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Sul rapporto fra immigrazione e criminalità in Italia e negli altri paesi occidentali Barbagli M.,
Immigrazione e criminalità in Italia, Bologna, Il Mulino, 1998
Quella del rapporto fra immigrazione e criminalità è una questione delicata e difficile. Non solo nei quotidiani, ma anche nelle riviste scientifiche, i dibattiti che avvengono su questo tema risentono più delle posizioni politiche dei partecipanti che delle analisi dei dati di fatto. Prendiamo, per esempio, quattro proposizioni. La prima dice: "l’immigrazione provoca sempre l’aumento del numero di reati nel paese di arrivo". La seconda dice: "oggi, gli immigrati extracomunitari nel nostro paese commettono alcuni reati (furti, spaccio e traffico di stupefacenti, rapine, omicidi) più spesso degli italiani". La terza è: "il forte aumento della criminalità (furti, spaccio e traffico di stupefacenti, rapine ed omicidi), che vi è stato in Italia nell’ultimo decennio è stato provocato dagli immigrati". La quarta proposizione è: "in tutti i paesi occidentali, gli immigrati hanno sempre commesso alcuni reati più spesso degli autoctoni". Se chiediamo ad un campione rappresentativo di italiani di dire, per ciascuna proposizione, se è vera o falsa, ci accorgeremo che essi tendono a considerarle tutte vere o tutte false e che il loro giudizio varierà a secondo del livello di istruzione e dell’orientamento politico. Ma se consideriamo questo un tema di ricerca, raccogliamo dati sulla situazione italiana dell’ultimo decennio, esaminiamo la letteratura scientifica prodotta negli Stati Uniti ed in molti paesi d’Europa, vediamo invece che le prime due proposizioni sono vere e le altre due false.
La prima proposizione
Per la verità, per dire se la prima proposizione è vera non è necessario raccogliere dati o fare ricerche bibliografiche. Basta un po’ di buon senso. In ogni popolazione umana vi sono sempre un certo numero di persone che, magari solo per una breve fase della loro vita, commettono reati. Dunque, se cento mila, cinquecento mila o un milione di persone immigrano in un paese possiamo stare certi che in questo paese aumenterà il numero dei reati (anche se gli immigrati ne commettono meno degli autoctoni), così come aumenterà il numero delle nascite, delle morti e dei matrimoni o la domanda di abitazioni, di auto, di scarpe o di pomodori.
La seconda proposizione
Molto più complesso è invece sottoporre a verifica la seconda proposizione. Per farlo dobbiamo lavorare su dati. Ma su quali ? Normalmente, coloro che sostengono che gli immigrati provocano un aumento delle forme di devianza citano tre "prove" che considerano "inconfutabili": gli immigrati monopolizzano lo spaccio della droga; immigrate sono le donne che si prostituiscono nelle strade e nei viali; di immigrati sono stracolme le nostre carceri. Si tratta di argomenti sicuramente efficaci, perché fanno riferimento a realtà (lo spaccio e la prostituzione) che una parte degli italiani che vivono nei centri urbani ha avuto modo di osservare direttamente. E tuttavia essi forniscono un quadro parziale e distorto di quanto sta avvenendo nel nostro paese. Che la presenza degli stranieri negli istituti di pena sia fortemente aumentata è indubbio. Dal 1991 al 1996, il loro peso è passato dal 16 al 28%. Ma vi sono molti buoni motivi per considerare questo come il meno affidabile degli indicatori dei reati commessi nel nostro paese da cittadini non italiani. In primo luogo, è noto che si entra e si resta in carcere per ragioni del tutto diverse: per custodia cautelare, in attesa di giudizio, e in esecuzione di pena, dopo la condanna definitiva. Ma, a parità di reato commesso, la custodia cautelare è imposta più spesso agli stranieri che agli autoctoni (come vedremo nel prossimo capitolo). In secondo luogo, a parità di pena, gli stranieri godono meno degli italiani delle misure alternative e di pene sostitutive alla detenzione. In terzo luogo, i reati commessi di solito dagli stranieri sono proprio quelli che più spesso portano in carcere. Gli indicatori più affidabili sono dati dalla quota degli stranieri sul totale dei condannati o sul totale dei denunciati per i vari reati. Per evitare fraintendimenti è bene