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Roma: Regina Coeli, nessuna rivolta ma solo esasperazione
Agenzia Radicale, 22 agosto 2004
In una lettera inviata alla Direzione del carcere e fatta pervenire anche al Partito radicale, i detenuti del carcere romano di Regina Coeli hanno detto la loro sulla "rivolta" di martedì scorso. Questo il testo integrale del messaggio che Radicali Italiani hanno deciso di rendere pubblico: "In merito agli episodi di estrema esasperazione avvenuti la sera del 17.08.2004 alla Quarta sezione, i detenuti di Regina Coeli esprimono rammarico per l’accaduto, e sicuramente se ne assumono la responsabilità. La nostra responsabilità è quella di non aver comunicato abbastanza tra sezioni, di non aver organizzato bene la protesta (facciamo anche notare alla direzione che praticamente non esiste una commissione dei detenuti che parla dei vari problemi e li porta alla S.V.). Quello che è accaduto alla Quarta sezione poteva accadere ovunque; non è stata né una rivolta né una sommossa... ma solo un momento di esasperazione che per fortuna non ha riportato conseguenze per le persone. Non vorremmo che il clamore che questa notizia ha suscitato giocasse in maniera negativa nei confronti dei detenuti indagati. Sappiamo che la Direzione ha bene in mente quale è il quadro reale dell’accaduto e che forse va ridimensionato. Ci dispiacerebbe che si adottasse un metro di giudizio punitivo in un momento in cui ci sarebbe bisogno di incontro. In ogni caso ci assumiamo tutti la responsabilità. Siamo grati per l’attenzione". Castelli e le sue prigioni, editoriale di Furio Colombo
L’Unità, 23 agosto 2003
Un titolo della Padania dice molto del momento in cui stiamo vivendo:"Le carceri le ha riempite la sinistra". È vero che il gruppo dirigente della Lega, senza Bossi, è una banda di disperati che passa quasi all’istante dall’insulto volgare (Calderoni) alla offerta di lavorare con l’opposizione sul federalismo (Calderoni) senza la decenza di un minimo intervallo. La mancanza di Bossi non li rende peggiori (è impossibile) ma li fa apparire storditi e confusionali. Però il titolo appena citato è esemplare per tutta la coalizione di governo che forse sarà liquidata fra due anni alle urne, ma che non sarà dimenticata tanto presto dagli italiani. Il titolo riflette quella che un tempo si sarebbe chiamata la cultura di governo". La cultura di questo governo dà l’impressione di una giacca di molte misure più stretta del normale. Ti chiedi perché uno abbia una immagine così misera di se stesso e non voglia o possa sentire la dignità del proprio ruolo e delle proprie responsabilità. Prendete Castelli. È certo il peggior ministro della Giustizia che la Repubblica abbia mai avuto. Somma l’incompetenza con l’arroganza e unisce alta funzione e spallate da teppista che, come minimo, sorprendono. Non ha idea del ruolo che ricopre e se ne vanta, è un uomo orgoglioso della sua totale inadeguatezza che vive come prova della sua estraneità a "Roma ladrona". È una sindrome infantile che imbarazza tutti ma non lui. Lui dà la colpa ai Radicali se i detenuti di Regina Coeli sono costretti a stare in otto in una cella, li chiama cattivi maestri (è una frase che ha raccattato da altre polemiche) perché realizzano un’antica opera di misericordia cristiana. Ma che gli frega a Castelli? Lui sa che le prigioni si sbarrano e basta, fino al punto di vietare le visite democraticamente previste dalla Costituzione. Come quella del Comune di Roma. Lui è di quelli che buttano via la chiave e aspettano la svolta che fatalmente segue i momenti peggiori dell’incattivimento di un Paese. Aspetta il grido del collega Calderoli che esige di mobilitare la Marina per spingere al largo o affondare (lui dice "Non siamo la Croce Rossa") gommoni di disgraziati che tentano di sbarcare. Aspetta le conseguenze della prossima legge Fini sullo spinello per rinfoltire le carceri (fa sapere che "una prigione non è un Grand Hotel"), assiste tranquillo al moltiplicarsi dei suicidi in prigione. Gli manca del tutto il senso dell’istituzione che - da ministro della Giustizia - rappresenta. Se è stato così attivo e infaticabile contro i magistrati mostrando un profondo, personale disprezzo che un ministro della Giustizia dovrebbe quanto meno nascondere (dopo tutto non è colpa sua se lo hanno scelto e portato a giurare) perché non dovrebbe avere malanimo verso i carcerati? Ma fate attenzione alle mosse di contrattacco del ministro della Giustizia Castelli. È una sequenza che dovrebbe scoraggiare chiunque, nell’intero arco della opposizione, ad avere contatti politici con questa gente, se non altro per le ragioni simboliche espresse dal proverbio "Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei". Ecco la sequenza. 1 - Disinteressarsi del problema delle prigioni (che è grave e drammatico in tutto il mondo, che è una piaga di tutte le democrazie) con le note affermazioni sugli alberghi di lusso. È vero che il problema carcerario italiano non è nato con Castelli. Ma questo fatto aggrava la sua alzata di spalle. Sarebbe come governare in Sicilia senza curarsi della feroce mancanza d’acqua dicendo: "Non ho mica chiuso io rubinetti". C’è una differenza fra non fare niente e vantarsene. 2 - Le prigioni italiane sono obiettivo e impegno dei Radicali che, sia con la straordinaria iniziativa di Radio-Carcere (fa capo a Riccardo Arena), che con le frequenti visite agli istituti di pena rompe l’aspetto più terribile della prigione: il terrore di essere dimenticati dall’altra parte del muro. Questa volta la visita era "interessata" perché il segretario dei Radicali intende raccogliere firme contro la barbara legge sulla procreazione assistita. Vuol dire che è due volte meritevole: perché insieme alla visita e alla constatazione dell’orrore carcerario c’è il tentativo di coinvolgere i detenuti nell’ urgente progetto civile del referendum. Tutto ciò evidentemente è troppo per questo ministro della Giustizia. Scoppia una rivolta nel quarto braccio di Regina Coeli e un ministro della libera e democratica Repubblica italiana accusa prontamente chi - in pieno agosto - ha visitato i detenuti. I Radicali lo hanno giustamente denunciato per calunnia perché ha detto con sprezzo che "i cattivi maestri" pur di stare sui giornali in agosto, non esitano a incitare i detenuti alla rivolta. Poi i Radicali hanno rilanciato chiamando i detenuti allo sciopero della fame per