Espressioni - numero 9

 

Espressioni Numero 9 - dal di Dentro al di Fuori

Chiuso il 18 maggio 2003

 

A cura del Gruppo Volontari Carcere di Lucca. Edizione speciale per il convegno "Carcere: Un mondo a parte o una parte del mondo"

 

Se state partecipando al convegno"Carcere: Un Mondo a Parte o una Parte del Mondo?" e state sfogliando questa copia del giornalino "Espressioni" allora vuol dire che ce l’abbiamo fatta. E’ stata dura riuscire a costruirlo, senza avere avuto esperienze simili prima d’ora. Un ringraziamento a tutti coloro che hanno dato il loro contributo e alle volontarie ed ai volontari che dal 3 maggio svolgono il servizio civile presso il Gruppo Volontari Carcere: Infine, un grazie ancora più caloroso a Chiara G. e Laura, che con passione si sono lanciate in questa avventura e senza le quali questo non sarebbe stato possibile.

 

Umberto Verde, Direttore della Casa Circondariale di Lucca

 

Sono contento che riparta la pubblicazione del giornalino. E’ la voce di "quelli di dentro" che testimonia una volontà di ridisegnare nuovi e diversi obiettivi sulla via di quel cambiamento che tutti desideriamo. Si riparte con tanta voglia di fare e soprattutto di raccontare impressioni, speranze, progetti futuri, ma anche parlare e discutere di musica, teatro, libri, sport, lavoro.

Credo che il giornalino sia il miglior modo di comunicazione con l’esterno, per raccontare anche le interessanti iniziative che si svolgono all’interno del carcere, le proprie impressioni, le aspettative, per trasformare i luoghi di detenzione in luoghi in cui il detenuto impari a riappropriarsi della sua dignità di persona. Colmare anche il divario tra carcere e società, abbattere qual muro di diffidenza che spesso c’è nei confronti del carcere.

Buon lavoro.

 

David Pellegrini, Assessore alle Politiche Sociali della Provincia di Lucca

 

Le Amministrazioni Locali e il Gruppo Volontari Carcere, in collaborazione con la Casa Circondariale di Lucca, nell’ambito della attività dell’osservatorio di cui fanno parte, hanno promosso una serie di iniziative di sensibilizzazione finalizzate a "dar voce" a tutti i soggetti che sono coinvolti, a diverso titolo, con la realtà carceraria, iniziando con una lettura aggiornata sulla situazione del carcere di Lucca.

E’ un modo per conoscere e cercare di approfondire innanzitutto i bisogni e le problematiche delle persone detenute in questo ultimo periodo, analizzare le azioni ed i progetti in corso da parte dei vari soggetti del territorio, ripensare e valorizzare il ruolo di cittadini, Istituzioni, Organizzazioni di Volontariato e del terzo Settore, per arrivare a concepire il carcere come "una parte del mondo":

Un luogo in cui si realizza un effettivo recupero sociale e che permette un’occasione di crescita e non "un mondo a parte", una realtà di separazione o solo di parcheggio. Contribuire a rimuovere i pregiudizi che ostacolano i processi di inserimento sociale e creare reti, interne ed esterne al carcere, sono gli intenti sui quali proseguire un confronto con gli attori del territorio insieme a tutti i cittadini.

 

Ornella Panier Bagat Vitali, Assessore per i Servizi alla persona del Comune di Lucca

 

Anche a scuola ci sono i ripetenti – difficile convincerli che, con poco, si può andare avanti – ma, a volte, anche i più ostinati, se la nostra attenzione si fa vigile, riescono a camminare da soli.

Vorrei il carcere come una scuola; proviamo ad essere anche noi attenti offrendo interessi da coltivare per sperane da far rivivere.

 

Visitare i carcerati

 

La Casa S.Francesco per l’assistenza ai carcerati e alla loro famiglia è un’opera diocesana, promossa dalla nostra Diocesi per dare attuazione alla più trascurata tra le sette opere di misericordia corporale: visitare i carcerati.

Il carcere è un’istituzione totale dura e difficile, che tendiamo a rimuovere dalla nostra vita, ritenendo che essa non riguardi certo noi, persone "per bene", ma i "delinquenti". Un male necessario, che però è meglio lasciare agli addetti ai lavori, a ciò delegati. Questo almeno finchè non inciampiamo per qualche motivo, direttamente o indirettamente, in esso o nella sua prossimità, a seguito di una qualche contestazione penale, che ci fa improvvisamente scoprire che esso è fra di noi, vicino a noi. L’Associazione Volontari del Carcere tenta di superare la separazione tra carcere e società, tra carcere ed istituzioni, tra carcere e cittadinanza: spingendo tutti noi a farci carico di una presenza dura e dolorosa, ma anche importante e vitale, della quale comunque è doveroso farci carico. Siamo quindi grati alle istituzioni locali ed in particolare alla Provincia di Lucca per aver promosso il Convegno sul Carcere a Lucca. E siamo lieti che esso sia anche frutto di quell’Osservatorio sul Carcere che la nostra associazione ha promosso da tempo proprio per attirare maggiormente l’attenzione dei pubblici poteri su questo tema. Siamo in particolare contenti che riprendano le pubblicazioni di un giornale del Carcere, scritto soprattutto all’interno del Carcere stesso. Speriamo che tutto questo ci aiuti a creare attenzione sul tema del carcere e più in generale su quello della pena, e del rapporto tra offensore e vittima del reato. La nostra Città, patria del grande giurista Francesco Carrara, già "capitale" del volontariato, può tentare qualche significativa esperienza di umanesimo giuridico di attenzione solidaristica e di autentica carità cristiana.

E’ difficile, trattandosi del campo più ostico e faticoso (accanto a quello della malattia mentale), ma non impossibile. I volontari della nostra associazione, che lavorano da anni a questo scopo dentro e fuori dal carcere, lo stanno tentando, e sono comunque presenti accanto a chi ne ha assoluto bisogno. E chiedono a tutti solo di essere aiutati a farlo.

 

Giuseppe Bicocchi, Presidente Gruppo Volontari Carcere di Lucca

 

Nel periodo compreso tra il mese di luglio e quello di settembre 2003, il Gruppo Volontari Carcere ha realizzato 162 interviste a detenuti e detenute presenti nella Casa Circondariale di Lucca con riferimento specifico al periodo compreso tra il 14 luglio ed il 19 agosto. La rilevazione non prevedeva alcuno specifico piano di campionamento in quanto mirava al raggiungimento dell’universo della popolazione carceraria. Si è riusciti a raccogliere dati affidabili sul 73.6% dei detenuti e delle detenute censiti/e nello stesso periodo.

L’intervista è stata realizzata mediante la somministrazione di un questionario strutturato diretto a raccogliere informazioni per un verso relative alle principali caratteristiche anagrafiche, familiari e professionali dei detenuti (parte prima) e, per un altro, ad analizzare i principali interessi e desideri di attività sociali manifestate nel periodo di detenzione così come il tipo di progettualità maturata nei confronti del futuro fuori dal carcere (parte seconda).

Più specificatamente le aree che sono state prese in considerazione sono state:

Caratteristiche anagrafiche della popolazione detenuta

La famiglia tra passato e futuro

Titolo di studio e formazione professionale

Occupazione

La vita prima del carcere

La vita dentro il carcere

I progetti per il futuro

I rapporti con l’Associazione Volontari Carcere

 

I risutalti della ricerca che ci sembrano di un certo interesse, saranno presentati nel corso del convegno "Carcere: un mondo a parte o una parte del mondo", il giorno 21 maggio 2003 e possono essere consultati all’interno del nostro sito alla pagina: http://casasfrancesco.interfree.it

L’obiettivo della ricerca è stato quello di fare una fotografia alle persone che vivono nel carcere di Lucca, fotografia che si riferisce al periodo dell’estate scorsa (la struttura è una casa cirocndariale, quindi presenta un grosso movimento in entrta ed in uscita), ma sulla cui base riteniamo di poter iniziare a progettare gli interventi a qualsiasi livello (tempo libero, formazione, lavoro, istruzione), partendo concretamente dai bisogni espressi dai detenuti. L’impegno del gruppo Volontari carcere, della Provincaie di Lucca e della diresione del carcere è anche quello di rendere tale ricerca come un momento periodico di analisi e verifica delle necessità delle persone "ospitate" in carcere e dell’efficacia degli interventi che la comunità esterna propone.

Il Gruppo Volontari Carcere è nato quasi 20 anni fa dall'esperienza di alcune persone che, singolarmente, hanno iniziato ad entrare in carcere per ragioni diverse: Agnese Garibaldi, già assistente volontaria (il suo impegno, in origine, era legato soprattutto ai colloqui con le detenute della Casa Circondariale di Lucca), Davide Pellegrini, entrato in carcere come obiettore di coscienza e successivamente diventato assistente volontario e Piergiorgio Licheri, che, lavorando alla Commissione provinciale assegnazione alloggi, venne contattato per risolvere le problematiche relative alle abitazioni delle famiglie dei detenuti.

