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Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
"Giustizia e società: il volontariato penitenziario si conta" seconda rilevazione nazionale sul volontariato in carcere
A cura di Renato Frisanco – Settore Studi, Ricerche e Documentazione della FIVOL
La rilevazione sulla presenza del volontariato nelle carceri, proposta e condotta dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, è stata realizzata in tutti gli istituti penitenziari in autunno del 2002, in collaborazione con la Direzione Generale Detenuti e Trattamento e i Provveditorati Regionali del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
1. Premessa metodologica
La modalità di rilevazione è consistita nell’invio di un’apposita scheda predisposta dalla CNVG a tutti gli istituti penitenziari con nota del DAP. La compilazione è stata realizzata dagli operatori carcerari, educatori (39,5%), direttori o personale amministrativo preposto alla raccolta dei dati. L’acquisizione delle schede compilate è avvenuta per intermediazione dei Provveditorati Regionali che le hanno raccolte e inviate alla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e, per conoscenza, allo stesso DAP. Tale modalità di compilazione e raccolta, avvenuta per via amministrativa e attraverso documentazione protocollata, se può giustificare qualche remora circa il rigore e l’uniformità dei dati raccolti, costituisce anche la forza della rilevazione perché autorizzata e sollecitata dalla stessa Amministrazione penitenziaria, parte cointeressata alla conoscenza del fenomeno. Infatti, tale iniziativa riveste importanza per lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che ha fornito alla rilevazione adeguata legittimazione e valorizzazione nella ormai maturata consapevolezza che il personale volontario e quello appartenente alle cooperative sociali costituisce a tutti gli effetti una risorsa costitutiva della proposta di detenzione umanizzante e finalizzata al reinserimento dei detenuti. La rilevazione registra il fenomeno considerato in un determinato giorno (census day) - l’1 ottobre 2002 - permettendo una precisa confrontabilità dei dati statistici su tutto il territorio nazionale, per cui si può parlare di un vero e proprio censimento. Anche rispetto alla prima rilevazione del 2001 l’unità di analisi di questa è stata perfezionata e risponde ad una precisa definizione di volontari: persone singole o appartenenti ad organizzazioni solidaristiche attualmente autorizzate con permessi di ingresso negli istituti per la realizzazione di attività non remunerate e non occasionali (manifestazioni sportive, spettacoli, convegni etc..). Il loro titolo ad operare nelle strutture penitenziarie - ma anche alla realizzazione delle misure alternative alla detenzione - è dato dagli articoli 17 e 78 dell’Ordinamento Penitenziario. Si sono altresì acquisite le informazioni relative agli operatori di cooperative sociali, anch’essi ammessi ad operare negli istituti penitenziari in base agli articoli 17 o 78, in modo da dare conto dell’impegno complessivo del terzo settore. Infine, si tratta di una rilevazione che replica quella dello scorso anno - sperimentata in modo prudente - e si propone di monitorare annualmente lo stato della presenza dei volontari negli istituti detentivi in modo da registrarne l’andamento nel tempo (studio diacronico), di verificarne disomogeneità evidenti su base territoriale (studio comparativo) ed eventualmente - ed auspicabilmente - perfezionare via via lo strumento di raccolta dati (ottimizzazione) inserendovi altre informazioni che si ipotizzino essere significative nella valutazione della valenza e della complessità della presenza di personale gratuito e di terzo settore nelle strutture detentive.
2. Il fenomeno rilevato
Gli Istituti considerati nella loro totalità e presenti in tutte le province italiane sono 204, di cui 159 Case Circondariali (77%), 34 Case di Reclusione, 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari e 5 strutture diversamente denominate. Solo 6 di esse "ospitano" esclusivamente detenuti di genere femminile, mentre in 60 casi sono a popolazione mista. All’ottobre 2002 gli istituti penitenziari ospitavano in media 275 detenuti superando complessivamente le 56 mila unità (Cfr. tab. 3).
