Educare
al conflitto
di Duccio Scatolero
Ragazzi che si presentano a scuola armati di tutto punto. È solo una peculiarità
americana? O anche nella "civile Europa" si rischia ormai di non saper
più gestire i conflitti tra minori?
Negli ultimi tempi, con sempre più inquietante frequenza, il binomio
scuola-violenza si è proposto all'attenzione della pubblica opinione.
E come sovente accade sono gli episodi "estremi" di cronaca nera a
richiamare l'interesse: le tragiche e terribili storie di sangue che ci arrivano
dalla quotidianità di città americane che mai come in questi casi ci appaiono
lontane, diverse e un po' folli.
Bambini che si presentano a scuola armati di tutto punto e che esprimono una
momentanea "rabbia" incontenibile premendo il grilletto e falciando,
in un colpo solo, compagni e insegnanti.
Bambini determinati a rifarsi di uno sgarbo, di un rimprovero, di una prepotenza
o di un torto eliminando fisicamente i responsabili di quelle ferite
insopportabili.
Ma sono veramente solo cose da America, episodi da territori di frontiera dove
l'accesso alle armi è ancora libero e dove la violenza continua a esser
trasmessa come regola comune di vita? In parte è sicuramente così, ma analoghi
motivi di preoccupazione non sono certo assenti dalla nostra realtà.
I "baby-killer" - così spesso evocati da una certa stampa - possono
sembrare un fenomeno troppo particolare per suscitare un diffuso allarme. Ma è
certo che la contiguità quotidiana con la violenza è un fenomeno che riguarda
migliaia di ragazzi che, senza scuola né cultura, vivono nei territori occupati
dalle mafie.
Ancor più preoccupante è la confusione, molto diffusa nei più giovani, fra
realtà vera e realtà virtuale: confusione per lo più ignorata dal sistema e
che non aiuta "i piccoli" a trovare il confine tra le immagini della
vita concreta e quelle dei film e dei video-giochi.
FARSI I FATTI PROPRI
Ma ciò a cui si dovrebbe guardare con sempre maggior inquietudine è la
presenza, nella cultura di riferimento dei ragazzi, di una sorta di
"irresponsabilità sociale", non sufficientemente contrastata da
educatori che, a loro volta, spesso la condividono.
Si tratta di quell'imperativo a "farsi i fatti propri", assunto ormai
a valore etico, che spinge ad agire, a muoversi e a comportarsi senza tenere in
minimo conto i bisogni, le esigenze o, meglio ancora, l'esistenza stessa
dell'altro.
Vivere senza la nozione dell'altro vuol dire sentirsi autorizzati, ogni
qualvolta l'altro ti è nemico o di ostacolo, a eliminarlo, a colpirlo, a
toglierlo di mezzo: spenta la sua immagine, il problema è risolto. Negli
incontri effettuati negli ultimi mesi con gli allievi di alcune scuole superiori
di Torino per discutere sul tema del conflitto, è accaduto che intere classi di
ragazzi identificassero in un perentorio "gli spacco le gambe" la
modalità più corretta per affrontare i litigi con i coetanei (amici, compagni,
fidanzate, ecc.).
In alcune scuole medie inferiori, chiamati a scegliere la parola chiave rispetto
al conflitto, molti studenti hanno scritto tutti i verbi sinonimi di uccidere ed
eliminare. In un caso come nell'altro non si trattava né di scuole di frontiera
né di scuole collocate in aree particolarmente problematiche. Questo tipo di
atteggiamento è peraltro assai diffuso in molti altri paesi europei.
Anzi, in un recente confronto internazionale sul tema del conflitto e della
violenza a scuola, tenutosi a Torino qualche settimana fa, il nostro Paese è
risultato del tutto anomalo rispetto, ad esempio, a Francia e Germania, per la
scarsa rilevanza di fenomeni diffusi di aggressività e violenza come modalità
per risolvere i conflitti.
IL BULLISMO, MALATTIA INFANTILE
Ma è un dato che non ci autorizza a trascurare il problema, visto tra l'altro
che da noi sono meno attivi e attenti gli osservatori di quei comportamenti
giovanili definiti "sotterranei": si pensi a quanto poco ancora si sta
lavorando nelle nostre scuole sul monitoraggio e sul contrasto del fenomeno del
"bullismo", affrontato in altre realtà addirittura a livello
nazionale.
Esistono poi altre situazioni, solo in parte connesse al mondo della scuola, in
cui i giovani dimostrano una sempre crescente difficoltà nell'affrontare i
conflitti e, contestualmente, una pessima considerazione dell'altro: ne sono
esempio i numerosi casi, finiti in cronaca nera, di giovani che di fronte alla
"rottura amorosa" e all'abbandono affettivo-sentimentale non hanno
trovato soluzione migliore della rabbiosa reazione di attacco fisico all'altro.
È TEMPO DI FARE
In conclusione di questa minima e non edificante rassegna occorre chiedersi se
c'è un filo rosso che in qualche modo unisce tutti questi episodi, capace di
trasformarli in racconti di una medesima storia.