oggi, domenica. Ha risposto loro, con furore incontrollato e un pò imbarazzante il ministro Giovanardi (Udc, Rapporti con il Parlamento) che non c’entra niente ma ha definito la loro iniziativa "inqualificabile e provocatoria". Evidentemente non ricorda nulla delle opere di misericordia cristiane, e per uno dell’Udc si nota. È una clamorosa dimostrazione del perché non si deve stare accanto ai leghisti tipo Calderoli e Castelli. Si corre il rischio di somigliargli e di parlare come loro. 3 - Deputati e senatori dell’opposizione - ma anche della maggioranza - visitano spesso le prigioni, testimoniano delle condizioni invivibili. Da quei deputati e senatori - se mai Castelli avesse rapporti con il Parlamento (verso il quale sembra nutrire sentimenti simili a quelli che dimostra verso la Magistratura e verso i cittadini reclusi) - saprebbe che la situazione è drammaticamente pesante persino a prescindere dalle sue responsabilità di ministro che non sa fare il ministro e dà sempre la colpa ad altri. E infatti - dopo i Radicali "cattivi maestri", poteva Castelli dimenticare i comunisti, che ai suoi piccoli occhi vendicativi sono colpevoli di tutto? E allora fa dire alla Padania che "le carceri le ha riempite la sinistra". Lo sa anche lui che è una frase senza senso per lui, per la Lega e per tutta la Casa delle Libertà. Sono coloro che hanno impostato l’intera campagna elettorale - durata tutti e cinque gli anni della passata legislatura - a spiegare che il lassismo della sinistra, il rifiuto di arrestare, la intollerabile inadeguatezza delle leggi, le scorribande senza controllo degli immigrati, il fatto che "dalla prigione li fanno uscire subito" tutto ciò aveva prodotto la impennata di criminalità che stava terrorizzando l’Italia. Ricordare i telegiornali - tutti - di casa Berlusconi per credere. Cercavano di dare almeno una notizia di furto, rapina e omicidio al giorno. Poco importa se l’impennata di criminalità c’è stata adesso, e che adesso le carceri sono colme di arrestati per droga e per la Bossi-Fini. Le Tv le controllano loro e la verità non la diranno mai. Ma il fiato cattivo leghista si spande adesso in questo Paese involgarito e spezzato, con l’affacciarsi di un’idea folle, degna dei tempi di Dickens: le carceri private. Negli Stati Uniti esistono e sono considerate dalle organizzazioni per i diritti civili, dalle associazioni degli avvocati, da esperti, da giudici, la vergogna del Paese. Vi sono tribunali che - se la legge lo consente - evitano la pena detentiva per non inviare il condannato in un carcere privato. La ragione è che nel carcere pubblico la brutalità è un rischio, in quello privato un business. Perché il terrore dei detenuti più deboli diminuisce le spese di sorveglianza, affidata ai detenuti più forti e più dotati di gangsteristico spirito d’impresa. Ma le prigioni private non sono che la sgradevole materializzazione di una cultura cupa e pericolosa, che gira per il mondo: la sicurezza privata e i suoi esperti. Ricordate Abu Ghraib, la terribile prigione americana di Bagdad? Tutti i soldati e gli ufficiali imputati delle odiose pratiche di quel carcere si sono difesi dicendo che il sistema di "softening" (come ammorbidire, ovvero piegare i prigionieri stroncandone identità e resistenza) era il frutto del training ricevuto da istruttori privati. Del resto le prigioni private cilene, che nel 2002 Berlusconi ha mandato a studiare come modello, sono un tipo di impresa fiorita in quel Paese quando molti ex militari che avevano in carico le famigerate prigioni di Pinochet, dopo Pinochet sono rimasti senza lavoro. S’intende che nel privato gli esperti di Pinochet saranno un po’ più prudenti del tempo in cui governavano. Ma il bilancio delle prigioni è semplice: si risparmiano i costi strutturali con lo spazio ridotto (che viene teorizzato come più adatto alla disciplina perché "scomodo"); quelli del personale con un numero limitato di guardie in grado di incutere timore e sottomissione; quelli del vitto adottando diete da fame perché, come spiegano gli esperti privati di Abu Ghraib e come ha detto Castelli, perché una prigione dovrebbe assomigliare a un Grand Hotel? Per spendere meno devi piegare e umiliare di più, spostando la cella definitivamente fuori dall’ambito della Costituzione. Castelli ci pensa. Berlusconi ci pensa. Dovrà pensare a loro l’opinione e il voto degli italiani. Roma: sciopero fame detenute Rebibbia diventa solidarietà
Apcom, 22 agosto 2004
Le detenute di tutte le sezioni della Casa Circondariale Femminile di Rebibbia (circa 300 donne) hanno organizzato oggi, insieme ai detenuti di molte carceri italiane, una protesta pacifica per solidarietà con i detenuti del carcere romano di Regina Coeli e per chiedere nuovamente un gesto di clemenza in considerazione del sovraffollamento e delle difficili condizioni in cui versano molte carceri italiane. Le detenute di Roma hanno scelto di protestare con uno ‘sciopero del vitto, rinunciando cioè al vitto dell’Amministrazione Penitenziaria e hanno chiesto alla Direzione del Carcere di donare tutto il vitto alla Comunità di Sant’Egidio perché venisse distribuito ai poveri. Stasera c’è stata la distribuzione di pasti per alcuni barboni romani. Anche due donne zingare che chiedevano l’elemosina a Piazza Santa Maria in Trastevere si sono avvicinate e hanno potuto mangiare. Le detenute di Rebibbia sono state ringraziate dalla Comunità di Sant’Egidio con un messaggio che domani sarà affisso in tutte le sezioni del carcere: "Care amiche, - recita il messaggio - mentre riceviamo il vostro dono, che sarà dato ai poveri della nostra città, vogliamo esprimere la nostra solidarietà e vicinanza a voi tutte e a tutti coloro che sono detenuti e che, particolarmente in questo periodo estivo, soffrono le difficoltà della detenzione. Un grazie sentito anche da parte dei tanti poveri che potremo raggiungere. I vostri amici della Comunità di Sant’Egidio". Carceri super affollate: rinasce il partito dell’amnistia
Centomovimenti, 22 agosto 2004
