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Ha trascorso un anno in carcere, ma era innocente Oggi ha deciso di tornare a Porto Azzurro da uomo libero, a fare il volontario
Famiglia Cristiana, 18 marzo 2003
È una storia che fa venire i brividi, una storia che fa rabbia e che commuove, quella di Roberto Giannoni. Giannoni è stato al centro di una terribile vicenda giudiziaria che ha sconvolto la sua vita e distrutto la sua famiglia. Era innocente. Oggi è un uomo libero che va in carcere ad assistere, volontario, i detenuti di Porto Azzurro. Bancario, direttore della Cassa di Risparmio di Livorno, filiale di Sassetta, fu arrestato il 10 giugno del 1992 dagli uomini della Dia di Firenze con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, usura, concorso in usura, estorsioni, riciclaggio, traffico di stupefacenti e armi. Giannoni era ritenuto la mente finanziaria della mafia in Toscana: tutto si reggeva sulle dichiarazioni rilasciate da due collaboratori di giustizia. Assolto su richiesta della stessa procura di Firenza al termine di un processo durato quasi quattro anni, con oltre 450 testi portati dall’accusa e dopo molte videoconferenze per l’audizione dei pentiti. È stato detenuto per 12 mesi, i primi due in "alta sorveglianza", il resto in regime di 41 bis (il carcere duro previsto per i mafiosi, del quale molti contestano la costituzionalità, specie se applicato prima del giudizio). Una vicenda durata sei anni, sei mesi e sei giorni. In quel periodo, Roberto Giannoni ha perso il posto di lavoro, suo padre è morto di crepacuore un mese prima dell’inizio del processo, sua madre dopo la fine del processo, sfinita dall’angoscia. Sulla sua storia ha scritto e, diciamo così, "autoprodotto" un libro, Hotel Sollicciano - 12 mesi in una suite dello Stato a mezza pensione, in cui racconta la sua storia, il suo incubo e come funzionano le patrie galere ("non l’ho chiamato Grand Hotel, ma solo Hotel perché non c’era la doccia in camera, era in comune con gli altri nel corridoio"), almeno, quelle che ha conosciuto lui. Il libro si può comprare. Basta scrivergli. Il suo indirizzo lo dà volentieri, non si nasconde, non si è mai nascosto. Basta scrivergli a Via dell’Unità 29 - 57029 - Venturina (Livorno). Ma la storia di Roberto Giannoni non finisce qui. Anche perché, a conoscerlo, si capisce che Giannoni oltre ad avere la forza dell’innocenza ha anche in sé tanta di quella vita ed energia che potrebbe accendere uno straccio bagnato con un fiammifero spento. Lo scorso anno ha fatto richiesta al ministero per assistere a Porto Azzurro i detenuti con la San Vincenzo de’ Paoli.
Tornare dentro, per gli altri
Lo hanno fatto un po’ aspettare, ma adesso il tesserino è arrivato, e Giannoni è già andato due volte "dentro". Tornare in un carcere dopo un’esperienza come la sua, perché? "Cerco di dare il mio contributo a risolvere il problema. Se lei sapesse com’è importante portare un pezzetto di mondo esterno, odori, sapori, una parola, anche di due minuti, là dentro... per non far perdere il senso della vita". Già, il senso della vita. Una vita che non è vita. A Porto Azzurro ci sono solo ergastolani, qualcuno non vede (non ha più) amici o parenti da 18-20 anni. Manca loro qualunque cosa, panni, scarpe, "una parola anche di due minuti", come dice Giannoni. La cosa che gli ha fatto più male, tornando in un carcere, dice " è vedere la fila dei familiari, fuori, che aspetta il momento del colloquio". Verso chi lo ha mandato in carcere ingiustamente dice di non provare né odio né rancore. "L’unica cosa che vorrei è che chiedessero scusa ai miei genitori, che purtroppo non ci sono più". Apprezza ogni giorno come mai aveva fatto prima, raccontando la sua storia e cercando, come dice, "di dare il suo contributo". A testa alta. Una rivincita, e non una vendetta.
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