Rassegna stampa 20 agosto

 

"Chi sobilla i detenuti", editoriale di Giorgio Bocca

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

Che parte ha nel governo Berlusconi l’ingegner Castelli ministro della Giustizia? La parte del provocatore che recita con zelo e sprezzo del ridicolo. Il capo del governo aveva bisogno che la Lega partecipasse e che s’accollasse il compito più sgradevole: il ministero della Giustizia, in un regime che la viola quotidianamente. Detto fatto: il senatore Bossi cava dal suo cappello di demagogo furbo e impunito l’ingegner Castelli convolato a nozze con il rito druidico e ammiratore della regina Amalasunta, di quei leghisti cioè per cui le origini celtiche e quelle germaniche sono la stessa cosa.

Castelli a suo modo è disarmante. Invece di preoccuparsi per le castronerie che gli scappano dalla bocca, invece di nascondere il reazionario piccolo borghese dietro il doppio petto ministeriale blu con fazzoletto verde se ne vanta, lo mette in mostra, rincara la dose. Pochi giorni fa in tema di cultura ha detto: "Prevedo che il solito trinariciuto cercherà di strumentalizzare ciò che dico. Io credo che ciò dipenda dal complesso d’inferiorità che purtroppo ancora dilaga nei confronti della cultura di sinistra. Cosa ha prodotto la cultura di sinistra se non le legioni d’esseri umani che incapaci d’affrontare i loro problemi chiedono allo Stato di farlo?... Una cultura filoislamica, antisemita, anticristiana, globalizzatrice e massonica. Mi rivolgo agli intellettuali di destra oggi troppo silenti. Battete un colpo. Non lasciate la Fallaci a combattere da sola".

Ora che è scoppiata l’immancabile rivolta estiva nelle carceri sovraffollate il ministro ci fa sapere cosa pensa delle indagini giudiziarie: "Sono della scuola di pensiero che tre indizi fanno una prova. Non è la prima volta purtroppo che alcune carceri siano visitate da personaggi di varia estrazione politica. Negli stessi penitenziari scoppiano le rivolte. È solo un caso o c’è qualcosa di più?".

Con l’aria del Pierino astuto e virtuoso un guardasigilli della Repubblica italiana dice che per lui gli indizi valgono quanto le prove e che la legge che autorizza dei cittadini italiani a rompere l’isolamento terribile del carcere, a impedire che le carceri siano un mondo fuori da civili controlli e comunicazioni, non va bene viene usata per sobillare i carcerati, per mettere nei guai il ministro di Lecco che però è più furbo dei sobillatori e non ci sta, si fa consegnare i loro elenchi li denuncia alla pubblica opinione. "Sto ai fatti. Nel carcere romano sono state registrate visite sabato quattordici agosto. Passano due giorni ed ecco una protesta che tracima in una rivolta. La mia è una pura registrazione cronologica". Eh no, signor ministro la sua è una insinuazione a fini politici, e l’attribuzione di crimini a personaggi non nominati ma chiaramente riconducibili alla sinistra. Non è la prima volta, e non è una distrazione. "Io sono il ministro della Giustizia e ho il dovere di muovermi al primo segnale di pericolo. Oggi dico all’opposizione: state attenti, strumentalizzare la sofferenza di chi sta in carcere può essere pericoloso. Fate attenzione anche in buona fede ad esercitare il mestiere dell’apprendista stregone". Raccomanda a una sinistra che ha sempre avuto il terrore, la giusta paura d’essere in qualche modo legata ai "dannati della terra", di scherzare con il fuoco: un fuoco che ha tenuto lontano da sé persino negli anni del terrorismo con il no delle Brigate rosse ai Nap dei carcerati e con la vigilanza dei sindacati e del partito contro ogni infiltrazione.

Il Guardasigilli dice che tre indizi sono una prova. Ma non raccoglierà molti indizi se al mondo del carcere opporrà il suo isolamento. "Ha interrogato qualche carcerato?". "Ho seguito una linea di massima prudenza e ho ritenuto che un faccia a faccia avrebbe potuto esasperare ancor più gli animi... In Italia l’azione penale è obbligatoria e alla fine sono i detenuti a scontare con le condanne le prediche dei cattivi maestri. A Regina Coeli era il magistrato di turno che esaminerà comportamento e responsabilità di ogni singolo detenuto". La verità la stabiliamo noi.

Casini: visite diritto dei parlamentari, Castelli provi le accuse

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

Visitare le carceri è "una prerogativa" di tutti i parlamentari. Se il Guardasigilli sa qualcosa, nomi, circostanze, fatti, tali da far ritenere che esista un legame fra le visite ai penitenziari da parte di alcuni esponenti politici e i disordini carcerari, parli chiaramente. Il presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, interviene in difesa delle prerogative dei parlamentari, dopo le affermazioni del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, che intervistato ieri da Repubblica aveva rivolto alle opposizioni un attacco senza precedenti, accusandole di "fomentare le proteste nei penitenziari".

"Il diritto a visitare le carceri", ricorda la terza carica dello Stato, interpellato da Repubblica a margine delle cerimonie di ieri a Trento per Alcide De Gasperi, "è una prerogativa riconosciuta ai parlamentari italiani che, sono certo, la esercitano con equilibrio e umanità".

Il guardasigilli ha accusato esplicitamente alcuni esponenti della sinistra quando dice che "non è la prima volta che in agosto alcune carceri sono visitate da personaggi di varia estrazione politica" e poi "negli stessi penitenziari scoppiano le rivolte". Secondo Castelli, "tre indizi fanno una prova". Casini, ancora una volta, non si sottrae. "Immagino", risponde infatti il presidente della Camera, "che il ministro Castelli sia in possesso di elementi concreti che fornirà alle autorità competenti".

La polemica politica intanto cresce. Ieri è stato rifiutato l’ingresso a Recina Coeli a Luigi Manconi, ex senatore verde, "garante dei diritti delle persone private della libertà personale", con una delegazione del Campidoglio. "Le parole di Castelli sono irresponsabili sia dal punto di vista istituzionale che da quello politico e civile", dice Roberto Giachetti della Margherita. "Le oscure minacce e le liste di proscrizione del ministro commentano solo la sua totale inadeguatezza di fronte a una questione spesso drammatica come quella delle carceri". Di "accuse infamanti" da parte del guardasigilli parla il deputato indipendente del Prc, Giuliano Pisapia. "Castelli", ironizza, "ricorda quello stolto che, quando gli si è indicata la luna con il dito, guardava il dito e non la luna...".

Sugli abusi della custodia preventiva si sofferma invece Paola Balducci, responsabile giustizia dei Verdi. "Non bisogna aspettare episodi come il suicidio di Roccaraso", osserva, "per riaprire le piaghe dei temi irrisolti del pianeta giustizia. Bisogna evitare al massimo abusi di custodia preventiva, ma il processo deve celebrarsi in tempi ragionevoli". Quanto al tema delle carceri, contina l’esponente verde, "ove la privazione della dignità supera spesso quella della libertà", va ripreso con forza, senza arbitrarie sovrapposizioni. "La crudeltà del sistema carcerario è indegna di un paese civile", conclude Paola Balducci, "su questo noi Verdi ci siamo sempre impegnati per una giustizia giusta, anche quando le porte del carcere si chiudono ai riflettori e all’indifferenza di tutti".

Capezzone: "Castelli ha preso un abbaglio..."

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

Denunciano la "prepotenza del ministro Castelli" e rispondono con "l’ennesima iniziativa non violenta all’interno delle carceri: una giornata di digiuno e di raccolta firme per il referendum sulla fecondazione". I Radicali Italiani ribattono alle accuse lanciate dal guardasigilli Roberto Castelli ("la rivolta a Regina Coeli non è casuale e la responsabilità è dei soliti noti in cerca di visibilità ad agosto") e già nelle prossime ore formalizzeranno nei suoi confronti una denuncia per calunnie e diffamazione. "Castelli prende un abbaglio se ci accusa di aver fomentato le rivolte - ha spiegato ieri davanti all’ingresso del carcere romano di Regina Coeli il segretario dei Radicali Italiani Daniele Capezzone -. Dovrebbe esserci grato per l’opera che svolgiamo da trent’anni in difesa dei diritti dei detenuti". Per questo motivo, di fronte ad un ministro che "adotta atteggiamenti prepotenti, la risposta è un sovrappiù di dialogo e di non violenza".

I Radicali hanno già chiesto all’amministrazione penitenziaria di autorizzare per domenica prossima una raccolta di firme per il referendum contro la legge sulla fecondazione assistita all’interno di 25 penitenziari invitando, per lo stesso giorno, i detenuti ad uno sciopero della fame per rivendicare i propri diritti. Al ministro Castelli risponde anche Rita Bernardini, tesoriera dei Radicali: "Definirci "cattivi maestri" è errato. In questi anni, semmai, siamo stati buoni allievi dei detenuti che hanno saputo insegnarci a far fronte a situazioni disperate con risposte non violente".

"L’illegalità - fa notare Sergio D’Elia presidente dell’associazione "Nessuno tocchi Caino" - è quella vissuta da 49 mila detenuti rinchiusi in galere sovraffollate vittime di un sistema carcerario inefficiente".