Varare un’amnistia per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri. È questo il progetto di numerosi parlamentari italiani che, prendendo spunto dai recenti disordini nel carcere romano di Regina Coeli, hanno reinserito nell’agenda della politica italiana il problema delle tragiche condizioni di vita nei penitenziari del nostro Paese. Si è così costituito un fronte composto da diversi colori politici, si sono infatti detti favorevoli ad un gesto di clemenza deputati e senatori di diversi partiti del centrosinistra e della Casa delle Libertà, ai quali vanno aggiunti gli esponenti dei Radicali. Per il forzista e vicepresidente della Camera Alfredo Biondi, "di fronte alle tragedie che costituiscono la realtà quotidiana del carcere, credo che un’amnistia costituisca, a distanza di quindici anni dall’ultima, un rimedio che non risolverà i mali della giustizia ma limiterà la gravità afflittiva su chi dovrebbe nel carcere trovare ambiente di redenzione invece che di disperazione". Il centrista Clemente Mastella ha voluto invece bacchettare coloro che, "nel centrodestra e nel centrosinistra, continuano ad essere contrari" a un’amnistia. "Su questo tema servono meno calcoli elettorali e maggior senso di responsabilità - ha tuonato - due anni fa la richiesta del Papa per un atto di clemenza cadde nel vuoto, ma il problema sollevato dal Pontefice resta di drammatica attualità". Parole analoghe sono state pronunciate dagli esponenti dell’Udc, per i quali "chi non ha voluto l’indulto ha il dovere di indicare gli strumenti per risolvere la questione". Sul fronte del no si schierano invece alcuni uomini di Forza Italia, gran parte dei militanti di Alleanza Nazionale e la totalità degli Onorevoli del Carroccio con in testa il ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Nessuna amnistia e nessuno sconto di pena", ha chiarito l’aennino Filippo Ascierto, seguito a ruota dal deputato azzurro ed avvocato del premier Niccolò Ghedini: "Sarebbe solo un provvedimento tampone, bisogna invece incidere pesantemente sulle carcerazioni preventive: oltre il cinquanta per centro dei detenuti, infatti, sono in attesa di giustizia". Il chiacchiericcio estivo su amnistia e privatizzazione
Liberazione, 22 agosto 2004
Il carcere scoppia e la richiesta di una soluzione "umana" avanzata dal Papa al Parlamento italiano ormai due anni fa è ancora del tutto disattesa. È dura la denuncia del cardinale torinese Carlo Furno, voce autorevole del sacro collegio, già nunzio apostolico in Medio Oriente e Sud America: "Le preoccupanti tensioni negli istituti di pena, dimostrano quanto le finte soluzioni non risolvano i problemi. Eppure a Montecitorio, durante la visita di Karol Wojtyla, risuonano parole nitide, animate da autentica condivisione che andavano prese per ciò che erano e non travisate. I risultati concreti non sono stati all’altezza di quell’anelito e ora l’occasione mancata dai parlamentari suscita delusione in tutti". "Hanno prevalso gli interessi elettoralistici", parla chiaro il porporato. Gli fa eco, sempre nella giornata di ieri, il cardinale di Napoli Fiorenzo Angelini: "Non posso non manifestare tutta la mia amarezza nel constatare che tutti i deputati e senatori, dopo aver accolto in modo solenne il Papa, nulla hanno fatto in concreto". Sono le temperature insostenibili e lo scandaloso stato degli istituti di pena, che fanno esplodere, nei giorni seguenti ferragosto, una dura protesta nel carcere romano di Regina Coeli. Stando alla tesi del ministro, fomentata dalla visita di esponenti delle opposizioni. Il guardasigilli ottiene subito la replica indignata delle sinistre e dei radicali, che il 14 agosto erano a Regina Coeli. E anche del presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, costretto a ricordare che visitare le carceri è "una prerogativa" dei parlamentari. Ma evidentemente la quotidianità delle prigioni italiane è preferibile non abbia testimoni: il giorno seguente Luigi Manconi, garante per i diritti dei detenuti, Luigi Nieri di Rifondazione, assessore del Comune di Roma e Patrizio Gonnella dell’associazione Antigone trovano Regina Coeli blindato per decisione politica. Il ministro Castelli - scavalcando come si scoprirà poi l’ok del magistrato - impedisce la visita della delegazione. Una settimana insomma in cui i problemi del carcere sono al centro dell’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Anche sull’onda della forte emozione provocata dal suicidio nel carcere di Sulmona del sindaco di Roccaraso, Valentini, indagato per tangenti, che si toglie la vita il giorno dopo l’arresto, la sera di Ferragosto. La sua morte riapre il dibattito sulla detenzione preventiva. Come risponde il governo? Rispolverando lo specchietto per le allodole dell’amnistia. Un tentativo per allontanare lo sguardo dal problema reale del sovraffollamento. A rilanciare la proposta, avanzata nei giorni scorsi dal centrista Volontè, è stato ieri Alfredo Biondi, vicepresidente di Forza Italia alla Camera. Gran chiacchiericcio estivo, ridda di "favorevoli" e "contrari". Ma nessuno fa i conti sul serio: "L’amnistia è sicuramente opportuna ma escludo che risolverebbe il sovraffollamento delle carceri", spiega Giuliano Pisapia, penalista e deputato di Rifondazione. "Le persone recluse per reati amnistiabili si contano sulle dita di due mani, non vi rientrerebbe neanche il furto aggravato. È evidente - sottolinea Pisapia - che essa non può essere concessa se non per reati che prevedono pene massime di 5 anni". Altri conigli sono saltati fuori dal cappello: per esempio il tentativo del ministro Castelli di risolvere il problema delle carceri sovraffollate col vecchio trucco del ritocco dei parametri. Rispunta una circolare del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che prevede la riduzione degli spazi minimi a disposizione di ogni detenuto. E la ricetta americana della privatizzazione delle carceri. Lanciata dal ministro della Giustizia in persona, Castelli, e subito sostenuta dal portavoce di An, La Russa. Giovanni Tinebra, direttore del Dap, la circostanzia: "Pure il carcere romano di Regina Coeli potrebbe essere venduto - dichiara - se venisse fatta un’offerta economicamente adeguata". E conferma che nuove prigioni potrebbero nascere in leasing dalla svendita di quelle vecchie. Un netto no a questi progetti destinati ad aggravare i problemi invece di risolverli è giunto ieri dal Sindacato nazionale del corpo di Polizia penitenziaria, che parlando di "possibile incostituzionalità" ha affermato: "mai alle dipendenze dei privati". In serata, come una drammatica doccia fredda, arriva la notizia dell’ennesimo tentativo di suicidio proprio nel famigerato carcere di Sulmona: un detenuto, di cui mentre scriviamo non si conosce ancora l’identità, si è tagliato le vene con una lametta ed è stato salvato appena in tempo.
