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Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia "Volontari in carcere: quanti, dove e perché?" Terza rilevazione nazionale sul volontariato in carcere A cura di Renato Frisanco – Settore Studi, Ricerche e Documentazione della Fivol
La rilevazione sulla presenza del volontariato nelle carceri, proposta e condotta dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, è stata realizzata in tutti gli istituti penitenziari nel 2003 in collaborazione con la Direzione Generale Detenuti e Trattamento e i Provveditorati Regionali del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
1. Premessa metodologica
La modalità di rilevazione è consistita nell’invio di un’apposita scheda predisposta dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia a tutti gli istituti penitenziari con nota del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. La compilazione è stata realizzata dagli operatori carcerari, in gran parte educatori (67,5%) o altro personale amministrativo preposto alla raccolta dei dati. La crescita dell’aliquota dei compilatori più autorevoli, quali gli educatori rispetto all’anno precedente, in cui rappresentavano il 39,6%, denota presumibilmente una crescente attenzione istituzionale alla rilevazione. L’acquisizione delle schede compilate è avvenuta per intermediazione dei Provveditorati Regionali che le hanno raccolte e inviate alla Conferenza e, per conoscenza, allo stesso DAP. La raccolta per via amministrativa e attraverso documentazione protocollata, in quanto autorizzata e sollecitata dalla stessa Amministrazione penitenziaria, ha permesso il recupero delle schede di tutte le strutture penitenziarie attualmente attive. Infatti, tale iniziativa riveste importanza per lo stesso Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che ha fornito alla rilevazione adeguata legittimazione e valorizzazione nella ormai maturata consapevolezza che il personale volontario e quello appartenente alle cooperative sociali costituisce a tutti gli effetti una risorsa costitutiva della proposta trattamentale in senso umanizzante e in funzione del reinserimento dei detenuti. Non è un caso che il monitoraggio, ormai collaudato in queste prime tre rilevazioni, dal prossimo anno passerà alla gestione diretta del Ministero della Giustizia che lo assumerà come parte integrante della sua funzione conoscitiva rispetto ai fenomeni trattamentali in atto nelle istituzioni detentive. Anche su questo obiettivo il volontariato ha saputo fare da apripista segnalando e dimostrando all’istituzione l’opportunità di tale iniziativa. La rilevazione registra il fenomeno in un determinato giorno (census day) - l’1 ottobre 2003 - permettendo una precisa confrontabilità dei dati statistici su tutto il territorio nazionale, per cui si può parlare di un vero e proprio censimento. Fin dalla prima rilevazione del 2001 l’unità di analisi risponde ad una precisa definizione di volontari: persone singole o appartenenti ad organizzazioni solidaristiche attualmente autorizzate con permessi di ingresso negli istituti per la realizzazione di attività non occasionali (manifestazioni sportive, spettacoli, convegni etc.). Il loro titolo ad operare nelle strutture penitenziarie - ma anche alla realizzazione delle misure alternative alla detenzione - è dato dagli articoli 17 e 78 dell’Ordinamento Penitenziario. Si sono altresì acquisite le informazioni relative agli operatori di cooperative sociali, anch’essi ammessi ad operare negli istituti penitenziari in base agli articoli 17 o 78. in modo da dare conto dell’impegno complessivo del terzo settore. La rilevazione sulla presenza dei volontari negli istituti detentivi, proprio per la sua periodicità, è in grado di registrarne l’andamento nel tempo (studio diacronico) e di verificarne disomogeneità evidenti su base territoriale (studio comparativo). Rispetto alle precedenti rilevazioni è stato altresì perfezionato lo strumento di rilevazione chiarendo alcune modalità e inserendovi alcune nuove informazioni che si possono considerare significative come l’ordine di priorità delle prestazioni dei volontari, il lavoro dei detenuti, il numero degli educatori che aggiungono elementi di valutazione correlabili alla presenza di personale gratuito e di terzo settore nelle strutture detentive. Infine va precisato che il presente monitoraggio non rileva la presenza e le realizzazioni delle organizzazioni di volontariato e non profit attive nel settore penale minorile così come quelle esclusivamente operative sul territorio, sia per dare consistenza alle misure alternative alla detenzione, sia per accompagnare ex-detenuti verso obiettivi di integrazione sociale.