Grazie alla collaborazione dell'allora direttore della Casa Circondariale di Lucca, Dottor Giovanni Truscello, la presenza del volontariato all'interno del carcere era molto ben accetta tant'è che i volontari partecipavano in maniera stabile al Gruppo di osservazione e trattamento.

Il nostro impegno in carcere comprendeva sia momenti di puro svago e divertimento, come ad esempio l'organizzazione di spettacoli musicali o teatrali interpretati dai detenuti stessi, sia momenti più seri in cui venivano presi in considerazione i diritti dei detenuti: erano infatti i primi tempi di attuazione della "Legge Gozzini" e molti detenuti, pur avendo maturato le condizioni previste dalla legge, non la conoscevano a pieno; proprio per questo organizzavamo molto spesso, in quel periodo, assemblee volte a far conoscere meglio ai detenuti i loro diritti.

Nel frattempo una certa apertura verso il carcere sembrava provenire anche dagli Enti pubblici: in particolare la Provincia in quegli anni organizzava corsi di formazione professionale per detenuti che si tenevano non all'interno del carcere ma fuori, ai quali i detenuti potevano partecipare grazie ai permessi concessi dalla direzione; in seguito a questa valida iniziativa molti datori di lavoro, alla fine del corso, hanno effettivamente assunto il detenuto una volta uscito dal carcere.

Un'altra grossa problematica con cui ci siamo scontrati è stata quella legata alla paura di certi detenuti di uscire dal carcere, quasi come se il carcere, con le sue regole e le sue burocrazie interne, li avesse totalmente inglobati nel suo circuito di emarginazione e degrado. Infatti, molti detenuti, al momento di uscire, o in permesso o addirittura per sempre, esprimevano a noi volontari tutta la loro paura e il loro disagio dovuti sia al fatto di non essere accettati dalla società sia a problematiche prettamente pratiche, come il fatto di non avere un posto dove andare: effettivamente, nonostante la legge lo preveda, non succede quasi mai che l'istituzione carceraria, tre mesi prima della scarcerazione, si preoccupi di ristabilire i legami tra l'ex-detenuto e, ad esempio, i servizi sociali o il collocamento.

Proprio per far fronte a questo tipo di esigenze, pensammo di attivarci per dar vita ad un Centro di accoglienza per ex-detenuti, detenuti in permesso e famiglie dei detenuti. Il primo problema da risolvere era quello di trovare i locali adatti alla realizzazione di questo progetto: ci rivolgemmo dunque al convento di San Francesco, nel centro della città, in quanto sapevamo che una parte di esso era praticamente inutilizzata. Un contributo rilevante per la realizzazione di questo progetto venne offerto sia dalla Cassa di Risparmio di Lucca sia dal Comune stesso; il resto (circa 300 milioni) venne raccolto grazie alle offerte fatte dalle varie parrocchie.

La Casa San Francesco, aperta nel 1991, è diventata in seguito, la sede dell'associazione. Attualmente ci sono circa 15 posti letto che ci consentono di ospitare detenuti agli arresti domiciliari, detenuti in permesso o in semilibertà e ex-detenuti. Gli "ospiti" sono chiamati a partecipare alla gestione della casa (pulizie, preparazione del pranzo e della cena, ecc.).

L'esiguità della struttura ha permesso di organizzare la vita quotidiana secondo ritmi e modalità familiari e ciò rappresenta un fattore positivo: infatti, i detenuti che trascorrono un permesso nella Casa, apprezzano in modo particolare questa caratteristica, in quanto li fa sentire accolti e pienamente integrati nella realtà della nostra città.

L'obiettivo che la nostra Casa si propone non è solo quello di dare assistenza morale e materiale ai detenuti, bensì di aiutare queste persone ad essere pienamente accettata dalla comunità esterna; in pratica vogliamo dare a questi ragazzi, che sicuramente hanno commesso di grandi errori, la possibilità di riscattarsi, la possibilità di mostrare alla città che anche loro hanno qualcosa da poter offrire soprattutto ai più bisognosi. Riteniamo che il modo migliore per tentare di ricucire il rapporto tra la società e i detenuti sia quello di sensibilizzare questi ultimi nei confronti dei problemi e dei disagi che affliggono la società stessa. Questo nostro obiettivo si inserisce a pieno titolo in quella che è la nostra idea di fare volontariato: il volontariato deve progressivamente abbandonare la mentalità di tipo assistenziale che in origine lo caratterizzava e deve invece lavorare all'interno del carcere non in maniera totalmente avulsa dalla realtà esterna, bensì guardando sempre e comunque al territorio (creando cooperative di solidarietà sociale e centri di accoglienza).

Negli anni attorno al Gruppo ed alla Casa sono fiorite altre esperienze. Quella degli obiettori di coscienza al servizio militare che attraverso la Caritas hanno scelto il nostro gruppo per svolgere il loro servizio; l’apertura di una Cooperativa sociale di tipo B, "La Mongolfiera", costituitasi ormai 10 anni or sono e che si è posta l’obiettivo di dare risposta alle tante richieste di lavoro che provenivano dalle persone incontrate in carcere ed in seguito accolte nella casa: la Convenzione con il Comune di Lucca, anch’essa presente da oltre un decennio che ci ha consentito da un lato di seguire alcune attività che nostri operatori realizzano all’interno del carcere di Lucca (alfabetizzazione, musicoterapia, cineforum, attività psicomotoria, corsi di cucina; attività di pittura), dall’altro di disporre di risorse economiche per la gestione della casa stessa; la presenza delle volontarie e dei volontari del servizio civile nazionale, ultima esperienza in ordine di tempo ma non certo di importanza, dalla quale speriamo di riuscire a rinnovare i nostri interventi e a rinnovarci, poiché la presenza dei giovani è fondamentale per la vita del gruppo

Dobbiamo portare avanti una cultura della comunicazione, del dialogo, della partecipazione, che superi quella, purtroppo ancora oggi in circolazione, della separazione tra carcere e società civile. È indispensabile far crescere una mentalità per cui l'intervento del volontariato non sia eccezionale e sporadico, ma si trasformi in un riconoscimento di spazi operativi volti ad aumentare la collaborazione e l'integrazione con gli operatori istituzionali.

 

Dal carcere di Lucca

 

Nota di redazione: tutto ciò che leggerete in questa sezione è stato scritto da persone che abitano il carcere di Lucca. "Purtroppo", non siamo riusciti a raccogliere nessun componimento delle ragazze che si trovano nella sezione femminile per vari motivi: il tempo, la difficoltà da parte nostra a trovare un momento anche per loro, la scarsa informazione di cui esse hanno usufruito anche rispetto al giornalino. Ce ne rammarichiamo, e speriamo che una volta che avranno fra le mani questa copia anche a loro venga voglia di far sentire la loro voce. A loro vanno le nostre scuse ed il nostro saluto

 

Teatro tra le sbarre

 

