Contro la nuova crociata punitiva...

 

Appello

di Sergio Segio

 

Contro la nuova crociata punitiva sulle droghe

Per il rilancio di politiche di tolleranza e di inclusione sociale

Per la riduzione delle risposte penali e del carcere

In nome di un Welfare dei diritti

 

Il vicepremier Fini, parlando dal summit ONU sulla droga di Vienna, ha di recente esposto l’intenzione del governo di rivedere la legge antidroga del ‘90, reintroducendo alcune norme abolite dal pronunciamento popolare 1993.

Fallito il tentativo attuato nel 2002 attraverso la modifica del decreto 444/90 – contro cui le Regioni hanno vinto un ricorso – il governo si accinge ora a varare una vera e propria controriforma, che ruoterà attorno all’annunciata riproposizione della dose media giornaliera (ribattezzata "dose massima consentita") e l’inasprimento del trattamento penale per le droghe leggere, in nome della loro "equiparazione" alle droghe pesanti.

La revisione della normativa penale è l’ultimo atto di una campagna ideologica del "pugno duro" contro le droghe e i consumatori, caratterizzata dall’attacco alla riduzione del danno e ad un sistema dei servizi con offerte terapeutiche differenziate, attacco già concretizzatosi nel citato decreto 444.

 

La svolta punitiva del governo è particolarmente grave

 

In primo luogo perché ignora i danni delle norme che si vorrebbero reintrodurre, già sperimentati prima del referendum. Ricordiamo che la dose media giornaliera (quale discrimine quantitativo "rigido" per distinguere il consumo dallo spaccio) suscitò perplessità già durante la discussione parlamentare nel decennio scorso. E’ chiaro che una determinazione quantitativa unica per tutti i consumatori non può non essere arbitraria, e perciò iniqua. Il suo effetto criminogeno è evidente, stante le dinamiche del mercato illegale, che spesso portano i consumatori ad approvvigionarsi di quantità di droga ben superiori a quelle dell’immediato consumo individuale. Del resto, la stessa compagine che aveva varato la legge del ‘90 fu costretta a intervenire d’urgenza pochi mesi dopo per alleggerire l’impatto repressivo della legge, dopo che diversi consumatori (anche di droghe leggere) si erano uccisi in carcere dove erano detenuti con l’accusa di spaccio: non erano spacciatori, semplicemente erano stati trovati in possesso di quantità superiore alla dose media giornaliera.

In secondo luogo, a una maggiore penalizzazione del consumo si accompagna, come più volte affermato da esponenti governativi, il dilatarsi del sistema penitenziario e la sua egemonia su quello terapeutico e preventivo: ci saranno più carceri (magari privatizzate, come dimostra il progetto di "appaltare" la casa lavoro di Castelfranco Emilia alla comunità di san Patrignano) e le alternative alla detenzione saranno vincolate a forme di "cura" coatta da svolgersi all’interno di un sistema di comunità terapeutiche che – oltre a convogliare su di sé ingenti risorse pubbliche sottratte ad altri e diversificati interventi – saranno il veicolo, disciplinare ben più che terapeutico, della diffusione capillare e amplificata dell’ombra lunga della dimensione carceraria e penale sul fenomeno sociale del consumo di droghe. Corollario drammatico di questa impostazione, il rilancio governativo del trattamento sanitario obbligatorio anche per i tossicodipendenti; per giunta, non solo sui consumi davvero problematici, ma anche su quelli occasionali e ricreativi di tanti giovani, destinati ad essere criminalizzati e patoligizzati. Non solo, ma i duri attacchi dei mesi scorsi portati alle politiche dei servizi pubblici, l’enfatizzazione ideologica degli interventi drug free indipendentemente dalle preferenze e scelte espresse dagli utenti e viceversa la demonizzazione di altri trattamenti, a cominciare da quelli farmacologici e dagli interventi di riduzione del danno, nonostante l’evidenza della loro efficacia: tutto questo disegna un orizzonte preoccupante, autoritario e moralistico, di negazione della libertà e pluralità terapeutica, basata sul rispetto dei diritti del cittadino consumatore e sull’evidenza scientifica dei trattamenti.

In terzo luogo, questa scelta appare insensata non fosse altro perché in aperto contrasto con le tendenze che la gran parte dei paesi europei hanno seguito dagli inizi del ‘90 ad oggi. Questi paesi hanno infatti scelto, in forme diverse, di spostare il centro delle politiche di controllo delle droghe dal penale al sociale, in particolare investendo sulla riduzione del danno (sia generalizzando le pratiche più consolidate, sia sperimentandone di nuove). Così, mentre Fini annunciava la svolta repressiva, nelle stesse ore, al summit di Vienna, i rappresentanti dei governi di Regno Unito, Francia, Germania, Portogallo, Belgio, Olanda, Irlanda, Svizzera hanno menzionato la riduzione del danno come uno dei pilastri della loro politica antidroga.