Violante: "Ora situazione delle carceri più drammatica"

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

"La responsabilità del governo Berlusconi è di avere reso più drammatica la situazione della giustizia e delle carceri". Un’accusa che Luciano Violante, presidente dei deputati Ds, lancia con cifre alla mano, elencando i "tagli" agli stanziamenti per i penitenziari, scorrendo il dossier sui suicidi in cella, sulle risorse per la sanità: "Ci sono detenuti sieropositivi che non hanno i farmaci per curarsi; e lei sa, che mancano anche le aspirine? Ma il Guardasigilli, Roberto Castelli preferisce seguire la linea Tremonti: accusare il governo di centrosinistra, respingere ogni critica e denunciare complotti. A Tremonti questo atteggiamento non ha portato fortuna e non credo che gioverà al senatore Castelli".

 

Onorevole Violante, il ministro Castelli denuncia che a fomentare la rivolta nelle carceri, è l’opposizione, o almeno quelli dell’opposizione che hanno l’abitudine di visitare i carcerati. Lei è in questo elenco?

"A visitare le carceri ci vado spesso, e ci andrò, ma lasciamo stare..."

 

Dichiarazioni gravi quelle del Guardasigilli?

"Sono affermazioni prive di senso dello Stato. Anche se abbiamo un premier con la bandana, inviterei il ministro a comportarsi con dignità. Stiamo parlando della vita di esseri umani che sono detenuti alla mercé dello Stato che egli oggi rappresenta. La situazione non è più grave solo per l’abnegazione di moltissimi operatori penitenziari e per il senso di responsabilità di moltissimi detenuti".

 

Ma il pianeta carceri è al collasso: voi cosa avete fatto?

"Nel novembre 2002 i Ds hanno presentato in aula a Montecitorio una serie di proposte sui problemi carcerari segnalando il sovraffollamento, le condizioni di salute, l’autolesionismo, il lavoro. La maggioranza approvò soltanto tre delle nostre proposte e alcuni documenti della Casa delle libertà molto più soft. Da allora mi sembra che la situazione sia peggiorata: nove suicidi nel solo mese di giugno. Alla ripresa chiederemo di dirci cosa ha fatto dal novembre 2002 a oggi".

 

La questione posta da Castelli è stata però quella della rivolta e delle devastazioni a Regina Coeli?

"In primo luogo bisogna capire cosa è davvero successo nel carcere romano, perché ci sono versioni diverse, alcune escludono le devastazioni. Mi stupisce poi che il ministro non abbia incontrato una delegazione di detenuti. Forse sarebbe servito a stemperare il clima, a mostrare una reale attenzione al disagio dei detenuti. D’Altra parte molti sindacati del personale penitenziario hanno denunciato negli ultimi mesi le condizioni invivibili nelle carceri. La situazione penitenziaria è grave da molto tempo".

 

Appunto. Il ministro leghista accusa i governi di centrosinistra del sovraffollamento carcerario.

"Alla fine del 2000 c’erano 53.165 detenuti; il sito del ministero porta come ultimo dato quello del 30 giugno 2004 con 56.532 detenuti. Rispetto agli ultimi stanziamenti del centrosinistra, la Cdl ha tagliato del 30% le risorse per le carceri e del 22% circa quelle per la sanità penitenziaria".

 

Emergenza - suicidi in cella: la morte del sindaco di Roccaraso l’ha posto all’attenzione insieme al tema della custodia cautelare.

"C’era bisogno che si suicidasse un sindaco perché venisse fuori la tragedia delle decine di suicidi in cella. Non credo comunque che il tema sia la custodia cautelare. Resta la questione di avere carceri civili".

 

L’indultino: è stata una misura che non ha risolto affatto il problema del sovraffollamento?

"Avevamo detto che non sarebbe servito a nulla, ma non c’era una maggioranza sufficiente per l’indulto".

 

Lei, onorevole Violante, ha proposto nei giorni scorsi alla Cdl il dialogo proprio per fronteggiare la situazione carceraria, ma Castelli ha risposto che non ha bisogno di "consulenti inattendibili": confronto già tramontato?

"Nonostante le rozzezze del ministro, bisogna andare avanti e mettere da parte le contrapposizioni tra presunti giustizialisti e presunti garantisti, per affrontare il merito dei problemi senza pregiudizi ideologici. Propongo che il comitato carceri presenti al più presto al Parlamento un rapporto e noi si lavori su quella base. Certo, se questo governo vuole chiudere gli Uffizi. Temo che i costi dei buchi spaventosi nel bilancio dello Stato, li pagheranno soprattutto i più deboli e il carcere rappresenta purtroppo l’ultima ruota del carro".

 

Alla riapertura del Parlamento si potrà riparlare di indulto o amnistia?

"Non hanno mai risolto questi problemi. Ci vogliono interventi strutturali, anche pensando a sanzioni alternative al carcere, come abbiamo proposto da tempo alla Camera".

Nei gironi di San Vittore "Siamo solo dei fascicoli"

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

Un’enorme gru sovrasta i tetti di tegole di San Vittore. Il quinto raggio, che negli anni del dopoguerra era quasi una seconda casa dei grandi gangster e dei picciotti di Cosa Nostra (la ndrangheta calabrese preferiva il quarto, dove aveva addirittura una bisca interna), è stato smantellato e viene ristrutturato. Diventerà simile al terzo, che è stato a lungo chiuso e ora è popolato e mostra - cosa impensabile sino a qualche anno fa - celle a due o tre posti, con doccia, bidè e tv color. È da questo raggio, e dalla cella 222, che è partita l’idea fissa del ministro della Giustizia, il leghista Roberto Castelli: "Di che vi lamentate? Qui si sta bene, anzi state meglio qui che in un albergo", ci ha detto. E allora io - racconta un detenuto - gli ho suggerito di andare su al sesto, dove sono in otto, dieci per cella, e dormono su brande a quattro piani, più alte degli alberi di piazza Filangeri. Gli altri mi toccavano, per dire di starmene zitto, e il ministro ha risposto che non aveva tempo di andare sin là... Qui ci hanno messo Tanzi, ci mettono le persone importanti, gente che non saprà mai cos’è il vero carcere".

Per ora San Vittore è un carcere in pace. Per il ministro un po’ di merito sta nella sua lotta al sovraffollamento. Ma se oggi ci sono 1260 detenuti (i posti ufficiali sono 800, ma in passato si sono superate anche le 2000 presenze), dipende essenzialmente dalla chiusura del quinto raggio. E da una doppia miscela che l’ex direttore del carcere, Luigi Pagano, insieme alla polizia penitenziaria, aveva realizzato, anche grazie all’antica filosofia milanese del "coeur in man". A spiegarla sono gli stessi protagonisti. Innanzitutto, è stata allargata al massimo la possibilità di lavoro fuori dalle mura del carcere e i cosiddetti "articolo 21", uomini e donne che escono per alcune ore e tornano entro certe ore, percorrendo strade prestabilite, sembrano soddisfatti: "Secondo il magistrato di sorveglianza io - dice uno di questi detenuti in libera uscita - sarei un pericolo tale da indurlo a negarmi un permesso di un giorno per assistere all’operazione di cuore di mia figlia. Aveva quindici giorni quando sono entrato in carcere, ora ha quattordici anni ed è cardiopatica, ha tre by-pass. Ma io esco tutti i giorni, torno sempre dentro e mi piacerebbe incontrare questo magistrato e farmi guardare in faccia. Perché ha deciso tutto senza mai parlare con me...".

Un altro detenuto, anche lui di ritorno dal lavoro, si ferma per una sigaretta e aggiunge: "L’anno scorso c’è stata la polemica sull’indultino... Quella legge è stata una maschera, non si esce per legge, ma si lascia ampia discrezione ai magistrati e alla polizia. Per esempio, dicono che uscendo tornerei nel quartiere dove sono stato delinquente e non va bene. Ma ragazzi, un’altra casa chi me la dà? Per farla breve, in tutt’Italia, sugli allora 52mila detenuti, ne sono usciti poco più di mille. Nel frattempo leggo che siamo diventati più di 55mila".

Accanto al lavoro, la miscela milanese prevede quello che un vecchio agente chiama "il melange". Suona quasi bene: "Con l’esperienza - spiega il poliziotto penitenziario - abbiamo capito che è meglio non organizzare i raggi per nazionalità. E così noi abbiamo le celle che sono divise per compaesani e per amici, tunisini con tunisini, italiani con italiani, albanesi con albanesi, ma queste celle sono una dietro l’altra, in ogni raggio. In questo modo, se qualcuno litiga, lo possiamo trasferire altrove senza problemi. E soprattutto non si creano false solidarietà nazionali, tutta benzina per le proteste". Alla ricetta made in San Vittore, si aggiunge un ingrediente milanese: il volontariato. Aziende, cooperative, professionisti, attori, registi, giornalisti, c’è un mondo di estranei che entra ed esce anche in questi giorni: occhi che possono vedere, mani che possono aiutare, cervelli che possono aggiungere altre prospettive. "Il carcere è come un quartiere della città, dentro c’è di tutto e quest’agosto - spiega un altro detenuto, appena uscito - non manca nemmeno l’acqua. Non ci sono, come due anni fa, le persone addirittura nei montacarichi perché non c’era altro posto. E poi, ci hanno fatto un favore". Che favore? "L’aria è più lunga. L’anno scorso era permesso stare in cortile sino alle 15.15, adesso sino alle 18, 18.10. Sai, c’è gente che torna dal lavoro esterno e viene qua a giocare a pallone".

Più si parla, più si capisce che la vita dietro le sbarre migliora o peggiora con quelle che agli esterni sembrano piccole cose: "Esco con due pacchetti di sigarette quasi vuoti, torno con due pieni e posso darli ai compagni, perché dentro non sai quanto si fuma", spiega un altro "articolo 21".