Nel settembre scorso sono tornato nel Carcere di Lucca, da dove (fortunatamente) mancavo da una decina di anni.Ho trovato molte cose simili ad allora, poco era cambiato e così dopo alcuni giorni di ambientamento e riflessione ho deciso di provare a "svegliare"un po’ l’ambiente, che mi era sembrato abbastanza apatico e svogliato.Durante le mie precedenti esperienze carcerarie, avevo avuto la possibilità di fare attività teatrale e la cosa mi aveva pienamente interessato.Ho avuto modo, infatti, di lavorare con alcuni professionisti del settore veramente preparati ed in gamba.Persone che hanno deciso di far capire, a chi purtroppo vive tra queste quattro mura, l’importanza della comunicazione e della cultura, portando le loro esperienze al servizio di noi reclusi interessati all’attività teatrale.Ho tentato così come avevo fatto del resto anche nella Casa di Reclusione di San Gimignano, di creare un gruppo teatrale autonomo, gestito e composto solo da noi detenuti e dopo aver avuto la disponibilità di alcuni miei compagni e naturalmente l’appoggio della Direzione, abbiamo intrapreso la nostra avventura.In quest’ambiente così particolare, non è facile trovare persone disposte a sacrificare parte del loro tempo libero in un’attività seria ed impegnativa come il teatro, ma, e di questo ne sono personalmente fiero, ho trovato un gruppo di compagni che mi hanno seguito in tutto e per tutto che pian piano si è ingrandito ed ha dimostrato un grande impegno ed una grande serietà.Abbiamo preparato per il Natale scorso, un nostra riduzione del "Piccolo Principe" di A. De Saint Exupery, un racconto per bambini che però si adatta benissimo ai grandi per i messaggi che contiene e che noi abbiamo cercato di portare al cuore delle persone che sono intervenute allo spettacolo. Grazie alla collaborazione del Comune di Lucca, nella persona dell’Assessore Vitali, che ci ha fornito l’impianto luci e la fattiva collaborazione di un mio compagno,che si è assunto l’onore di costruire le scenografie,siamo giunti ad un traguardo importante. Si guardi bene, che date le poche disponibilità finanziarie, sono stati adoperati per l’allestimento delle scene solo cartoni, vecchi lenzuoli in disuso e poco altro, abbiamo sopperito alle lacune sceniche con alcune diapositive che ha così creato un ambiente fiabesco. Il risultato è stato talmente positivo che, sotto la spinta della direzione, abbiamo deciso di proseguire la nostra avventura e di dare un nome al nostro gruppo, dopo alcune considerazioni, abbiamo scelto: Gruppo Teatrale "San Giorgio tra le mura", un nome che riporta a mente il luogo in cui "abitiamo" e che ci auguriamo sarà di buon auspicio per tutti quelli che prenderanno parte al nostro progetto. Abbiamo deciso così, visto anche l’ampliamento dell’organico, di fare un ulteriore passo in avanti, sia sul piano recitativo in senso stretto che sul piano del testo, decidendo di portare in scena una riduzione del "Moby Dick" di E. Melville, testo già presentato da numerosi attori di fama internazionale, da noi rigorosamente ridotto, ma sempre di una notevole difficoltà, sia di preparazione che di interpretazione. Contando anche stavolta sull’apporto dell’Assessore Vitali, ci siamo avvalsi della collaborazione del Professore Puccini Pier Luigi per le scenografie e del Maestro Marco Cattani per le musiche originali, il tutto completato dalla partecipazione di tutti noi alla riuscita di questo lavoro. Abbiamo lavorato duramente per circa 2 mesi e mezzo, tutti i giorni sempre a provare e riprovare, sostituire chi a metà cammino non si sentiva di andare avanti, spronare gli altri a migliorare sempre. Creare un legame fra queste persone, ognuno con i suoi problemi e le sue incertezze ,far nascere " un gruppo". Questo era il mio obiettivo: coinvolgere emotivamente le quattordici persone che partecipavano attivamente al progetto. Hanno sopportato, direi "eroicamente" le mie lamentele, il mio voler ottenere da loro, sempre di più, nella doppia veste di attore e regista ho cercato di infondergli calma e tranquillità sulla scena, ma allo stesso tempo di fargli comprendere cosa veramente passa nella testa di quegli uomini condannati alla morte dalla follia del loro capitano. Il lavoro di preparazione è stato lungo e difficoltoso,c on le problematiche che ogni giorno appaiono in questi ambienti, ma la nostra costanza è stata premiata infatti il 29 marzo 2004 si è tenuta "la prima"del Moby Dick alla presenza di numerose personalità cittadine, di altrettanti ospiti interni e dei nostri compagni. Il Direttore dell’Istituto Dr.Verde, ha voluto premiare il lavoro, la serietà e l’impegno del nostro gruppo, facendo riprendere l’intero spettacolo dalla telecamere di una televisione privata "Noi Tv", che poi ha trasmesso per ben due volte la registrazione sul suo canale. Per noi è stato un motivo in più di stimolo, di concentrazione, tutti i miei "compagni di avventura" sono stati splendidi, hanno fornito il meglio delle loro possibilità ed il risultato è stato sotto gli occhi di tutti. Abbiamo aperto una porta del carcere verso l’esterno, e se ci sarà ancora questo interesse questa partecipazione del modo esterno al nostro "universo", ecco che qualcosa di positivo e di concreto, il nostro piccolo gruppo amatoriale è riuscito a fare, ha lanciato un appello, ora sta agli altri raccoglierlo e non lasciarlo cadere! Questa di seguito, è la presentazione che abbiamo letto prima dell’inizio del nostro spettacolo, vorrei o forse è meglio dire vorremmo, che queste parole,servissero ad aprire ulteriormente quella porta citata in precedenza, e che creassero veramente un ponte con il mondo esterno.

"Questa storia di marinai a caccia della balena bianca, è un po’, la storia di persone che danno la caccia a qualcosa che è dentro di loro e di cui hanno paura. Sono uomini che seguono il loro capitano, o almeno colui che ad essi pare tale, e nel nome di Achab credono di combattere per una causa, mentre invece Achab cerca solo un capro espiatorio da uccidere per giustificare il proprio desiderio di vendetta per le ferite sofferte. Parimenti a volte, l’Achab nel cuore degli uomini impedisce di vedere con chiarezza dentro se stessi e nasconde al loro occhi le semplici risorse comuni a ciascuno e li porta non verso l’eroismo, ma verso l’autodistruzione. Spesso gli esseri umani creano il proprio destino avverso, nell’inseguimento dell’illusione e finiscono imprigionati in una rete intessuta di fili che appaiono troppo avviluppati e forti per essere spezzati. Ma l’uomo può riuscire a ritrovare il mare calmo e la rotta serena anche se per arrivarci, dovrà rivivere la sua catarsi e le sue sconfitte, ed è questo che, nella prossima ora di fantasia, cercheremo di fare tutti insieme, con la speranza che a qualcuno serva a qualcosa e che una sola mano disperata e sconfitta, delle mille che ogni giorno si tendono, trovi una mano forte ed amica che la aiuti a risalire sulla propria lancia.

 

Marco Franci

 

Alla ricerca di convivenza pacifica

 

Il terrorismo si sta diffondendo giorno dopo giorno, come una malattia senza cura. E’ diventato assai noto, con l’uso di kamikaze come arma letale, portando con se terrore, morti, distruzione e paura. Il problema principale è che non sappiamo come, quando e dove colpirà, rendendoci sempre più tesi. Tutti noi siamo alla ricerca di una convivenza pacifica che deve essere un punto d’incontro e di confronto all’insegna del dialogo e degli scambi culturali, che ci arricchiscano ed incrementino le nostre conoscenze. Questo, purtroppo, accade raramente, ci sono poche persone che si avvicinano ed accettano "il diverso", la maggior parte è diffidente, si capisce dagli sguardi pieni d’odio e di rabbia, le parole che pronunciano suonano come un campanello d’allarme che fa capire il distacco. Si considerano "esseri superiori" ma, dimostrano solo la loro cattiveria nei confronti degli altri. Mentre l’odio aumenta e la vita non ha più valore, i morti e le vittime del terrorismo diventano ogni giorno innumerevoli. In tutte le parti del mondo le donne, gli anziani, i bambini soffrono, convivendo quotidianamente con le violenze impresse nella mente. Non basta nutrirli o liberarli, ci vuole un sostegno morale e psicologico perché con il tempo dimentichino l’orrore che hanno vissuto e che purtroppo continuano a vivere. Tutto ciò fa preoccupare le persone superficiali che non hanno mai approfondito il concetto dell’Islam e non ne hanno capito il vero senso. Il problema è che esistono gli integralisti islamici, veri e propri fanatici, che infangano il nome di Dio e che si autonominano difensori dell’Islam. Istigano le persone al sacrificio in nome di Dio, il suicidio è diventato un’arma a loro utile per uccidere innocenti. Questo danneggia l’Islam e lo presenta in un’immagine distorta da come è in reg. L'Islam è una religione monoteista che deriva in gran parte dalla dottrina giudaica e cristiana alleg.un credo religioso di pace, fede e totale rassegnazione a Dio. In arabo Dio significa Allah. Il Corano è il libro sacro dei musulmani ed è basato su cinque pilastri fondamentali che vengono preceduti dall’intenzionalità e dall’abluzione.

primo: la testimonianza alla fede / asciaha datan

secondo: le preghiere / assalta per cinque volte al giorno

terzo: il digiuno / assaom dall’alba al tramonto per un mese l’anno

quarto: un decimo come dono annuo caritatevole / azzacat

quinto: il pellegrinaggio / al hajj per una volta nella vita per chi ha la possibilità di farlo

Maometto era analfabeta e divenne profeta dell’Islam a quarantenni, ricevendo il Corano portatogli dall’angelo Gabriele in nome di Dio. Un giorno Dio gli ordinò di immigrare tra la gente per insegnare loro la differenza tra il bene ed il male, le cose proibite e l’esistenza di un solo Dio, a cui devono obbedire. Da quel giorno è iniziato il calendario arabo, che è lunare ed è arretrato di undici giorni rispetto a quello solare. Il modo di salutare dell’Islam è molto "pacifico", si dice Assaliamo alaica (pace su di te) e si risponde, Alaica assaliamo ua ramato allah (pace anche su di te con la benedizione di Dio).Dobbiamo ammettere che dopo l’undici settembre duemilauno e l’undici marzo duemilaquattro, la solidarietà con il mondo islamico è solo oratoria, non basta, infatti, parlare da dietro una scrivania o davanti le telecamere, la solidarietà deve esistere nei confronti di tutti gli esseri viventi. Non c’è stato nessun atto di solidarietà verso gli innocenti uccisi dai terroristi in Marocco, non c’erano fiori davanti l’Ambasciata Marocchina. Allora mi chiedo dov’è la differenza fra queste vittime e le altre?

