti dei detenuti indagati. La direzione - concludono - ha chiaro il quadro dell’accaduto che forse va ridimensionato. Ci dispiacerebbe si adottasse un metro di giudizio punitivo in un momento in cui ci sarebbe bisogno di un incontro".

E mentre il Codacons chiede al governo un intervento coordinato a favore dell’istruzione carceraria, sulla base dei dati forniti dall’associazione Antigone relativi al titolo di studio dei detenuti (il 7,7% è analfabeta e il 27,9% ha la licenza elementare), non si placano le polemiche sull’indulto. Franco Monaco, vice presidente dei deputati della Margherita, boccia la proposta di Marco Boato di abbassare il quorum parlamentare per l’approvazione dell’ indulto e dell’amnistia. Marco Rizzo dei comunisti Italiani definisce il governo "irresponsabile e inadeguato", mentre Alfredo Biondi, vicepresidente della Camera ed esponente di Forza Italia, commenta: "Un’amnistia non risolverà i mali ma limiterà la gravità afflittiva su chi, nel carcere, dovrebbe trovare un ambiente di redenzione e non di disperazione". L’amnistia per Biondi "consentirebbe lo sfoltimento dei processi, mentre l’indulto condizionato potrebbe avere duplice effetto: ridurre l’asfissia carceraria e scoraggiare chi ne beneficiasse dal commettere altri reati.

Polemica nella polemica. L’ipotesi di privatizzazione delle carceri. Il sindacato di polizia penitenziaria in una nota commenta: "Mai in mano ai privati. Ciò che di massima è inteso come privatizzazione non è il risparmio di risorse, bensì una vicenda di business".

Marocco: il Re concede la grazia a oltre mille detenuti

 

Aki, 23 agosto 2004

 

Il re del Marocco, Mohammed VI, ha concesso oggi la grazia a 1.282 detenuti per diversi reati. L’occasione è stata fornita dalla festa nazionale, che si celebra oggi, e che coincide con il 41esimo anniversario del regno di Mohammed VI. In un comunicato diffuso dal ministero della Giustizia marocchino, infatti, si legge che a 481 detenuti è stato concesso uno sconto di pena, cancellando il periodo che avrebbero ancora dovuto scontare dietro le sbarre. Per altri 707 prigionieri, invece, è stata annullata la reclusione, mentre per altri 15 l’ergastolo è stato commutato in detenzione a termine. La grazia totale, sulla reclusione o sull’ammenda, è stata concessa a quattro prigionieri, mentre 23 sono stati rimessi in libertà, ma dovranno pagare la multa inflitta. Per due persone è stata annullato sia il carcere, sia la multa, mentre altre 50 non dovranno più corrispondere l’ammenda.

Torino: alle Vallette raccolta firme per il referendum

 

Agenzia Radicale, 22 agosto 2004

 

Questa mattina, domenica 22 agosto, dalle ore 10 alle ore 12 una delegazione di Radicali Italiani e Sdi è entrata nella Casa Circondariale "Lo Russo e Cutugno" di Torino (Via Pianezza, 300) per inaugurare la raccolta delle firme sul referendum abrogativo della legge 40/2004 fra i detenuti del carcere delle Vallette.

L’iniziativa, lanciata dai Radicali Italiani, prevede la raccolta firme in 38 istituti: Bari, Bologna, Bolzano, Catania, Cremona, Firenze, Foggia, Forlì, Milano (Opera), Modena, Napoli (Pozzuoli) Perugia, Pisa, Pordenone, Reggio Emilia, Rimini, Roma (Rebibbia e Regina Coeli), Salerno, Teramo, Terni, Tolmezzo, Torino, Trieste, Udine, Verona (Montorio), Vicenza, Bellizzi Irpino, Genova, La Spezia, Potenza, San Gimignano, Siena, Ariano Irpino, Brescia (Canton Mombello e Verziano), Napoli (Poggioreale).

