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"Diritti, accoglienza, perdono: quale posto in questa società?" Camposampiero (Padova) 25 - 26 - 27 giugno 2004
Documento conclusivo
I volontari del Seac, della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Veneto, del Centro Francescano di Ascolto di Rovigo, del Gruppo Operatori Carcerari Volontari di Padova e volontari e detenuti/e di Ristretti Orizzonti, si sono riuniti a Camposampiero (PD), dal 25 al 27 giugno 2004, per il XXVI Seminario di formazione del volontariato penitenziario Triveneto: "Diritti, accoglienza, perdono: quale posto in questa società?". I temi affrontati nei tre giorni di incontri e dibattiti rappresentano altrettante frontiere culturali, per il mondo del carcere e per la giustizia nel suo complesso:
La mediazione penale
Questa forma "alternativa" di ricerca della giustizia è utilizzata, da anni e con buoni risultati, nel settore minorile, dove in molti casi consente di evitare il processo e di avviare veri percorsi di ricomposizione del rapporto tra vittima e autore del reato. Per gli adulti la mediazione penale può essere adottata, in alternativa al processo, solo per i reati di competenza del Giudice di pace (alcuni reati minori perseguibili a querela), mentre per la fase dell’esecuzione della pena esistono due disposizioni di legge che, pur non aprendo dei veri e propri spazi alla mediazione, riguardano il rapporto tra la persona condannata il reato commesso e la vittima del reato stesso: l’articolo 47 dell’Ordinamento Penitenziario (legge 354/75), nell’elencare gli obblighi della persona ammessa all’affidamento in prova, prevede anche che "si adoperi in quanto possibile in favore della vittima del suo reato"; l’articolo 27 del Regolamento di Esecuzione delle Pene (DPR 230/2000), che si occupa dell’osservazione della personalità della persona condannata, dice tra l’altro: "Sulla base dei dati giudiziari acquisiti, viene espletata, con il condannato o l'internato, una riflessione sulle condotte antigiuridiche poste in essere, sulle motivazioni e sulle conseguenze negative delle stesse per l'interessato medesimo e sulle possibili azioni di riparazione delle conseguenze del reato, incluso il risarcimento dovuto alla persona offesa". Però entrambe queste norme vanno in una direzione diversa, rispetto al presupposto fondante della mediazione penale, cioè la consensualità dei soggetti coinvolti: la vittima del reato e la persona condannata per quel reato. La vittima potrebbe anche non voler più avere rapporti con chi l’ha danneggiata e invece può ritrovarsi questa persona che le scrive, le telefona, cerca il modo per darle un risarcimento, magari non richiesto e non voluto, visto che nessuno le ha chiesto se voleva riprendere questo contatto. Il condannato a sua volta non deve soltanto sottomettersi alla pena, ma è spinto anche a rendere note le "riflessioni" che ha fatto sulle sue colpe, perché in caso contrario la sua condotta carceraria viene considerata non abbastanza "collaborativa" e quindi gli possono venir negati gli sconti di pena, i permessi, etc. Ma esistono questioni che si possono ritenere esclusivamente legate alla coscienza della persona, ed esistono anche gli errori giudiziari, esiste anche chi è condannato e detenuto senza avere nulla di cui rimproverarsi. Che cosa deve fare chi si trova in queste condizioni: continuare a proclamarsi innocente, rinunciando ai benefici legati alla buona condotta, oppure ammettere colpe che non ha, dimostrando così di essere disposto a farsi "rieducare"?
Il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale
Con l’attuale legge penitenziaria, una persona detenuta che ritenga che un suo diritto sia stato violato può indirizzare un reclamo al magistrato di sorveglianza. Alessandro Margara sostiene però (su Narcomafie n. 18, luglio/agosto 2003) che, oltre alla scarsa funzionalità degli uffici, sono tre le fondamentali ragioni di debolezza della funzione di controllo del magistrato di sorveglianza sulla legalità del carcere: l’attività assorbente per l’esame delle pratiche relative ai benefici penitenziari (dai permessi alle misure alternative), la diffusa convinzione della Magistratura di Sorveglianza di uno scarso legame tra gli interventi di propria competenza e il controllo sul carcere, e infine l’idea sempre più prevalente che la terzietà delle decisioni giurisdizionali della Magistratura di Sorveglianza possa essere turbata dal coinvolgimento personale in un reale controllo della legalità in carcere. Proprio per questi motivi, si apre uno spazio significativo di attività che giustifica l’istituzione del garante. Proprio partendo da queste considerazioni si è messa in moto un’iniziativa parlamentare per l’istituzione di un "Garante dei diritti delle persone private della libertà personale". Si tratta di una figura nuova per l’ordinamento italiano, ma che è presente già da molti anni in altri paesi, specialmente del Nord Europa (ombudsman). In attesa che la proposta di legge faccia il suo iter (che non appare breve, né semplice) alcuni Comuni, come Roma, Firenze e Bologna, e la Regione Lazio, hanno istituito dei propri Garanti, con competenza territoriale e, purtroppo, privi di poteri incisivi, primo tra tutti quello ispettivo. Comunque la presenza di queste figure a livello locale rappresenta una svolta culturale e una spinta "dal basso" verso l’istituzione del Garante nazionale da parte del Parlamento.
La grazia
Questo provvedimento ha carattere individuale, a differenza dell’indulto e dell’amnistia, e un preciso scopo: porre termine ad una pena ormai divenuta "insensata", in quanto la persona che vi è sottoposta ha dato prova di essere pienamente "recuperata" alla vita sociale, oppure ha già trascorso in carcere tanti anni per cui la sua liberazione assume carattere umanitario. Il numero delle grazie concesse (eccetto negli anni dell’immediato dopoguerra) è sempre stato piuttosto contenuto, mediamente nell’ordine di qualche decina ogni anno. Da tre anni a questa parte il numero di grazie concesse è letteralmente crollato (v. tabella) ed è facile pensare vi sia una relazione con il dibattito sulla vicenda di Adriano Sofri, sull’attribuzione di una parte delle competenze (istruttoria e trasmissione degli atti) al Ministero della Giustizia e sulla necessità, o meno, che vi sia la richiesta (da parte dell’interessato, dei suoi famigliari, o del suo avvocato) o la proposta (da parte del Consiglio di disciplina) di grazia, perché la procedura venga avviata. La concessione della grazia è di competenza del Presidente della Repubblica: l’articolo 87 della Costituzione, infatti, gli attribuisce facoltà di "concedere grazia e commutare le pene". Tuttavia sembra che il Presidente non possa prendere decisioni di propria iniziativa ma debba attendere che il Ministero della Giustizia gli invii gli atti relativi e, recentemente, il Parlamento ha bocciato il disegno di legge "Boato", che intendeva ribadire con chiarezza l’autonomia del Capo dello Stato sulle decisioni in materia di grazia. Sarà una caso, ma fino al 2001 c’era il Ministero di "Grazia e Giustizia", poi la "Grazia" è stata soppressa ed il Ministero si è chiamato solo "della Giustizia".
Ministero della Giustizia - Direzione generale della Giustizia Penale
I volontari Premesso
Chiedono
In merito alla mediazione penale
In merito al Garante dei diritti delle persone private della libertà personale
In merito alla grazia
Chiedono infine la possibilità per tutti gli avvocati penalisti di poter accedere al gratuito patrocinio senza limitazioni legate all’esperienza professionale.
Camposampiero (PD), 27 giugno 2004
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