 

Merrany Nour-Eddine

 

L’ingiustizia

 

In questi ultimi anni abbiamo notato un peggioramento nel mondo, un declino verso l’odio, la violenza, la disperazione e la povertà. Quest'ultima non è stata creata dai poveri, è il risultato della rigidità di un sistema che nega ogni possibilità di riscatto. La povertà è la negazione di tutti i diritti: il diritto al cibo, il diritto alla sanità, il diritto alla casa, il diritto all’istruzione, il diritto alla parola. E i potenti della terra incentivano il problema con le loro strategie di guerra mentre le persone più disagiate, dimenticate, soffrono in silenzio guardando impotenti i loro problemi che stanno peggiorando giorno dopo giorno. Così milioni di persone sono costrette a lasciare i loro paesi di origine a causa di fame, guerre, conflitti e catastrofi naturali devastanti (siccità, terremoti, alluvioni, mancanza di lavoro, debito pubblico dei paesi poveri….). Oggi un miliardo di persone al mondo vive con meno di un dollaro al giorno. Tutto ciò ha portato altri problemi dei giorni nostri come l’immigrazione e lo sfruttamento minorile quest’ultimo assai più grave. Gli immigrati al loro arrivo nei paesi più ricchi fanno scattare un meccanismo di sfruttamento e così sono costretti ai lavori più usuranti (manovali, braccianti agricoli e nelle industrie…)e pesante è spesso il rapporto con i datori di lavoro, o meglio con gli sfruttatori, che sono dei veri e propri usurai che approfittano dei lavoratori stranieri per mancanza dei documenti, la difficoltà di trovare una casa, eccetera. Gli sfruttatori sono sostenuti dai poteri forti che chiudono un occhio per i loro interessi, in questi ultimi anni abbiamo visto che si sono sviluppate società multinazionali come Adidas, Nike, Cocacola, Microsoft, etc….che hanno incentivato lo sfruttamento minorile, ma ne pagano le conseguenze e ne soffrono, in tutti i sensi, i più deboli e gli indifesi, specialmente i più piccoli impotenti. I dati raccolti da tante riviste sono impressionanti: oltre 113 milioni di bambini non hanno accesso all’istruzione, sono costretti a lavorare per ore e ore privati della loro adolescenza e il diritto di studiare e di giocare, e 210 milioni di bambini nel mondo costretti a lavorare, maschi e femmine, con orari lunghissimi e salari bassi; mentre aumenta il lavoro minorile aumenta anche l’analfabetismo che porta alla povertà; 13 milioni poi sono orfani a causa dell’aids; oltre 300.000 fra i 7 e i 17 anni sono impegnati in 36 conflitti di 44 paesi coinvolti, 2 milioni di bambini morti in guerra negli ultimi 10 anni, 4 milioni sono rimasti gravemente handicappati, altri muoiono ancora per malattie banali, o non hanno accesso all’acqua potabile e mentre scrivo queste righe la fame ha mutato in peggio questo numero già impressionante di vittime. Ci sono poi quelli che subiscono vari tipi di violenza e di abusi, distrutti psicologicamente, altri abbandonati a se stessi per strada.

Tutti noi siamo colpevoli del nostro silenzio che incoraggia il menefreghismo, l’egoismo, il disinteresse e tutto ciò fa incrementare le sofferenze, l’odio, la rabbia verso i paesi più ricchi e di tutto questo ne soffrono soprattutto i minori che rimangono con immagini stampate nella loro memoria e non c’è nessuna cura che può cancellare la brutalità degli adulti e dei potenti della terra.

 

Merrany Nour-Eddine – Jalal Said – Galmi Sade

 

Giovedì

 

Mi sveglio. È giovedì… ancora prima di aprire gli occhi, in una frazione di secondo, realizzo due cose: la prima è quella di essere vivo, la seconda è che mi trovo nella Casa San Francesco.Immediatamente sono assalito dalla noia, cerco di reagire.organizzo mentalmente la giornata, partendo dalla colazione, fino alla camomilla serale, pianificando le quindici ore di questa lunghissima giornata. Mi accorgo così che è quello che faccio ogni giovedì. Mi deprimo all’istante, mi sento ripetitivo e privo di fantasia, così penso, penso, penso…E’ passata mezz’ora e non ho "partorito" idee geniali. Tutto quello che potrei fare l’ho già fatto.

Ci rinuncio, la noia e la monotonia hanno vinto. Decido come ogni giovedì, di farmi trasportare passivamente in balia degli eventi. Sconsolato,con un balzo, scendo dalla branda a castello, infilo le ciabatte e con passo trascinato, sfregando le suole sul pavimento, attraverso il corridoio, oltrepasso "la zona", scendo giù per le scale e mi dirigo nel bagno. Subito,dopo aver espletato l’impellente bisogno fisiologico, mi "tuffo" nel lavandino per la veloce toilette pre-colazione. Mi asciugo. Cerco la moka, mi ci vuole proprio un caffè, dolce,molto dolce, per compensare le amarezze della vita. Curo in tutti i suoi particolari il rituale del caffè. La moka è pronta, la adagio delicatamente sul fornello a fiamma lentissima ed aspetto. Nell’attesa, con passo trascinato, mi avvicino alla finestra, la spalanco, appoggio le tempie in uno degli "scacchi" formati dalle sbarre. Ora la visuale è libera, l’aria è ogni giorno più frizzante, il volto ancora umido accentua la piacevole brezza. Chiudendo gli occhi per un istante, ampliando la mente, l’ho fatto, ho annusato la libertà, mi manca troppo. E’ un attimo. Riapro gli occhi e diversamente dal solito non guardo, ma osservo. Osservo lo stupendo spettacolo al di là della Casa San Francesco. L’autunno, come ogni anno, ha coreografato stupendamente il paesaggio. Mi sento all’interno di un quadro di Van Gogh. Da questa posizione privilegiata assaporo ogni più piccolo dettaglio .Lo stacco è netto, al di qua, la Casa San Francesco, un ambiente sterile e privo di colore, mi opprime, al di là, la libertà, la vita decorata dai colori della propria felicità. Cerco consiglio, cerco la forza, voglio reagire. D’un tratto vengo distratto, nell’aria percepisco il diffuso aroma di caffè. Sollevo la testa, ancora appoggiata alla finestra, un ultimo sguardo alla libertà. Mi giro, deciso, il mio passo è ora spedito, non trascino più la ciabatte. Spengo il fuoco, mi accingo a bere il caffè. Stranamente, mi accorgo di essere di buon umore, mi sento rigenerato. Mi sveglio. È giovedì ed è una giornata bellissima.

 

Naser Berisa

 

La mia libertà

 

In comunità si discute molto sulla libertà, un detenuto si considera libero solo quando viene scarcerato. Io però parto dal presupposto che non ho ancora compreso fino in fondo cosa significa libertà. Libertà è una parola come Amore, ognuno la coglie in modo diverso, a seconda delle diverse esperienze. Io mi sento più libero adesso, come detenuto che prima da uomo "libero", questo è dovuto alla vita che conducevo "fuori", e con fuori intendo anche oltre i canoni della vita normale.E’ difficile da spiegare.Mi è stata tolta la libertà, il giorno della mia entrata nella Casa San Francesco, ma, anche quando ero "fuori", non ero veramente libero, perché schiavo di problemi.Non ero capace di inserirmi in una società "normale".Non riuscivo a cogliere le cose essenziali per condurre una vita felice e tranquilla.Solo ora che mi sono "fermato" a riflettere sulla mia vita mi rendo conto che voglio intraprendere, una volta finita la pena, un percorso di vita sano e migliore di quello di prima.Sicuramente da questo luogo di accoglienza, ho iniziato il mio nuovo percorso, ho qui "raccolto" infatti, dei valori puri e per questo devo ringraziare la signora Agnese Garibaldi, Don Mario, il gruppo dei volontari che operano nella Casa e gli altri ospiti.

 

Naser Berisa

 

Dalla Comunità di Pozzuolo

 

Espressioni

Eccoci qua, ancora una volta, di fronte all’ennesima ripartenza.

La vita, in fondo, non è altro che questo.

Il filo che sembrava essersi spezzato tre anni fa ci riporta invece ancora una volta su queste pagine, che tornano a nuova vita dopo un lungo silenzio, un lungo e fruttuoso letargo.

Proprio non posso evitare di tornare col pensiero alle persone che con me animavano la redazione di Espressioni prima di adesso, a Adel che non so più dove sia e di cosa sia, a Soufi e le sue grane che non finiscono mai, a Roberto, sfuggente e ostinatamente silenzioso, a Fortunata e la sua e-mail a cui mi ostino a non rispondere, non perché non abbia una risposta ma piuttosto perché ogni giorno che passa ho la sensazione di averne un’altra, più convincente; a tutti gli altri compagni d’avventura.

Salve, ragazzi.

Dunque, dicevo, si riparte.

Guardandomi intorno ho la percezione che tutto sia così come lo abbiamo lasciato, deludendo forse un po’ la nostra speranza che qualcosa, nel frattempo fossimo riusciti a cambiarla; prontamente scaccio via l’idea, non per forzato ottimismo, ma piuttosto per coerenza.

Arrivo a questa conclusione grazie alla perseveranza di Massimiliano e dell’esercito di umanità che gli ruota intorno, fatta di persone che, talvolta nell’ombra, operano intorno all’ambizioso progetto di abbattere le barriere, in un’epoca in cui troppa gente si preoccupa di erigerne, con l’idea che ciò li proteggerà. Con l’illusione che farlo sia comunque giusto.