Il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria (Dap) del Ministero di Giustizia ha autorizzato la raccolta firme dei radicali nelle carceri sul referendum abrogativo della legge sulla fecondazione assistita. L’autorizzazione del DAP è stata inoltrata ai provveditorati regionali e da questi comunicata alle direzioni di tutte le carceri italiane e al Comitato promotore referendum.

La delegazione era composta da Gianluigi Bonino – Assessore Comune di Torino – autenticatore, l’On. Enrico Buemi – deputato Sdi – Presidente del Comitato Carceri della Camera, Bruno Mellano – consigliere regionale radicale – coordinatore regionale radicale per il referendum abrogativo, Carmelo Palma – Presidente del Gruppo consiliare regionale "Radicali – Lista Emma Bonino".

La raccolta firme è stata effettuata su tutti e cinque i quesiti referendari, quello totalmente abrogativo della Legge 40/2004 e quelli parzialmente abrogativi. Assessore Gian Luigi Bonino, nel suo ruolo d’amministratore comunale, ha autenticato le firme raccolte dei 20 detenuti della sezione speciale Arcobaleno, dove sono presenti 89 detenuti (80 maschi e 9 femmine), in gran parte italiani e senza reati ostativi dell’esercizio dei diritti politici ed inseriti in un programma speciale di recupero per tossicodipendenti.

Mellano e Palma hanno dichiarato: "Ottimo il riscontro ottenuto fra i detenuti della Comunità Arcobaleno: un quarto dei detenuti ha firmato per i cinque quesiti referendari. Con gli amici e compagni dello SDI Enrico Buemi e Gianluigi Bonino (autenticatore nel suo ruolo di Assessore del Comune di Torino) abbiamo a lungo colloquiato con i detenuti e visitato l’intera sezione, accolti ed accompagnati dalla vice–direttrice Antonina Di Rienzo e dal Comandante degli agenti di polizia penitenziaria del "Lo Russo e Cutugno" signor Luzi". Vogliamo sottolineare come sia diffusa fra i detenuti delle Vallette la consapevolezza dell’inutilità e dannosità di proteste clamorose e violente per sollevare il velo d’ipocrisia che copre i gravi problemi strutturali in cui si dibatte il mondo carcerario italiano".

Lecce: Cpt Regina Pacis, dalla detenzione all’accoglienza

 

Gazzetta del Sud, 23 agosto 2004

 

Carità. È questo l’argomento che il vescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi - nell’annunciare la riconversione del Regina Pacis di San Foca da Cpt a centro di accoglienza - sfodera per salvare alla struttura (e a chi la gestisce) l’originaria vocazione. Parole nuove per chi, a partire dagli ammassati e fruttuosi ospiti, continua a lottare perché le carceri per immigrati siano chiuse.

"Non rinnoveremo la convenzione con il ministero - dichiara Ruppi - il Regina Pacis tornerà ad essere quello che era prima che lo Stato lo trasformasse in un centro di permanenza". Siamo al 1° agosto del 1998, in piena emergenza sbarchi. Sulle coste salentine approdano migliaia di immigrati; arrivano in particolare dall’Albania e dalla Grecia.

Nel Regina Pacis fino ad oggi ne sono transitati 57mila (di 77 nazionalità differenti): per il soggiorno di ognuno di loro lo Stato sborsa fino a 50 euro al giorno. Il trattenimento, che ruota a ciclo continuo sui 185 posti disponibili, in media dura due mesi. Quota che al chiuso lievita e va a rimpinguare i già robusti bilanci della fondazione. Eppure da dicembre il copione cambierà.

"Dal prossimo anno - assicura Ruppi - le sbarre spariranno, e la Chiesa si dedicherà con più serenità alla sua missione. Della permanenza si occuperanno altri centri". Un impegno che il vescovo si assume anche in qualità di presidente della Cei Puglia, mettendo in conto che tra quattro mesi il Regina Pacis potrebbe davvero cominciare a vivere di carità e donazioni della diocesi.