tuttavia che il lettore tenga presente che questa quota comprende sia gli stranieri muniti di permesso di soggiorno che quelli che ne sono privi. Nel 1998, la quota degli stranieri sul totale dei condannati variava a seconda dei reati, ma era in generale abbastanza contenuta. Per i furti era il 6,9%, per le rapine il 3,4%, per la produzione, il traffico e lo spaccio di stupefacenti era il 6,8%, per la ricettazione il 3,9%, per le estorsioni l’1,9%, la violenza carnale il 5,9%, l’omicidio tentato l’1,4%, l’omicidio consumato il 2,4%. Bisogna poi tenere conto del fatto che la popolazione immigrata ha una composizione per sesso ed età diversa da quella italiana, nel senso che è più giovane ed ha una quota di maschi più elevata. E noi sappiamo che, in tutti i paesi, sono i giovani maschi coloro che più spesso commettono i reati dei quali ci stiamo occupando. Per mettere a confronto immigrati ed italiani dobbiamo dunque tenendo sotto controllo le variabili sesso ed età. Seguendo questo giusto metodo vediamo che, nel 1988, a parità di sesso e di età gli immigrati commettevano meno spesso i reati ricordati degli autoctoni. La situazione è cambiata negli anni successivi. Il numero degli immigrati presenti in Italia con regolare permesso di soggiorno non ha avuto grandi variazioni nel periodo che ci interessa (dal 1991 al 1995 essi sono passati da 679 a 729 mila). Invece, dal 1988 al 1996 la quota degli stranieri sui denunciati e sui condannati è fortemente aumentata. Per alcuni delitti è raddoppiata, per altri è triplicata, per altri ancora è addirittura sestuplicata. Ma la cosa che più colpisce è che questo straordinario aumento è avvenuto per tutti i reati, lievi e gravi, strumentali (rivolti cioè a raggiungere un utile economico) ed espressivi (nati cioè da azioni impulsive e fine a se stesse): furti e rapine, ricettazione e produzione e commercio di stupefacenti, lesioni volontarie, violenze carnali ed omicidi. Solo in due degli undici delitti presi in considerazione, la quota degli stranieri, pur essendo aumentata, non ha raggiunto il 6%: l’incendio doloso e l’estorsione. In valore assoluto, il reato per il quale è stato condannato il numero più alto di stranieri é il furto. Il reato in cui vi è stata una crescita più rapida della quota di stranieri (che è sestuplicata, passando dal 3,2% nel 1988 ad oltre il 20% nel 1996) è stato la rapina. Per questi reati, la crescita della quota degli stranieri sui condannati si è verificata in tutto il paese: nelle regioni del Nord ed in quelle del Sud, nei centri urbani e nei comuni di provincia, nella popolazione maschile ed in quella femminile, fra i minori, i maggiorenni giovani ed i trentenni. Ma questa crescita non è avvenuta ovunque con la stessa velocità. Cosicché la quota degli stranieri sui condannati ha raggiunto valori più alti in certi luoghi ed in certi strati della popolazione che in altri. Oggi questi valori sono eccezionalmente elevati nelle grandi città dell’Italia centro settentrionale, dove ci si è avvicinati ai livelli dei paesi europei che hanno una percentuale di stranieri sulla popolazione molto maggiore della nostra. Molto alti questi valori sono anche, per alcuni reati, nella popolazione maschile fra i 20 ed i 30 anni. Ed altissimi, nel caso dei furti, sono fra i minori. Nel 1988, le città centro settentrionali avevano una percentuale di stranieri sui condannati per furto cinque volte maggiore di quelle meridionali. Ma negli otto anni successivi la distanza fra le prime e le seconde è ulteriormente cresciuto perché questa percentuale è rimasta quasi invariata nelle grandi città del Sud, mentre è più che triplicata in quelle del Nord. Per dare un’idea ancora più precisa di quanto è avvenuto mettiamo a confronto Milano, Genova e Palermo. Nel 1988 la città ligure, sicuramente per le attività del suo porto, aveva una percentuale assai elevata di stranieri sui condannati per furto. Il capoluogo siciliano ne aveva una molto bassa. In quello lombardo, tutti i condannati per furto erano italiani. Nella prima metà degli anni 90, a Palermo il valore di questo indicatore è rimasto costante, a Genova è aumentato lievemente, a Milano è schizzato in alto, toccando livelli impensabili. Simile è stato l’andamento della