Credo quindi di interpretare il pensiero e soprattutto la volontà di questo nuovo gruppo di lavoro indicando proprio nella necessità di abbattere una volta per tutte le barriere anzidette, il nostro principale obiettivo.

Sebbene l’impresa possa sembrare ardua ( e probabilmente lo è, in effetti ) non ci resta che provarci, fedeli come siamo alla convinzione che non esista uno sforzo che non meriti di essere compiuto, se a spingerci sono tali propositi.

Vorrà dire che in un epoca in cui sembra non si riesca a far niente di meglio che cercare colpevoli, nel tentativo di isolarli, ci divertiremo a fare esattamente l’opposto, chiedendoci piuttosto se abbia senso o meno questo muro invalicabile tra chi sente vittima e i presunti persecutori, questo muro che scelleratamente già da tempo è stato edificato, nella convinzione che fosse un atto di giustizia, ma che non ha ragione di esistere, se è vero che nella caccia alle streghe proprio queste ultime finiscono per essere le vittime, e i cacciatori i persecutori. Mi salgono alla mente le splendide parole di Sciascia circa l’essenza della verità -…la verità sta in fondo al pozzo; tu guardi nel pozzo e vi vedi riflessi il sole e la luna, ma se vi scendi dentro non vedi più né il sole né la luna, vedi solo la verità. E’ arrivato il momento di scenderci, in quel pozzo. Coraggio ragazzi, e buon lavoro!

 

Massimo Maio

 

La mia scelta

 

Il bisogno di sentirmi utile e fare qualcosa di concreto, per gli altri, mi ha spinto a presentare la domanda per il Servizio Civile Nazionale.Tra la varie alternative c’era quella del "carcere".Se in un primo momento mi ha lasciata perplessa, perché un mondo a me lontano e sconosciuto, riflettendo ho deciso di intraprendere questa esperienza consapevole delle grandi difficoltà che dovrò affrontare, ma, spinta da tanta motivazione che non si deve "giudicare"il luogo in cui si opera ma, avere come obiettivo l’essere umano in tutte le sue sfaccettature.Spero di poter lasciare qualcosa di significativo a questi ragazzi, anche se hanno sbagliato sono sempre persone a loro modo meravigliose e meritano senza dubbio la possibilità di riscattarsi agli occhi di una società che ha l’abitudine di emarginare chi sbaglia.Ognuno può dare, e a ma stanno dando tutti molto, ascoltare le loro storie, mi fa capire quanto si può essere egoisti, attaccati come siamo alle cose materiali più di quanto non lo siamo per ciò che conta veramente, come i sentimenti e le sensazioni che ogni essere vivente riesce a sentire ed emanare intorno a sé.In queste esperienze il legame fra dare e ricevere è veramente molto stretto, si dà comprensione, tempo e si riceve un dono meraviglioso che rimarrà impresso nel cuore per tutta la vita, aiutandoti a crescere, soprattutto dal lato umano.Noi che abbiamo il dono di agire liberamente non riusciamo a capire la difficoltà di chi, privato di questo dono ha solo il tempo interminabile per pensare e spesso anche questo è legato ai ritmi quotidiani del luogo dove sono trattenuti.

 

Chiara Giannetti

 

Una scelta che ti cambia la vita

 

Negli ultimi dell’anno passato, ricordo di aver sentito molto spesso ripetere questa frase alla televisione: "Servizio Civile Nazionale: una scelta che cambia la vita, la tua e quella degli altri", più la sentivo e più ciò mi portava a ragionare sul suo significato….così ho deciso di informarmi.Ho appreso varie informazioni da Internet e poi mi sono rivolta al Centro Nazionale del Volontariato dove sono venuta a conoscenza dei progetti previsti a Lucca.Il progetto del Gruppo Volontari Carcere mi ha subito incuriosita.Non mi ero mai veramente fermata a pensare a quanto possa esser dura la condizione di una persona che si trova a dover scontare una pena detentiva o che, una volta scontata si trova a dover affrontare nuovamente il mondo esterno.Si è soliti vedere il mondo da una certa angolazione senza renderci conto (o fingendo di non rendercene conto) che oltre quella visuale ci sono tutta una serie di realtà spesso "scomode" per la persona "comune" che però esistono ed è, pertanto, sbagliato ignorare. Sicuramente anche io fino a poco tempo fa vivevo la mia vita tranquillamente affacciata su un panorama ideale, ma poi è bastata quella frase, quel particolare intravisto con la coda dell’occhio, che mi ha portato a volgere lo sguardo in un’altra direzione…e lì ho incontrato la realtà dei detenuti (ed ex-detenuti) che ad oggi mi risulta più nitida all’orizzonte e probabilmente lo si farà ancor di più durante lo scorrere di questo anno da volontaria in servizio civile. Si è soliti dire che è giusto tener conto di entrambi i lati di una medaglia, nella pratica però la maggior parte della gente si ferma ad una sola faccia e se la faccia è quella del "delinquente", "del "drogato", "della prostituta" eccetera, allora non c’è neppure interesse nel conoscerne il retro. E’ proprio questo, invece, che ci fornirebbe elementi quali la storia personale, le motivazioni, che portano una persona ad imboccare una strada piuttosto che un’altra e che ci autorizzerebbe poi a decidere di avvicinarsi o meno a tale realtà …perché comunque sia, accettata o no, so tratta di realtà e come tale dovrebbe essere quantomeno riconosciuta da ognuno di noi.Sono certa che questa esperienza mi arricchirà di insegnamenti preziosi perché, come mi ha saggiamente detto Mariano, uno dei volontari "storici"di Casa San Francesco: "ti accorgerai che dare, ti rende molto più felice che ricevere!".

 

Laura Guidotti

 

Circa 20 anni fa, un volontario del carcere, membro del Gruppo Volontari Carcere, si presentò al convento dei Frati Minori a Lucca, per chiedere qualche stanza per accogliere alcuni ex-detenuti. Il padre Carlo Mauro, guardiano del convento, lo accolse a braccia aperte: "aspettavo da tempo un segno della Provvidenza sull’impiego di parte di questo immenso spazio vuoto che è il nostro convento, e siete venuti voi! Dio vi benedica! Una parte del convento sarà per gli ex-carcerati!". E l’Arcivescovo Monsignor Agresti alla notizia esultò di gioia nello spirito. Da tempo, infatti, con le "antenne" sensibilissime di cui era particolarmente dotato, egli seguiva con attenzione e premura il mondo del carcere e mi aveva chiesto di riferirgli, di mese in mese, le problematiche più grosse, i bisogni più ingenti, le situazioni e i desideri dei detenuti e delle detenute e le concrete possibilità per risolvere i problemi emergenti da me individuati nei colloqui personali e nelle assemblee mensili che la Direzione consentiva di fare al Gruppo Volontari Carcere, all’interno della Casa Circondariale. Così la Diocesi stipulò un comodato gratuito con i Frati Francescani che consegnarono in sub-comodato al Gruppo Volontari Carcere, la zona del convento destinata alla Casa San Francesco per la prima accoglienza e l’avviamento al lavoro degli ex-detenuti che rientravano nelle misure alternative offerte dalla legge GOZZINI, da poco in vigore. Tramite la Caritas Diocesiana furono fatte raccolte di denaro: nacque così una grande "opera diocesiana" voluta dalla mente e dal cuore di Monsignor Agresti, il quale coglieva ogni occasione, soprattutto nella festa di San Francesco, per "inaugurare" la Casa. Nei vari "brindisi" che si facevano a "cantiere aperto" l’Arcivescovo spesso esprimeva la sua gioia a "passo di danza"; si sentiva vicino ai "nuovi lebbrosi" del tempo moderno, e voleva fare come San Francesco il quale, lungo la strada che conduce a San Damiano in Assisi, si sentì le viscere piene di misericordia e baciò colui che gli chiedeva aiuto, "non volendo distogliere lo sguardo da colui che era la sua carne".

Il 21 giugno 1991 la Casa San Francesco iniziò ufficialmente il suo servizio e Monsignor Agresti seguì compiaciuto dal Paradiso lo svolgersi della festa. Di fatto l’accoglienza era già iniziata da due anni: la ditta appaltatrice dei lavori aveva già preso, secondo quanto previsto nel contratto, due semiliberi dal carcere di Lucca come operai quasi a significare che gli stessi detenuti dovevano in qualche modo partecipare alla costruzione della loro casa.

In tutti questi anni di attività moltissime persone hanno usufruito dell’accoglienza nella Casa: persone venute per un giorno o per qualche ore accompagnate da un volontario, persone in permesso premio, altre in affidamento al servizio sociale o in semilibertà con il rientro in carcere la sera, alcuni agli arresti domiciliari, altri ancora con l’obbligo di firma e la sospensione della pena... In quasi 15 anni di attività abbiamo conosciuto volti, situazioni, problemi, storie personali e familiari di persone della lucchesia e di altre città d’Italia e d’Europa nonché molti cittadini extra-comunitari. Situazioni, drammi, problemi ai quali si è cercato di rispondere nel migliore dei modi, anche con l’aiuto di corsi professionali per facilitare l’inserimento nel mondo del lavoro: laboratori di rilegatoria e cornici, assemblamento di tomaie, corso di sartoria, corso di Commis di sala, ecc.

