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La Libera Bottega dell’arte della Cooperativa Soligraf
Nella
Casa di Reclusione di Opera, un progetto di trasformazione del
carcere-contenitore in carcere-laboratorio, con gli scalpellini che "rifanno"
il Duomo di Milano Lodovico Mariani, responsabile Unità produttive Cooperativa Soligraf di
Melegnano Intervista a cura di Marino Occhipinti Ci
parla della Cooperativa Soligraf, e cioè quando e come nasce e dove svolgete la
vostra attività lavorativa? La Cooperativa Sociale Soligraf è una Cooperativa di tipo B che ha sede a Melegnano ed è attiva all’interno del Carcere di Milano-Opera. La Cooperativa nasce nel 1995, ed è strettamente legata all’Associazione di volontariato “Il Bivacco”, che si occupa, dall’87, dell’accoglienza dei permessanti provenienti principalmente dalle carceri lombarde, che non hanno altra possibilità. Ovviamente, dall’esperienza dei permessanti, le stesse persone hanno pensato di dare vita ad una realtà produttiva, un qualcosa in più. Con
quali lavori avete iniziato? Fondamentalmente e tradizionalmente l’attività era quella di stampa. Il nome Soligraf richiama appunto la stampa; il lavoro si sviluppava nella tipografia interna al carcere, un lavoro oramai andato perduto a causa di varie difficoltà: mancanza di commesse, macchinari obsoleti, la non competitività nelle gare di appalto vista l’impossibilità di ottenere prezzi concorrenziali sugli acquisti delle materie prime come la carta e per ultimo la rigidità della struttura penitenziaria. Attualmente
nel laboratorio della stampa ci occupiamo
dell’obliterazione delle ricette mediche della Regione Lombardia, su commessa
del Consorzio CSC, attività oramai consolidata che costituisce uno dei
capisaldi della Cooperativa. Ma
una volta che gli enti ed i privati che vi forniscono il lavoro si saranno
automatizzati, non sarà un’attività a rischio di estinzione? No, perché si tratta di una questione legale. Le ricette devono obbligatoriamente essere cancellate per evitare che tornino in circolazione e vengano riutilizzate, vere e proprie, truffe, quindi è un lavoro che, a meno che non scompaia la ricetta medica, di sicuro non verrà meno. Le ricette non si possono neppure distruggere perché vanno conservate come prova per cinque anni, e solamente dopo vanno distrutte, ma nel frattempo è necessario renderle immediatamente inutilizzabili. Per tale scopo abbiamo delle macchine da stampa degli anni ‘50, che si sono rivelate essere le più adatte a questa lavorazione, che effettuano una zigrinatura di colore verde sul fronte e sul retro della ricetta. Di
cosa si occupa all’interno della Cooperativa, qual è il suo incarico? Attualmente
sono il responsabile della Unità produttive. Come Soligraf abbiamo quattro
lavorazioni diverse, io sono il collegamento e mi occupo di tutti i rifornimenti
e di gestire i lavoratori. Un anno fa è partito un progetto con la legge 59/92,
che è la legge sui finanziamenti delle cooperative, il fondo del 3% degli utili
che viene poi utilizzato per finanziare lo sviluppo cooperativistico. Abbiamo
presentato un progetto che si chiama “La Libera Bottega dell’Arte”,
indirizzato alla formazione di detenuti per la durata di 454 ore, così da
arrivare alla creazione di una nuova cooperativa: Arti@Mestieri. La nuova
Cooperativa, formata prevalentemente da detenuti, ha da alcune settimane
iniziato a gestire, con il sostegno di Soligraf che è socio sovventore, la
produzione ed i laboratori della
pietra e del legno. A tale risultato si è potuti arrivare grazie all’istituto
di formazione Galdus, in collaborazione con il quale negli anni passati sono
stati realizzati corsi di formazione, soprattutto nell’ambito della
lavorazione della pietra. Insomma
avveniva la formazione ma di fatto i detenuti non lavoravano…
Esatto, però quelli che dimostravano migliori attitudini e che non venivano trasferiti venivano ripresi nell’edizione successiva, perché soprattutto per quanto riguarda la lavorazione della pietra il lavoro non è immediato da apprendere, ci vogliono anni di tirocinio. Attualmente le persone che lavorano alle dipendenze di Soligraf hanno delle buone competenze, ma in questo campo c’è comunque sempre da imparare. Cosa
fanno, materialmente, come lavoro? Abbiamo
una commessa che è il nostro fiore all’occhiello: la collaborazione con la
Veneranda Fabbrica del Duomo, che ha creduto ne nostro progetto e che quindi ci
sostiene passandoci questi lavori. Ci vengono consegnati pezzi del Duomo
usurati, che sono ormai da sostituire, e pezzi di marmo di Candoglia - il marmo
con cui tutto il Duomo è costruito -, che i nostri scalpellini devono
riprodurre fedelmente, perché venga poi posizionato sul famoso monumento.