Va detto. Forse la rinuncia alla gestione del centro come Cpt è anche un effetto delle frequenti contestazioni che ai gestori del centro sono state e continuano ad essere mosse da organizzazioni, partiti di sinistra, anarchici nonché dagli stessi residenti di San Foca. I rinvii a giudizio per lesioni, violenza privata e maltrattamenti decisi dalla magistratura a carico del direttore, don Cesare Lodeserto, 6 membri del suo staff e 11 carabinieri, qualche peso - evidentemente - devono averlo avuto. Per il processo, aggiornato al 26 ottobre, determinanti sono state le dichiarazioni e le testimonianze di 16 maghrebini trattenuti nel centro fino al novembre 2001 e attualmente titolari di un permesso di soggiorno.

Sono stati loro a denunciare - prima alla delegazione organizzata dal Lecce social forum e da Dino Frisullo, poi alla magistratura - il pestaggio subito nel centro a seguito di un tentativo di fuga. Tentare il salto della recinzione al Regina Pacis ormai è una prassi. Solo ad agosto ci hanno provato in sessanta. Lunedì scorso su venti ce l’hanno fatta in dieci; gli altri hanno ceduto sotto le manganellate della polizia, prima di arrivare alla recinzione. È stato nell’androne del centro infatti che sono cominciati i tafferugli. Alla presenza del direttore, don Cesare, rimasto lievemente ferito da uno dei fuggitivi poi arrestato per violenza privata e lesioni.

Una settimana fa a fuggire sono stati in 7: Andrei Vasilovich, 29 anni, moldavo, non ce l’ha fatta. Mentre tentava il salto è caduto procurandosi lesioni multiple alla colonna vertebrale. Rimarrà paralizzato. Andrei i segni della detenzione al Regina Pacis non potrà cancellarli; neanche tolte le sbarre, neppure quando in quella struttura, come dice Ruppi, si farà accoglienza.

E il business Cpt? Lodeserto, scrupoloso amministratore nonché segretario personale del vescovo, non dà tutto per scontato. "Stiamo ancora valutando se rinnovare la convenzione. Lo Stato potrebbe farci altre proposte. Con il nuovo regolamento esistono diverse opportunità di accoglienza". I rifugiati politici, si lascia sfuggire.

Gran Bretagna: progetto del governo, "magistrati" già a 14 anni

 

Brescia Oggi, 23 agosto 2004

 

Ragazzini dai 10 ai 16 anni accusati di crimini minori processati da giudici e giurati minorenni. È questo l’ultimo progetto che il governo laburista britannico ha messo in cantiere nella sua campagna per combattere la devianza minorile che sta diventando un problema sempre più pressante.

Il dipartimento per gli Affari costituzionali, ha anticipato ieri il domenicale "Observer", potrebbe introdurre le baby-corti già dal prossimo anno a Liverpool. Dopo due anni di sperimentazione, se i risultati saranno buoni, saranno estese a tutto il Paese. I giovani selezionati per fare giudici e giurati (dai 14 ai 17 anni di età) saranno sottoposti ad un addestramento per dare loro almeno un’infarinatura legale e di scienze sociali. Davanti alle corte di minorenni finiranno ragazzini accusati di reati come comportamento anti-sociale, vandalismo, uso di stupefacenti ed assunzione di alcolici. I loro coetanei potranno condannarli a svolgere lavori utili per la comunità, a scrivere lettere di scuse alle vittime delle loro malefatte o a frequentare corsi per il controllo della rabbia.

Le corti minorili sarebbero una novità in Gran Bretagna e nel resto dell’Europa, ma già esistono negli Usa, dove sono state introdotte in alcune grandi città durante la presidenza di Clinton. A svilupparle è stato Greg Berman, direttore di Centre for Court Innovation, un centro per l’ammodernamento del sistema giudiziario, il quale ha riferito all’"Observer" di aver ricevuto numerose visite da esponenti del governo Blair, compreso il ministro degli Interni Blunkett, interessati a sapere come funzionano le "teen court" negli Usa.