Anche la cooperativa sociale "La Mongolfiera" che per lungo tempo ha avuto sede presso la Casa San Francesco, ha contribuito notevolmente all’inserimento lavorativo di alcune persone. L’unione Giuristi Cattolici ci aiuta per alcune questioni particolari ed alcune parrocchie tengono rapporti di amicizia con gli ospiti della Casa mediante incontri, cene e quando è possibile sono gli stessi ospiti con alcuni volontari che si spostano nelle varie strutture parrocchiali. Molte comunità parrocchiali, inoltre, vengono a visitare la Casa San Francesco durante le feste di Natale portando generi alimentari raccolti nelle chiese, e tutti i paesi nella Diocesi sostengono la vita della Casa con la "vendita" delle piantine a primavera. Il denaro raccolto, unito al contributo del Comune di Lucca e della Caritas Diocesiana, ci permette di sostenere le ingenti spese che la conduzione della Casa comporta perché l’accoglienza periodica di 12/15 persone circa è gratuita: solo chi riesce poi a trovare un lavoro, contribuisce con qualche cosa del suo stipendio, qualche segno di corresponsabilità, di gratitudine e di aiuto a chi ancora non può dare niente.

Anche la presenza degli Obiettori è stata una bella testimonianza: giovani motivati e disponibili hanno dato per mesi e mesi la loro amicizia e il loro servizio a persone, spesso della loro età, con episodi tristi alle spalle. Da alcuni giorni è iniziata la presenza di ragazzi e ragazze del Servizio Civile.

Gli ospiti "conducono" la Casa dividendosi i compiti giornalieri: pulizie, lavanderia, cucina....dando quasi sempre prova di responsabilità e serenità, ma il miracolo più grande della Casa San Francesco è la presenza fedele dei volontari: volontari della notte e volontari del giorno. Sono professionisti, impiegati, insegnanti, operai, negozianti, artigiani, un ex-magistrato, sacerdoti, gente in pensione e non che danno un pò del loro tempo alla Casa, e durante il giorno alcune donne danno una mano per la spesa, la cucina, la biancheria…

L’esempio della fraternità inizialmente difficile a capirsi per delle persone abituate ad "arrangiarsi" in vari modi, sorprende e incuriosisce poi genera fiducia e apertura, confidenza e speranza e provoca cambiamenti, voglia di nuovo; rafforza buone intenzioni, crea amicizie vere fino a portare un ospite ad esprimersi così: "Oggi una volontaria ha lasciato sul tavolo la borsa. Fino a qualche tempo fa ne avrei approfittato ma ora non posso più farlo perché voi mi avete fatto il lavaggio del cervello e io non posso, non voglio più rubare!".

 

Agnese Garibaldi - Responsabile della Casa San Francesco

 

L’esperienza del laboratorio di musicoterapia presso la casa circondariale di Lucca

 

Ognuno di noi porta con sé il segno di una traccia sonora sacra e inviolabile distinta e unica, questa traccia accompagna ognuno di noi e come un racconto sonoro ci parla di noi agli altri.

Come strumenti sonori dialoghiamo sempre e comunque in ogni spazio, circostanza e ambiente.

E’ proprio di quest’ultimo, l’ambiente, diventa più difficile parlare per l’insieme di aspetti che lo caratterizza. In primo luogo la condizione di uno spazio ristretto e vincolato e in secondo luogo quella dei soggetti stessi che devono convivere con una realtà ad ogni modo forte e difficile.

Essi stessi soggetti e attori di un medesimo copione di fronte al quale la loro stessa vita che racchiude speranze, delusioni, dolori, aspettative, si svuota con rapidità di voglia raccontare, esprimere un’espressione emotiva.

La musica ed emozioni sono espressione e sintesi diretta di fronte alla quale ognuno di noi rimette in gioco quei segni sonori individuali e personali.

E’ proprio esprimendo questa traccia sonora unica e irripetibile per ognuno di noi che questo spazio diventa po’ più personale, aperto, meno ristretto e più vicino alla libertà interiore che forse in altre molte altre occasioni è rimasta soffocata.

Quindi uno spazio con una qualità vitale ed espressiva che rompe i ritmi fisici scanditi dalle stanze e dai corridoi, ma si riscopre di una qualità dello spazio nuovo e di riferimento.

Gli incontri tra culture e persone di diversa provenienza sociale, religiosa e cultura ci rappresentiamo musicalmente come una cartina geografica e fino ad oggi le esperienze sono state numerose e vanno da persone che venivano dai paesi medio-orientali, chi dalla Turchia, Persia, paesi nordafricani, poi rumeni, russi, Argentina, Sud America in genere e ognuno di questi alla fine riusciva a donare un canto della sua terra, della sua regione d’origine.

C’è chi ha scritto canzoni e qui ci accorgiamo quanto le memorie, le speranze, qualche sogno segreto, il pentimento, il pensiero verso l’amata sono espressioni che appartengono anche a noi e in questo spazio tra noi e loro a cadere stavolta sono proprio i muri.

 

Nazario Augusto

 

Latino nella casa circondariale

 

Ho insegnato italiano ai detenuti stranieri della Casa Circondariale S. Giorgio dal 1997 alla fine del 2003. Sono stati sette anni importanti della mia vita, in cui ho conosciuto decine e decine di uomini provenienti da ogni continente, ognuno con una storia particolare, e in possesso di competenze culturali e linguistiche diverse. Ognuno con una breve e indefinibile prospettiva di permanenza nella Casa Circondariale, di solito in attesa del processo, per poi venire trasferito altrove.

Quando ho iniziato mi chiedevo in primo luogo come avrei fatto a formare un gruppo con cui poter lavorare con un minimo di continuità, e in più a gestire un’aula in cui sarebbero confluiti analfabeti totali accanto a chi invece se la cavava già bene. Di fronte a questi due problemi mi sentivo inadeguato. Mi domandavo che interesse poteva mai suscitare in chi lo seguiva un corso che sarebbe potuto finire da un giorno all’altro, e dove chi non sapeva una parola d’italiano stava a fianco di chi parlava correttamente.

All’inizio il più incerto ero io: pensavo che nei loro panni me ne sarei rimasto in cella a dormire, o piuttosto che avrei sfruttato l’ora d’aria invece di rinchiudermi in un’aula scolastica.

Un giorno però sono stato messo alla prova: qualcuno mi chiese cos’era il latino. Dentro di me pensai che quella curiosità esulava dai nostri limitati obiettivi linguistici, ma mi accorsi anche che tutti si aspettavano una risposta dal loro insegnante, e che nessuno voleva sentirsi dire che a loro il latino non sarebbe mai servito a nulla e quindi tanto valeva soprassedere. Capii che da come avessi risposto si sarebbero sentiti detenuti a tutti gli effetti o uomini liberi almeno di fare delle domande.

Durante la lezione di latino che seguì non si sentì volare una mosca. Anche loro sapevano che di quella lingua morta probabilmente non avrebbero mai più sentito parlare in vita loro, ma proprio per questo si gustarono quelle parole come un dono raro. Anche chi probabilmente non capiva quasi nulla seguì attentamente i miei movimenti e la convinzione con cui espressi quei concetti, e si lasciò convincere dalla mia buona volontà.

Il problema in carcere non è cosa insegnare, ma come farlo. Tutti gli uomini che ho incontrato in questi sette anni mi hanno testimoniato che, imparare a scrivere, leggere, e in una parola condividere un percorso formativo, è per loro un bisogno primario. Proprio quando sembra che quasi tutto sia perduto, potersi misurare da pari a pari con un estraneo o collaborare con i compagni in difficoltà nell’apprendimento, aiuta a far ritrovare la dignità e la voglia di riscoprire un proprio ruolo positivo nel mondo.

Questa mia testimonianza viziata forse da un eccesso di personalismo, risente del fatto che oggi che ho dovuto abbandonarla quell’esperienza mi manca moltissimo. So che presto i corsi d’italiano ripartiranno e conosco anche il nuovo insegnante. Mi sento di augurargli di poter disporre di una maggiore disponibilità di mezzi, ma soprattutto di vivere le soddisfazioni personali che ho provato in questi anni.

 

Marco D’Alessandro

 

Carcere e comunità terapeutica

 

Non ho mai provato a pensare di raccontare la mia esperienza di volontariato nei vari istituti di pena toscani, e neppure di parlare della fitta e intensa corrispondenza che da circa otto anni centinaia di detenuti (da tutte le regioni), scambiano con me. Per me era un mondo del tutto sconosciuto. La prima volta che sono entrata in un istituto di pena ero con il mio collega, che ha senz’altro favorito l’inizio di questa mia attività. Si apre la porta, si chiude; si apre il cancello, si chiude… vengono chiesti i documenti… queste sono le prime cose che si vedono e si sentono.