percentuale degli stranieri sui condannati per produzione e commercio di stupefacenti. Nel 1988 la differenza fra le città del Nord e quelle del Sud era già enorme (undici volte maggiore). Eppure negli otto anni seguenti è ancora aumentata. Per vedere meglio quanto è successo, raffrontiamo questa volta Genova e Palermo con Firenze . Nel 1988, anche per questo reato, la quota di stranieri era già molto elevata nel capoluogo ligure (contrariamente a quanto hanno sostenuto alcuni anni dopo i comitati per la sicurezza). Ma negli otto anni seguenti è raddoppiata (superando il 53%). Nel capoluogo siciliano il valore di questo indicatore si è mantenuto bassissimo per tutto il periodo. Nel capoluogo toscano questo valore ha subito una straordinaria impennata. Ancora più eloquenti sono i dati riguardanti le rapina. Nel 1988 le città del Nord avevano una quota di stranieri sui condannati per questo reato solo di poco superiore a quelle del Sud. Ma negli otto anni seguenti questa quota è più che quintuplicata nelle prime, mentre è aumentata solo lievemente nelle seconde. Il confronto più interessante è in questo caso fra Napoli e Firenze. Nel 1988 nel capoluogo campano questa quota era molto più elevata che in quello toscano. Ma la situazione è radicalmente mutata nella prima metà degli anni ‘90. Le differenze fra le grandi città del Nord e quelle del Sud risultano ancora più chiare allargando il confronto agli altri comuni capoluogo ed a quelli non capoluogo. Dal 1988 al 1995, nel Nord la quota degli stranieri sul totale dei condannati per i tre reati considerati è sempre stata tanto più elevata quanto più grande era il comune. Nel Sud, già nel 1988 questo era vero solo per due dei tre reati. Ed oggi la quota degli stranieri sui condannati è maggiore nei comuni della provincia che nei capoluoghi. Vittime di questi reati sono talvolta gli stessi immigrati. Lo sono sicuramente quelle prostitute che non scelgono di dedicarsi a questa attività, ma che vengono raggirate, costrette, sfruttate da gruppi di connazionali. Lo sono i minori, acquistati o affittati per essere utilizzati nelle attività illecite. Lo sono altri immigrati, donne ed uomini, che subiscono aggressioni, violenze o vengono uccisi da concittadini o da persone di altri paesi. Gli immigrati sono infine vittime di reati commessi contro di loro da cittadini italiani. In mancanza di dati di ricerca non sappiamo con che frequenza questo si verifichi. Ma sul fatto che avvenga non vi sono dubbi. La crescita dei reati degli immigrati non vi è stata per tutte le attività illecite nè a tutti i livelli a cui queste vengono di solito svolte. Nel sistema di stratificazione sociale del nostro paese, gli immigrati si trovano ancora nei gradini più bassi. E dunque essi sono esclusi dalle possibilità di commettere determinati tipi di reati che hanno gli appartenenti ai ceti più elevati: deputati e ministri, assessori e sindaci, imprenditori e dirigenti di azienza, farmacisti, avvocati e medici. Questo tuttavia non significa che, nel sistema di stratificazione della attività illecite, gli immigrati occupino solo le posizioni più basse e meno remunerative. Certo, le rapine contro le banche, gli uffici postali e le gioiellerie continuano ad essere compiute quasi esclusivamente dagli italiani, così come sono ancora saldamente nelle mani degli italiani i settori tradizionalmente controllati dalla criminalità organizzata. Ma nel mercato degli stupefacenti, nel contrabbando, nel traffico di clandestini, nello sfruttamento dei minori e della prostituzione, gli immigrati occupano spesso anche posizioni medio alte, in termini di potere e di ricompense economiche. Non tutte le nazionalità sono egualmente coinvolte in queste attività. Fra le straniere condannate negli ultimi anni, pochissime sono quelle provenienti dalle Filippine e dalla Cina, dall’India e dal Pakistan, dall’Egitto e dalla Nigeria, dall’Etiopia e dal Senegal, dalla Somalia e dal Ghana, dall’Argentina e dal Brasile. Il peso degli altri gruppi varia a seconda del reato e della posizione occupata nel sistema di stratificazione delle attività illecite. I furti e le rapine vengono compiuti soprattutto dagli ex jugoslavi di entrambi i sessi(spesso minori nomadi), oltre che da