Carceri privatizzate? solo questione di business
Liberazione, 22 agosto 2004
Caro direttore, continuano le alterne dichiarazioni di varia matrice, oltre che su di una improbabile amnistia sulla possibile privatizzazione delle carceri che l’Osapp, quale sindacato nazionale del corpo di polizia penitenziaria non può astenersi dal considerare e chiarire opportunamente. Infatti, ciò che di massima è inteso come privatizzazione e che in parte già oggi si cerca di realizzare non è, come vuole farsi intendere, il risparmio di risorse, bensì una "qualificata" vicenda di business. La privatizzazione del carcere, secondo recenti intenti, è il conteggio su base commerciale delle spese di mantenimento di ciascun detenuto, comprensivo dell’assistenza sanitaria, del vitto, alloggio, vestiario e degli stipendi del personale, che alcune imprese private hanno già quantificato in 50 euro giornalieri pro-capite (sic!). Su tale base verrebbero poi banditi appalti (al ribasso?) e le spese ammortizzate mediante cessione alle stesse imprese degli immobili di riconosciuto valore artistico e culturale sede degli istituti penitenziari o, ancora proprietà della stessa amministrazione penitenziaria. In tale prospettiva di mero guadagno sugli stesi detenuti, di cui viene quantificata la sopravvivenza, stupisce che possano dirsi favorevoli anche movimenti politici e di opinione di matrice notoriamente progressista. Altrettanto, meraviglia che a "pontificare" di privatizzazione sia chi che negli anni, anche in veste di ministro della Giustizia, ha contribuito all’attuale sfascio penitenziario. Al di là della possibile incostituzionalità, nelle carceri non operano né "secondini" né "guardie carcerarie" né "agenti di custodia" bensì agenti di polizia penitenziaria, che per una oramai datata legge del 1990 sono l’unico esempio del tentativo di coniugare funzioni preventivo-repressivo, cioè di polizia, con il quotidiano e costruttivo rapporto con i detenuti, per l’individuazione, caso per caso, delle forme di reinserimento nella società. L’Osapp ha già affermato che riorganizzare e potenziare il corpo equivale al pieno rispetto di regole e legalità, certezza della pena, maggiore vivibilità, concreto reinserimento nella società dei detenuti, e quindi corretto rapporto costi-risultati in favore della società. D’altra parte, proprio sull’"assenza" di un corpo di polizia nelle carceri, che agisca secondo regole certe e in ogni istituto e non in base a interessi locali e svariate "pressioni" esterne, si basa il sistema dei privilegi per i detenuti di maggiore "eccellenza" e la sofferenza di tutti gli altri.
Leo Beneduci, segretario generale Osapp Morire in uno Stato di diritto: carcere preventivo tra uso e abuso
Liberazione, 22 agosto 2004
È giusto, persino doveroso, che il mondo della politica si interroghi sul suicidio in carcere di un uomo. Non c’è nulla, nel diritto e nella morale, che possa giustificare la rinuncia alla vita perché nulla può essere, oggettivamente, più prezioso di essa. È meno giusto che diventi una battaglia politica soltanto quando a morire è un carcerato, per così dire, eccellente. Come indubbiamente lo era - o lo è diventato - il sindaco di Roccaraso, suicida due giorni dopo l’arresto per una complicata e non del tutto chiarita vicenda di tangenti. C’è il rischio, quando agli onori della prima pagina viene assurto il colletto bianco e non uno degli altri 59 disperati che hanno scelto lo stesso terribile destino, che l’opinione pubblica rifugga istintivamente al ragionamento e vi veda esclusivamente il pretesto di una squallida battaglia corporativa. Per dirla con Trilussa, nessuno deve pensare che "la serva è ladra e la padrona cleptomane". Detto questo, bisognerebbe ricondurre il dibattito- e non è semplice in una nazione che in materia di giustizia legifera sempre e soltanto sull’onda di spinte emozionali - alla ragione stessa di esistere del cosiddetto carcere preventivo. Perché è fuor di dubbio che in Italia se ne faccia un utilizzo smodato e da troppo tempo ("Detenuto in attesa di giudizio" di Sordi, non è esattamente un film dell’altro giorno) e non si finisca più in carcere, o si resti troppo poco, quando la sentenza è stata invece pronunciata. È utile, a questo proposito, ricordare il recente caso comasco di Porlezza dove un brutale omicidio - aggravato dai futili motivi - è stato punito con 6 anni e mezzo di carcere, che scenderanno ancora in virtù dei pur sacrosanti meccanismi di garanzia a favore dei minorenni autori di reati. Trasformando l’omicidio alla stregua di un furto in supermercato o giù di lì. In uno stato di diritto ideale, e parliamo per paradosso, il carcere preventivo non dovrebbe neppure esistere o, tutt’al più, dovrebbe essere ricondotto a casi di estremo allarme sociale. Un esempio: il marito che uccide la moglie (o viceversa) e poi si costituisce ai carabinieri non avrebbe alcun bisogno di carcere preventivo perché le condizioni imposte dalla legge per giustificarlo vengono meno: il reato non sarà (evidentemente) reiterato, l’inquinamento delle prove non esiste (è reo confesso) e il pericolo di fuga del tutto teorico (si è costituito). L’imputato, di conseguenza, potrebbe attendere a casa sua la sentenza. Soltanto allora sarebbe chiamato a scontare la sua giusta pena di fronte alla società. Così come, per rovesciare il discorso, viene da chiedersi per quale motivo il grande evasore fiscale debba godere (accade quasi sempre) degli arresti domiciliari e lo scippatore debba, invece, aspettare in carcere il giudizio quando è ovvio che i danni sociali provocati siano assai più gravi e duraturi nel caso dell’evasore che non in quello dello scippatore. Ma è ovvio che l’opinione pubblica non accetterebbe mai un simile ragionamento. E allora, realisticamente, bisogna intervenire in altro modo. Ovvero sulla macchina della giustizia che deve essere in grado di eliminare il più possibile la discrezionalità di giudizio visto che, come recita la scritta presente in tutti i tribunali, la legge è uguale per tutti. La serva e la padrona, per restare a Trilussa. Forlì: Radicali in carcere per raccolta firme referendum