Nel 91,2% degli istituti penitenziari del nostro Paese vi opera uno o più volontari autorizzati. Tale percentuale si eleva di poco (93,1%) se si considerano anche gli operatori delle cooperative che rappresentano solo il 10,1% del complesso delle presenze espressione delle comunità locali. Complessivamente i volontari e operatori di terzo settore che operano nelle strutture detentive del nostro paese sono 6.746 e rispetto alla rilevazione dell’anno precedente (6.503) sono aumentati del 3,7%. Si conferma quindi una discreta capacità di azione e di presenza delle forze della società civile nel circuito penitenziario e della giustizia in generale. Si registra poi un rapporto numerico di 1 operatore esterno ogni 8 detenuti, con oscillazioni importanti tra la situazione più favorevole della Toscana (1 unità ogni 5 detenuti) e quella più distante dal dato medio nazionale rappresentata dalla Campania (1 ogni 29 detenuti, tab. 3).
I volontari presenti in media per struttura sono poco meno di 30. La quota più cospicua di essi è ammessa con applicazione dell’art. 17 che prevede la "partecipazione della comunità esterna" al trattamento rieducativo. Si tratta di 5.025 volontari, presenti nell’81,9% delle strutture, con una media di 25 unità per istituto e per lo più appartenenti al mondo dell’associazionismo solidaristico e di promozione sociale. I volontari autorizzati in base all’art. 78 sono in numero molto inferiore (1.036 pari al 17,1% del totale, 5 in media per struttura, tab. 1); sono i cosiddetti "assistenti volontari", singole persone o appartenenti ai gruppi dediti al volontariato in carcere e più propensi ad un intervento individualizzato e più orientato al sostegno morale e materiale dei detenuti. Il numero molto più elevato di volontari che beneficiano dell’art. 17 si deve, oltre che ad una più agevole procedura di autorizzazione (richiesta su carta semplice) per l’ingresso in carcere, alla presenza di associazioni di promozione sociale di diffusione nazionale che promuovono e realizzano nelle strutture detentive attività più strutturate, talvolta progetti di attività concordati con la direzione del carcere e sostenuti da finanziamenti pubblici (UE, Regione, Comune..). La presenza di questi volontari è più significativa nelle strutture del Sud dove è quella esclusiva nel 45,3% dei casi rispetto al 20,3% del Nord e al 26,8% del Centro. Tuttavia nelle regioni del Sud la presenza dei volontari è mediamente più ridotta per due motivi fondamentali: il primo riguarda il condizionamento culturale e la presenza massiccia nelle carceri di detenuti appartenenti alla criminalità organizzata che inibiscono la disponibilità al servizio in carcere da parte della comunità esterna; il secondo è relativo al fatto che ancora oggi, nonostante i rapporti di collaborazione tra istituzione carceraria e volontariato, diversi direttori di istituto si oppongono alla presenza di volontari o, in alcuni casi, pur non facendolo apertamente accettano in sostanza solo quelli funzionali ad alcune esigenze delle loro strutture a discapito degli aspetti progettuali e propositivi. Riscontriamo, pertanto, gruppi superiori a 25 volontari (art. 17 e/o 78) nella maggioranza delle struttura del Centro (51,2%), nel 47,8% di quelle del Nord e nel 24% di quelle del Mezzogiorno. Si rileva altresì una presenza più variegata degli operatori esterni nelle regioni centrali del Paese dove vi sono gruppi compositi di volontari e altri operatori di terzo settore nel 36,6% delle strutture, a fronte del 26,1% del Nord e mentre al Sud si riscontra 1 solo caso. Tav. 1 - Volontari e operatori delle cooperative sociali in totale e per genere negli istituti penitenziari per area geografica all’ottobre 2002
Complessivamente le persone attive in modo continuativo inserite nelle carceri italiane come volontari sono 6.061 di cui poco meno della metà presenti nelle strutture ubicate nelle regioni settentrionali (47,2%, tab. 2). Lo squilibrio territoriale delle forze in campo è ancora meglio evidenziato se si considera che gli istituti penitenziari del Nord rappresentano il 34,3% del totale e i detenuti ivi presenti il 38,5%. Se in un solo dei 70 istituti detentivi del Nord i volontari sono del tutto assenti (l’OPG di Castiglione delle Stiviere), al Centro sono 4 (due nelle Marche, uno in Toscana e uno nel Lazio) e al Sud ben 15 le strutture sprovviste di tale presenza (di cui 9 sono ubicate nelle due isole).