marocchini, algerini e tunisini; la spaccio di eroina da marocchini e tunisini; il traffico di marijuana da albanesi, quello di cocaina da sud americani, lo sfruttamento della prostituzione da albanesi e nigeriani. Tutti i dati disponibili (e che ho analizzato nel mio libro "Immigrazione e criminalità in Italia", Bologna, Il Mulino, 1998)mostrano che l’aumento del numero di stranieri condannati dipende non dall’accentazione della tendenza della polizia e della magistratura ad agire selettivamente nei loro confronti, ma corrisponda in gran parte alla crescita effettiva dei reati commessi dagli immigrati. Sicuramente, gli immigrati soffrono di notevoli svantaggi anche nei confronti del sistema penale. Ma nulla fa pensare che questi svantaggi siano aumentati nell’ultimo decennio. Per quanto riguarda l’azione della magistratura, se un mutamento vi è stato, è andato in direzione opposta. Quanto alla polizia, è probabile che, nell’ultimo decennio, sia aumentata l’attività di controllo e di contrasto della criminalità. Ma i dati esistenti mostrano che la selettività di questa attività nei confronti degli immigrati con permesso di soggiorno non si è accentuata. E’ possibile che invece gli immigrati irregolari (privi di tale permesso ) siano stati uno dei bersagli preferiti delle forze dell’ordine. Ma tutto questo può al massimo spiegare una parte della fortissima crescita del numero di stranieri denunciati e condannati per la violazione della legge sugli stupefacenti, non quella che si è verificata per altri reati (ad esempio i furti e le rapine), perché per questi ultimi le denunce dipendono molto più dai cittadini che dall’attività investigativa della polizia. A commettere più frequentemente i reati ricordati sono tuttavia gli immigrati privi di permesso di soggiorno. Sul totale dei cittadini extracomunitari denunciati per i vari delitti, quelli senza permesso di soggiorno sono quasi il 70% per le lesioni volontarie, il 75% per gli omicidi, l’85% per i furti e le rapine. Il confronto con gli italiani mostra che, se gli immigrati regolari commettono oggi più spesso reati degli autoctoni (almeno in certe classi di età) gli irregolari superano di molte volte, per tassi di criminalità, sia i primi che i secondi.
La terza proposizione
Abbiamo invece bisogno di raccogliere e di analizzare informazioni di carattere statistico per dire se la terza proposizione è vera o meno. Ma ci bastano i dati sull’andamento della criminalità comune. Guardandoli ci accorgiamo che contrariamente a quanto si pensa, il tasso di furti, di rapine e di omicidi è oggi più basso che nel 1991. Dal 1991 al 1998 il tasso degli omicidi è continuamente e sensibilmente diminuito. Quello dei furti e delle rapine ha subito una rilevante flessione dal 1991 al 1995 ed è risalito nei tre anni successivi, ma resta oggi inferiore a quello del 1991. Anche in Italia vi è stato un fortissimo aumento di questi reati. Ma questo si è verificato a partire dal 1969-70. Il numero dei reati ha avuto da allora delle oscillazioni di natura ciclica. Sia per i furti che per gli omicidi, il primo ciclo è durato fino al 1986 ed è stato contraddistinto da una fase di fortissima espansione seguito da una di contrazione più contenuta. Il secondo ciclo si è aperto nel 1987 ed è ancora in corso. Ma le curve delle sue oscillazioni sono molto meno ripide di quelle del ciclo precedente. Detto in altri termini, è nella fase di espansione del primo ciclo, terminata nel 1976 per i furti e nel 1982 per gli omicidi, che la criminalità ha avuto un aumento che non è esagerato definire storico, raggiungendo vette fino ad allora considerate inaccessibili. Poi la tempesta si è placata. Ed oggi, dopo una fase di contrazione ed una nuova di espansione, siamo a livelli simili a quelli registrati nel punto di svolta superiore del primo ciclo. Questa sintetica ricostruzione dell’andamento di alcuni reati basta a mostrare che la terza proposizione, (secondo la quale : "il forte aumento della criminalità(furti, spaccio e traffico di stupefacenti, rapine ed omicidi), che vi è stato in Italia nell’ultimo decennio è stato provocato dagli immigrati" è falsa, per il buon motivo che nell’ultimo decennio non vi è stato in Italia un aumento della criminalità.