2. Il fenomeno rilevato
Complessivamente i volontari e gli operatori di terzo settore attivi in modo non episodico nelle strutture detentive del nostro paese ammontano pressoché a 8.000 unità. Rispetto all’anno precedente sono complessivamente aumentati del 17,5% e al 2001 del 22,3%. Il trend ascendente conferma la capacità delle forze della società civile di presidiare con iniziative e progetti le istituzioni del circuito penitenziario e della giustizia in generale. Presumibilmente vi concorre anche una più diffusa sensibilità delle stesse istituzioni della Giustizia e una più incisiva azione di coordinamento e di sostegno perseguita dalla Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia sulle organizzazioni impegnate nel settore. Il monitoraggio periodico considera anche la presenza di operatori non istituzionali nei Centri di Servizio Sociale Adulti che comincia anch’essa a lievitare (dai 35 casi del 2001 ai 73 del 2003), I volontari autorizzati sono presenti nel 92% degli istituti penitenziari del nostro Paese. Tale percentuale si eleva di poco (94%) se si considerano anche gli operatori delle cooperative che rappresentano solo il 7,6% del complesso delle presenze espressione delle comunità locali. Rispetto ai volontari sono anche in leggero calo (dalle 685 unità del 2002 alle 602 del 2003) e su tale decremento è forse necessario fare una qualche riflessione. Le strutture detentive considerate nella loro totalità e presenti in tutte le province italiane sono 201. Sono tutte attive tranne una attualmente in fase di ristrutturazione. Di esse 153 sono Case Circondariali (76,5%), 32 Case di Reclusione, 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari e 9 strutture diversamente denominate. 137 istituti "ospitano" esclusivamente detenuti di genere maschile, 58 sono a popolazione mista e solo 6 unità sono dedicate alla detenzione femminile. All’ottobre 2003 gli istituti penitenziari detenevano in media 273 persone ristrette per un ammontare complessivo di 54.659 unità. Nella scorsa rilevazione i detenuti erano in numero superiore sia nel complesso (56.148) che per struttura (275). La presenza dei volontari e degli operatori non appare ancora distribuita in modo omogeneo sul territorio nazionale per lo storico squilibrio tra le diverse circoscrizioni geografiche: ne risulta privilegiata l’area del Centro dove a fronte del 21,5% delle strutture penitenziarie si colloca un terzo del fenomeno, al contrario del Sud che pur rappresentando il 44,5% degli istituti aggrega solo il 19,4% degli operatori non istituzionali.
Tav. 1 - Operatori volontari nelle strutture della giustizia e negli istituti penitenziari negli anni 2001-2003; trend nelle tre rilevazioni e distribuzione per area geografica
Si conferma lo stato di abbandono in cui versano dal punto di vista dell’umanizzazione dell’internamento 4 dei 6 Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Se gli operatori volontari sono piuttosto attivi nelle strutture di Barcellona (ME) e di Reggio Emilia - 1 ogni quattro internati - lo è molto meno nei restanti quattro OPG (1 volontario per 25 internati) aggravando la condizione di totale esclusione dei detenuti psichiatrici. La capacità di attrarre le forze della società civile nel sistema carcerario in generale, ma più ancora in queste strutture, dipende dalla figura del direttore, che può essere diversamente illuminato e aperto agli stimoli esterni e quindi più o meno orientato da una concezione non meramente retributiva o affittiva del carcere. La Tav. 2 dà conto anche delle disomogeneità regionali circa la presenza dei volontari e operatori non istituzionali nelle strutture detentive anche in rapporto al numero dei detenuti. Tra le regioni in positivo spiccano la Toscana che ha il miglior coefficiente numerico al riguardo, segue il Veneto, il Lazio, la Lombardia e la Basilicata, mentre, al contrario, la situazione maggiormente negativa si ha in Val d’Aosta dove però è attivo un solo istituto penitenziario e, in generale, nelle regioni del Sud capeggiate dall’Abruzzo.