Questa è la nostra certificazione di qualità, e quando ci proponiamo mettiamo
subito avanti questo nostro biglietto da visita. Quante
persone sono impegnate in questa attività? Dunque, attualmente nella lavorazione della pietra sono impegnate cinque persone, assunte dalla neonata Cooperativa Arti@Mestieri. Altre cinque, anch’esse assunte, lavorano nel laboratorio del legno. Con
quali tipi di contratto assumete i vostri dipendenti?
Sono tutti assunti con il Contratto Collettivo Nazionale delle Cooperative sociali, perché questa è la nostra politica, che viene applicato a partire dal presidente fino allo scalpellino, con tutti i diritti del lavoro a tempo indeterminato. Tre degli scalpellini sono assunti al terzo livello, in ragione della loro maggiore capacità, gli altri sette al secondo livello, con contratto a tempo indeterminato. Insomma,
almeno sotto questo aspetto, il fatto di essere in carcere e di lavorare in
carcere non cambia la situazione rispetto a chi è fuori. Quante ore settimanali
effettuano i detenuti, tenendo conto degli orari di “apertura” degli
istituti di Pena? Hanno un contratto part-time di 20 ore settimanali, perché tra discesa, perquisizioni e quant’altro, più di quello non riescono a fare. Ferro e pietra sono materiali pesanti e le ovvie esigenze di sicurezza, abbinate alla burocrazia, ogni tanto complicano l’accesso in carcere, però poi rientra la normalità e si va avanti. Gli
sgravi e gli incentivi della legge Smuraglia vi aiutano in qualche modo?
Si, certamente, noi utilizziamo in pieno la legge Smuraglia, che è un bell’incentivo, visti i tempi e le complicazioni burocratiche che ci possono essere e che quindi rallentano per forza. Senza la legge Smuraglia avremmo dovuto rinunciare alle regolari assunzioni per utilizzare strumenti diversi come il lavoro a cottimo o il volontariato, penalizzando i rapporti di lavoro che così invece sono normali e rendono normali anche le motivazioni dei detenuti. In questo modo si instaura un reale rapporto lavorativo, che non ha nulla di caritatevole e non comporta le implicazioni del “noi siamo i bravi ragazzi che entrano in carcere”, ma dà la possibilità di collaborare, lavorando assieme sullo stesso piano. Parlava
di quattro lavorazioni diverse. Quali sono le altre, oltre alla pietra?
Abbiamo un laboratorio del legno, ed uno di stampa, di cui abbiamo già parlato. Il laboratorio del legno è stato attrezzato con tutti i macchinari necessari a realizzare una produzione artigianale di ottima qualità. Per
la falegnameria da chi avete lavoro?
Per ora abbiamo piccole commesse che noi chiamiamo “parentali” ed “amicali”, però ci stiamo inserendo e siamo alla ricerca di commesse più strutturate, come ad esempio l’Amministrazione penitenziaria e la Curia Arcivescovile. Non sono ancora concluse ma stiamo cercando di trovare possibilità di collaborazione in questo senso; sembra che le risposte siano buone e dovremmo avere buone possibilità di riuscita. L’ultima
attività?
