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"Il
mercato del penale"
Fuoriluogo, giugno 2002
Annunciata, ritrattata, circoscritta, perseguita e occultata, la privatizzazione dell’esecuzione penale sembra essere l’unica bussola del governo Berlusconi e del ministero Castelli nell’amministrazione del sistema penitenziario. Lontano da casa, prima l’uno e poi l’altro si sono lasciati andare a dichiarazioni di favore nei confronti del trasferimento ai privati della gestione di sue strutture. I disegni più organici sono stati prontamente smentiti, di fronte alle proteste dei sindacati della polizia penitenziaria. Intanto, però, neanche tanto sotterraneamente, continua la lunga marcia della privatizzazione in Italia. Sin dalla scorsa legislatura, complici lo sfascio e l’insufficienza delle strutture penitenziarie, si discute della compartecipazione dei privati nel loro ammodernamento e rinnovo, fino ai propositi di sostituzione/baratto di vecchi istituti penitenziari collocati nel cuore delle città (come San Vittore, a Milano) con nuove costruzioni edificabili in aree territoriali di minor valore: gli investitori privati punterebbero all’acquisizione di strutture riconvertibili di grandissimo pregio, in cambio della fornitura di nuove strutture penitenziarie. Ma fin qui, il business penitenziario potrebbe limitarsi alla compravendita delle strutture, senza entrare nella gestione dell’ esecuzione penale in senso stretto. Nuovo sviluppo, viceversa, potrebbe avere dalla ormai prossima applicazione della legge Smuraglia (che destina incentivi fiscali alle aziende che investono nel lavoro dei detenuti) il settore della produzione di servizi in carcere. E in questo caso siamo già in presenza di forme di investimento di privati nel settore penitenziario, e specificamente nella produzione di servizi essenziali alla esecuzione penale, come il vettovagliamento e le lavanderie. Ma il settore che promette maggiore spazio per il coinvolgimento dei privati nell’esecuzione penale è senz’altro il mercato dei trattamenti penali speciali, siano essi interni o esterni alle strutture penitenziarie pubbliche. Il progetto perseguito a Castefranco EmiIia, che Fuoriluogo ha per primo reso pubblico e che prevede l’affidamento di una vecchia casa di lavoro - già riattata a istituto a custodia attenuata per tossicodipendenti - a San Patrignano, affinché ne faccia una comunità chiusa destinata al trattamento di tossicodipendenti in esecuzione penale, e la ultima proposta del Prefetto Soggiu di rilanciare il ricovero coatto dei tossicodipendenti "violenti", indicano un senso di marcia e un’accelerazione, che può avere trasposizioni su altri settori dell’esecuzione penale, come quelli dei minori e della sofferenza psichica. Si tratta di una tendenza che punta al governo dell’espansione del controllo penale attraverso la sua esternalizzazione e diffusione sul territorio, attraverso il coinvolgimento dei privati - e specificatamente del privato - sociale - come attori dell’investimento di rischio: al circuito penitenziario pubblico resterebbe in carico il nocciolo duro dell’esecuzione penale intra moenia, quella di massa e dequalificata, verso cui non sono previsti interventi trattamentali specifici e, viceversa, quella di massima sicurezza, sottoposta ai rigori più duri; al sistema del privato - sociale verrebbe viceversa affidata l’esecuzione penale rivolta ai settori di detenzione più versati alla progettualità trattamentale. "Just say no", abbiamo detto ai nostri amici e compagni del privato - sociale, invitandoli a fuggire la tentazione dell’investimento sulle terapie coatte. No, anche per non avvallare e sostenere l’espansione del controllo penale. No, anche per non contribuire alla trasformazione delle alternative al carcere in alternative alla libertà.
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