Tav. 2 - Quadro regionale dei dati relativi alla presenze dei volontari e degli operatori delle cooperative sociali
* volontari ed eventuali operatori di cooperative
3. Gli operatori volontari
Complessivamente i volontari presenti in modo attivo e continuativo nelle carceri italiane sono 7.323 di cui poco meno della metà presenti nelle strutture ubicate nelle regioni settentrionali (45,8%, Tav. 3). Lo squilibrio territoriale delle forze in campo è ancora meglio evidenziato se si considera che gli istituti penitenziari del Nord rappresentano il 34,% del totale e i detenuti ivi presenti il 39,5%. Se in un solo dei 68 istituti detentivi del Nord i volontari sono del tutto assenti (Belluno), al Centro sono 2 (nelle Marche e in Toscana) e al Sud ben 13 le strutture sprovviste di tale presenza (di cui 8 sono ubicate nelle due isole). Si registra quindi un rapporto numerico tra detenuti e operatori esterni che è di 7 a 1, con differenze abissali tra volontari e operatori di cooperativa sociale e forti oscillazioni tra le aree con la situazione più favorevole del Centro (4 detenuti per operatore non istituzionale) e quella meno del Sud (14 detenuti ogni operatore esterno). La variabile di genere degli operatori non istituzionali segnala altresì una prevalente presenza femminile (52,6%), più negli istituti del Mezzogiorno (59 su 100) e meno tra gli effettivi delle cooperative sociali (45 su 100).
Tav. 3 - Volontari ed operatori in totale e nelle aree geografiche, distribuzione % e rapporto detenuti/operatori non istituzionali
La quota più cospicua dei volontari (83 su 100) è ammessa con applicazione dell’art. 17 che prevede la "partecipazione della comunità esterna" al trattamento rieducativo. Si tratta di 6.052 volontari, presenti nel 79,5% delle strutture, con una media di 30 unità per istituto e per lo più appartenenti al mondo dell’associazionismo solidaristico e di promozione sociale (Tav. 3). I volontari autorizzati in base all’art. 78 sono in numero molto inferiore (1.271 pari al 17,4% del totale), in media 6 per struttura; sono i cosiddetti "assistenti volontari", singole persone o appartenenti ai gruppi dediti esclusivamente al volontariato in carcere e più propensi ad un intervento individualizzato e più orientato al sostegno morale e materiale dei detenuti. Il numero molto più elevato di volontari che beneficiano dell’art. 17 si deve, oltre che ad una più agevole procedura di autorizzazione (richiesta su carta semplice) per l’ingresso in carcere, alla presenza di associazioni di promozione sociale di diffusione nazionale che promuovono e realizzano nelle strutture detentive attività più strutturate, veri e propri progetti di attività concordati con la direzione del carcere e sostenuti da finanziamenti pubblici (UE, Regione, Comune..). Nelle regioni del Sud la presenza dei volontari a qualunque titolo attivi è mediamente più ridotta essenzialmente per due motivi: il primo riguarda il condizionamento culturale e la presenza massiccia nelle carceri di detenuti appartenenti alla criminalità organizzata che inibiscono la disponibilità al servizio in carcere da parte della comunità esterna; in secondo luogo vi è ancora oggi una certa resistenza da parte degli istituti meridionali ad accettare la presenza di volontari o una propensione a selezionarli privilegiando quelli funzionali ad alcune esigenze delle loro strutture a discapito degli aspetti progettuali e propositivi. Riscontriamo, pertanto, gruppi superiori alla media di 36.6 volontari (art. 17 e/o 78) in un terzo delle strutture del Centro (34,9%), nel 30,9% di quelle del Nord e appena nell’11.2 % di quelle del Mezzogiorno. Si rileva altresì una presenza più variegata degli operatori esterni nelle regioni settentrionali del Paese dove vi sono gruppi compositi di volontari e altri operatori di terzo settore nel 51,5% delle strutture, a fronte del 37,2% del Centro e mentre al Sud si riscontrano solo 6 casi.
