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Io,
frate degli ergastolani, guarito dai lupi
L’Eco di Bergamo, 13 aprile 2004
Fra Beppe: ero tra la vita e la morte, la solidarietà dei carcerati mi ha strappato dal coma. Dal pluriomicida Andraous ai detenuti comuni: in un libro i suoi incontri dietro le sbarre
È nelle librerie in questi giorni "Risvegliato dai lupi - Un francescano tra i carcerati: delitti, cadute, rinascite" (edizioni Paoline) di Emanuela Zuccalà. Raccoglie intense storie - corali e individuali - di detenuti, scelte con cura dall'autrice nell'immenso bagagliaio esistenziale di fra Beppe Prioli, figura storica del volontariato in carcere. Pubblichiamo di seguito un'ampio stralcio dell'introduzione curata dall'autore di "Fratello Lupo" (Milano 1996), il libro che aveva ripercorso tre decenni vissuti dal francescano tra gli ergastolani. Nel mezzo c'è la drammatica esperienza del coma. E del risveglio di fra Beppe, che prelude alla sua seconda vita tra i detenuti. La zona grigia del coma (non più vita ma non ancora morte) è un'esperienza drammatica e straordinaria. Chiunque ne sia uscito sa che c'è un prima e un dopo. Lo spartiacque esistenziale di fra Beppe Prioli è datato 10 ottobre 1997. Una banale caduta in camera, una brutta ferita alla testa, la forza fisica e la lucidità della mente che svaniscono. Il silenzio. Nel suo prima ci sono trentatré anni di infinita e tenace maratona nel circuito delle patrie galere d'Italia, a scardinare serrature apparentemente inviolabili, a rianimare cuori apparentemente prosciugati da mille violenze subite e commesse, a scuotere coscienze dall'elettroencefalogramma apparentemente piatto. Nel suo prima c'è sopra ogni cosa l'Ascolto. È un'enorme e francescana fatica l'Ascolto. Quando trovi il filo che scioglie il groviglio di rabbie, rancori, silenzi, colpe e frustrazioni decennali, ti si riversa addosso un fiume tumultuoso di emozioni. È un'onda d'urto a volte insopportabile. Come il giorno prima dell'incidente: fra Beppe per la prima volta rompeva il tabù del carcere militare di Peschiera del Garda, fino ad allora fortezza inaccessibile ai volontari. Volle incontrare tutti i detenuti. Ne uscì felice, ma sfinito. La pressione di tutti quei dolori raccolti e liberati uno dopo l'altro era paragonabile soltanto a quella che l'ematoma di lì a poche ore avrebbe esercitato sulla sua scatola cranica. L'ematoma, dunque. Quel grumo di dolori inestricabili lo fece scivolare nella sua zona grigia. Poi la corsa in ospedale. Un infermiere che sussurra: "Questo non arriva vivo a Vicenza". I frenetici preparativi della camera operatoria. Il bisturi che incide la scatola cranica nelle mani ferme di un chirurgo. Lo stesso che qualche settimana dopo, in un momento di sconforto del paziente, dirà: "Abbiamo aperto la sua testa, abbiamo visto che era piena di detenuti e l'abbiamo chiusa: lei continuerà la sua missione". Il 12 ottobre è già l'ora del risveglio. Un risveglio insperato dai più, almeno in tempi così stretti. Ma il grumo è sciolto e il fiume tumultuoso di emozioni ha ripreso a correre, invertendo il verso della corrente. Prima aveva investito quel frate, disposto ad ascoltare e ad accogliere senza freni e condizioni, fino a inghiottirlo. Ora lo tira fuori dalle secche della zona grigia, lo riporta alla vita: arriva dal fondo delle galere, è l'impeto di centinaia di detenuti che aspettavano da anni l'occasione di restituire il bene ricevuto. Il tam-tam delle carceri, più forte di un giornale a grande tiratura, diffonde la notizia: il Beppe sta male, il Beppe è stato operato, il Beppe rischia di morire. Scrivono, telefonano, chiedono permessi. Creato le altre associazioni in giro per l'Italia, non avrebbe portato la missione francescana nelle carceri di alta sicurezza e perfino fra i detenuti del 41 bis, non sarebbe entrato negli istituti di pena minorili che prima quasi ignorava. "Dove sono? Che giorno è? Ma io devo andare a Verona, nel carcere di Montorio…". È iniziato il dopo di fra Beppe. E il primo anno ("un anno sabbatico", dirà lui), sarà durissimo: dalla zona grigia si esce in qualche modo trasfigurati, ma anche infinitamente più fragili. I primi spostamenti sono in carrozzella. Fermare lo spiritello francescano è impossibile. Così fra Beppe torna presto a varcare i cancelli del carcere. Ma sempre accompagnato, a tratti si sente uno zombie. Poi c'è l'incubo di non poter tornare a camminare: qualche medico più franco e meno ottimista degli altri non gli nasconde questa prospettiva. Fra Beppe ha crisi di pianto, di stanchezza, arriva a non chiudere occhio per ventuno giorni di seguito. Gli capita a un certo punto di dover resistere anche alla tentazione di farla finita. È come avere toccato il fondo. Ma è proprio da lì che inizia la risalita. "La vita è sacra", quante volte gli è capitato di scuotere con questa frase i suoi interlocutori più disperati. Comincia a immaginarsi sì in carrozzella, ma mentre parla al microfono di una radio per carcerati, oppure risponde al telefono amico dei detenuti. È un'intuizione che lo scuote, la prima cellula del suo nuovo Dna della speranza. Torna a sentire l'ondata d'affetto di ritorno: sarà la fisioterapia più efficace, quella che lo rimetterà in piedi, di nuovo pellegrino tra le sbarre, con un fiorire di associazioni di volontariato (a Barbarano Vicentino, a Manzano di Udine, a Venezia, a Bari, a Potenza…) pronte ad affiancarlo. Lascia Breganze, comunità vicentina di accoglienza per ex detenuti fondata – tra le prime in Italia – nel 1981: il progetto, ormai completamente assorbito dal recupero dei tossicodipendenti, ha cambiato radicalmente l'impronta originaria, e lui si sente spogliato di un bene prezioso. L'addio a Breganze è un'altra ferita che si apre. È dunque profondamente cambiato, fra Beppe, ma in qualche modo più forte e meno solo. Nel suo prima , aveva osato chiamare "fratello" anche il lupo più incattivito, dando l'input a processi di conversione lunghi, complessi ma davvero impensabili. Nel suo dopo, scopre giorno dopo giorno che le parti si sono invertite: il lupo lo aiuta a guarire, lo riporta a una vita nuova.
Fabio Finazzi
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