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Il difensore civico nelle carceri italianerelazione di L. Manconi
convegno di Firenze, 11 aprile 2003
La bozza dell'intervento tenuto da Luigi Manconi, presidente di A Buon Diritto. Associazione per le libertà, al convegno sul difensore civico tenutosi a Firenze l'11/4/03. In estrema sintesi, queste sono le tre principali ragioni, di ordine generale, che rendono necessario – meglio: urgente – l’istituzione della figura del difensore civico delle persone private della libertà personale: 1. l'eccessivo cumulo di funzioni attribuite ai magistrati di sorveglianza, nei fatti sempre più giudici della concreta esecuzione della pena e con sempre meno tempo a disposizione per esercitare funzioni di controllo; 2. l’ampia presenza di detenuti tossicodipendenti e stranieri (intorno al 50 per cento della popolazione detenuta): soggetti socialmente deboli e piú esposti al rischio di abusi e discriminazioni; 3. il crescente sovraffollamento, che rende ancora più difficile, incerto e discrezionale l’utilizzo dei servizi disponibili (pochi o tanti che siano) e il godimento dei diritti riconosciuti (pochi o tanti che siano). Tutto ciò rende più che mai necessario individuare nuove forme di controllo della legalità nei luoghi di detenzione, senza mettere in discussione quelle esistenti, al fine di istituire un nuovo soggetto di vigilanza e di verifica delle condizioni di privazione della libertà. Un soggetto che - per procedura di nomina e per cultura giuridica – garantisca una effettiva terzietà. Qual è la situazione attuale? Oggi, in Italia, il garante delle condizioni di detenzione nelle carceri é il magistrato di sorveglianza; i parlamentari e i consiglieri regionali dispongono di un potere di visita; e la legge individua i soggetti (quasi tutti interni all'amministrazione penitenziaria), a cui i detenuti possono rivolgere reclamo. Non esistono, invece, forme di ispezione nelle stazioni di polizia e nelle caserme dei carabinieri, quasi che le camere di sicurezza non siano anch'esse veri e propri luoghi di detenzione (e le cronache degli ultimi tre anni ci dicono quanto sia importante quest’ultima questione). In ogni caso, è palese che la normativa vigente risulti inadeguata ed esiga nuove figure e nuove funzioni. In particolare – come si diceva - la presenza di un soggetto terzo e indipendente rispetto alle amministrazioni può risultare utile per un’altra ragione ancora: in un carcere gli equilibri nelle relazioni tra i diversi soggetti sono estremamente precari e basta poco per farli saltare. Ogni intervento dall’esterno deve tenere conto della difficoltà e della fragilità dei rapporti fra la popolazione detenuta e il personale di polizia penitenziaria, nella consapevolezza che detenuto e agente di polizia, seppur soggetti conflittuali, presentano tratti comuni di debolezza - anche nell’insuperabile asimmetria dei rapporti di forza. Questa premessa introduce una successiva osservazione: il difensore civico penitenziario ha quale primario compito, in piena coerenza con la tradizione della difesa civica: l’obiettivo - cruciale e delicatissimo - della mediazione. Ovvero l'allentamento delle tensioni, la creazione di uno spazio comune di incontro e di relazione, la raccolta e l’organizzazione di un patrimonio di informazioni e di conoscenze, l’esercizio di deterrenza rispetto a possibili maltrattamenti e abusi, la possibilità di rendere pubbliche le condizioni di detenzione e la loro iniquità. In ogni caso, va detto, e con molta chiarezza, che il difensore civico non deve aggiungersi ai soggetti a cui é già ora possibile rivolgere reclamo formale, perché l'informalità é il modus operandi e, insieme, la risorsa di questa figura e di questa funzione. La sua attività non mira a concludersi in rigetti o accoglimenti e non richiede il rispetto di forme solenni: bensì é il prodotto di sollecitazioni provenienti dalle più diverse fonti e con le più differenti forme: e tuttavia – questo è il punto più importante e, insieme, il più delicato – l’attività del difensore civico richiede poteri ispettivi paragonabili a