Poi c’è l’incontro con i detenuti; loro hanno chiesto di parlare con te, perlopiù sono persone che hanno problemi di dipendenza da sostanze, e tu rappresenti un possibile "aggancio", perché fuori dal carcere si creino opportunità di vita migliori.

Ognuno è una storia unica; inizialmente diffidenti, dopo che il tempo passa, continuano a mantenere i contatti, o con colloqui visivi o con le lettere e la diffidenza iniziale si dissolve e si crea una relazione di aiuto. In tutti questi anni, per molti detenuti, la corrispondenza con il nostro centro è stata una della poche forme di scambio che hanno avuto con l’esterno. E, sicuramente, è questa consapevolezza che ha fatto sì che io fossi sempre puntuale nel rispondere alle loro lettere e nel rispettare le visite periodiche all’interno degli istituti. Quando poi alcuni scrivono che sono veramente le uniche lettere che ricevono, perché hanno "terra bruciata" intorno, allora ti rendi conto della responsabilità e del carico di questa attività. Ogni lettera è un colloquio, ogni colloquio è un incontro con una persona che chiede di essere aiutata a cambiare e a migliorare la qualità della sua vita. E’ un’esperienza che mi ha certamente arricchita sia sul piano umano che professionale, e di questo sono contenta.

 

Paola Fambrini

 

Cinema e carcere

 

Frequento il carcere e i suoi mondi paralleli da un po’ di anni, più o meno una quindicina. E’ un pianeta che mi ha da subito appassionato, che ho amato, anche se ancora oggi quando lo racconto ad un nuovo amico o ad uno vecchio ma ignaro noto sempre nei loro occhi uno sguardo un po’ strano tra lo stupito ed il preoccupato. In questi anni vi sono entrato sotto varie vesti: soprattutto come assistente volontario, ma anche come docente, orientatore, ricercatore, ecc.

E’ stato proprio tre anni fa che pensai: "Perché non introdurre nel carcere di Lucca un’altra tra le mie numerose passioni? Sì il cinema". L’idea, ancorché potesse apparire magari un po’ desueta, perché magari già sperimentata e forse "superata" (ma si può superare il cinema?), in molti altri ambiti educativi, riscontrò un certo interesse, sia da parte degli operatori che soprattutto dei detenuti, affamati come non mai di possibilità di svago e di incontro laddove esse scarseggiano

Sono passati quasi tre anni e con essi un centinaio di pellicole. L’esperienza ha avuto ed ha alterne vicende, sospesa com’è tra l’ineluttabilità delle giornate in carcere e le vicende che giornalmente possono concorrere ad invogliare le persone a recarsi nel teatrino per un film, come una giornata piovosa, piuttosto che la palestra chiusa, ecc.

Inizialmente l’esperienza era felicemente partita sia nella sezione femminile che per quelle maschili, in seguito le ragazze non hanno più avuto questa possibilità e così è ulteriormente diminuito per loro il numero delle occasioni (già ridotto ai minimi termini) di attività diverse dall’osservare il lento trascorrere del tempo.

Alle proiezioni hanno partecipato persone di culture, nazionalità, religione molto diverse, come del resto è variegata la popolazione carceraria, restando però sempre in un clima di rispettoso ascolto e tolleranza anche dell’altro che espone idee, concetti, filosofie diverse o lontane dalle proprie. Così al maschile oltre ad italiani, partecipano slavi, albanesi, persone del Magreb, centroafricani, persone dall’Europa dell’Est. Al femminile, oltre alle italiane, hanno partecipato anche slave, donne dell’America Centrale, dell’Europa dell’Est, ecc. Tutto ciò ha dato alle proiezioni ed alle successive discussioni, un’atmosfera di reale multiculturalità, tante etnie diverse a confronto con tolleranza e rispetto.

Molte delle pellicole sono risultate di una stringente attualità, a volte cercata, come nel caso degli scenari di guerra la cui visione ci riportava al conflitto afgano, o iracheno a volte capitata, come il ciclo argentino, scelto prima di sapere che il paese sarebbe drammaticamente tornato in prima pagina per le sue vicende storiche o "I cento passi", proiettata il giorno stesso della sentenza di condanna del boss mafioso Gaetano Badalamenti per l’uccisione di Peppino Impastato della cui vita tratta il film.

Mi sembra importante evidenziare che abbiamo spesso trattato argomenti molto interessanti, seri, talvolta crudi, ma sono sempre stati accolti e recepiti in maniera equilibrata, ossia, cercando di cogliere quale messaggio positivo potesse essere colto dalla pellicola. Intendo dire che anche la visione di film come "La rivolta", che aveva come sfondo una situazione carceraria, piuttosto che temi come la corruzione, la criminalità organizzata, la violenza delle dittature dell’America Centrale, spesso esercitata anche attraverso le forze dell’ordine, ha permesso ai partecipanti di riflettere su visioni del mondo diverse e spesso conflittuali, senza innescare ulteriori conflitti, ma portando via con sé, una volta terminata la visione e la discussione, un bagaglio ancora più ricco.

 

Massimiliano Andreoni

 

Il Seac

 

A Milano, all’inizio degli anni ’60, presso la Casa Opera San Fedele, si svolgono una serie di incontri tra i principali gruppi cattolici impegnati al nord Italia nell’assistenza ai carcerati. L’iniziativa è promossa da alcuni dirigenti dell’Azione Cattolica Uomini giunti da Roma proprio per stringere legami tra le associazioni dei primi volontari in carcere e dare vita ad un loro Coordinamento. Alla fine dell’estate del 1967, all’Isola D’Elba, si svolge il primo raduno nazionale, al quale partecipano i rappresentanti di una trentina di enti, giunti da tutta Italia.In poco tempo il numero delle associazioni coinvolte raddoppia e il 14 settembre 1968 si dà un nome al Coordinamento: "Segretariato Nazionale Enti di Assistenza ai Carcerati". Viene approvato lo statuto, assieme a due ordini del giorno, e nasce così il SEAC, che arriva temporalmente subito dopo il concilio vaticano II, evento che aveva cambiato il volto della Chiesa Cattolica, lo stesso anno in cui in Italia e in Europa esplodevano le contestazioni degli studenti e degli operai. Un momento, pertanto, particolare in cui un grande desiderio di giustizia attraversava il mondo intero e le richieste di cambiamento sociale puntavano ad una società più giusta e attenta ai bisogni delle minoranze.

Oggi, a quasi quarant’anni dagli incontri di Milano e dell’Isola D’Elba, l’intuizione decisiva dei pionieri del volontariato in carcere è ancora viva. Il Segretariato, nato per promuovere le attività delle associazioni impegnate nelle carceri, si è trasformato e ampliato in un Coordinamento delle stesse associazioni tuttora impegnate nei confronti delle persone detenute. Sono proprio degli ultimi anni le più significative conquiste del Seac: una rete di interventi non più ristretta ai soli istituti di pena ma diffusa anche nel territorio, maggior dialogo a confronto con le istituzioni e il governo sui problemi dell’amministrazione della giustizia, una formazione dei volontari più qualificata e aperta anche alla dimensione politica del proprio impegno. Oggi Seac vuol dire non più e non solo volontariato penitenziario, ma volontariato impegnato a pieno titolo nella promozione della giustizia. Il Seac è stato, tra l’altro, tra le prime associazioni, ad introdurre in Italia il tema della mediazione penale, tra gli autori e le vittime dei reati, per un nuovo modello di pace sociale da raggiungere.

Il Seac conta oggi oltre 100 adesioni sul territorio nazionale, (tra queste associazioni il G.V.C. di Lucca)che hanno come primo riferimento 15 coordinamenti regionali.

In quanto Coordinamento Nazionale, il Seac indirizza, promuove e sostiene l’attività del volontariato penitenziario aderente, con la pubblicazione del bimestrale " Seac notizie", l’organizzazione di un convegno nazionale in coincidenza con la convocazione annuale dell’assemblea degli aderenti, con l’alimentazione del sito www.volontariatoseac.it e gli incontri trimestrali del consiglio nazionale al quale partecipano di diritto i responsabili di ciascuno dei coordinamenti regionali che rappresentano la spina dorsale dell’organismo.

Il Seac è presente nella Consulta Nazionale Associazioni laicali in ambito C.E.I., nel gruppo di lavoro "3° settore – società civile" dell’ufficio nazionale per i problemi sociali ed il lavoro,e nella consulta delle opere socio-caritative della Chiesa Italiana (la cui segreteria è affidata alla Caritas). Aderisce inoltre alla ConVol (Conferenza permanente dei Presidenti delle associazioni e federazioni nazionali di volontariato).

Il Seac ha fortemente voluto la Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia di cui è, con Caritas, Arci, Ora d’aria e F.I. Vol., costituente ed è organismo di riferimento anche nelle Conferenze Regionali costituite.