Quanto alle riforme legislative, nella gran parte dei paesi europei queste vanno in direzione della depenalizzazione del consumo personale e della distinzione fra droghe leggere e pesanti: si pensi al Regno Unito che ha di recente "declassificato" la canapa (spostandola cioè in una tabella con sostanze a minor rischio farmacologico) in ossequio ai suggerimenti del proprio consiglio scientifico consultivo sulle droghe; alla Svizzera che sta per varare un’analoga riforma; mentre il rapporto Malliori, approvato nel febbraio dal Parlamento europeo, oltre a raccomandare all’Unione Europea il rafforzamento dei servizi a bassa soglia, chiede esplicitamente di riclassificare le droghe, riconoscendo la minore pericolosità della canapa.

Inoltre, il governo vorrebbe operare una scelta in aperto disprezzo delle indicazioni emerse in ben tre Conferenze governative sulle droghe: da quella di Palermo del ‘93, che aveva sancito l’introduzione della riduzione del danno; a quella di Napoli del 1997, che aveva proposto di procedere ulteriormente sulla via della depenalizzazione del consumo; a quella di Genova del 2000, che aveva riconfermato questi indirizzi, in più suggerendo, per bocca dell’allora ministro Umberto Veronesi, la via di una maggiore tolleranza della canapa, in nome delle evidenze scientifiche.

 

Infine, non si può sottovalutare e sottacere il tremendo effetto che un ritorno indietro legislativo ante-1993 produrrà inevitabilmente sulle carceri. Vale a dire: un ulteriore sovraffollamento in una situazione già oggi intollerabile ed esplosiva, con il drammatico corollario di suicidi e atti di autolesionismo; un aggravio della situazione della sanità penitenziaria, già ora in uno stato gravissimo di abbandono, a causa del suo mancato passaggio al sistema sanitario nazionale e dei pesantissimi tagli di bilancio operati nelle ultime leggi finanziarie; una ulteriore difficoltà nell’accesso al circuito delle misure alternative, già da tempo rallentato, quando non inceppato, a causa delle carenze di organici relativamente a psicologi, educatori, assistenti sociali, magistrati di sorveglianza e personale penitenziario.

 

Contro questa controriforma autoritaria e priva di ogni serio fondamento di evidenza ed esperienza, è importante ricordare che dal referendum del 1993 a oggi, la diversificazione dei servizi, la crescita professionale e la maturazione degli operatori (sia del pubblico che del privato sociale), l’adeguamento delle stesse comunità ai mutati bisogni degli utenti, la sperimentazione di iniziative di prevenzione mirata, le pratiche di riduzione del danno e l’implementazione di nuove strategie più articolate hanno permesso di raggiungere alcuni obiettivi fondamentali:

l’emersione del sommerso e il nuovo coinvolgimento di persone non raggiunte o abbandonate dai servizi;

la diminuzione significativa del numero delle overdose;

la forte diminuzione della trasmissione delle patologie correlate tra gli assuntori di sostanze per via endovenosa (significativo il calo dei pazienti sieropositivi e in controtendenza rispetto al resto della popolazione);

l’aumento del numero delle persone trattate dai servizi pubblici e seguite dagli operatori con interventi personalizzati;

maggiore collaborazione tra servizi pubblici e privati con la realizzazione di strategie condivise e il rilancio della centralità del territorio e delle sue reti;

una maggiore consapevolezza sui rischi e una più diffusa conoscenza degli effetti delle sostanze soprattutto tra la popolazione giovanile;

possibilità di riabilitazione alternativa (seppur drammaticamente sottoutilizzata) da parte dei detenuti con dipendenze;

risposte più adeguate e diversificate ai comportamenti d’abuso (alcool, tabacco, e altro);

superamento delle barriere tra servizi e persone con una maggiore presenza di operatori sulle strade, nei centri a bassa soglia e nei luoghi di consumo.

Tutto questo, in moltissimi casi, è stato possibile grazie alla serietà e alla determinazione di migliaia di operatori che nel campo delle dipendenze hanno saputo superare le barriere ideologiche, verificarsi scientificamente e proporre strategie innovative con una attenzione concreta alle modificazione dei consumi e dei bisogni dei consumatori e uno sguardo attento alle innovazioni già in corso di sperimentazione in altri paesi. Questo patrimonio di esperienza e di risultati non va disperso e non va sacrificato sull’altare dell’ideologia di governo e delle lobbies che lo sostengono.

 

Certo, esistono poi non pochi nodi problematici che non vanno sottovalutati e con i quali ci stiamo misurando da tempo:

il crescente aumento della popolazione carceraria con reati direttamente o indirettamente legati alle sostanze;

i tagli drastici ai budget della ASL;

la difficoltà di approfondire in tempo reale le conoscenze sulle sostanze circolanti;

la necessità di tutela della salute e della qualità della vita sociale dei consumatori attivi, a prescindere dalle loro scelte individuali;

l’unificazione del Fondo nazionale lotta alla droga nella Legge 328/2000 con conseguente incapacità di diversi Enti Locali di investire in nuove sperimentazioni;

il consolidamento di politiche che tendono più a gestire l’esistente che a promuovere nuove strategie, con la conseguente frustrazione degli operatori e del loro ruolo all’interno dei servizi;

un processo di privatizzazione che si presenta rischioso a fronte di criteri di accreditamento che in molte Regioni non garantiscono qualità, controllo, adeguatezza, rispetto dei bisogni e pluralismo dell’offerta.

