Caniato: "Un gesto di clemenza"

 

Giorgio Caniato, ispettore dei cappellani: "Un gesto di clemenza"

 

Avvenire, 27 ottobre 2002

 

La visita di Ciampi ha riacceso la discussione sulle carceri, ma il "segno di speranza" chiesto dal Papa, non c’è mai stato. L’altro ieri è stato un detenuto a ricordarlo al presidente. Cosa è successo da quell’appello? Lo abbiamo chiesto a monsignor Giorgio Caniato, ispettore dei cappellani impegnati nelle carceri italiane.

 

Come è finito quell’appello?

 

Tutti insistono sull’amnistia e l’indulto, domandandosi se il Papa debba ancora chiedere questi segni di speranza. Ma bisogna precisare, prima di tutto, e lo ha detto anche il Santo Padre, che non si tratta di risolvere il problema delle carceri. Si parla di un segno. Non si chiede di mandare fuori tutti i detenuti, in base magari alla loro bontà o meno, ma, facendo in questo modo, uscirebbero dalle carceri quelli che sono ormai a fine pena, e si metterebbe gli altri detenuti nella situazione di poter accedere alle misure alternative alla pena, come ad esempio la semilibertà o l’affidamento a strutture sociali. Dal Giubileo, il Papa lo ha già chiesto quattro volte. Anche io ho scritto una lettera sollecitando il Parlamento. È questione di volontà. Il Parlamento potrebbe dare questo segno. Non mi sembra bello pretendere che lo chieda ancora, visto che lo ha fatto già quattro volte e hanno risposto picche.

 

Ci sono davvero queste gravi situazioni di difficoltà nelle carceri?

 

Alcuni istituti, come potrebbe essere quello di Spoleto, sono organizzati, a parte quanto avviene anche fi per il 41 bis dove le restrizioni non si giustificano sempre con la necessità di evitare al detenuto rapporti con la sua organizzazione e con gli altri rinchiusi nello stesso carcere. Ma ci sono ancora tanti istituti che dal punto di vista murario e strutturale non sono l’ideale. Tuttavia, molti interventi hanno avuto lo scopo di migliorare la situazione.

Ci fu anche una disposizione, con Fassino ministro della Giustizia, che avrebbe dovuto portare alla chiusura di una ventina di istituti e all’apertura di altri nuovi. È stato fatto, ma non tutte le carceri di nuova costruzione sono all’altezza. Penso a Bollate o a Opera, edificate senza sentire il parere di quanti devono condurre le carceri. Sono macigni, cose allucinanti. Carceri belle, pulite, nuove, ma sono fatte male e andrebbero rifatte con nuovi criteri. E, comunque, non ci sarà mai un carcere bello. In un carcere c’è sempre un uomo rinchiuso in una gabbia, e quindi un uomo che soffre. C’è sempre chi detiene e chi è detenuto.

 

I detenuti cosa chiedono al sacerdote?

 

La persona incarcerata vive in un ambiente dove si diventa sospettosi. Si perde la fiducia in tutti e bisogna stare attenti anche con gli amici di cella. Il sacerdote si presenta come l’uomo che può ricevere la fiducia di chi ha la disperazione nel cuore. Anche i non credenti, o di altre religioni, si rivolgono a lui. Per il sacerdote è una via di evangelizzazione. Si inizia un discorso, che può anche limitarsi al solo recupero umano.

 

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