A sentire Berman vanno benissimo. Non tutti però sono così convinti. Elizabeth Gaines, direttore del centro studi americano Osborne Association, sottolinea il pericolo che le corti minorili diano ai giovani l’impressione sbagliata che il sistema giudiziario deve necessariamente entrare nelle loro vite. L’introduzione delle "teen court" è soltanto una delle iniziative a vasto raggio, alcune molto contestate, che il governo Blair ha intrapreso per rimettere in riga una generazione di "giovani cresciuti senza disciplina e senso di responsabilità", come lo stesso primo ministro ha definito gli adolescenti britannici.

Fra queste l’imposizione del coprifuoco notturno per i minori di 16 anni nel centro di Londra, la condanna al carcere dei genitori di scolari che ripetutamente marinano la scuola e l’attribuzione alla polizia di più ampi poteri per contrastare le bande di giovani che bevono e disturbano la quiete pubblica. Al di là delle polemiche sulla repressione, il problema delle delinquenza minorile esiste. Nel 2003, secondo dati ufficiali, 1,25 milioni di minorenni (circa il 25% dei giovani) ha infranto almeno una volta la legge.

Mastella (Udeur): sull’amnistia Castelli non cerchi alibi

 

Apcom, 23 agosto 2004

 

"Castelli non cerchi alibi e non si lasci andare ad accuse che sono ingenerose ed infondate. Amnistia ed indulto non sono affatto dei palliativi e tali li può ritenere solo il Ministro leghista, da sempre contrario per calcoli elettorali ad atti di clemenza". È quanto afferma Clemente Mastella, segretario dell’Udeur.

"Non è vero - aggiunge Mastella - che il 70 per cento del Parlamento sarebbe contrario. Basti ricordare il vasto consenso che riscosse due anni fa l’appello del Papa in occasione della sua visita a Montecitorio. Comunque - conclude - noi siamo pronti ad accettare la sfida. Il Ministro ponga i due provvedimenti all’ordine del giorno delle Camere e vedremo chi è favorevole e chi è contrario".

Chiti (Ds): Castelli è incompetente e arrogante

 

Apcom, 23 agosto 2004

 

"Il ministro della Giustizia Castelli è incompetente: il ministro più incapace e arrogante della storia della Repubblica". Lo afferma Vannino Chiti, coordinatore della Segreteria Ds. "Dà il meglio di sé nell’offendere in modo incivile e senza motivo l’opposizione - prosegue - ora addirittura l’intera sinistra europea. Conferma la sua contrarietà al mandato di cattura europeo, il che ci rende isolati, poco credibili, vulnerabili".

"Pochi giorni fa - osserva il diessino - Castelli nascondeva la sua incapacità e la sua insensibilità nell’affrontare il tema delle carceri, attaccando perfino il diritto di visita dei parlamentari. La misura è colma. Chiediamo ai settori politici più responsabili della maggioranza, a quanti ritengono irrespirabile per l’Italia un clima quotidiano di insulti e contrapposizioni, se hanno qualcosa da dire a questo proposito. Se confermano oppure no la loro fiducia a Castelli".

"Ci rivolgiamo in primo luogo all’Udc di Follini - conclude Chiti - al neo commissario europeo Buttiglione, al nuovo Psi: occorre davvero un alt forte e deciso alla parole usate come pietre, alla violenza di offese gratuite ed incivili da parte di chi riveste primarie responsabilità nelle istituzioni".

Mambro e Mantovani: "Il terrorismo? Una strada senza uscita"

 

Vita, 23 agosto 2004

 

"Le abbiamo invitate perché avevano un’esperienza umana da raccontare", spiega il portavoce di Cl Ronza dopo le polemiche sulla presenza al Meeting delle due ex terroriste

"Abbiamo scelto una strada senza uscita". Così Francesca Mambro, uno dei capi dei Nar insieme al marito Giusva Fioravanti (condannati per molti omicidi compresa la strage alla stazione di Bologna, di cui si dichiarano innocenti), ha definito la sua esperienza di terrorista. Lo ha fatto davanti alla platea del Meeting di Rimini dove più di un migliaio di persone hanno salutato con applausi, attenzione (e qualche perplessità) il suo intervento. La Mambro ha parlato di "pentimento" e di "misericordia" stimolate dalle domande del moderatore, condirettore di Libero e giornalista vicino a Cl, Renato Farina.

