La sorveglianza scomoda

 

"La sorveglianza scomoda"

di Francesco Maisto (Procuratore a Milano)

 

Fuoriluogo, giugno 2002

 

Mi sono francamente perso tra le carte accumulate in venti anni, prima di riuscire ad ordinare le testimonianze della lunga e vivace attività professionale di Alessandro Margara, che sta per andare in pensione per raggiunti limiti di età. Mi era ben chiaro che dell’amico, del collega e del maestro avrei dovuto limitarmi ad evidenziare solo alcuni tratti della sua attività di magistrato, perché è certo che egli continuerà comunque in altre forme il suo impegno, con la sua ben nota la sua vivacità intellettuale. Ma anche questa è una fatica improba, e allora sintetizzo tre idee.

Annoverato, a pieno titolo, nella pattuglia degli "iconoclasti" di Magistratura Democratica, con i suoi tre procedimenti disciplinari alle spalle (fra cui uno nell’89 per le presunte licenze "in eccesso" ai semiliberi di Sollicciano), Margara è stato il magistrato che nei 27 anni di vigenza della legge penitenziaria ha saputo incarnare a tutto tondo il ruolo che il legislatore ha assegnato alla funzione giudiziaria di sorveglianza, senza mai sentire il complesso delle deminutio per una funzione ritenuta spesso di serie B; soprattutto, senza aver paura del carcere e dei carcerati, come ha dimostrato nel corso della famosa rivolta di Porto Azzurro. Ha vissuto intensamente, sempre in prima linea, tutte le fasi storiche del penitenziario italiano: dalla galera della povera gente al carcere di massima sicurezza e del terrore, a quello della speranza, a quello dell’emergenza della criminalità organizzata, al carcere balcanizzato, fino al carcere della globalizzazione.

È stato poi un magistrato coerente intellettualmente, fino alla testardaggine: il che gli ha consentito di privilegiare già dal ‘75 gli aspetti pratici e operativi delle misure alternative alla detenzione, e la "gestione" delle stesse, evidenziando i rischi delle procedure giurisdizionalizzate e della burocratizzazione dei riti.

Non c’è dubbio che le scelte professionali di Margara siano state coerenti ad una vocazione giudiziaria orientata in senso sociale, con una volontà di impegno in quei settori dell’ordinamento dove più bruciante è la frizione tra l’ordine costituito e il disordine o lo smarrimento di un’umanità debole, marginale o ribelle. Ed ha argomentato sottilmente contro le culture emergenti contenenti rigurgiti di "neoretribuzionismo".

Una carriera "fulminante", la sua. Il primo e l’unico magistrato di sorveglianza nella storia d’Italia assurto al vertice del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria: solo per un anno, sei mesi e 21 giorni, perché "licenziato" in tronco dall’ex ministro Diliberto. Ha portato nel DAP una miriade di idee e progetti, partecipando all’elaborazione delle leggi sulle alternative alla detenzione e sul lavoro in carcere, sulla incompatibilità col carcere per i malati di Aids e per le detenute madri. Ha emanato il nuovo regolamento di esecuzione ed il decreto di riordino della medicina penitenziaria.

Ma ormai montava il clima della "cattiva politica, di quella che vede la deriva dell’ideale di solidarietà, e dell’attenzione alle varie aree del disagio sociale riassunte nel carcere; la cattiva politica che procede alla rottamazione di quelle idee in cambio di un modello di città, senza barboni e con galere piene di delinquenti di tutte le dimensioni (ma, quando in galera sono tanti, non si sbaglia: la pezzatura largamente prevalente è quella piccola). Ricordare o dimenticare New York? Non quella ovviamente di Frank Sinatra, ma quella di Rudolph Giuliani". Ecco che torna il magistrato scomodo. A Sandro piace il monito del comune e compianto amico Igino Cappelli: "Puoi aver perso il senso di ogni motivazione interiore, ma finché la speranza o la disperazione di un uomo in carne ed ossa ti chiama al tuo mestiere, non ti è permesso abbandonare".

 

Precedente Home Su Successiva