A San Vittore, che anni fa sembrava sull’orlo del collasso, il ministro Castelli non è molto popolare. Ma forse apprezzerà il fatto che meno popolari di lui sono i magistrati di sorveglianza, che a Milano vengono ritenuti particolarmente duri. La lamentela è continua e diffusa: "Chiedi il colloquio e non te lo danno mai"; "Non sei una persona, ma un fascicolo"; "Lui è fortunato perché va a trovare il suo magistrato quando ha il permesso, e lui lo fa entrare". "Vederne uno è come fare 13 al Totocalcio", conclude uno giovane, rimasto ancorato alle speranze della vecchia schedina.

Vita in carcere: "Ecco perché qui dentro è un inferno"

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

La detenzione, dicono molti, può trasformarti in una bestia e in questo non c’è differenza tra i condannati e guardie. Un gruppo di ex detenuti racconta che cosa succede davvero nei penitenziari. Alcuni di loro hanno deciso di tornare, non per scontare una pena ma per aiutare gli altri.

Il caso di Nicoletta, che attende di sapere da due anni se è rimasta reclusa più di quanto fosse stato stabilito dal giudice.

Voci dal carcere, raccolte grazie alla collaborazione dell’associazione Antigone, di Silvio ex detenuto per banda armata, che adesso lavora per aiutare chi è rimasto dentro; di Claudio che ha dormito in cella per 23 anni e finita la pena è tornato a Rebibbia come cuoco perché ha messo su una cooperativa di "ex"; di Pino Roveredo, anche lui ex detenuto, ora scrittore impegnato in prima linea a Trieste per il recupero di chi esce; di Nicoletta che da due anni aspetta di sapere dall’amministrazione penitenziaria perché ha scontato "4 mesi in più": "Ho chiesto se avevano commutato la multa di 16 mila euro ma ancora non mi hanno risposto". I detenuti chiedono "lavoro". Lamentano "violenza". "Il carcere - dicono - può trasformarti in bestia e in questo non c’è differenza per detenuti e guardie".

 

La custodia cautelare: "Io, per 5 giorni in isolamento con spazzolino da denti e slip"

 

"Per questa volta mi chiamerò Margot, ho 43 anni e sono finita in carcere, al femminile di Civitavecchia, per un chilo di hashish. Sono venuti ad arrestarmi alle otto di sera, erano più di venti. Appena sono arrivata in carcere con la scusa di perquisirmi mi hanno messo le mani dappertutto, erano in cinque, quattro donne e un uomo. È stato terribile, peggio di una visita ginecologica e non lo era. Poi mi hanno sbattuta in isolamento, sono rimasta soltanto con le mutande e uno spazzolino da denti. Per cinque giorni. Dicevano che con la maglietta e i pantaloni potevo strozzarmi. Non ci pensavo neppure, la verità è che ormai ero diventata solo un numero. Morivo di freddo, mi sentivo uno scarafaggio. Uscivo di testa perché non potevo fumare e mi è venuta la febbre. Dopo tre giorni le sigarette me le ha fatte avere un’altra detenuta, ha battuto sul tetto della mia cella col bastone di una scopa e, non so neppure come, le sigarette sono arrivate".

 

Il sovraffollamento: in otto dentro la stessa cella stavo attento anche a respirare"

 

"Sapete cos’è dormire con sei o con otto persone nella stessa cella, gente che non conosci, che non ti sei scelto? Io lo so, è un incubo da 8 metri per 4, ed è meglio stare con i criminali, i veri boss sono educati, conoscono le regole. Sono i delinquenti che, come si dice nel giro, sono "ignoranti". Quando fa caldo l’unico modo per sopravvivere è muoversi poco, respirare piano. Sapete cos’è mangiare mentre un altro va in bagno, al di là della tendina? Succede a Regina Coeli, a Rebibbia, ovunque. Dopo cinque mesi mi hanno trasferito nel nuovo braccio di Rebibbia, cella singola 2 metri per 4. Un buco, branda, cesso e lavandino. Ma era casa mia. Quando sono uscito per l’ora d’aria ho visto gli alberi, quelli veri. Ho toccato l’erba, i fiori... Voi non potete capire cos’è la detenzione. Adesso in cella siamo in due, facciamo i turni per non dormire faccia a faccia, uno si volta verso il muro e l’altro respira".

 

I pasti: "Ho digiunato una settimana poi è arrivata la mozzarella"

 

"Non riuscivo a mangiare il loro cibo, fa troppo schifo. I miei genitori mi davano un po’ di soldi e così potevo fare la spesa al magazzino del carcere, lì costa tutto il triplo solo le sigarette le paghi come fuori. Mi chiamo Massimo, sono finito dentro a 21 anni per rapina, oggi ne ho 24 e ho finito di scontare la pena nell’aprile scorso.

Una volta al carcere di La Spezia mi hanno messo in cella con quattro marocchini e uno slavo, il fatto è che gli extracomunitari non hanno soldi, non hanno famiglia, niente. Se avessi fatto la spesa mi avrebbero levato tutto, l’alternativa era dividere e, siccome mio padre è operaio e mia madre è casalinga, avevo pochi soldi anch’io. Così non ho avuto scelta: ho conosciuto la fame, quella animale. È durata una settimana. In quei giorni ho mangiato soltanto qualche mozzarella che veniva distribuita chiusa in confezione. Poi per fortuna mi hanno trasferito".

 

L’assistenza sanitaria: "Pomata e antidolorifico vanno bene per tutti i mali"

 

"Uno strappo muscolare? "Ecoval 70", nota pomata dermatologica. Ti scotti un po’ sul braccio, "Ecoval 70" che serve per le punture di insetti o per gli eritemi. L’hanno data pure a un detenuto che soffriva di ragadi. Ti sta prendendo un colpo al cuore? "Sinflex", del resto è un antidolorifico, va bene per il mal di denti, se ti viene una colica e in qualunque caso chiedi dell’infermeria perché soffri. Un giorno o l’altro ammazzeranno qualcuno con un farmaco sbagliato. In carcere non ci sono medicine, nemmeno le più comuni. Puoi morire se ti ammali. Secondo me, è l’assistenza sanitaria il problema più urgente, non è finanziata e i medici sono a mani nude. Mi chiamo Cesare e sto scontando una condanna per omicidio, da due anni sono in regime di semilibertà e lavoro in una cooperativa, la sera torno a dormire a Rebibbia. Ho ancora molti anni di carcere davanti a me, la vecchiaia ha bisogno di cure".

Le morti in carcere e l’esempio di San Vittore

di Sergio Segio (Gruppo Abele)

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

Caro direttore, la qualità della vita in carcere - e scusate l’ossimoro - non dipende tanto e solo dalle strutture fisiche in cui sono rinchiusi uomini e donne (e, nonostante un’apposita legge del marzo 2001, anche bambini), quanto dal tipo di gestione. Questa è una piccola verità che ogni detenuto conosce sperimentandola quotidianamente, ma che sembra difficile da accettare da parte di quanti pensano che le drammatiche condizioni delle carceri si possano affrontare investendo nell’edilizia penitenziaria. Un’illusione, non sempre in buona fede, che ha portato negli ultimi tre decenni a spendere in questo modo ben 6000 miliardi di lire. Diversamente, come si vede anche dalla cronache di questi giorni, la situazione non ha fatto che peggiorare.

Parallelamente, negli ultimi anni hanno subito tagli drastici le risorse per il funzionamento e la gestione degli istituti, a partire da quelle per la sanità penitenziaria, come denunciato dalla Cgil e riferito ieri da "Repubblica". Nelle carceri, anche quelle milanesi, da tempo mancano o sono difficilmente reperibili i farmaci salvavita, quelli retrovirali per l’Aids, gli antidolorifici ma spesso pure le semplici aspirine.

A San Vittore, all’inizio di agosto, è deceduto per malattia il cinese Shi Ping, aveva solo 34 anni. È una delle morti trascurate quest’estate, che si unisce a quelle dei suicidi. Eclatanti, come quelle del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini che si è soffocato nel carcere di Sulmona. O invisibili, come quello di Giovanni D’Andria, 38 anni, che nelle stesse ore si è impiccato nel penitenziario di Vercelli. Era lì da pochi giorni, in attesa di essere trasferito a Opera. Ogni caso di suicidio è una storia a sé. È dando, non togliendo, che si previene la disperazione di chi sta in cella. Dando sostegno psicologico, garantendo dignità e vivibilità.

La storia di San Vittore da parecchi anni a questa parte è stata la dimostrazione concreta di questo assunto. Un carcere difficile, vetusto, costantemente affollato, specialmente in alcuni bracci. Anche qui non sono mancati suicidi e morti evitabili. Eppure, una gestione illuminata da parte della direzione e dei responsabili degli agenti e, ancora di più, una forte presenza del volontariato, di attività culturali e formative, lavorative e ricreative, il rapporto costante di reciproca attenzione con il territorio, la società esterna e le istituzioni locali hanno tradizionalmente reso questo carcere preferibile e più vivibile rispetto a istituti più nuovi e spaziosi.

Il ministro della Giustizia, con le accuse lanciate l’altro ieri attorno alle proteste di Regina Coeli, sembrerebbe voler dissuadere i pochi parlamentari che lo svolgono dall’esercitare il diritto-dovere di visitare e ispezionare le carceri. All’opposto, garantire condizioni dignitose di vita ai detenuti (ma anche assieme di lavoro agli operatori e agli agenti) è tanto più possibile se ti toglie il carcere dal cono d’ombra e d’indifferenza in cui risulta quasi sempre consegnato. È proprio quanto si cerca di fare da tempo a San Vittore e a Bollate che sono esempi preziosi da continuare e valorizzare.