Tav. 4 - Volontari e operatori delle cooperative sociali in totale e per genere negli istituti penitenziari per area geografica all’ottobre 2003. variazione % 2003-2002
4. Gli operatori di cooperative sociali
Gli operatori di cooperative sociali, anch’essi autorizzati ad operare in base agli art. 17 e 78 dell’O.P., sono presenti in 3 strutture su 10 e in numero più ridotto. In assoluto anche rispetto all’anno scorso (-12,1%). Complessivamente all’ottobre 2003 ne sono stati censiti 602 unità, pari a 3 operatori per istituto penitenziario. La superiorità del Nord appare per tale figura schiacciante: il 66,4% degli operatori di questa realtà di terzo settore è aggregato alle strutture del Nord e anche il rapporto detenuti/operatori è altrettanto favorevole: 54.2 detenuti per operatore a fronte dei 90.8 riscontrabili a livello nazionale. E’ evidente che dove è più attivo il volontariato si radica di più anche la cooperazione sociale che spesso dà continuità o consolida le attività che il volontariato sperimenta. Nel complesso questi operatori sono presenti nelle nostre carceri in misura ridotta anche rispetto alle necessità di apportare in modo strutturato, e spesso dopo le sperimentazioni riuscite dei volontari, i necessari stimoli formativi con la realizzazione di corsi professionali e di attività di laboratorio e artistiche, in grado di elevare interessi e opzioni di vita e di lavoro di queste persone che nella loro maggioranza sono caratterizzate da deprivazione sul piano culturale, della carriera scolastica e professionale. E’ evidente che il persistente sovraffollamento delle carceri inibisce le possibilità di arricchire di spazi e momenti formativi la vita dei detenuti ed internati, date le rigide procedure di controllo che richiedono e i problemi organizzativi interni che determinano.
5. Le attività svolte negli istituti penitenziari
Le attività svolte dai volontari e dagli operatori del terzo settore sono molteplici, complementari e diversamente diffuse. Sono in media 6 quelle svolte dai gruppi di volontari presenti. Quella maggiormente praticata si basa su di un rapporto personalizzato in funzione del sostegno morale e psicologico a beneficio di soggetti deprivati di una normale vita relazionale; è decisamente la prima ragion d’essere del volontariato nei 200 istituti esaminati e lo rappresenta nel 79% dei casi (Tav. 5). E’ evidente la sua importanza anche in quanto attività propedeutica a tutte le altre e specifica dell’apporto del volontariato. In seconda istanza viene praticata un’assistenza materiale vera e propria con l’assegnazione di indumenti ai soggetti privi di qualunque possibilità di rifornirsene o impossibilitati ad ottenerli attraverso l’assistenza pubblica. D’altra parte la crescita delle povertà materiali nella società ha un riflesso dilatato nelle strutture penitenziarie. Seguono le attività religiose, sia quelle a spiritualità cristiana che di altre confessioni per la elevata presenza nelle carceri italiane di immigrati che chiedono di poter professare la propria fede religiosa da cui ricavare presumibilmente anche un conforto morale e un contatto culturale in un momento di difficoltà. Sono importanti non solo in termini identitari ma anche perché costituiscono una occasione di interiorizzazione o consolidamento di valori di senso per la propria vita. Tra le attività più diffuse e maggiormente fruite, in termini numerici dai detenuti, sono quelle di animazione socio-culturale, da quelle sportive- ricreative, a quelle culturali e teatrali. Approssimativamente nel 50 per cento degli istituti penitenziari vengono praticate attività di accoglienza-accompagnamento per licenze o uscite premio, che segnano una continuità tra il "dentro" e il "fuori". In questa direzione vanno anche i 4 istituti su 10 dove il personale non istituzionale cura progetti/attività di reinserimento sociale dei detenuti, assumendo una funzione di ponte con il territorio comunitario che si concretizza sui fattori che promuovono l’inclusione sociale, ovvero lo stato di cittadinanza piena, attraverso l’istruzione, il lavoro e l’alloggio. Importanti sono al riguardo le diverse attività formative (tutte comprese in quote percentuali fra il 28 e 35%); da quelle di tipo scolastico (recupero di competenze e titoli di studio), ai gruppi di discussione tematici, alle conferenze, che animano la vita del detenuto e gli forniscono consapevolezza circa problemi, potenzialità e risorse aiutandolo in un percorso di acquisizione di informazioni, valori e opportunità per la sua vita, fino a corsi di formazione e laboratori, e l’orientamento professionale. Anche il prestito di libri e riviste e la gestione della biblioteca dell’istituto e la redazione di un giornale interno sono compiti praticati dai volontari e operatori della comunità - e talvolta gestiti insieme ai detenuti - e che vanno nella direzione di favorire l’interiorizzazione di valori e di conoscenze e l’espressione di una partecipazione agli eventi in grado di promuovere sensibilizzazione e spirito critico nelle persone coinvolte. Infine un peso relativamente marginale hanno le consulenze giuridiche, in supplenza alle carenze del servizio pubblico, mentre più importanti sono le attività di patronato esercitate dagli operatori volontari in oltre un terzo degli istituti esaminati.