La costituzione e lo sviluppo della C.N.V.G (Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia) e delle Conf. Regionali, con l’impegno in ruoli di responsabilità di volontari del Seac, ha comportato per il nostro organismo la necessità di un intervento in profondità che in occasione dell’assemblea nazionale del 13/9/2003 ha dato conferma di nuove disponibilità personali a svolgere funzioni dirigenti nazionali e regionali. I responsabili nazionali svolgono generalmente attività di volontariato in carcere e sul territorio e si rendono e disponili per la funzione di animatori e relatori delle iniziative di formazione per i volontari e di sensibilizzazione delle comunità locali sulle tematiche e problematiche della giustizia, promosse dai coordinamenti regionali e direttamente, dalle associazioni aderenti.

Il Seac nella sua lunga storia, precedentemente alla costituzione della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e delle Conferenze Regionali, a tutela dell’azione dei volontari nell’area penale, ha svolto anche l’opera di raccordo e confronto con l’amministrazione penitenziaria.

Attualmente il Seac ha in corso uno sforzo di ridefinizione della propria identità e della specificità del proprio operare che si estrinseca prevalentemente nella formazione e qualificazione dei volontari in relazione alla loro attività di ascolto, di presenza accanto, di assistenza alle famiglie, di promozione ed organizzazione di situazioni di accoglienza sul territorio. Per ciò intende avvalersi delle condizioni generali e degli spazi operativi che la Conferenza Nazionale e le Conferenze Regionali saranno in grado di garantire.

 

Piergiorgio Licheni, Presidente Seac Nazionale

 

Due parole anche sul lavoro

 

I termini lavoro e carcere negli ultimi tempi viaggiano spesso affiancati: sarà perché il legislatore negli ultimi quattro anni ha prodotto diverse normative su questi temi, come il D.P.R.  30 giugno 2000  n. 230 Riforma Ordinamento Penitenziario che sancisce che le lavorazioni penitenziarie, sia all'interno sia all'esterno dell'istituto, possono essere organizzate e gestite dalle direzioni degli istituti secondo le linee programmatiche determinate dai provveditorati. Allo stesso modo possono essere organizzate e gestite da imprese pubbliche e private e, in particolare, da imprese cooperative sociali, in locali concessi in comodato dalle direzioni oppure la 193/2000 meglio nota come Smuraglia, che consente facilitazioni di carattere fiscale e di abbattimento contributivo a cooperative e aziende che effettuino a seconda dei casi attività formative all’interno, lavorazioni interne, assunzioni di detenuti in art. 21.

A leggerle così parrebbe che ci si possa sempre più allontanare da quella realtà che ha invece sempre visto il lavoro come presenza marginale in carcere, poco e per pochi.

Ebbene anche a Lucca qualcosa si sta muovendo: già ci sono stati diversi incontri tra la direzione, amministratori degli enti locali e imprenditori, in particolare della cooperazione sociale per cercare di verificare le possibili applicazioni di queste e di altre norme innovative nella nostra realtà lucchese e per dare una risposta concreta alla prima richiesta che anche a Lucca le persone detenute fanno: lavoro. on l’impegno, la speranza e l’augurio che dalle parole si possa passare ai fatti.

 

La redazione

 

Progetti

 

Da oltre 15 anni il Gruppo Volontari Carcere gestisce la Casa San Francesco per detenuti "dimessi" dal carcere e per quelli che usufruiscono di misure alternative. Gli interventi offerti vanno dall’accoglienza, all’orientamento professionale, all’azione rivolta al reinserimento nel mondo e, più in generale, nella società civile.

Nel 2001 è nato, all’interno dell’esperienza della Casa San Francesco, il progetto "In ascolto per crescere" il cui più importante elemento di novità è stato quello della presenza costante di un educatore all’interno della struttura. Ciò ha permesso di rendere più organici vari interventi e ha dato la possibilità di individuare ed affrontare più precocemente determinate problematiche (condizioni di dipendenza da sostanze, problema degli immigrati non in regola, etc.) nonché il supporto delle stesse. Tale progetto è proseguito fino al 2003 sviluppando anche altre tematiche: l’educazione civica degli ospiti, un’attività ragionata di cineforum, un piccolo intervento di insegnamento dell’informatica di base che ha permesso anche agli ospiti di poter usufruire del PC a disposizione della Casa. Quella che viene proposta per il 2004 è la 3°fase del percorso che si prefigge di continuare l’azione iniziata mettendo in opera anche nuovi interventi:

l’attività di coordinamento delle volontarie e dei volontari del servizio civile nazionale;

l’attività di promozione sul territorio dell’azione della mediazione penale, intendendo con tale accezione la gestione dei conflitti nelle situazioni penali, del rapporto tra gli autori e le vittime dei reati;

la ricerca e la promozione dell’attività di volontariato all’interno del nostro gruppo nelle sue varie attività: casa di accoglienza, intervento in carcere, sensibilizzazione alle tematiche dell’area della giustizia; progettazione di nuove azioni utilizzando le varie possibilità che si presentano per ampliare la qualità delle nostre attività riuscendo ad usare anche altri tipi di finanziamento pubblico.

Uno dei progetti attualmente in corso di svolgimento è il progetto "D.I.A.D.E.": Dall’Indifferenza all’Aiuto verso Detenuti ed Ex-detenuti, per un volontariato della giustizia che superi la vendetta con la mediazione.

Si tratta di un progetto presentato all’Ufficio nazionale servizio civile nel 2003 e che è stato riconosciuto meritevole di poter accogliere i volontari del servizio civile.

Il progetto, partito con 3 volontarie e 2 volontari il 3 maggio scorso, si articolerà su diversi interventi:

intervento di accompagnamento degli ospiti della struttura di accoglienza Casa San Francesco;

intervento nei contatti con le famiglie delle persone accolte nella Casa o seguite in carcere;

intervento con attività di colloquio all’interno della Casa Circondariale di Lucca ;

redazione del giornalino "Espressioni dal di dentro,dal di fuori";

attività di preparazione del convegno della provincia sul carcere a Lucca e attività di gestione della rete territoriale delle agenzie pubbliche o private interagenti con il mondo del carcere;

attività di gestione ed implementazione del sito web;

intervento di sensibilizzazione sulle tematiche del carcere rivolto alla cittadinanza;

creazione di un gruppo di counselling inerente l’attività di mediazione penale e di gestione dei conflitti inerenti l’area penale.

 

Relativamente a quest’ultimo punto è stato ideato un ulteriore progetto, intitolato "I.C.A.R.E." : Insieme Caino e Abele per una Riconciliazione Equa. Anch’esso, presentato nel 2003, è stato riconosciuto come valido ed ammesso al finanziamento del Cesvot (Centro Servizi Volontariato Toscana). Il progetto partirà in autunno ed è diviso in due sezioni:

intervento di sensibilizzazione sulle tematiche del carcere rivolto alla cittadinanza, in vari ambiti come l’associazionismo, le scuole secondarie, le parrocchie.....

creazione pratica di un gruppo di counselling sull’attività di mediazione penale.

Un intervento come questo di informazione e formazione sul territorio rivolto al tema della mediazione riteniamo che sia un’azione particolarmente innovativa. Il rapporto tra autori e vittime dei reati è chiaramente difficile:da una parte ci sono le vittime con la loro sofferenza, divise tra rancore e perdono, dall’altra c’è la società tra sostegno ed indifferenza. Nel mezzo vi sta la giustizia, tra singolo e società. Il progetto prevede di affrontare questo tema, abbastanza poco conosciuto, con tecniche di counselling e di gestione dei conflitti in modo non violento, in piccoli gruppi a cui possano partecipare autori, vittime e semplici cittadini.

Abbiamo infine creato un’altro progetto a cui abbiamo dato il titolo di "I.M.A.G.I.N.E.": Immigrazione e Area della Giustizia, tra Normativa ed Esperienze. Anch’esso finanziato dal Cesvot, prevede un corso di formazione per volontari che avrà luogo nell’autunno prossimo. Il progetto nasce dall’esigenza di approfondire il tema dell’immigrazione, con particolare riferimento ad immigrazione ed area penale, volendo descrivere con questa accezione tutto quel mondo di cittadini stranieri che, giunti in Italia, spesso senza permesso di soggiorno e privi di quei minimi standard di vita dignitosa, sovente "sopravvivendo", incrociano sempre più spesso le aule dei tribunali, o transitano in cella, o, nella migliore delle ipotesi, si trovano ad essere "utenti"dei centri di servizio sociale, in quanto beneficiari di una pena "alternativa". E’ un nuovo mondo nel "mondo a parte" che rappresenta oggi il carcere. Con questo corso di formazione si intende fornire contenuti relativi all’attuale normativa italiana, dalla Bossi-Fini alle varie sentenze che si sono succedute, alla situazione degli stranieri in carcere o nei centri di servizio sociale e dar voce ad alcune significative esperienze che lasciano le porte aperte alla speranza anche per questi cittadini spesso solo più sfortunati di noi.

 

Redazione esterna: Chiara Riannetti, aura Guidotti, Chiara Allegroni, Alberto Ramacciotti, Federico Lampronti

Redazione interna: C.C. San Giorgio - Lucca in via di costituzione

Coordinamento redazionale: Massimiliano Andreoni

 

Progetto grafico: Chiara Riannetti, Laura Guidotti

 

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