Sofri: perc in cella non si uccidono tutti...

 

Repubblica, 20 agosto 2004

 

"Perché un uomo messo in carcere si ammazza? Ci sono delle formalità. Destituzione, spoliazione, degradazione". Inizia così un editoriale di Adriano Sofri, detenuto a Pisa, condannato a 22 anni con l’accusa di essere il mandante morale dell’omicidio del commissario Calabresi, pubblicato da "Panorama". Sofri racconta le paure, le angosce quotidiane, i rituali di chi è in carcere e cerca di spiegare perché il sindaco di Roccaraso, Camillo Valentini, si sia ucciso: "Passate un paio di cancelli e non siete più nulla". Per questo la vera domanda, conclude Sofri, "non è perché vi siate ammazzati. La domanda è perché non avreste dovuto farlo".

Carceri: al ministero studiano ipotesi di privatizzazione

 

Asca, 20 agosto 2004

 

Privatizzazione delle carceri? "Se ne è parlato, sia pure in modo del tutto informale, con il ministro Castelli", dice all’Indipendente il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Valentino in un’intervista che sarà pubblicata domani, "partendo proprio dal dato dei risultati positivi raggiunto dagli Stati Uniti, ma anche dall’Inghilterra". La proposta della privatizzazioni delle carceri è stata lanciata dal quotidiano di Giordano Bruno Guerri, e dal ministero di via Arenula fanno sapere che "l’ipotesi è seriamente oggetto di attenzione. Non c’è alcuna preclusione di ordine culturale". Un altro elemento che spinge in favore della scelta di privatizzare le carceri (una parte del sistema detentivo italiano) è quella dello sgravio fiscale: "Oggi tutto è a carico del contribuente", dice Valentino, "ma con un’eventuale privatizzazione ci sarebbe un beneficio fiscale per le tasche degli italiani".

Ronconi (Udc): Castelli sbaglia a negare l’evidenza

 

Asca, 20 agosto 2004

 

"Il problema del sovraffollamento delle carceri è reale ed è una questione antica. Dunque se le responsabilità non sono del Ministro Castelli, lo stesso sbaglia a negare l’esistenza del problema ed ancora peggio fa a rispondere in modo assai censurabile a chi lo critica". Lo afferma il presidente Commissione Agricoltura e Attività agro alimentari del Senato, Maurizio Ronconi dell’Udc.

"Il sovraffollamento c’è, deve essere risolto, e il ministro ha il dovere di dire quali sono i suoi progetti in merito - rimarca Ronconi - visto anche che Castelli è stato uno dei più fieri oppositori dell’indulto, e non invece negare l’evidenza o peggio colpevolizzare chi denuncia una situazione difficile".

Cento: trasferite a privati già 11 strutture storiche

 

Asca, 20 agosto 2004

 

"La privatizzazione delle carceri più che una ipotesi è una realtà". Il Verde Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, replica alla affermazioni del sottosegretario Giuseppe Valentino, sostenendo che proprio il ministro Castelli, rispondendo ad una sua interrogazione sui rischi di una privatizzazione mascherata di alcuni penitenziari del Paese, ha ammesso che questo è il programma del governo. "Castelli - ricorda Cento - ha spiegato nella sua dettagliata risposta che alla società Dike Aedifica, coinvolta nella realizzazione di programmi di edilizia carceraria, sono stati già trasferiti undici strutture carcerarie storiche, che faranno poi da leva di finanziamento di infrastrutture moderne e, ovviamente, privatizzate".

"Al consiglio di amministrazione della Dike Aedifica - spiega Cento - verrà affiancato un Comitato di coordinamento e programmazione, di cui fanno parte i capi del dipartimento della amministrazione penitenziaria, del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, e del dipartimento della giustizia minorile del Ministero della Giustizia". "I rischi di una mega dismissione dei penitenziari dì San Vittore e Regina Coeli sono enormi - denuncia Cento - insieme alla conseguente speculazione ai danni di un patrimonio demaniale di pregio artistico e storico".

Giachetti (Margherita): le parole Castelli sono irresponsabili

 

Agi, 20 agosto 2004

 

"Le parole di Castelli sono irresponsabili sia dal punto di vista istituzionale che da quello politico e civile". Lo afferma Roberto Giachetti della Margherita. "Le oscure minacce e le liste di proscrizione del ministro commentano solo la sua totale inadeguatezza di fronte a una questione spesso drammatica come quella delle carceri. Purtroppo il ministro non è nuovo a queste speculazioni estive. Era già successo in passato con evidenti scopi propagandistici e senza alcuna capacità di ascolto né tanto meno di intervento sul disagio carcerario.

Di fronte alle cifre di questo malessere, il ministro avrebbe fatto meglio a lavorare e tacere, evitando l’ennesima dimostrazione di essere la persona sbagliata al ministero della Giustizia".

Castelli: mai discusso di privatizzazioni con Valentino

 

Apcom, 20 agosto 2004

 

In merito alla notizia relativa alla privatizzazione delle carceri, il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha dichiarato di "non aver mai discusso dell’argomento con il sottosegretario Valentino, il quale, contattato telefonicamente, ha smentito di aver rilasciato le affermazioni attribuitegli".

Caso carceri, non basta l’indultino, di Carlo Nordio

 

Il Messaggero, 20 agosto 2004

 

Le due manifestazioni più gravi della disperazione carceraria, le rivolte di molti e il suicidio di alcuni, non sono fenomeni esclusivamente italiani. Sono diffusi in tutto il mondo civile, e traggono origini dalla miscela esplosiva, solo apparentemente contraddittoria, della promiscuità e della solitudine. Tutte le galere soffrono le stesse carenze di spazi, di personale e di igiene, e benché siano complessivamente assai più umane di quelle di un tempo, sono meno tollerate dall’uomo moderno, meno assuefatto dei suoi antenati alla sofferenza, e più consapevole dei suoi diritti naturali. La stessa prigione è una forma di pena da rivedere profondamente ma, finché non si sarà trovato qualcosa di meglio, dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo. Quello che abbiamo è molto, rispetto a qualche anno fa: i locali sono mediamente più moderni e puliti, il personale più preparato, i regolamenti meno severi. Ma è poco rispetto alle due emergenze, ormai note a tutti: il numero dei detenuti e la carcerazione preventiva.

Il sovraffollamento dipende dalla presenza massiccia di stranieri, la più parte immigrati clandestini, colpevoli di delitti legati alla loro stessa situazione precaria: essi arrivano in Italia senza lavoro e senza denaro, gravati di debiti verso le organizzazioni criminali che li hanno traghettati a caro prezzo e che sono, come tutti sanno, creditori esigenti e spietati. In queste condizioni il clandestino è quasi obbligato a rubare, a prostituirsi o spacciare stupefacenti. Per fortuna ne prendiamo pochi: se li prendessimo tutti, il collasso sarebbe totale. Ma quelli che prendiamo bastano e avanzano per compromettere il già precario sistema carcerario, dove occupano ormai oltre la metà dei posti disponibili. Non esiste un modo per risolvere questo problema. O meglio esiste, ma è crudele: eliminare o ridurre il più possibile l’immigrazione clandestina. Questo non si può fare inasprendo le pene o introducendone di nuove, perché il problema, come è intuitivo, sarebbe aggravato. Si può fare con una forte attività politica, trattando con gli stati interessati. Il recente accordo con la Libia è la strada giusta. Ma è una strada lunga e irta di ostacoli. Vedremo.

Sulla carcerazione preventiva si è già scritto tutto, ma si continua a discutere come se non si sapesse nulla. Riassumiamo. Mandare in galera una persona durante le indagini sarebbe, a rigore, incostituzionale, perché la Costituzione proclama la presunzione di innocenza prima della condanna definitiva. Ma sarebbe anche intollerabile, perché vi sono situazioni in cui l’allarme sociale obbliga il giudice a questa scelta dolorosa. Dirò di più: lo obbliga anche contro le disposizioni dello stesso codice che sono, un po' ipocritamente, restrittive. Se un marito infatti durante un raptus di gelosia spara alla moglie e la uccide, poi va a costituirsi e confessa, a rigore non dovrebbe nemmeno essere arrestato: non può infatti ripetere il crimine, perché aveva una moglie sola, né inquinare le prove, perché è confesso, né scappare, perché si è spontaneamente presentato in questura. Ma nessun magistrato lo libererebbe mai, perché la società lo prenderebbe per matto. E questo esempio dovrebbe bastare.

Ma se la carcerazione preventiva è giustificata, in teoria e in pratica, da queste considerazioni abbastanza banali, non lo è più quando, in concreto, essa è adottata senza quella assoluta necessità che ne legittima l’applicazione; peggio ancora, quando mira ad ottenere confessioni. Per rimediare a questo rischio il legislatore ha già fatto molto: oggi la porta della galera si apre con una doppia chiave, quella del pm e quella del giudice. Ma evidentemente questo non basta. Le tragedie anche recenti, come il suicidio del sindaco di Roccaraso, non potranno mai essere eliminate del tutto, ma certo potrebbero essere ridotte demandando il potere della custodia cautelare non ad un giudice singolo, come avviene oggi, ma ad una sezione collegiale costituita ad hoc presso ogni Corte d’Appello. Una riforma a costo zero che amplierebbe le garanzie senza compromettere la sicurezza. Ma anche tutto questo sarà inutile, come sarebbero inutili indulti o indultini, se, come dicevamo sopra, l’intero impianto delle sanzioni e la stessa struttura della pena detentiva non saranno profondamente rivisti e trasformati. La nostra commissione per la riforma del Codice penale ha già presentato un progetto che prevede una limitazione del carcere ai pochi casi dove questa dolorosa misura è davvero indispensabile. Non sappiamo se avrà successo o meno. Ma le reiterate invocazioni alle manette anche per comportamenti non propriamente criminali, come l’impiego dei cavalli al Palio di Siena, non ci sembrano di buon auspicio.