Sesto Potere, 22 agosto 2004
Oggi pomeriggio alle 14:00 i Radicali Forlì - Cesena sono entrati nella Casa Circondariale di Forlì per consentire ai cittadini detenuti di poter sottoscrivere il referendum per l’abolizione delle legge 40/2004 (Pma). Hanno effettuato la raccolta firme i militanti radicali Andrea Ansalone e Franco Laruccia, con il consigliere comunale di Forlì dei DS, Marco Valentini, nella veste di autenticatore. Sia dalla sezione femminile che dalla sezione maschile l’afflusso è stato di circa il 70% degli aventi diritto. Sono state raccolte 35 firme mentre altrettanti detenuti extracomunitari avevano fatto richiesta di poter sottoscrivere anch’essi questo quesito referendario. "Quindi - spiega Andrea Ansalone, Coordinatore Radicali Forlì - Cesena - un grandissimo interesse se confrontato ai 4-5 detenuti che usualmente partecipano alle elezioni. Siamo quindi ancora una volta a mostrare al Ministro di Giustizia Castelli che dalle carceri vengono esempi di partecipazione e impegno civile. Al contrario riteniamo che sia il Ministro a non essere all’altezza delle sue mansioni e che in 3 anni, in veste di massimo responsabile della giustizia, nulla ha fatto per affrontare il problema del sovraffollamento. Ha inflitto il peso delle condizioni critiche delle strutture e del sovrannumero addossandolo a chi, come il corpo di Polizia Penitenziaria, deve sopravvivere fuori dai regolamenti cercando di lenire la disperazione che queste condizioni creano". Il Carcere di Forlì ha una capacità regolamentare di 10 posti nella sezione femminile e si ritrova ad avere 24 detenute, secondo i dati Ministero di Giustizia, al 30 giugno 2004. In che condizioni vivono i detenuti? Quanti letti a castello sono messi a disposizione? Si trovano sino a 5 detenute per cella, in quali condizioni igieniche? E con il caldo, con quali conseguenze sanitarie? Queste le domande rivolte al responsabile del Ministero della Giustizia dai radicali di Forlì. "Ringraziamo quindi la disponibilità e la capacità professionale degli operatori del carcere di Forlì, che con gentilezza ci hanno accolto questo pomeriggio, e che sempre si dimostrano professionali": aggiunge Andrea Ansalone, che ringrazia anche l’esponente Ds per la disponibilità e il senso di servizio civico dimostrato. Carceri: retromarcia di Castelli, giorno di protesta negli istituti
Repubblica, 22 agosto 2004
Nelle carceri è sempre emergenza. Un tentativo di suicidio è stato sventato nel penitenziario di Sulmona, dove si è tolto la vita una settimana fa il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini. Un detenuto, che era sotto stretta sorveglianza, si è tagliato le vene dei polsi con una lametta. I soccorsi questa volta sono stati immediati, ma è il segnale del disagio dei carcerati e dell’estrema difficoltà che gli agenti, da tempo sotto organico, denunciano. Oggi mobilitazione non violenta in tutte le carceri. I radicali l’hanno spuntata; il Guardasigilli, Roberto Castelli ha fatto retromarcia. Con una circolare del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, i radicali sono stati infatti autorizzati a raccogliere le firme per il referendum sulla procreazione assistita nei 200 penitenziari italiani. Dopo la rivolta a Regina Coeli, martedì notte, il ministro della Giustizia aveva puntato il dito contro i radicali e contro quei parlamentari dell’opposizione che con le loro visite "fomentano" la protesta tra i detenuti, definendoli "cattivi maestri". Accuse gravi quelle di Castelli che avevano provocato l’altolà del centrosinistra e del presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini e infiammato le polemiche. I radicali dal canto loro hanno rincarato chiedendo a tambur battente di tornare a raccogliere le firme nelle galere di tutta Italia. Permesso accordato ieri mattina, anche se saranno intanto una quarantina - spiega Sergio D’Elia, segretario di "Nessuno tocchi Caino" - le carceri dove si riuscirà a fare la raccolta delle firme, avendo come vincolo che a entrare siano in tre: chi deve autenticare le firme e altri due; e di concordare orari e modalità con i direttori degli istituti. Così a Regina Coeli a Roma, ad esempio, andrà il gruppetto composto da Rita Bernardini e Daniele Capezzone; a Bolzano forse il leader Marco Pannella. Alla giornata "non violenza e referendum", cioè di digiuno e raccolta di firme, ha aderito anche Adriano Sofri detenuto nel carcere di Pisa. Comincia inoltre la settimana "Sos carceri" dei Verdi: i parlamentari andranno a monitorare gli istituti penitenziari. Paolo Cento sarà a Rebibbia per denunciare la situazione delle detenute madri in cella con i propri figli anche se la legge consente le misure alternative. E a proposito della sollevazione di martedì notte, i detenuti di Regina Coeli in una lettera fanno ammenda: "Non è stata rivolta né una sommossa, ma un momento di disperazione che per fortuna non ha riportato conseguenze per le persone", scrivono alla direzione. La protesta intanto prosegue nel penitenziario di via della Lungara con la "battitura" delle sbarre. Sul pianeta carceri al collasso è ancora scontro tra i Poli. Soprattutto la proposta avanzata dall’Udc di varare un’amnistia divide trasversalmente gli schieramenti. Dubbi nel centrosinistra, che la ritiene "un bluff sulle pelle dei detenuti", ma anche una misura che non risolve i problemi del sovraffollamento. La Casa delle libertà è spaccata: "no" di An, Lega e del coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi. Tuttavia tra i forzisti si esprime a favore il vice presidente della Camera, Alfredo Biondi ("L’amnistia non risolve, ma è ora un rimedio contro la disumanità") e Gaetano Pecorella, presidente della commissione giustizia di Montecitorio. "Non è il momento di parlare di amnistia - afferma Michele Saponara - però nella riforma costituzionale affrontiamo le questioni della modifica del quorum per gli atti di clemenza e della grazia". Frena sull’amnistia anche il ministro centrista, Carlo Giovanardi. Il direttore del Dap, Giovanni Tinebra ha annunciato interventi in 23 carceri, la possibilità di vendere Regina Coeli, il piano di nuova edilizia carceraria finanziato con gli 11 ex penitenziari già sul mercato. Avellino: solo a Lauro meno detenuti con l’indultino