La quarta proposizione
Come si ricorderà, la quarta proposizione dice: "in tutti i paesi occidentali, gli immigrati hanno sempre commesso alcuni reati più spesso degli autoctoni". Anche molti di coloro che non condividono questa idea ritengono – come coloro che la condividono – che vi sia una invarianza nello spazio e nel tempo della relazione fra immigrazione e criminalità. Se si esamina la letteratura scientifica e si confrontano i risultati delle numerose ricerche che, su questo tema, sono state condotte negli Stati Uniti nel primo trentennio del nostro secolo ed in Europa nell’ultimo quarantennio si arriva alla conclusione che la relazione fra immigrazione e criminalità varia nel tempo (e probabilmente nello spazio). Trentacinque anni fa, passando in rassegna le ricerche svolte negli Stati Uniti, Hermann Mannheim ha scritto che" uno dei grandi meriti dei criminologi americani è quello di aver distrutto il vecchio mito contro gli immigrati", mostrando che essi non commettevano più reati dei nativi. Pochi anni dopo, sintetizzando i risultati dei lavori scientifici pubblicati in Europa negli anni ‘60, Franco Ferracuti ha sostenuto che"il tasso elevato di delinquenza fra i lavoratori emigranti stranieri è un mito dovuto alla xenofobia". A conclusioni analoghe sono giunti coloro che hanno fatto indagini in Australia. Ma nell’ultimo ventennio, quasi tutti i ricercatori hanno mostrato che, dalla metà degli anni ‘70, in molti paesi europei, vi è stato un continuo aumento della quota di reati commessi da stranieri. Tale aumento è dovuto a due distinti processi. In primo luogo, è cresciuto il numero degli stranieri senza permesso di soggiorno (irregolari, clandestini, richiedenti asilo, turisti) che violano le norme penali. In secondo luogo, gli immigrati regolari hanno iniziato a compiere reati più spesso degli autoctoni. In alcuni paesi europei, ad avere tassi di criminalità più elevati di questi ultimi sono più frequentemente gli immigrati della seconda generazione ( o solo loro). Invece in Svezia gli immigrati della seconda generazione rispettano più le leggi di quelli della prima (ma sia gli uni che gli altri lo fanno meno degli autoctoni). In tutta Europa, inoltre, il tasso di criminalità degli immigrati varia molto a seconda del paese di origine. Queste variazioni sono riconducibili in parte ai maggiori svantaggi economici e sociali di cui alcuni gruppi nazionali soffrono, in parte a differenze esistenti nelle reti illegali. Ma in parte dipendono da fattori non ancora noti. Conclusioni così distanti sorprenderanno coloro che sono abituati a considerare gli immigrati come fonte di ogni male o di ogni bene. Non vi è tuttavia alcun motivo per pensare che esse siano dovute a differenze di orientamento politico o di impostazione metodologica esistenti fra i ricercatori. Chi conosce i lavori ricordati in questo capitolo sa bene che gli studiosi dell’ultima generazione non sono meno rigorosi di quelli che li hanno preceduti nè hanno minor simpatia o minor rispetto di loro per gli immigrati e le minoranze etniche. In realtà, se i risultati a cui questi studiosi sono giunti sono così diversi da quelli ottenuti dai loro predecessori è semplicemente perché, a partire dalla metà degli anni 70, vi sono stati in molti paesi europei profondi cambiamenti anche riguardo ai comportamenti devianti degli immigrati. E’ mia convinzione che tali cambiamenti siano riconducibili ad altre importanti trasformazioni iniziate proprio in quegli anni. Il 1973 costituisce uno spartiacque non solo per i comportamenti devianti dei migranti, ma anche per la natura dei processi migratori. Schematizzando si può infatti dire che, allora, da una immigrazione principalmente da domanda, causata da fattori di attrazione, si passa ad una prevalentemente da offerta, provocata da fattori di spinta. Naturalmente, tutti i movimenti migratori sono prodotti sia da push che da pull factors, sia da