Veltroni: sorpresa per "no" a visita Regina Coeli di Nieri

 

Asca, 20 agosto 2004

 

"Il diniego opposto alla visita a Regina Coeli dell’Assessore Nieri e del Garante per i diritti e le opportunità delle persone private della libertà Manconi mi sorprende". Lo sottolinea in una nota il sindaco di Roma, Walter Veltroni. "Debbo ricordare al ministro della Giustizia gli ottimi rapporti che l’amministrazione capitolina ha intrattenuto con le strutture dell’amministrazione penitenziaria e con i direttori degli istituti romani, testimoniata anche dallo svolgimento di una seduta del Consiglio comunale a Rebibbia, nonché lo spirito costruttivo con cui abbiamo dato vita alla figura del Garante, un’esperienza che è stata ripresa in diverse città e che è attualmente in via di realizzazione in altre ancora. Voglio sperare - aggiunge Veltroni - che il no opposto all’assessore e al Garante, il quale aveva avuto nel carcere un importante incontro operativo con i dirigenti e i rappresentanti dei reclusi di Regina Coeli non più di due mesi fa, sia soltanto uno spiacevole episodio che verrà presto superato".

Radicali: "risposta non violenta alla prepotenza di Castelli"

 

Adnkronos, 20 agosto 2004

 

Una risposta non violenta alla "prepotenza" del ministro della Giustizia, Roberto Castelli. A darla sono i Radicali, che per domenica prossima propongono uno sciopero della fame dei detenuti e una loro visita nelle carceri per raccogliere le firme per i referendum sulla fecondazione. L’iniziativa è stata lanciata nel corso di una conferenza stampa svolta di fronte a Regina Coeli da Daniele Capezzone, Rita Bernardini, Michele De Lucia e il segretario dell’associazione Nessuno tocchi Caino Sergio d’Elia. Daniele Capezzone ha poi confermato che nei prossimi giorni verrà formalizzata la denuncia nei confronti del Guardasigilli per calunnia e diffamazione, aggiungendo che se "il ministro si riferiva alla nostra visita fatta sabato scorso ha preso una topica; se si riferiva al dossier presentato il 13 la topica è maggiore. Forse confonde le nostre visite con le ronde dei ranger padani con le camice verdi". Intanto Luigi Manconi, garante dei diritti delle persone prive di libertà del Comune di Roma, ha detto di aver fatto al direttore del carcere di Regina Coeli "una domanda precisa sui danni e sulla entità di quella che è stata chiamata rivolta, devastazione.

"Mi è stato risposto con parole inequivocabili -ha dichiarato Manconi - che non si può parlare in alcun modo né di devastazione né, tanto meno, di rivolta. È stata una protesta che ha conosciuto qualche piccolo episodio più forte della media". Manconi ha rilasciato la dichiarazione davanti ai cancelli di Regina Coeli, dove era prevista, da circa due giorni, una visita di alcuni esponenti dell’amministrazione capitolina. Insieme all’assessore alle Politiche per le Periferie e per il Lavoro, Luigi Nieri, ha atteso per oltre due ore l’autorizzazione per visitare i detenuti, ma il via libera da parte dell’amministrazione della casa circondariale non è mai arrivato.

Castelli: "Sovraffollamento colpa della sinistra"

 

Corriere della Sera, 20 agosto 2004

 

Carceri piene, i radicali contro il ministro. Domenica sciopero della fame e raccolta firme referendum. Direzione di Regina Coeli: "Nessuna devastazione o rivolta".

Il ministro della Giustizia Roberto Castelli è "prepotente", daremo domenica una risposta "non violenta". È la posizione dei radicali dopo che il Guardasigilli aveva collegato le visite di alcuni parlamentari nei giorni scorsi nelle carceri alla presunta rivolta scoppiata nella prigione romana di Regina Coeli. Per domenica prossima i radicali propongono uno sciopero della fame dei detenuti e una loro visita nelle carceri per raccogliere le firme per i referendum contro la legge sulla fecondazione assistita. "Quando un ministro si comporta in un modo così prepotente - spiega il segretario radicale Daniele Capezzone - la risposta che si deve dare è un sovrappiù di non violenza e di dialogo". Capezzone ha poi confermato che nei prossimi giorni sarà formalizzata la denuncia nei confronti di Castelli per calunnia e diffamazione.

Per Castelli il sovraffollamento della carceri italiane è "colpa del passato governo di centro sinistra". Secondo il Guardasigilli il suo "pensiero sugli incidenti a Regina Coeli è stato strumentalizzato". "I politici che nei giorni scorsi hanno visitato il carcere erano forse in buonafede, però in agosto aumentano sempre le visite di politici nei penitenziari, e in agosto aumenta sempre la tensione. La sinistra ha aumentato enormemente il numero dei detenuti, ma ora sotto questo governo è stazionario grazie non a provvedimenti che colpiscono i cittadini come l’indulto, ma grazie alla legge Bossi-Fini che consente il rientro in patria degli extracomunitari con meno di due anni da scontare. Abbiamo già espatriato 2.200 detenuti e stanziato oltre 2 mila miliardi di lire per costruire 23 carceri".

 

Ds: "scusa puerile"

 

Stefano Passigli (Ds): "Attribuire la situazione delle nostre carceri ai governi precedenti è una scusa puerile e dimostra ancora una volta che Castelli è inadeguato a ricoprire una carica per la quale non ha né la competenza né l’abito mentale ed etico". "È incivile l’accusa del ministro Castelli ai parlamentari che visitano le carceri di fomentare la rivolta" ha dichiarato in un comunicato il presidente del Codacons Carlo Rienzi.

 

Regina Coeli: né devastazione né rivolta

 

"Non si può parlare né di devastazione né di rivolta. È stata una protesta con solo qualche episodio sopra la media". Lo dice Luigi Manconi, garante del Comune di Roma per i diritti delle persone private della libertà, che riferisce le parole dalla direzione del carcere romano di Regina Coeli, la quale ha smentito anche la notizia del trasferimento di detenuti in altri penitenziari. "Danni ce ne sono stati, ma non gravi". Manconi, l’assessore di Roma Luigi Nieri e Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, non hanno avuto l’autorizzazione a visitare la prigione. I 950 detenuti di Regina Coeli, tanti quanti prima dell’indultino, a fronte di una capienza tollerabile di circa 800 unità, hanno consegnato al direttore del carcere Mauro Mariani dieci richieste.

 

Un morto ogni due giorni

 

Tra il 2001 e il 2003 hanno perso la vita nelle carceri italiane 500 detenuti, la metà sotto i 40 anni, uno ogni due giorni. In Italia le carceri sono 205, e vi sono detenute 56.578 persone, 14.360 in più (cioè il 34%) rispetto al limite previsto dal regolamento. I dati sono forniti dalle associazioni "A buon diritto" e "Antigone".

 

Il cappellano

 

Per monsignor Giorgio Caniato, ispettore generale dei cappellani nelle carceri, "non basta intervenire sul sovraffollamento, la promiscuità, l’assistenza sanitaria, la mancanza di servizi. Il nodo cruciale è il modo di amministrare la giustizia: se cioè lo Stato deve reagire con la punizione, o piuttosto con l’obbligo di ricostruire e di obbligare a rimediare al male commesso. Sulla base della mia esperienza posso dire", dice mons. Caniato, che in parte smentisce le accuse di Castelli ai parlamentari che visitano le carceri di fomentare le rivolte, "che le proteste avvengono spesso a ridosso delle festività e delle ferie estive".

Circolare Dap: 8 mq per un detenuto, 5 per il secondo

 

Corriere della Sera, 20 agosto 2004

 

Modificati gli standard minimi delle celle: per ogni persona superficie ridotta sulla carta di un metro quadrato. Gli standard internazionali stabiliscono che ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione 9 metri quadrati per vivere dignitosamente in carcere. E nel caso si debba dividere la cella, eventualità peraltro molto diffusa, il coefficiente si abbassa: 9 metri quadrati il primo recluso, 6 il secondo, 6 il terzo e così via.

Da un anno a questa parte, però, una circolare dell’amministrazione penitenziaria ha limato i parametri con lo scopo di guadagnare qualche punto nella classifica del sovraffollamento delle carceri che vede l’Italia al quarto posto in Europa dopo Grecia, Ungheria e Bielorussia. I metri quadrati "legali" individuali, dunque, ora sono diventati 8 per il primo detenuto e 5 per il secondo. Un metro quadrato in meno per ognuno degli oltre 54 mila carcerati.

La beffa dei parametri, sostiene radio carcere sempre informata sulle modifiche regolamentari, ha virtualmente allargato lo spazio a disposizione dei detenuti. Sulla carta aumenta la "capienza regolamentare" e indirettamente "la capienza tollerabile".

Il direttore di un istituto medio - piccolo, che preferisce rimanere una voce anonima, spiega la procedura: "A primavera del 2003 ci è arrivata una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che stabiliva una nuova misurazione delle celle perché l’ultima stima era del ‘94. Dopo i nuovi calcoli, ci sono stati comunicati i nuovi posti effettivi: da noi la capienza regolamentare è aumentata del 30 per cento".