Il Mattino, 22 agosto 2004
I quattro penitenziari irpini non si sono svuotati: a poco più d’un anno di distanza dall’approvazione dell’indultino (primo agosto 2003) sono pochissimi i detenuti che in provincia di Avellino hanno usufruito dei benefici della legge 207, ottenendo lo scontro degli ultimi due anni di pena. Un solo detenuto ne ha beneficiato in città (altri due sono in attesa dell’applicazione della misura), una decina tra le strutture di S. Angelo dei Lombardi e Ariano Irpino a fronte di una popolazione carceraria che in provincia di Avellino ha raggiunto quasi ottocento unità. L’intento del provvedimento di legge era quello di favorire il processo di decongestionamento dei penitenziari italiani ma le cifre parlano chiaro: sia a livello nazionale (sulle 9000 scarcerazioni preventivate, con l’indultino solo 5600 detenuti sono stati rimessi in libertà) quanto in provincia di Avellino, i problemi di sovraffollamento e di carenze di personale di Polizia penitenziaria rimangono drammaticamente. Unica eccezione, l’istituto di Lauro: sono 12 i detenuti scarcerati grazie alle legge 207 su di un totale di 54. Ma il carcere di Lauro, classificato tra quelli a sorveglianza attenuata, ci sono esclusivamente detenuti tossicodipendenti. Possono beneficiare dell’indultino (che abbuona gli ultimi due anni di carcere), solo i detenuti che sono oltre la metà della pena. Ma il vero problema, anche in Irpinia, rimane il sovraffollamento. Sono al di sopra del limite i due principali penitenziari della provincia di Avellino. Ad Ariano Irpino, sono 200 gli attuali detenuti: solo una decina hanno ottenuto lo sconto di pena. Situazione preoccupante a Bellizzi dove un solo detenuto, a tutt’oggi, ha potuto beneficiare dell’indultino, altri due sono in attesa del provvedimento. Nel penitenziario cittadino ci sono 430 detenuti, almeno 40 in più rispetto alla capienza limite: all’appello mancano anche settantina di agenti di custodia. Due scarcerazioni, infine, nella nuova casa di S. Angelo che se da un lato non fa registrare, almeno per ora, problemi di capienza (74 detenuti su 150), dall’altro deve fare i conti con un personale di polizia penitenziaria (92 agenti) non assegnato definitivamente al complesso altirpino ma solo temporaneamente distaccato da altre sedi. Verona: il carcere "scoppia", 700 detenuti invece di 280
L’Arena, 22 agosto 2004
La "polveriera carceri" è tornata ad occupare le prime pagine a seguito dei suicidi in cella e delle proteste dei detenuti per il superaffollamento delle strutture penitenziarie. Non fa eccezione il carcere di Montorio (nella Fotoexpress) , che "ospita" 700 detenuti invece dei 280 previsti al momento della sua costruzione - una volta e mezzo la sua capienza - risultando così uno dei più affollati d’Italia. Una situazione che crea pesanti disagi per l’eseguità di spazio disponibile, mentre sono già tre i casi d’infezione da Tbc accertati negli ultimi mesi e una decina quelli sospetti.
Il carcere di Montorio è tra i più affollati d’Italia
Il sindaco di Roccaraso suicida in carcere, la protesta a Regina Coeli e la polemica sul sovraffollamento delle carceri italiane. Più che una polemica un dato di fatto da cui, con le dovute differenze (anche se non molto sensibili), nessuna struttura penitenziaria si discosta. Dati alla mano a Montorio lo standard di presenze regolamentari è di 280 persone (243 uomini e 37 donne) ma l’eventuale capienza tollerabile arriva a 500 detenuti (461 uomini e 60 donne). Solo che al 31 dicembre dello scorso anno la soglia di tollerabilità era stata superata di 132 unità (il totale quindi arrivava a 632) e la cifra, seppur soggetta ad oscillazioni, la scorsa settimana era salita a settecento. Un sovrannumero che non può non creare disagi. A tutti: agli agenti della polizia penitenziaria, in numero insufficiente non solo per gestire la popolazione carceraria ma anche e soprattutto per poter supplire alle emergenze. Agli educatori che riescono a malapena a proseguire i programmi. "Se in passato riuscivamo ad organizzare una partita di calcio una volta al mese ora i tempi di attesa si sono allungati", interviene Maurizio Ruzzenente, responsabile del Csi per il progetto carcere, "così come sono diminuite le possibilità di contatti con l’esterno. Ci sono situazioni che possono essere comprese solamente considerando che l’aumento dei detenuti comporta difficoltà nella gestione". Disagi a tutti, naturalmente anche alla popolazione carceraria. Così di fronte alle proteste di chi lamenta la "lentezza" o la riduzione delle docce settimanali la risposta possibile sta nel considerare che un carcere creato per 280 persone ne ospita esattamente il doppio, con lo stesso personale a disposizione e soprattutto con le strutture. Inadeguabili in tempi stretti e naturalmente insufficienti a soddisfare anche le esigenze elementari. Così se le dimensioni delle celle a Montorio oscillano tra i 10 e 12 metri quadrati e furono pensate per ospitare un solo detenuto, il raddoppio delle brande è arrivato poco dopo. Ora in quasi tutte è stata sistemata la terza branda e sul periodico del carcere "Microcosmo" si parla di uno studio per la possibilità di inserire in una cella un quarto detenuto. Si creerebbe una situazione al limite dell’accettabilità che era stata comunque evidenziata anche nell’ultimo sopralluogo effettuato il 24 luglio dall’onorevole Tiziana Valpiana e dal consigliere comunale Fiorenzo Fasoli. Da qui, da una situazione di sovraffollamento, la diffusione di parassiti e, quel che è peggio, di infezioni non sono elementi di cui stupirsi. Condizioni igieniche precarie, turni di pulizia che, come hanno lamentato gli stessi detenuti, sono ridotti di un terzo rispetto al passato a dispetto di un aumento degli ospiti pari a un terzo forniscono il "letto di coltura" di batteri, di infezioni quali la Tbc, tre casi accertati, una decina di sospetti e 268 erano risultati positivi al controllo. Nemmeno si trattasse di un sanatorio. Carceri con detenuti in eccesso e le polemiche hanno investito anche la gestione dei permessi. Rilasciati con una certa elasticità dal magistrato di sorveglianza che da una decina d’anni dirige l’ufficio - ora assente - hanno subito un rallentamento con l’arrivo di magistrati da Padova e da Venezia, che osservano rigorosamente le norme circa la concessione del "premio" per la buona condotta. E questo ha scatenato polemiche, come se la possibilità di uscire fosse la "cura" per il sovrannumero. Il problema di oltre duecento persone in più resta e si ripropone al rientro. Vita da polli: nella cella c’è meno spazio che in una stia