Il miglior rapporto numerico tra detenuti e volontari si ha nelle regioni centrali (1 operatore esterno ogni 6 detenuti), al contrario del Sud dove tale rapporto è pressoché di 1 a 17. La variabile di genere degli operatori non istituzionali segnala altresì una prevalente presenza femminile, più nella componente dei volontari (54 su 100) che degli effettivi delle cooperative sociali (51 su 100, tab. 2). Infine, la presenza di volontari e operatori di terzo settore nelle strutture detentive si infittisce con il crescere del numero di detenuti, a segnalare che domanda e offerta tendono a incontrarsi almeno sul piano quantitativo: vi sono più di 50 operatori esterni nel 3,8% delle strutture con meno di 151 reclusi, nell’11% di quelle intermedie (151-350) e nel 41,7% degli istituti penitenziari con oltre 350 ristretti. In questi ultimi vengono svolti anche più tipi diversi di attività (da 6 a 10) dagli stessi volontari e operatori esterni: nel 58,3% dei casi rispetto al 23% degli istituti di capienza o dimensione minore. Tav. 2. - Volontari ed operatori in totale e nelle aree geografiche, distribuzione % e rapporto detenuti/volontari
Gli operatori di cooperative sociali, anch’essi autorizzati ad operare in base agli art. 17 e 78 dell’O.P., sono presenti nel 23% delle strutture e in numero più ridotto. Complessivamente sono 685 unità, pari a 3,4 operatori a struttura. La superiorità del Nord appare per tale figura schiacciante: il 74,6% degli operatori di questa realtà di terzo settore è aggregato alle strutture del Nord e anche il rapporto detenuti/operatori è altrettanto favorevole: 42 detenuti per operatore a fronte degli 81 riscontrabili a livello nazionale. Nel complesso questi operatori sono presenti nelle nostre carceri in misura ridotta anche rispetto alle necessità di apportare in modo strutturato, e spesso dopo le sperimentazioni riuscite dei volontari, i necessari stimoli formativi con la realizzazione di corsi professionali e di attività di laboratorio e artistiche, in grado di elevare interessi e opzioni di vita e di lavoro di queste persone che nella loro maggioranza sono caratterizzate da deprivazione sul piano culturale, della carriera scolastica e professionale. E’ evidente che l’attuale sovraffollamento delle carceri inibisce grandemente le possibilità di arricchire di spazi e momenti formativi la vita dei detenuti ed internati, date le rigide procedure di controllo che richiedono e i problemi organizzativi interni che determinano. Va segnalato anche lo stato di abbandono in cui versano dal punto di vista dell’umanizzazione dell’internamento 4 Ospedali Psichiatrici Giudiziari su 6. Se il volontariato è piuttosto attivo nelle strutture di Reggio Emilia e di Barcellona (ME) - con 1 volontario ogni quattro internati - lo è molto meno nei restanti quattro OPG (1 volontario per 23 internati) aggravando la condizione di totale esclusione dei detenuti psichiatrici. Appare evidente che ciò che fa la differenza nella capacità di attrarre le forze della società civile nel sistema carcerario in generale, ma più ancora in queste strutture, dipende dal ruolo esercitato dal direttore, a seconda che sia più o meno illuminato e aperto agli stimoli esterni e quindi orientato da una concezione non meramente retributiva del carcere. Tav. 3. Quadro regionale dei dati relativi alla presenze dei volontari e degli operatori delle cooperative sociali
* volontari ed eventuali operatori di cooperative 3. Le attività svolte negli istituti penitenziari