quelli posseduti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura (CPT). Il difensore civico potrebbe essere, quindi, una figura di continuità fra i vari governi e le varie amministrazioni, a garanzia della trasparenza e della ordinarietà nella gestione dei luoghi della pena. Alcuni esempi di attività possono chiarire l'importanza di tale funzione: abbreviare i tempi per un ricovero ospedaliero; informare sull'accesso al patrocinio gratuito per i non abbienti e contribuire alla possibilità di ricorrervi; sollecitare la realizzazione dei lavori necessari per migliorare le condizioni igienico-sanitarie dell'istituto; assicurare il rispetto dei diritti previdenziali del detenuto lavorante; garantire, tramite visite ispettive, una continua verifica del rispetto di standard minimi di trattamento; verificare la congruità e la compatibilità delle circolari ministeriali con l’ordinamento; monitorare i regolamenti interni, la loro compatibilità con condizioni dignitose di detenzione e con gli standard europei e la loro fruibilità da parte degli stranieri. Nel novembre del 1997, in un Convegno internazionale tenutosi a Padova, autorevoli studiosi, esponenti politici e istituzionali hanno dibattuto sull'introduzione di questa figura nel nostro ordinamento giudiziario, auspicandone l'immediata operatività, nella convinzione che essa non configga con le altre figure giurisdizionali esistenti. E nel novembre del 2002, a Roma, in un convegno alla Camera dei deputati, i responsabili Giustizia dei partiti di centrodestra e di centrosinistra hanno trovato la più ampia convergenza su un testo comune, che è stato assegnato alla commissione Affari costituzionali. Quel testo tiene conto delle esperienze in corso in altri paesi europei (Austria, Danimarca, Ungheria, Norvegia, Olanda, Portogallo, Finlandia, Inghilterra, Scozia), e disegna una figura compatibile con i caratteri dell'ordinamento italiano. Una figura di nomina parlamentare: dunque, dotata di autonomia e di indipendenza e i cui poteri - accesso alle strutture e libera consultazione di tutti gli atti ritenuti utili – devono essere esercitati senza restrizioni e senza condizionamenti. A questi poteri va affianca un meccanismo sanzionatorio non tradizionale. Per capirci: in primo luogo, una strategia di persuasione e, in secondo luogo, ma solo quando quella fosse andata a vuoto, una dichiarazione pubblica e pubblicizzata di biasimo, senza escludere, nei casi piú gravi, l'attivazione di un procedimento disciplinare. É evidente, anche dai particolari connotati dei meccanismi di sanzione, la finalità innanzitutto preventiva e propositiva del difensore civico delle persone private della libertà personale. Ma cosa c’entra tutto questo con Firenze, con il suo carcere, con la sua amministrazione? C’entra moltissimo, perché - in attesa di una legge nazionale e come anticipazione e sperimentazione di essa – si è ritenuto utile verificare la possibilità di difensori civici dei detenuti nelle carceri locali. Dunque, a livello comunale. Non è un escamotage o una scorciatoia per aggirare resistenze altrimenti insormontabili. Al contrario. Si vuole verificare la possibilità di tutelare i diritti nello spazio ravvicinato e circoscritto - capace di maggiore trasparenza e suscettibile di più attenta vigilanza – della dimensione locale; e, dunque, delle istituzioni locali e della rappresentanza democratica locale, fatta di integrazione e bilanciamento tra poteri e controlli. Per questo l’iniziativa di oggi è così importante: tanto più se è la premessa per giungere, in tempi brevi, all’istituzione del difensore civico delle carceri di questa città. Non è una iniziativa isolata, grazie al cielo. Altre vanno nella medesima direzione: a Genova e a Milano, ad esempio. E a Roma, nel corso del mese di aprile, verranno approvate una delibera di iniziativa consiliare e una delibera di giunta in materia, e - entro giugno - sarà attivato l’ufficio del difensore civico delle carceri romane. Per questo dico che quello di oggi è davvero - può essere davvero - un buon inizio.
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