Si intitola "vita...da polli" ed è apparso sull’ultimo numero di "Microcosmo", la rivista del carcere di Montorio. L’articolo parla di misure, spazi e vivibilità all’interno delle celle. Lo pubblichiamo integralmente. "Lo spazio calpestabile di una cella misura 6 metri quadrati e i detenuti allo stato attuale sono tre per cella. Calcolando che il peso medio di una persona sia 78 chili si ricava un peso di 39 chili per metro quadrato. La normativa dell’Ue per il pollo pesante da ingrasso stabilisce che il numero massimo dei polli per metro quadrato non superi i 14 esemplari: due chili cadauno fanno una media di 28 chili per metro quadrato. Le condizioni a raffronto sono nettamente a favore del pollo, anche considerando il fatto che la bestiola raggiunge il suo peso massimo solo alla fine dell’ingrasso. Le condizioni di ricambio d’aria e di climatizzazione sono sempre a favore del pollo. Gli animalisti rilevano e segnalano che i polli sono trattati male. Conseguenza: dobbiamo forse ipotizzare che una qualsiasi organizzazione che operi per la tutela dei diritti dei detenuti dovrebbe rivolgersi, per avere maggior peso e una partnership di rilievo, a una associazione di animalisti?".
Casa e lavoro i maggiori problemi per chi esce
Il problema non è solo "dentro". È difficile anche "uscire" per chi non è più abituato al tempo senza scadenze e senza regole dell’essere liberi e, "fuori", ha perduto ogni punto di riferimento. Lo conferma, ma aggiunge anche qualche però a questo che non deve diventare un luogo comune, Arrigo Cavallina, volontario di due associazioni che operano in carcere, "La Fraternità" e "Don Tonino Bello". Perché se le statistiche dicono che la solitudine del dopo-carcere è la causa principale delle recidive, è vero anche che alcune occasioni, per chi esce, ci sono: dunque, forse non abbastanza valorizzate.
La giornata dei permessi
La prossima sarà il 19 settembre: cade circa ogni mese e mezzo ed è una domenica durante la quale i detenuti possono chiedere il permesso di uscire per andare all’eremo di San Rocchetto, il cui direttore, don Luciano, è il cappellano di Montorio. È un’iniziativa pensata dall’associazione "Don Tonino Bello", che non viene "sfruttata" però da più di una decina di detenuti ogni volta. I volontari, che sono invece numerosi, si chiedono se il fatto che siano concessi 10 permessi su un totale di oltre 700 detenuti (a fare domanda certo non sono tutti, ma ben più di dieci) dipende dal fatto che l’équipe interna non trova le persone giuste cui suggerire di fare domanda, o se il magistrato preposto sia tanto restio a concedere i permessi.
Incontri per ricomincianti
Si tengono una volta al mese, sempre all’eremo di San Rocchetto: intorno alle 19 ci si ritrova per la cena, seguita dall’intervento di esperti su temi specifici del reinserimento nel mondo lavorativo (come i diritti sindacali, l’aggiornamento su alcune normative) e, più in generale, dalla riflessione su vari aspetti della vita "fuori", per la quale è necessario reimparare a gestire perfino il tempo libero. Questi incontri sono destinati ai semiliberi: cioè ai detenuti che di giorno lavorano fuori e di notte dormono in una sezione speciale del carcere. Eppure tali incontri sono poco frequentati. Perché, dato che qui si possono acquisire conoscenze utili e poi intrecciare relazioni? Gli ex detenuti sono troppo poco informati o troppo passivi, e quando si tratta di fare un po’ di fatica per "tirarsi fuori" non hanno poi tutta quella voglia che sbandierano quando invece le occasioni mancano?
Ripresa responsabile
Sono questi gli interrogativi cui il mondo del volontariato ha cercato negli ultimi tempi di dare risposta, dopo aver constatato le difficoltà a dialogare in modo costruttivo con i detenuti. Anche da questo è nata l’associazione "Ripresa responsabile", sorta a fianco della cooperativa "Il Maggiociondolo", che si trova dopo il casello di Verona Sud e che è stata creata appositamente per dare lavoro ai detenuti in uscita. La nuova realtà mette a disposizione dei detenuti anche un paio di appartamenti.
L’arca
È la realtà che fa capo a don Elio Lago, salesiano, che svolge anche vari corsi all’interno della sezione femminile. Ha approntato una casa nella quale possono essere ospitate un paio di detenute. Appare però evidente che il problema, quando si parla di alloggi "protetti", è nei numeri. Case pronte ad ospitare chi esce dal carcere ce ne sono pochissime: i detenuti sono più di 700 e si parla, in tutta Verona, di nemmeno una decina di posti. Forse il volontariato da solo non ce la fa?
Una proposta al Comune
A dire il vero, ancora in attesa di risposta. Ma comunque è pur sempre una proposta e testimonia la volontà del mondo del volontariato di agire nel concreto. Quando si è insediata l’attuale amministrazione comunale, le varie associazioni che operano in carcere, consapevoli della necessità di coordinare i loro interventi per evitare che le proposte, così frastagliate, perdessero di forza e restassero nell’ombra, si sono rivolte al Comune, e in particolare all’assessore ai Servizi sociali Tito Brunelli, per trovare nell’ente l’interlocutore istituzionalmente legittimato a trattare da pari a pari con la Direzione del carcere. La proposta potrebbe essere tanto più interessante in quanto giunta da un volontariato che, oltre che vivacemente presente, va anche molto d’accordo ed è disposto a riunirsi sotto una sola bandiera (fatto più raro di quanto si possa immaginare). È però da due anni che questa risposta si fa attendere.