Le attività svolte dai volontari e dagli operatori del terzo settore sono molteplici, complementari e diversamente diffuse. Quella maggiormente praticata si basa su di un rapporto personalizzato in funzione del sostegno morale e psicologico a benefico di soggetti deprivati di una normale vita relazionale. E’ presente nel 72,5% dei 204 istituti esaminati e rappresenta poco meno del 20% di tutte le attività svolte. Seguono le attività religiose, sia quelle a spiritualità cristiana che di altre confessioni per la elevata presenza nelle carceri italiane di immigrati che chiedono di poter professare la propria fede religiosa da cui ricavare presumibilmente anche un conforto morale e un contatto culturale in un momento difficile della propria vita. In terza istanza viene praticata un’assistenza materiale vera e propria con l’assegnazione di indumenti ai soggetti privi di qualunque possibilità di rifornirsene o impossibilitati ad ottenerli attraverso l’assistenza pubblica. Al di sopra del 50 per cento degli istituti penitenziari vengono praticate anche attività ricreative e sportive. In meno di 4 istituti su 10 vengono invece realizzate le attività formative, da quelle di tipo scolastico (recupero di competenze e titoli di studio) a quelle di valenza culturale, come spettacoli teatrali, gruppi di discussione tematici, conferenze, che animano la vita del detenuto e gli forniscono consapevolezza circa problemi, potenzialità e risorse aiutandolo in un percorso di acquisizione di informazioni, valori e opportunità per la sua vita. Anche il prestito di libri e riviste e la gestione (in due casi) della biblioteca dell’istituto e la redazione di un giornale interno sono compiti praticati dai volontari e operatori della comunità - e talvolta gestiti insieme ai detenuti - e che vanno nella direzione di favorire l’interiorizzazione di valori e di conoscenze e l’espressione di una partecipazione agli eventi in grado di promuovere sensibilizzazione e spirito critico nelle persone coinvolte.
Molto meno praticate sono invece le attività finalizzate all’acquisizione di competenze professionali, attraverso appositi corsi, all’orientamento al lavoro e al reperimento di opportunità lavorative. E’ un terreno questo che, per quanto complesso, mobilita ancora poco i volontari così come gli operatori delle cooperative, almeno per preparare le condizioni di un lavoro all’esterno o dopo l’uscita dal carcere dei detenuti o internati. Si tratta di un’attività che potrebbe essere utilmente accompagnata a quella di un’accoglienza esterna al fine di favorire l’applicazione delle misure alternative alla detenzione e magari da progettare nei momenti di licenza o delle uscite premio dei detenuti. Su questo punto il volontariato deve ancora investire e realizzare per svolgere al meglio quella funzione di ponte tra il dentro e il fuori del carcere che ha oggi bisogno di concretizzarsi sui fattori che promuovono l’inclusione sociale, ovvero lo stato di cittadinanza piena, attraverso l’istruzione, il lavoro e l’alloggio. Infine un peso marginale hanno le consulenze giuridiche e il disbrigo di pratiche pensionistiche e le attività di patronato, in supplenza alle carenze del servizio pubblico. Tav. 4. Le attività degli operatori volontari o delle cooperative sociali negli istituti penitenziari
Dei quindici tipi di attività ne sono risultati contemporaneamente presenti al massimo dieci. In tre istituti su dieci le attività realizzate non sono più di quattro, sono realtà dove vi è più specializzazione o più limitazioni alla loro applicazione, mentre all’opposto, in una percentuale di poco superiore (31,7%) le attività realizzate sono molteplici, da 6 a 10. Nell’aliquota più consistente del 37,6% degli istituti vi è una realizzazione di ampiezza media di tali tipi di attività (4 o 5 tipi diversi). Aggregando per ambiti omogenei i 15 tipi di attività sono stati ricavati 6 gruppi più ampi con cui rilevare qualche aspetto qualitativo del fenomeno. Anzitutto la gerarchia di frequenza delle varie attività. Il volontariato, in particolare, opera con attenzione preminente alla persona attraverso attività di ascolto, sostegno, orientamento, accoglienza che rientrano nella visione antropologica specifica dell’azione solidale. Viene poi indicato il sostegno alla vita spirituale, anch’essa molto declinata sulla personalizzazione dei rapporti all’interno del carcere. Quasi sullo stesso piano vengono poi per diffusione le attività di tipo meramente assistenziale (rifornimento indumenti e pratiche burocratiche), ricreative - sportive, che coinvolgono gruppi di detenuti, nonché di animazione socioculturale (teatro, gruppi di discussione, redazione di giornale e servizio biblioteca). Infine, meno della metà degli istituti sono campo di impegno scolastico - formativo ai fini di un recupero di scolarizzazione e di acquisizione di competenze professionali spendibili nella vita esterna al carcere. E’ palese che a fronte della presenza numericamente più ampia e più assortita di persone (volontari art. 17, assistenti volontari dell’art. 78 e operatori di cooperative sociali) vi è una più estesa gamma di realizzazioni. Il dato, per quanto scontato, conferma che l’investimento e l’integrazione di più presenze nel carcere paga. Una qualche differenziazione di compiti emerge in riferimento al titolo di ingresso del volontario in carcere: i soggetti che entrano con l’art. 78 sono maggiormente propensi a fornire servizi alla persona (ascolto, colloqui di sostegno, consulenza giuridica, patronato) e di tipo assistenziale (indumenti) e a privilegiare l’aspetto interpersonale ad elevato contenuto relazionale, mentre i volontari dell’art. 17 sono più impegnati nelle attività di tipo ricreativo - sportivo e scolastico - formativo su gruppi o collettivi di detenuti. Si nota altresì che al crescere della densità dei volontari in rapporto ai detenuti vi è la realizzazione di un più ampio spettro di attività a beneficio di questi, soprattutto di quelle ricreativo - sportive e di animazione socioculturale. Infine, anche la classe dimensionale delle strutture per quanto concerne il numero di detenuti è una variabile influente in quanto nelle strutture a maggiore capienza vi è una proporzione percentuale significativamente superiore in termini di attività svolte. Ciò vale soprattutto per le attività assistenziali e per quelle scolastico - formative. La tav. 5 permette altresì di evidenziare che tali attività sono maggiormente realizzate nel Nord e nel Centro e meno al Sud. Pertanto anche quando le forze del volontariato e della società civile si attivano al Sud riescono a farlo con minor capacità realizzativa. È un problema che non dipende solo dalle povertà di tali forze ma anche da quelle delle istituzioni penitenziarie. La reciprocità di rapporto tra i due soggetti è l’indicatore saliente con cui si può leggere il fenomeno del carcere "aperto e solidale". Tuttavia se il volontariato e le realtà di terzo settore vogliono avere un ruolo ancora più incisivo nel sistema della giustizia occorre che si impegnino con maggior convinzione stimolando le stesse istituzioni locali a fornire reti di sostegno e opportunità per una più ampia realizzazione di misure alternative alla detenzione e impegnandosi così anche ad affermare culturalmente il superamento della centralità del carcere. Ma è necessario altresì che il Ministero della Giustizia e le Regioni e a ricaduta gli Enti Locali facciano la loro parte in questa direzione essendovi oggi i dispositivi normativi e gli strumenti tecnici per l’attuazione delle riforme finalizzate sia ad un carcere a dimensione umana che e mettere in atto misure di depenalizzazione dei reati minori che riguardano una parte cospicua di tossicodipendenti e di immigrati che affollano le nostre carceri. Il sovraffollamento ha effetti deleteri sulla stessa fattibilità e agibilità dei progetti formativi e di recupero sociale e lavorativo per i detenuti e gli internati e svilisce, sull’obiettivo della sicurezza interna, ogni ipotesi di miglioramento di questa istituzione totale. Tav. 5. Le attività prevalenti dei volontari e degli operatori di terzo settore negli istituti penitenziari
(*) Per un tipo si intende una sola figura di volontario o di operatore di cooperativa sociale; per "intermedia" si intende una presenza di almeno due tipi con più di una unità; per "più tipi" intendiamo la presenza di tutti e tre i tipi di persone considerate o di due ma con un numero elevato di effettivi. (**) Per bassa si intende di oltre 20 detenuti per volontario; per media, da 10 a 20 detenuti per volontario e per elevata meno di dieci detenuti per volontario.
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