fattori di spinta che di attrazione, sia dalle condizioni demografiche, economiche, sociali, politiche dei paesi di origine che da quelle dei paesi di destinazione. Ma l’importanza di questi fattori è cambiata radicalmente nel corso del tempo. Gli italiani, i polacchi, i russi, i greci, gli armeni che, alla fine dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, emigrarono negli Stati Uniti erano spinti dalla povertà e dalla disoccupazione a lasciare il loro paese. Ma ancora più importanti erano i fattori di richiamo. Proprio nel periodo che ci interessa (dal 1880 al 1930) gli europei furono attratti negli Stati Uniti da una crescente domanda di lavoro prodotta dall’enorme sviluppo dell’industria manifatturiera, dell’edilizia, dell’attività dei porti. Prevalentemente trainata dalla domanda di lavoro dei paesi di arrivo furono anche i movimenti migratori che dopo la seconda guerra mondiale interessarono per quasi un trentennio una parte dell’Europa occidentale. Nelle sue "aree forti", ossia in Svizzera ed in Germania, in Belgio ed in Gran Bretagna, fu lo straordinario sviluppo industriale di quegli anni a richiamare grandi masse di immigrati, che andarono ad occupare i nuovi posti di lavoro prodotti dal boom economico o quelli lasciati liberi dalla popolazione locale o dagli immigrati delle precedenti ondate. Dopo il 1973, i movimenti migratori verso l’Europa sono stati invece prevalentemente da offerta. La crisi economica innescata in quell’anno dall’aumento del prezzo del petrolio e il declino del modello di sviluppo fordista-taylorista fondato sulla grande fabbrica produssero non solo una riduzione della domanda di lavoro, ma anche un cambiamento della sua natura. I nuovi posti di lavoro disponibili furono sempre più spesso quelli precari del settore dei servizi. Dal 1974, inoltre, i governi di molti paesi europei hanno scoraggiato in vari modi i flussi migratori, riducendo le possibilità di entrata e rafforzando i sistemi di controllo esterno ed interno. Questo ha avuto due conseguenze. In primo luogo, è aumentata l’immigrazione irregolare. In secondo luogo è cresciuto il numero dei richiedenti asilo (passato in Europa da 13.000 all’anno nel 1972 ad oltre 500.000 nel 1992), costituito almeno in parte da immigrati che cercano in questo modo di superare i confini dei paesi europei. L’immigrazione irregolare non è un fenomeno nuovo. In Francia, ad esempio, essa ha assunto un certo rilievo anche negli anni ‘60. Ma allora era dovuta solo a disfunzioni di carattere burocratico ed organizzativo ed era tollerata o addirittura incoraggiata. "La stessa immigrazione illegale non è inutile - dichiarò nel 1966 il Ministro degli Affari sociali di quel paese - poiché se noi dovessimo attenerci alla stretta applicazione delle regole e degli accordi internazionali, finiremmo forse per ritrovarci con una carenza di manodopera". Dopo il 1974, la situazione è completamente cambiata. L’immigrazione irregolare non solo è fortemente aumentata in tutta Europa, ma essa è tenacemente combattuta ovunque, anche se non sempre con successo. Dunque, essere un immigrato irregolare è oggi molto diverso che trenta anni fa. Anche oggi, una parte rilevante degli irregolari non sono venuti in Europa per dedicarsi ad attività illecite. Ma non è difficile capire come molti di loro, incontrando sempre maggiori difficoltà ad inserirsi, finiscano per non avere altra alternativa che queste attività. Dopo il 1973 è cambiata
considerevolmente anche la situazione economica e sociale degli immigrati
regolari con permesso di soggiorno. Più difficile è diventato per loro trovare
un lavoro. Più difficile conservarlo. Più difficile avere una casa. E dunque
minori di un tempo sono i miglioramenti che queste persone riescono a
raggiungere abbandonando il loro paese. E’ inoltre peggiorata la condizione
degli immigrati di seconda generazione.
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