Il mercato del lavoro
È cambiato rapidamente e le sue attuali caratteristiche lo rendono molto poco "agevole" per chi deve tentare di inserirvisi o reinserirvisi dopo l’esperienza del carcere. Primo, perché il mercato del lavoro ha oggi come parola d’ordine "flessibilità": ma chi deve ottenere la misura alternativa deve avere un rigido contratto di assunzione, ed è quindi escluso da ogni forma di lavoro interinale. Secondo, perché è sempre più difficile l’inserimento lavorativo senza qualifica professionale. E allora ecco l’iniziativa proposta sempre dai volontari di corsi di formazione brevi e mirati da realizzare in carcere. Terzo, perché molti non hanno mai lavorato nemmeno prima di finire "dentro".
Ricomincio da due
È questo il significativo titolo sotto il quale le associazioni di volontariato insieme alla Cgil hanno sottoposto al ministero del Lavoro un progetto (approvato ma fuori graduatoria: cioè non partirà perché non sarà sovvenzionato) per la creazione di corsi di formazione per l’istituzione della figura ormai classica del "tutor", capace di affiancare gli ex detenuti nella non facile ricerca di un lavoro che faccia loro sperimentare la regola della frequenza e dell’obbedienza, il dovere della presenza, l’accettazione della condivisione, ma anche il valore di avere una parte e un ruolo, per cominciare a vivere e scoprire che è cosa ben diversa dal sopravvivere. Sulmona: tenta suicidio nel supercarcere, salvato detenuto
Ansa, 22 agosto 2004
È stato sventato oggi un nuovo tentativo di suicidio nel supercarcere di Sulmona: un detenuto si è tagliato le vene con una lametta. Lunedì scorso nello stesso istituto si era suicidato il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini. L’uomo è stato soccorso tempestivamente, medicato e trasportato nell’ospedale di Sulmona, dal quale è stato dimesso in serata. Per il momento non si conosce l’identità del detenuto. Proprio ieri i sindacati di polizia penitenziaria avevano denunciato l’estrema difficoltà nella quale sono costretti ad operare gli agenti di Sulmona, che in 280 - invece dei 350 previsti in pianta organica dal Ministero di Giustizia - devono controllare oltre 400 detenuti. Parma: "proibita" messa ortodossa, ma è solo un disguido
Gazzetta di Parma, 22 agosto 2004
"Non tollero questo atteggiamento. Lo ritengo un’offesa verso la Chiesa". Un misto di amarezza e rabbia nelle parole di padre Giorgio Arletti, parroco della chiesa ortodossa "Tutti i Santi" di Modena e ministro del culto nel carcere di via Burla. Il problema? Ieri non ha potuto celebrare la messa nell’istituto penitenziario, nonostante qualche giorno prima fosse stato avvertito dal carcere che il direttore aveva concesso l’autorizzazione. "Mi sono presentato all’ingresso, ma gli agenti mi hanno detto che a loro non risultava nulla e che gli ispettori non erano stati avvertiti. Ho chiesto del direttore o del vice, ma mi hanno riferito che uno era irraggiungibile e l’altro assente - spiega padre Arletti -. Se dopo aver ricevuto la telefonata di autorizzazione sono sopraggiunti dei problemi, avrebbero almeno dovuto avvertirmi. In ogni caso, avendo ottenuto il nulla osta ufficiale da parte del ministero della Giustizia per esercitare l’assistenza religiosa anche a Parma, oltre che a Modena e Ferrara, pretendo che non mi sia negato questo diritto". Da due anni padre Arletti entra nel carcere di via Burla come volontario, ma nei mesi scorsi ha ottenuto il via libera ufficiale dal dicastero. I detenuti, tutti stranieri, di religione cristiano ortodossa non sono più di quattro-cinque, "ma ciò non toglie che abbiano il diritto di essere assistiti - aggiunge padre Arletti -. Ed essendo ora a tutti gli effetti ministro del culto, pretendo di celebrare almeno due-tre messe all’anno. Finora, comunque, non è ancora stato possibile". Ma perché questi ostacoli? Conflitti tra il parroco modenese e il responsabile di via Burla? "Niente di tutto questo - spiega il direttore del carcere, Silvio Di Gregorio -. Si è trattato semplicemente di un disguido. Padre Arletti aveva proposto tre date per la messa ed effettivamente io ho dato l’autorizzazione per oggi (ieri, ndr): è probabile che alla porta l’agente non abbia trovato il foglio del via libera, ma bastava che mi avvertisse. Un problema stupido, tutto qui. C’è piena disponibilità, affinché padre Arletti possa fare assistenza religiosa e celebrare". Immigrazione: Buttiglione, "rivedere la legge Bossi - Fini"
Ansa, 22 agosto 2004
Nuovo fronte polemico nel centro-destra sul tema dell’immigrazione. Il ministro delle Politiche comunitarie e neo commissario designato Rocco Buttiglione ha chiesto di ritoccare la legge Bossi-Fini "anche se con prudenza. In una intervista al quotidiano il Messaggero, il presidente dell’Udc ha sottolineato che "tutte le leggi vanno corrette nel senso di un’applicazione più coerente ai principi che le ispirano". Il bilancio della legge è comunque "positivo. Sono aumentate le legalizzazioni e le espulsioni. Abbiamo meno gente indesiderabile per le strade e più lavoratori che hanno diritti e si inseriscono nella nostra società. Ma, ripeto, qualcosa va cambiato". "Il principio valido dovrebbe essere economico: chi ha un contratto di lavoro deve poter entrare. Così non sarà lo Stato a dire quanti immigrati possono entrare in Italia ogni anno, ma gli imprenditori facendo i contratti". Buttiglione propone inoltre una riforma del diritto d’asilo. "Parto da una premessa: non esiste un diritto di immigrare. Ma a volte il tiranno che ti ha distrutto la casa e minaccia la tua vita se rimani nel tuo Paese, può essere il deserto che avanza. E allora che facciamo? Rimandiamo tranquillamente la gente a morire nel deserto? Penso di no". "Ma non ho una risposta confezionata, dico che il problema esiste e suggerisco che un modo per affrontarlo sia combattere la desertificazione dell’Africa, portare l’acqua dove non c’è. Insomma va studiata la possibilità di riconoscere il diritto d’asilo per motivi economici e non più solo per quelli politici".
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