La Mambro è stata invitata al Meeting insieme all’ex brigatista rossa Nadia Mantovani (esponente della Direzione strategica delle Br) a partecipare al dibattito "Un’altra opportunità", dibattito a cui è intervenuto anche l’ex parlamentare Verde Luigi Manconi. Mambro e Mantovani hanno posto come unica condizione per partecipare al dibattito di non essere interrogate dai giornalisti su nessun argomento di attualità e tanto meno hanno voluto replicare alle polemiche che, anche sui giornali di oggi, le hanno investite in quanto sono state accusate - loro e gli organizzatori del Meeting ("Indegno quel dibattito" - di strumentalizzazione da parte di alcune associazioni di vittime del terrorismo. Francesca Mambro, che al termine del suo intervento sé anche commossa, ha ammesso di "aver commesso molti errori, di aver commesso dei crimini e di aver distrutto la mia vita e quella di altri".

Durante gli anni trascorsi in carcere (oggi è in regime di semidetenzione), la Mambro sostiene di aver riflettuto sui meccanismi che in gioventù l’hanno portata "a covare la vendetta che porta a distruggere le vite. Non capisco però come si possano avere rancori e furori ideologici a 40 o 50 anni".

"Ho subito sentenze ingiuste, ma anche giuste", ha detto la Mambro ribadendo di accettare "tutte le condanne subite tranne quella per la strage di Bologna". Poi ha spiegato che oggi lo scopo della sua vita "è quello di ricambiare il bene che ho ricevuto negli anni trascorsi in carcere, di trasformare il male che ho fatto in bene, anche grazie all’aiuto di persone eccezionali come padre Adolfo Bachelet, suo fratello e il movimento di Cl".

L’ex terrorista Nadia Mantovani, che fece parte delle Brigate rosse fino al 1975, ha dichiarato: "Il mio presente oggi è molto lontano dal mio passato. Tuttavia io non ho ancora finito di riflettere sulla mia vita. Volevo cambiare il mondo e ho commesso parecchi errori; della mia storia salvo poco, ma qualcosa salvo, come l’amore per la giustizia e la solidarietà".

L’ex brigatista rossa, che ha scontato una pena di 22 anni per reati di banda armata, ha poi confessato, anche lei emozionata ("Non parlo mai in pubblico"): "Per fortuna mia non ho fatto in tempo a commettere reati gravissimi. Ho partecipato alla costruzione delle Br, ma non ho preso parte ad omicidi politici". Il tempo trascorso in carcere è stato per Nadia Mantovani "una riflessione continua" in cui ha imparato che "ogni differenza, da quella ideologica a quella religiosa, è una ricchezza; ciò fa imparare a diventare tolleranti, anche se la parola tolleranza non mi sembra la più adatta, preferirei parlare di accoglienza del diverso da sé". A queste parole è scattato l’applauso convinto del popolo di Cl presente in sala.

"Abbiamo invitato al Meeting Francesca Mambro e Nadia Mantovani sulla base di una indicazione offertaci l’anno scorso dal presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, perché riteniamo che abbiano un’esperienza umana da raccontare". Ha risposto così Robi Ronza, portavoce del Meeting di Cl a certe critiche ricevute per il dibattito organizzato oggi, sottolineando che l’invito alla kermesse riminese delle due ex terroriste "non vuol dire che vogliamo assolvere qualcuno, né che partecipiamo a una posizione di perdono". Ronza sottolinea che "il perdono cristiano passa attraverso l’espiazione ed implica l’idea di misericordia, che però non annulla il principio di responsabilità". "La nostra visione del mondo - aggiunge il portavoce del Meeting di Cl - non ha nulla a che fare con il perdonismo: abbiamo solo voluto proporre ai nostri partecipanti un’esperienza umana senza dar vita a giudizi di appello".

 

 

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