 

I dati

 

Ora, però, nonostante il nuovo calcolo dei metri quadrati, la classifica del sovraffollamento stilata dall’associazione Antigone sui dati forniti dall’amministrazione penitenziaria segnala al 31 dicembre 2003 un quadro nazionale ugualmente allarmante. Capienza regolamentare: 41.324. Capienza tollerabile: 56.655. Detenuti presenti: 54.237. E questo significa che l’indice di sovraffollamento è superiore di circa il 30 per cento. Ma è il dettaglio, regione per regione, che dà un senso più concreto ai numeri: Friuli, Piemonte, Valle d’Aosta, Emilia Romagna e Puglia superano la capienza regolamentare. Mentre Veneto, Lombardia e Trentino superano addirittura la capienza tollerabile "la cui entità è notoriamente variabile a seconda delle emergenze e viene fissata più per decreto che per oggettivi riscontri strutturali".

Così la popolazione carceraria risulta sbilanciata verso le regioni settentrionali: "Il fatto che a essere sovraffollati sono in prevalenza gli istituti del Nord, mentre la maggior parte dei detenuti arriva dalle regioni del Sud, sta a testimoniare la frequente pratica di tenere i reclusi lontani dalle aree geografiche di origine, contrariamente al dettato del regolamento penitenziario.

 

Leasing

 

Per rimediare a tutto questo, i governi precedenti e quello attualmente in carica hanno messo in cantiere impegnativi programmi per la costruzione di nuove carceri. A maggio del 2003, poi, il ministro Castelli ha presentato la società "Dike Aedifica Spa", controllata dalla Patrimonio Spa del ministero del Tesoro. Le novità di questo sistema sono due. Il leasing: lo Stato paga a un privato una quota mensile per utilizzare il bene e al termine di un determinato lasso di tempo decide se riscattare il carcere. La cessione ai privati di circa ottanta edifici storici dell’amministrazione penitenziaria che sono per lo più ubicati nei centri storici.

Questo meccanismo pubblico - privato è ancora tutto da mettere a regime anche perché all’interno del governo non tutti hanno le stesse idee. Ieri il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Valentino (An) ha annunciato che "il ministro in via del tutto informale ha esaminato la questione della privatizzazione delle carceri: se ne è parlato con il ministro partendo proprio dal dato positivo registrato negli Stati Uniti". Sembrava, questa, una dichiarazione innocua ma in serata lo stesso Guardasigilli ha voluto smentire: "Non ho mai discusso dell’argomento con il sottosegretario Valentino il quale, contattato telefonicamente, ha voluto smentire le dichiarazioni attribuitegli".

Paolo Cento, deputato verde che conosce bene le carceri, non crede a questo gioco delle parti: "La privatizzazione più che un’ipotesi è una realtà. Alla società Dike Aedifica sono già state trasferite 11 carceri storiche". Nell’elenco non ci sono ancora San Vittore e Regina Coeli".

 

Il documento

 

Secondo gli standard internazionali, ogni recluso per vivere dignitosamente in carcere deve avere a disposizione 9 metri quadrati. Nel caso di celle condivise, vanno garantiti 6 metri quadrati ad ogni detenuto in più.

Nella primavera 2003 una circolare dell’amministrazione penitenziaria stabilisce di abbassare i parametri di un metro quadrato, con l’obiettivo di recuperare qualche posizione nella classifica del sovraffollamento delle carceri, dove l’Italia è al quarto posto in Europa dopo Grecia, Ungheria e Bielorussia.

Regina Coeli: primi trasferimenti dei detenuti rivoltosi

 

Ansa, 20 agosto 2004

 

Cominciati i trasferimenti, nei penitenziari del Lazio, di alcuni dei 47 detenuti a Regina Coeli dove martedì era scoppiata la protesta. I trasferimenti proseguiranno nei prossimi giorni in tutto il territorio nazionale. Intanto i Radicali hanno chiesto all’ amministrazione penitenziaria di autorizzare la raccolta di firme per il referendum della legge sulla fecondazione assistita nei 25 penitenziari e hanno invitato i detenuti ad uno sciopero della fame per lo stesso giorno.

Castelli: sinistra ha riempito carceri, noi stiamo rimediando

 

Asca, 20 agosto 2004

 

"I dati sulle presenze nei penitenziari forniti dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria sono gli unici ufficiali, parlano chiaro e non si possono strumentalizzare: nel 1996, quando la sinistra è andata al Governo, i detenuti mediamente, nel corso dell’anno, erano 48.500; nel 2001, alla fine del governo di sinistra, erano più di 55.000; nel 2003 le presenze sono scese mediamente a 54.200". Lo ha spiegato il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, nel corso di un’intervista radiofonica. "Nel ‘96 ci sono stati 45 suicidi, nel 2001 sono saliti a 69. Appare chiaro che in cinque anni di governo la sinistra ha riempito le carceri oltre misura: a noi è toccato porre rimedio, tenere sotto controllo la situazione. Ma non si può pretendere di riuscire a sanare questo stato di cose in pochissimo tempo. Con la "Bossi-Fini" - spiega Castelli - sono stati rimpatriati 2.200 detenuti extracomunitari e inoltre sono stati stanziati oltre duemila miliardi per la costruzione di 23 nuovi istituti. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi giorni ritengo opportuno richiamare l’attenzione su due fatti per i quali ciascuno poi darà la propria interpretazione: primo, con cadenza costante, ogni anno d’estate sono più numerose le visite negli istituti da parte di esponenti politici; secondo, dopo alcuni giorni negli istituti si verificano tensioni. Io non do alcuna interpretazione - conclude Castelli - raccomando solo a chi va a visitare i penitenziari di non accendere nei detenuti false speranze, anche involontariamente e in buona fede, perché quando si ha a che fare con i detenuti, si ha a che fare con una tipologia di persone che vive una situazione di per sé critica, aggravata, poi, dalla passata legislatura".

Castelli: "Troppi reclusi, ma è colpa della sinistra"

 

Corriere della Sera, 20 agosto 2004

 

"In cinque anni la sinistra ha riempito le carceri oltre misura e a noi è toccato porre rimedio e tenere sotto controllo la situazione". Così il ministro Roberto Catelli torna al contrattacco e si difende dalle accuse di non saper governare le carceri: "Davanti a questi dati non si può pretendere di riuscire a sanare questo stato di cose in pochissimo tempo". La colpa del sovraffollamento, dunque, il Guardasigilli in carica da tre anni la attribuisce ai suoi predecessori. Ma il sistema carceri è molto complesso e, a volte, riserva qualche sorpresa: l’altra notte il ministro si è fatto accompagnare davanti a Regina Coeli in rivolta dal generale Enrico Ragosa (ex Sisde, nominato dal comunista Oliviero Diliberto capo di una sorta di servizio segreto chiamato Ugap) che per una notte è tornato a comandare le squadre antisommossa del Gruppo operativo mobile (Gom) della polizia penitenziaria. Ragosa si occupa di edilizia penitenziaria ma l’altra sera, quando è scattata l’emergenza, era il più alto in grado in servizio.

Ora a Regina Coeli, dopo la mezza rivolta di martedì notte che ha messo a soqquadro la IV sezione, la situazione è calma. Sono stati trasferiti in altre carceri del Lazio 47 detenuti mentre la procura della Repubblica procede per danneggiamenti. Calma anche a Rebibbia: e questo è un buon segno perché la protesta dell’altra sera rimane, per ora, un fatto isolato.

Il clima, però, è pesante. Ieri, l’amministrazione penitenziaria ha bloccato la visita a Regina Coeli di una delegazione composta dall’ex parlamentare verde Luigi Manconi (garante dei detenuti), da Luigi Nieri (assessore al Comune di Roma) e da Patrizio Gonnela dell’Associazione Antigone. Il gruppetto di visitatori ha dovuto attendere a lungo e dopo tre ore è stato comunicato loro il divieto di entrare nelle sezioni del vecchio carcere di Trastevere.

Lo stop imposto a Manconi, che non dipenderebbe dal direttore di Regina Coeli, Mauro Mariani, ha suscitato la decisa protesta del sindaco Walter Veltroni: "È un diniego che mi sorprende. Debbo ricordare al ministro Castelli gli ottimi rapporti che l’amministrazione capitolina ha intrattenuto con le strutture dell’amministrazione penitenziaria. Quindi speriamo che questo sia soltanto uno spiacevole episodio che verrà presto superato".

Il Guardasigilli, però, la partita più seria ora se la deve giocare con i radicali che, presto, formalizzeranno contro di lui una denuncia per calunnia. Il ministro li ha accusati di fomentare rivolte con le loro visite in carcere a Ferragosto (cosa che, tra l’altro, il partito di Pannella organizza da oltre 30 anni) ma l’affondo non ha certo scoraggiato Daniele Capezzone, Sergio D’Elia e Rita Bernardini. Ieri pomeriggio, tutti e tre sono tornati davanti a Regina Coeli per annunciare che i radicali hanno chiesto all’amministrazione penitenziaria di autorizzare per la prossima domenica una raccolta di firme per il referendum abrogativo della legge sulla fecondazione assistita. Un’iniziativa, questa, programmata in 25 istituti contestualmente allo sciopero della fame dei detenuti che rifiuteranno il vitto per un’intera giornata.