Rispetto a questi limiti, sentiamo la forte e inderogabile necessità di fare un punto, anche rilanciando proposte di adeguamento della normativa attuale, nel solco di alcune scelte condivise a livello europeo:

completa depenalizzazione di tutte le condotte attinenti al consumo individuale, compresa la cessione gratuita e la coltivazione a uso personale; revisione delle sanzioni amministrative più discriminatorie e abbassamento generale delle pene previste nella legge del ‘90, fra le più altre d’Europa. Questi indirizzi erano peraltro già previsti in uno schema di disegno di legge ("proposta La Greca"), predisposto dal ministero della Giustizia nella scorsa legislatura;

possibilità di utilizzo medico dei derivati della canapa;

consolidamento dei budget aziendali pubblici per le dipendenze, con una identificazione che risponda realmente ai bisogni delle persone e dei servizi;

possibilità di effettuare in tempo reale analisi chimiche su campioni di sostanze circolanti in Italia con il conseguente miglioramento delle pratiche di prevenzione;

garanzia e facilitazione dell’accesso a terapie farmacologiche e sostitutive, anche attraverso una "normalizzazione" della somministrazione con la collaborazione delle farmacie, dei medici di base, delle strutture private accreditate e sotto il coordinamento dei Ser.T.;

identificazione di una quota vincolata del Fondo Sociale Nazionale (Legge 328) che rimanga riservata ai servizi pubblici e privati per le dipendenze;

consolidamento e "messa a regime" degli interventi - pubblici e privati - che hanno superato con risultati positivi la fase di sperimentazione, e che possano passare "da progetti a servizi" all’interno della programmazione aziendale ed extra - aziendale;

favorire la dimissione dalle carceri di tutti i detenuti con problemi legati all’uso delle sostanze, riconoscendo anche i trattamenti alternativi sul territorio, e possibilità di equiparare pienamente il trattamento intramoenia a quello che si effettua all’esterno, dagli strumenti di profilassi e prevenzione ai trattamenti farmacologici, psicologici e sociali negli istituti di pena.

Queste proposte derivano dall’esperienza e hanno come obiettivo quello di migliorare ulteriormente la qualità dei servizi e delle prestazioni erogate, tutelare la salute della popolazione dipendente e di quella generale, favorire una prevenzione mirata anche ai più giovani, diminuire la sofferenza dei detenuti ed evitare il carcere per migliaia di giovani, sperimentare nuove pratiche con una attenzione rivolta alle politiche di altri paesi, evitare la frustrazione dei tanti operatori impegnati e consentendo loro una crescita professionale all’interno di servizi all’avanguardia ed efficaci.

Di fronte alla minaccia di una controriforma che aumenterebbe lo stigma sociale, la colpevolizzazione e la sofferenza ancora oggi imposta da un sistema sociale e legislativo inadeguato, non intendiamo limitarci alla denuncia e alla difesa dello status quo, ma vogliamo proporre un salto di qualità per realizzare nuove politiche di inclusione sociale.

Perciò ci rivolgiamo agli operatori del pubblico e del privato sociale, ai parlamentari, agli amministratori locali, ai cittadini affinché sottoscrivano questo appello e partecipino agli appuntamenti che saranno organizzati per il 26 giugno a Roma e il 27 giugno a Milano, per definire i contenuti e le iniziative di un cartello di forze che ci auguriamo il più vasto possibile.

Primi firmatari:

 

Stefano Anastasia, Clara Baldassarre, Roberta Balestra, Beatrice Bassini, Tom Benettollo, Giuseppe Bortone, Giovanni Cannella, Giuseppe Cascini, Daniela Cerri, Luigi Ciotti, Claudio Cippitelli, Maria Grazia Cogliati, Franco Corleone, Paolo Crocchiolo, Sergio Cusani, Gianni De Giuli, Cecilia D’Elia, Giuseppe Dell’Acqua, Giovanni Diotallevi, Dario Fo, Jacopo Fo, Andrea Gallo, Maria Grazia Giannichedda, Leopoldo Grosso, Paolo Lamarca, Betty Leone, Gad Lerner, Franco Maisto, Luigi Manconi, Toni Muzi Falconi, Ignazio Juan Patrone, Livio Pepino, Morena Piccinini, Anna Pizzo, Aldo Policastro, Edo Polidori, Franca Rame, Susanna Ronconi, Achille Saletti, Ersilia Salvato, Rita Sanlorenzo, Nunzio Santalucia, Fabio Scaltritti, Sergio Segio, Carlo Sorgi, Chicco Testa, Stefano Vecchio, Grazia Zuffa.

 

L’appello è sottoscrivibile anche all’indirizzo:

 

http://www.fuoriluogo.it/speciali/guerraitaliana/appello_26_giugno.html

 

 

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