Ce n'è sicuramente più d'uno, ma tra tutti occorre scegliere e fermarsi a
considerare quello che in questo momento sembra il più trascurato e forse il più
significativo: l'evidente difficoltà con cui i ragazzi dimostrano di
fronteggiare la gestione dei loro conflitti e delle sofferenze che da questi
derivano.
Nell'affrontare questa esperienza i piccoli sembrano subire un'incontrollabile
spinta ad accelerare i passaggi, per arrivare con rapidità a una sorta di
"punto di non ritorno" al di là del quale resta soltanto la soluzione
finale: l'attacco distruttivo.
LE COMPLICITA' NON BASTANO
Mille le ragioni di questo fenomeno e tutte, più o meno, conosciute: dal vuoto
culturale ai condizionamenti delle immagini virtuali; dall'esasperato bisogno di
"risolvere" i problemi, costi quel che costi, alla sempre più scarsa
considerazione dell'altro.
Ma la realtà da affrontare resta sempre la stessa: da soli a fare i conti con
rotture, guasti comunicativi, separazioni ed esplosioni emotive non contenibili.
In questi frangenti è difficile aiutarsi, anche fra coetanei: le solidarietà,
le alleanze e le complicità, così efficaci in altri momenti, qui non bastano e
non soccorrono.
Più difficile ancora è farsi aiutare dai grandi: solo il 4% dei giovani
intervistati dichiara il bisogno di rivolgersi agli adulti per farsi
accompagnare nell'esperienza del conflitto.
Ma il disagio è anche degli adulti: troppo fragili essi stessi di fronte a
questi eventi, troppo preoccupati e allarmati, troppo indaffarati a sopravvivere
per accogliere questi piccoli problemi. Più facile, per loro, nascondersi
dietro un "cose da ragazzi": piccole, difficili vicende quotidiane che
rafforzano l'animo e fanno crescere.
D'altronde va sottolineato come molto spesso siano proprio gli adulti l'altra
parte del conflitto dei ragazzi: adulti che, a quel punto, mandano in vacanza
tutte le responsabilità e gli impegni educativi normalmente sbandierati e
frequentati. E spesso sono proprio le istituzioni come la scuola e la famiglia a
fare da palcoscenico a questo tipo di rappresentazioni: i conflitti vengono
messi in scena senza testi, senza finzione e senza più alcuna regia.
Si salvi chi può e vinca il migliore o, meglio, il più forte.
CONVIVERE CON I CONFLITTI
È proprio da questi scenari che occorre ripartire per tentare di ricostruire.
Partire dalla scuola per cercare di tagliare il velo di negazioni, rifiuti,
implicazioni, accartocciamenti emotivi che coprono la materia dei conflitti.
Occorre imparare a riconoscerli e a parlarne, a sfuggire le mille tentazioni a
risolverli e, in definitiva, a riscoprire una possibilità di gestirli,
riducendone i danni e i rischi. Convivere coi conflitti, coabitare con i
confliggenti, lasciarsi accompagnare da un "terzo" nei tortuosi
percorsi emotivi che le liti aprono e scoprire così la necessità stessa del
terzo come presenza di aiuto: sono solo alcuni degli obiettivi che ci si può
dare nel tentativo di attivare nuove strategie di impegno nella scuola. Ce n'è
per tutti.
L'aspetto forse più affascinante è che, a differenza di quanto fatto fino ad
ora, nella scuola non si devono più affrontare problemi che sono sempre di
"qualcun altro", diverso da chi parla e da chi ascolta: il drogato, il
malato mentale, il delinquente, il povero.
Il conflitto, infatti, è di tutti, fa star male e mette in difficoltà a
prescindere dall'età, dall'appartenenza sociale e dal ruolo o dalla funzione
svolta giovanile.
TABELLA RIASSUNTIVA DEI DATI RACCOLTI NELLE SCUOLE
% su totale risposte
Persone del conflitto
fratelli
amici
compagni di classe
genitori
insegnanti
altro
Azioni di aiuto
niente
lo faccio distrarre
lo faccio parlare e sfogare
gli do consigli
lo rimprovero
parlo al suo avversario
altro
Tempo
meno di 1 volta alla settimana da 1 a 3
da 3 a cinque
tutti i giorni
Opinione
bisogna evitarli
se scoppiano si affrontano
sono una prova di forza l'importante è vincerli
è distruggere l'avversario
è non uscirne con ossa rotte
è lasciar perdere
Motivi
scuola
rapporti di amicizia
rapporti sentimentali
possesso o uso di cose
diversità di opinione discriminazione
altro
Azioni
uso la forza
uso forme di violenza verbale
chiedo intervento adulto
lascio perdere
convinco l'altro a fare ciò che voglio
trovo un compromesso
altro
Fonte Progetto Mesopotamia
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41%
16%
8%
29%
4%
2%
4%
9 %
36%
37%
1%
12%
1%
32%
40%
9%
19%
28%
39%
4%
5%
6%
13%
5%
12%
22%
13%
19%
21%
7%
6%
12%
20%
5%
23%
7%
30%
3%
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