Fatta eccezione per il forzista Peppino Gargani, il ministro è stato praticamente lasciato solo a difendere l’operato del governo in materia di carceri. Per Gargani, tutto questo dibattito sembra nato "soltanto per non parlare del suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso". Invece Raffaele Costa, un liberale piemontese che ora indossa la casacca della squadra del premier, fa una proposta in sintonia con l’invito lanciato da Luciano Violante (Ds): "La denuncia puntuale e documentata dei radicali e di altre forze politiche non va sottovalutata". Paola Balducci, responsabile giustizia dei Verdi, annuncia infine che il suo partito preparerà per settembre una campagna contro gli eccessi della carcerazione preventiva.

Regina Coeli: la protesta proseguirà fino a domenica

 

Gazzetta del Sud, 20 agosto 2004

 

Sono stati trasferiti nel corso della giornata in diversi penitenziari del Lazio alcuni dei 47 detenuti che martedì notte hanno dato vita alla protesta nella quarta sezione del carcere di Regina Coeli. Le partenze si sono susseguite anche quando i 190 reclusi nella terza sezione hanno ripreso a battere, dalle 15.10 alle 16.30, oggetti su grate e inferriate annunciando, con un documento, che la protesta proseguirà fino a domenica prossima. Da fonti interne al carcere si è appreso che i trasferimenti dei detenuti proseguiranno nei prossimi giorni in tutta Italia. Ieri a Regina Coeli la giornata è trascorsa tranquilla, senza tensioni fra detenuti e polizia penitenziaria.

"In questi casi – raccontano dall’interno del carcere – la calma è la virtù dei forti". Giornata tranquilla anche tra i detenuti della sezione dove martedì è scoppiata la rivolta, composta in gran parte da italiani accusati di reati comuni. Tra essi non ci sarebbe un leader in particolare e nei loro confronti nessun provvedimento disciplinare è stato adottato. Intanto la procura di Roma ha aperto un fascicolo contro ignoti per il reato di danneggiamenti. I magistrati valuteranno anche l’ipotesi di resistenza a pubblico ufficiale. A palazzo di giustizia è attesa la relazione della polizia penitenziaria con la ricostruzione dei fatti e l’identificazione dei detenuti che hanno partecipato alla protesta. All’esterno la giornata è stata caratterizzata dal rifiuto opposto dalla direzione del carcere ad una delegazione del comune di Roma ad incontrare i detenuti. Ne facevano parte l’assessore Luigi Nieri e il garante capitolino dei detenuti Luigi Manconi e un rappresentante dell’associazione Antigone. "La visita era preannunciata da un paio di giorni – ha detto Nieri.

È un atteggiamento che non condividiamo. Riteniamo che si tratti di un fatto di trasparenza e sarebbe utile anche per l’amministrazione penitenziaria farci incontrare i detenuti". Ai delegati il direttore di Regina Coeli Mauro Mariani, tornato dalle ferie, ha consegnato la piattaforma dei detenuti che chiedono l’istituzione di una commissione investigativa, la cancellazione dei precedenti penali ogni 5 anni se il cittadino non abbia commesso reati, la riduzione della custodia cautelare e l’espulsione dei detenuti stranieri che fanno richiesta di scontare la pena nel proprio paese. Sorpreso dal diniego il sindaco Walter Veltroni: "Debbo ricordare al ministro della Giustizia gli ottimi rapporti intrattenuti con l’amministrazione penitenziaria e con i direttori degli istituti. Voglio sperare che il no sia uno spiacevole episodio che verrà presto superato". Per il deputato verde Paolo Cento "il divieto di ingresso è grave e inaccettabile, la prima conseguenza delle dichiarazioni di Castelli tese a criminalizzare i parlamentari che visitano le carceri. Sarà necessario far diventare il diritto di accesso a Regina Coeli una battaglia democratica". I verdi hanno inoltre chiesto a Veltroni di incontrare i detenuti. "L’amnistia per risolvere il sovraffollamento dei penitenziari? Credo non serva a nulla. Meglio ricorrere a soluzioni alternative al carcere per i reati minori". Per il responsabile giustizia di Rifondazione Comunista Giuliano Pisapia "bisogna uscire dalla logica per cui l’unica sanzione penale è quella della prigione". Il deputato del Prc propone invece di ricorrer "per gran parte dei reati, salvo i più gravi, agli arresti domiciliari, ai lavori socialmente utili, ai lavori finalizzati al risarcimento del danno o altre misure restrittive diverse dal carcere nei giorni lavorativi".

Regina Coeli: continua la protesta dei detenuti

 

Corriere della Sera, 20 agosto 2004

 

Protesteranno fino a domenica i detenuti di Regina Coeli: ieri, i 190 reclusi della terza sezione dalle 15.10 alle 16.30 hanno battuto oggetti metallici su grate e inferriate. Alcuni tra i responsabili della rivolta di martedì sera, intanto, sono già stati trasferiti, mentre la Procura, dopo le violenze di martedì sera, procede per il reato di danneggiamento. E se l’amministrazione carceraria nega che ci sia stata devastazione, i volontari della comunità di Sant’Egidio raccontano di aver trovato, poche ore dopo la rivolta, "la rotonda completamente allagata". Ma ieri è stato soprattutto il giorno dei politici che sono andati davanti al carcere. L’assessore Luigi Nieri e il garante dei detenuti del Comune, Luigi Manconi, sono usciti da Regina Coeli senza essere riusciti a visitarla: "Una situazione imbarazzante, non è arrivata l’autorizzazione. Noi avevamo preannunciato la nostra presenza da due giorni". Il sindaco, poco dopo, dirà: "Questo è un diniego che mi sorprende". Legge alla mano, l’autorizzazione del magistrato di sorveglianza era necessaria ma non è arrivata, nonostante l’attesa di ore.

E a tre giorni dalla protesta dei detenuti, Walter Veltroni evidentemente era convinto di poter ascoltare dalla voce del suo delegato un resoconto sulle condizioni del carcere romano. Di fronte al "no", il sindaco si rivolge direttamente a Roberto Castelli: "Debbo ricordare al ministro della Giustizia gli ottimi rapporti che l’amministrazione capitolina ha intrattenuto con le strutture dell’amministrazione penitenziaria e con i direttori degli istituti romani, testimoniata anche dallo svolgimento di una seduta del Consiglio comunale a Rebibbia e dallo spirito costruttivo con cui abbiamo dato vita alla figura del Garante, un’esperienza ripresa in diverse città e che è attualmente in via di realizzazione in altre ancora. Non rimane che sperare che il no opposto all’assessore e al Garante, il quale aveva avuto nel carcere un importante incontro operativo con i dirigenti e i rappresentanti dei reclusi di Regina Coeli non più di due mesi fa, sia soltanto uno spiacevole episodio che verrà presto superato".

"Quando si vivono momenti di tensione - hanno aggiunto Nieri e Manconi davanti al carcere - sarebbe utile anche all’amministrazione penitenziaria puntare sulla trasparenza. È forse superfluo quindi ricordare che avevamo i titoli giuridici per entrare a Regina Coeli". Entrambi, hanno risposto al Guardasigilli, che aveva accusato i politici di "soffiare sul fuoco": "È vero l’esatto contrario, i detenuti hanno bisogno di tutto e le loro rivendicazioni, viste le condizioni di sovraffollamento, sono sacrosante". Ai due politici romani è arrivata nel pomeriggio la solidarietà di Paolo Cento (Verdi): "Che non siano riusciti a entrare - ha detto il deputato - è un fatto grave e inaccettabile". Nieri e Manconi hanno distribuito il documento redatto dai detenuti in protesta, nel quale si parla di "abuso della custodia cautelare" e si chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta. Nel pomeriggio, i Radicali hanno proposto per domenica un giorno di sciopero della fame nelle carceri, dove sperano di recarsi per raccogliere firme per il referendum.

Castelli: raccomando di non accendere false speranze

 

Agi, 20 agosto 2004

 

"Raccomando solo a chi va a visitare i penitenziari di non accendere nei detenuti false speranze, anche involontariamente e in buona fede, perché quando si ha a che fare con i detenuti, si ha a che fare con una tipologia di persone che vive una situazione di per sé critica, aggravata, poi, dalla passata legislatura". Così il ministro della Giustizia Roberto Castelli in un passaggio dell’intervista rilasciata oggi a un’emittente radiofonica sul tema delle carceri, e più in particolare a proposito della protesta attuata in questi giorni dai reclusi di Regina Coeli.

"Appare chiaro - ha detto Castelli - che in cinque anni di governo la sinistra ha riempito le carceri oltre misura: a noi è toccato porre rimedio, tenere sotto controllo la situazione. Ma non si può pretendere di riuscire a sanare questo stato di cose in pochissimo tempo". Alla luce di quanto accaduto negli ultimi giorni, il ministro della Giustizia ha detto di ritenere opportuno "richiamare l’attenzione su due fatti per i quali ciascuno poi darà la propria interpretazione: primo, con cadenza costante, ogni anno d’estate sono più numerose le visite negli istituti da parte di esponenti politici; secondo, dopo alcuni giorni negli istituti si verificano tensioni. Io non do alcuna interpretazione, raccomando solo di non accendere nei detenuti false speranze, anche involontariamente e in buona fede".

Fanfani (DL): Castelli favorisce solo imputati eccellenti

 

Asca, 20 agosto 2004

 

"Dall’inizio della legislatura il ministro Castelli ha avallato tutti i provvedimenti di favore per imputati eccellenti distruggendo la legalità dello Stato, ma non ha fatto un solo passo in favore dei detenuti". Lo afferma Giuseppe Fanfani, responsabile della Commissione giustizia della Camera.

"Ricordo la opposizione della Lega anche sul cosiddetto indultino - prosegue il deputato della Margherita - oggi egli non può criminalizzare quei partiti e quei movimenti che hanno verso il problema carcerario una sensibilità maggiore della sua.