Tav. 5 - Le attività degli operatori volontari o delle cooperative sociali negli istituti penitenziari
* il totale supera il 100% perché erano possibili più risposte
Aggregando per ambiti omogenei i 15 tipi di attività sono stati ricavati 7 gruppi più ampi con cui rilevare qualche aspetto qualitativo del fenomeno. Anzitutto la gerarchia di frequenza delle varie attività. Il volontariato, in particolare, opera con attenzione preminente alla persona attraverso attività di ascolto, sostegno, orientamento, accoglienza che rientrano nella visione antropologica specifica dell’azione solidale. Sono qui considerate anche le attività di patronato (segretariato sociale, consulenza giuridica, orientamento all’occupazione) che tutelano la persona o la orientano rispetto alle opportunità esistenti. In secondo luogo compaiono per diffusione le attività di tipo meramente assistenziale (rifornimento indumenti, sostegno economico) che sopperiscono sempre di più alle magre risorse di cui dispongono gli istituti penitenziari per far fronte ai bisogni materiali delle persone ristrette. Ma tutte le altre, quelle di sostegno religioso, della vita ricreativa e formativa del carcere e del reinserimento sociale finalizzato risultano crescenti e sempre più integrate. E’ palese che a fronte della presenza numericamente più ampia e più assortita di persone (volontari art. 17, assistenti volontari dell’art. 78 e operatori di cooperative sociali) vi è una più estesa gamma di realizzazioni. Il dato, per quanto scontato, conferma che l’investimento e l’integrazione di più presenze nel carcere paga. Si conferma anche una differenziazione di compiti in riferimento al titolo di ingresso del volontario in carcere: i soggetti che entrano con l’art. 78 sono maggiormente propensi a fornire servizi alla persona (ascolto, colloqui di sostegno, consulenza giuridica, patronato) e di tipo assistenziale (indumenti), mentre i volontari dell’art. 17 sono più impegnati nelle attività di tipo ricreativo-sportivo, scolastico-formative e di animazione socio-culturale. Anche al crescere del numero dei detenuti per volontario vi è la realizzazione di un più ampio spettro di attività a beneficio di questi, soprattutto di quelle ricreativo-sportive e di animazione socio-culturale. Infine, la stessa classe dimensionale delle strutture per quanto concerne il numero di detenuti è una variabile influente in quanto nelle strutture a maggiore capienza vi è una proporzione percentuale significativamente superiore in termini di attività svolte. Ciò vale soprattutto per le attività assistenziali e per quelle scolastico-formative. La Tav. 6 permette altresì di evidenziare che tali attività sono maggiormente realizzate nel Nord e meno al Sud mentre nel Centro sono più vicine ai valori del Nord. Pertanto anche quando le forze del volontariato e della società civile si attivano al Sud riescono a farlo con minor capacità realizzativa. E’ un problema che non dipende solo dalle povertà di tali forze ma anche da quelle delle istituzioni penitenziarie. Si conferma così che la reciprocità di rapporto tra i due soggetti è l’indicatore saliente con cui si può leggere il fenomeno del carcere "aperto e solidale".
Tav. 6 - Le attività prevalenti dei volontari e degli operatori di terzo settore negli istituti penitenziari
5. La presenza del personale educativo e le opportunità di lavoro in carcere
Nella rilevazione di quest’anno sono state inserite due nuove variabili che fungono da indicatori di attenzione trattamentale: la presenza di educatori, ovvero di operatori qualificati sul piano della relazione e in grado di ottimizzare le risorse interne con quelle degli operatori volontari esterni, presumibilmente in grado pertanto di venire incontro ai bisogni di sostegno educativo e di individualizzazione del trattamento (Tav. 7). Inoltre si è rilevata l’offerta lavorativa interna al carcere o fruita all’esterno (art. 21) dai detenuti al fine di soddisfare un loro bisogno di occupabilità in una vita carceraria altrimenti amorfa e monotona; nel migliore dei casi, tale impiego, può costituire una opportunità di avviamento ad un lavoro o di crescita di competenze spendibili nella vita sociale del dopo-carcere. Circa la presenza di educatori, effettivamente operativi nella struttura e nel loro ruolo, essi sono 461 con una distribuzione per area geografica che privilegia in questo caso il Mezzogiorno; ma solo in valori assoluti, perché in rapporto al numero degli istituti e dei detenuti anche per questo indicatore la situazione trattamentale più soddisfacente si riscontra al Centro.