Il quarto è un laboratorio di lavorazione artistico artigianale del ferro che sta prendendo le mosse in questo giorni, con la parte formativa da parte di un fabbro ferraio. Tale attività è stata avviata in convenzione con il Comune di Milano e coinvolge 6 persone detenute, che attualmente fruiscono di una borsa lavoro. Da una parte la lavorazione artistica e dall’altra una carpenteria di medie dimensioni. Per questa seconda attività abbiamo già un rapporto con un’azienda con la quale, entro poche settimane, cominceremo i primi test di lavorazione, quindi il laboratorio del ferro ha già un suo canale lavorativo e la sua autonomia, un buon futuro. Ma
il senso del vostro impegno e delle vostre iniziative è finalizzato
esclusivamente ad offrire qualche opportunità lavorativa oppure avete anche
intenti diversi e più profondi? Il senso delle nostre iniziative fa parte di un progetto di trasformazione del carcere-contenitore in carcere-laboratorio che, con attività di progettazione, formazione, volontariato e cooperazione sociale, dia alla detenzione un valore di reale risarcimento e di concreta opportunità di vita. Tutto ciò che è costruzione di percorsi alternativi ad un carcere di puro isolamento e di pura dissuasione, contribuisce a costruire una vera prospettiva della pena. In qualche modo vogliamo attivare un “percorso formativo allargato”, non finalizzato alla sola costruzione di specifiche prestazioni professionali, ma in senso generale a ricercare una cultura del lavoro e, in qualche modo, una cultura del sociale. Percepisco
tanto entusiasmo, ottimismo e voglia di fare. Ma lei come è arrivato in
carcere, anche se da esterno? Come ci si avvicina a questo mondo? Ho conosciuto Soligraf lo scorso anno, e fino a pochi mesi fa stavo per intraprendere la carriera di commercialista nel mio paese. Un po’ di differenza, è vero, un bel salto, ma stavo cercando di lavorare nell’impresa per scelta, desiderio e precisa volontà. Sono arrivato tramite una mia amica che conosceva questa grande famiglia, la Soligraf e l’associazione Il Bivacco che lavorano assieme e si sostengono. Difatti è nata anche una cooperativa di tipo A di servizi alla persona, che si chiama Il Bivacco Servizi, per meglio supportare e accompagnare la persona da un punto di vista psicologico ed educativo nel suo percorso di reinserimento lavorativo sociale e familiare. Si è sentita l’esigenza di dare una struttura migliore proprio per cercare di fare quei percorsi integrati, per offrire si il lavoro ma anche una casa, un sostegno alla persona che sia il più completo possibile, e in questo la sinergia tra Soligraf e Il Bivacco è massima. Qual
era la sua idea dei detenuti e del carcere prima di entrarci e come si è
modificata, in meglio o in peggio, adesso che ha conosciuto direttamente le
persone? Mah, sinceramente conoscevo molto poco il carcere, era un mondo che forse sentivo anche molto lontano. Non mi ero mai molto interessato, e ovviamente avevo qualche pregiudizio, invece quando mi sono trovato a lavorarci, con i detenuti, ho trovato persone normali con a volte un po’ di entusiasmo in più, a volte con un po’ di depressione in più, ma come se ne incontrano tutti i giorni. Sinceramente,
rispetto alle persone che conoscevo e con cui collaboravo prima, mi trovo molto
meglio e sono molto più contento. Preferisco sicuramente i detenuti ai piccoli
commercianti del paese in stavo ed a cui tenevo la contabilità, questo è
garantito. Speriamo
che l’intervista non la leggano proprio loro…
Ma
lo sanno, glielo ho anche detto nel momento in cui mi sono dedicato solamente
alla Soligraf ed abbandonato la precedente carriera. E mi creda, non sono
assolutamente pentito della scelta. Cooperativa
sociale Soligraf Via
Solferino, 24 20077
Melegnano (MI)
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