Egli ci deve dire - prima di criticare - quale è il suo programma per le carceri, che allo stato non esiste. Parlare a ruota libera, come egli fa, contribuisce a destabilizzare ancor più il sistema carcerario già al collasso. Per questo diciamo che è irresponsabile".

Castelli: sinistra ha riempito gli istituti, noi poniamo rimedio

 

Gazzetta del Sud, 20 agosto 2004

 

Dopo la rivolta di martedì notte nel carcere romano di Regina Coeli, proseguono polemiche e scambi d’accuse nel mondo politico. Intanto, ieri, è stato negato l’accesso al carcere a una delegazione del Comune di Roma, che aveva chiesto una visita per verificare le condizioni dei detenuti.

 

Accesso negato

 

L’autorizzazione non è stata concessa all’assessore alle Politiche per lo sviluppo, Luigi Nieri, e al garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Luigi Manconi. La visita al carcere era annunciata da due giorni, eppure il Campidoglio non avrebbe ricevuto nessuna risposta ufficiale. Nieri ha parlato di un atteggiamento che il comune "non condivide", anche perché, in casi come questi, per allentare la tensione "la cosa migliore è la trasparenza". Anche il sindaco della capitale, Walter Veltroni, si è detto "sorpreso" del diniego alla visita, e di sperare che sia stato solo "uno spiacevole episodio" da superare al più presto. L’unica voce "da dentro" il carcere è stata invece quella del direttore di Regina Coeli, che secondo Manconi avrebbe affermato, in risposta a una domanda, che martedì notte "non è stata una rivolta, ne c’è stata devastazione".

 

Castelli accusa ancora

 

Sempre ieri il ministro della giustizia Roberto Castelli ha rincarato la dose contro i presunti "cattivi maestri", raccomandando a chi va in visita nei penitenziari "di non accendere nei detenuti false speranze", visto che si tratta di persone che vivono una situazione critica, secondo Castelli "aggravata" nella passata legislatura. "Appare chiaro - ha insistito il Guardasigilli- che in cinque anni di governo la sinistra ha riempito le carceri: a noi è toccato porre rimedio, tenere sotto controllo la situazione". Ha ribattuto al ministro, tra gli altri, Roberto Giachetti della Margherita, che ha definito le sue parole "irresponsabili sia dal punto di vista istituzionale che da quello politico e civile".

 

Carceri Spa

 

Il sottosegretario alla giustizia, Giuseppe Valentino, ha affermato che Castelli avrebbe "già esaminato" un progetto di privatizzazione delle carceri. L’ipotesi sarebbe "seriamente oggetto d’attenzione", visto che potrebbe anche portare un "beneficio fiscale" per i contribuenti, riducendo le spese dello Stato. Al vice ministro ha risposto Paolo Cento dei Verdi, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, secondo cui "la privatizzazione più che un’ipotesi è una realtà". Lo stesso ministro, ricorda Cento, avrebbe già spiegato in risposta a una sua interrogazione che "undici strutture carcerarie storiche" sono già state trasferite a una società privata, la Dike Aedifica Spa.

 

Sciopero della fame

 

Continua anche la campagna sulla giustizia dei radicali. Il segretario, Daniele Capezzone, ha detto che la risposta del partito "alla prepotenza di Castelli" sarà non violenta. La proposta è quella di una giornata di digiuno per i detenuti, domenica prossima, con una visita nelle carceri per raccogliere firme per il referendum contro la legge sulla fecondazione assistita. "Quando un ministro si comporta in un modo così prepotente - ha aggiunto Capezzone - la risposta che si deve dare è un sovrappiù di non violenza e di dialogo". I radicali avrebbero già presentato le "necessarie richieste" per poter entrare negli istituti di tutta Italia.

 

Trasferimenti e inchiesta

 

Infine sono anche cominciati i trasferimenti, in altri penitenziari del Lazio, dei 47 detenuti della quarta sezione di Regina Coeli, dove era esplosa la protesta. I cambi di sede dovrebbero proseguire nei prossimi giorni in tutto il territorio nazionale, appena ci sarà posto in altri istituti. Anche ieri pomeriggio i 190 detenuti del carcere di Trastevere hanno proseguito la loro protesta, battendo oggetti metallici su grate e inferriate. In un documento hanno poi ribadito le loro richieste, annunciando che la protesta proseguirà fino a domenica prossima. Il clima sarebbe comunque tranquillo, senza tensioni fra carcerati e polizia penitenziaria. La procura di Roma ha aperto un fascicolo contro ignoti per il reato di danneggiamenti, riferito alla rivolta di martedì. I magistrati valuteranno anche l’ipotesi di resistenza a pubblico ufficiale.

Suicidio Sindaco: ispettori ministero al carcere di Sulmona

 

Agi, 20 agosto 2004

 

Sono giunti stamane intorno alle 10.30 nel carcere di massima sicurezza di via Lamaccio a Sulmona gli ispettori ministeriali inviati dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) per effettuare alcuni accertamenti amministrativi sull’ultimo caso di suicidio in carcere del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini.

Gli ispettori saranno chiamati a valutare se risulta corretta e in linea con il regolamento la decisione di mantenere i lacci nella detenzione del sindaco suicida. Da fonti ministeriali, infine, sembra che l’ispezione amministrativa partita oggi nel carcere di Sulmona interesserà anche altri due suicidi dell’ottobre 2003 e del giugno scorso.

Suicidio sindaco: scritte minatorie al tribunale di Sulmona

 

Ansa, 20 agosto 2004

 

Scritte minatorie sono state trovate stamani sulle pareti esterne del Palazzo di Giustizia di Sulmona. Vi si trovano gli uffici dei magistrati inquirenti e del Gip che hanno ordinato l’arresto per concussione del sindaco di Roccaraso (L’Aquila), Camillo Valentini, suicidatosi in carcere. Su uno dei muri laterali del palazzo, la scritta con vernice spray nera, "Stai attento, C.P. ti guarda", presumibilmente rivolte ai magistrati.

"Sacchetto dell’anguria e lacci: così è morto il sindaco"

 

Corriere della Sera, 20 agosto 2004

 

Punti oscuri, tragiche coincidenze e qualche leggerezza costellano lo sviluppo delle inchieste legate al suicidio del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini. Alle indagini della magistratura si è anche aggiunta un’ispezione ordinata nel carcere di Sulmona dal ministro della Giustizia Roberto Castelli e che ieri ha anche approfondito le fasi della scoperta del suicidio dalla polizia penitenziaria. L’autopsia, eseguita quasi due giorni dopo, non ha potuto stabilire con certezza l’ora del decesso che, per i periti del pm e dei familiari, è avvenuto nelle prime ore del mattino, in un arco di tempo tra le due e le sei.

L’indagine nasce nel 2003 quando agli investigatori arrivano più denunce: a Roccaraso - dicono - c’è una cupola che gestisce affari con la camorra. La procura antimafia dell’Aquila apre un’inchiesta. È l’inizio di viaggio che porterà il fascicolo da un palazzo di giustizia all’altro. All’Aquila decidono che la camorra non c’entra e mandano le carte a Roma ove c’era stato il reato più grave è stato. I magistrati romani non trovano niente e rispediscono il "pacco" al mittente che lo gira a Sulmona. Quando un’intercettazione registra la convivente del procuratore locale Giovanni Melogli che chiede a un’indagata una raccomandazione, l’inchiesta ha un altro stop e parte per Campobasso dove si indaga sui magistrati abruzzesi. Nel Molise archiviano la posizione di Melogli e rimandano tutto a Sulmona che finalmente può lavorare sulle due concussioni attribuite a Valentini e sui progetti e investimenti per decine di milioni per lo sviluppo sciistico di Roccaraso.

Il sostituto Maria Teresa Leacche è l’unico dei tre magistrati che può indagare: il suo capo è coinvolto e l’altra collega si astiene perché il marito è farmacista a Roccaraso. All’inizio di luglio, Valentini sospetta che qualcosa lo stia per travolgere, si auto sospende da sindaco e chiede di essere interrogato. Il pm accetta: l’incontro viene fissato per il 13 luglio, ma Valentini non si presenta. Quattro giorni dopo, il magistrato, prima di partire per una lunga aspettativa, spedisce la richiesta di arresto. Verrà accolta il 12 agosto dal gip Luigi D’Orazio solo dopo che il fascicolo passa per le mani di altri due giudici. Per gestire l’inchiesta, la procura generale applica a Sulmona un pm dell’Aquila e il sindaco viene arrestato il 14 agosto a Francavilla al Mare dove è in vacanza. Gli agenti con un pretesto lo fanno scendere in strada. Sembra reggere allo choc, chiede di tornare in casa per cambiarsi le scarpe: lascia i mocassini e mette quelle da ginnastica. Con i lacci.

Secondo gli investigatori, in carcere Valentini viene visitato da un medico che lo trova scosso, ma non prostrato. Per questo non gli vengono tolti i lacci e un eventuale colloquio con lo psicologo (assente) viene rimandato al lunedì. In cella sarebbe stato controllato regolarmente. Chiede dell’anguria che gli viene portata in un sacchetto di plastica. Va a letto. Più tardi, si cala il sacchetto sul capo e lo sigilla al collo con i lacci. Muore in pochi minuti. Un altro pm aquilano apre un’inchiesta per "istigazione al suicidio" e fa eseguire l’autopsia (subito è evidente che Valentini si è ucciso). Gli viene affiancato il sostituto pg Romolo Como che accelera i tempi e ordina alla polizia nuovi accertamenti.

 

 

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