Tav. 7 - Educatori effettivamente operativi negli istituti penitenziari in totale, per area geografica e in rapporto con le strutture e i detenuti
I detenuti che lavorano in carcere o fuori dal carcere sono poco meno di un quinto del totale (Tav. 8). I lavori veri, quelli svolti all’esterno del carcere rappresentano solo il 5,4% dei detenuti attivi. Le opportunità di impiego non sono egualmente distribuite nelle diverse aree geografiche. Ancora una volta gli istituti del Centro garantiscono in misura maggiore un’occupazione ai propri detenuti, mentre se consideriamo i titolari di un contratto di lavoro esterno o con aziende esterne al carcere sono decisamente privilegiati i detenuti delle regioni settentrionali. Se il rapporto tra detenuti che lavorano e gli "ospiti" complessivi delle carceri appare più favorevole negli istituti del Sud che del Nord, la qualità del lavoro offerto è inversamente proporzionale. Un lavoratore all’esterno su due è presente negli istituti dell’Italia settentrionale. Inoltre si consideri che i lavori interni al carcere sono spesso soggetti a turn over in modo da permettere a tutti periodicamente di fare delle attività che sono inerenti ai servizi generali della struttura e che pertanto la riproducono. Anche per questo problema quindi il carcere riflette le diverse realtà del Paese più che compensarle.
Tav. 8 - Detenuti che lavorano per tipologia in totale e nelle aree geografiche, distribuzione %
6. Considerazioni conclusive
La rilevazione documenta che il rapporto tra società civile e carcere è, in via tendenziale, meno distante facendo ritenere che i due mondi possano riavvicinarsi ancor più velocemente e diffusamente in uno scenario della giustizia caratterizzato dalla volontà esplicita e reale di depenalizzare i reati minori, del maggior ricorso alle misure alternative, della diffusione di pratiche di mediazione penale e di ripensamento della funzione del carcere. Tale istituzione, pur nella attuale prevalente funzione di espiazione della pena, non può sottrarsi dallo svolgere un’azione di recupero sociale nei confronti di persone spesso svantaggiate da storie personali e familiari e segnate dalle scarse opportunità del loro background educativo e formativo. Se è vero che non spetta al carcere rimediare alle carenze acquisite nella vita sociale, può altresì favorire, oggi sempre più con l’aiuto delle forze esterne, l’innesco di occasioni di recupero di ruoli sociali, di valori, di formazione culturale, di competenze professionali che facciano leva sulle potenzialità e sulla progettualità positiva di queste persone. Le forze del volontariato e della cooperazione sociale sono in grado di inoculare sempre più nel sistema restrittivo la cultura del progetto e dell’empowerment dei detenuti a partire da una "relazionalità calda" che connota tutte le esperienze. Per svolgere questo compito "compensatorio" il carcere deve ripensarsi come ambito non solo di custodia ma anche di opportunità, strutturando con più convinzione la propria offerta formativa, rendendola usufruibile da molti detenuti, modulandola per percorsi individualizzati. Ciò significa rivedere complessivamente la propria organizzazione interna di spazi, orari e competenze e incentivare le risorse esterne, della società civile. Occorre un input autorevole e legittimante al riguardo, nella consapevolezza che il carcere da solo – proprio in quanto "istituzione totale" - non è in grado di svolgere al meglio la propria funzione rieducativa. Ha bisogno di tenere salde radici e forti contatti con il territorio comunitario. Ciò consente si investire sul destino sociale dei detenuti non solo per ottemperare a precisi doveri di solidarietà e riconoscere loro precisi diritti di cittadinanza, ma anche per ridurre così le recidive e quindi operare per la sicurezza di tutti i cittadini.
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