Gesuiti e carcere

 

Gesuiti nella pastorale carceraria

 

Popoli  55, Dicembre 2001

 

"Da dove vieni?". "Da san Vittore!". A rispondere è Francesco Occhetta, scolastico gesuita della comunità di San Fedele a Milano, impegnato con p. Guido Bertagna S.I. nella pastorale in quello che è forse il maggiore carcere italiano, certamente il più affollato (progettato per 700 detenuti ne accoglie quasi 2.000).

 

Come ti è saltato in mente di frequentare il carcere milanese?

Credo siano tre le fonti della mia ispirazione, divenuta scelta concreta. La prima è il Vangelo (Mt 25, 36), secondo il quale Gesù si impersona nel carcerato: "Ero in carcere e siete venuti a visitarmi". La seconda è il patrimonio spirituale della Compagnia di Gesù che, nella formula dell'istituto (Exposcit debitum n. 1) approvata da Giulio III, parla dell'apostolato nelle carceri. La terza, recentissima, sta nel decreto terzo (n. 64) della Congregazione generale, celebrata nel 1995, che dà rilievo all'attività pastorale a favore degli ex carcerati. In Italia, in questo particolare apostolato, i gesuiti sono presenti in due carceri a Milano (San Vittore e quello minorile, il Beccaria). Poi a Padova, Napoli, Bologna e Palermo. Il nostro lavoro si adatta evidentemente al tipo delle carceri: minorile, massima sicurezza, circondariale, ecc.  

Il vostro impegno corrisponde alle necessità dei carcerati?

In parte sì. Ma ciò che facciamo è solo un aiuto al cappellano che svolge un servizio quotidiano molto faticoso, Inoltre al servizio dei detenuti vi sono anche psicologi, educatori, medici, volontari laici e alcune suore infermiere. In generale il clima di collaborazione è favorito dalla buona e accorta gestione del direttore, Luigi Pagano.

 

Chi hai incontrato in carcere?

In carcere c'è di tutto. Non vorrei commettere l'errore piuttosto grossolano in cui cade di solito l'opinione pubblica e cioè non distinguere le persone singole, ma creare uno stereotipo del detenuto: un unico, gigantesco e spaventoso individuo. Però è possibile tracciare un identikit del carcerato medio: povero, poco istruito, proveniente dalla strada o da gruppi emarginati; spesso irregolare, non di rado straniero.

Quelli denunciati, vengono registrati nelle grandi città del Nord e del Centro. Per esempio la provincia di Milano, per via dei suoi 150mila immigrati, è l'area in cui si rileva il più alto numero di denunciati, arrestati e detenuti stranieri. In Italia si verifica un fenomeno curioso. Il Sud, dove è presente la criminalità organizzata, tende ad assorbire in essa gli stranieri; al Nord, invece, essi trovano spazio per controllare in proprio alcuni settori della criminalità.

 

Quale tipo di criminalità?

Il traffico di droga, che investe città come Milano, Genova, Torino e Verona.  I marocchini controllano il contrabbando; gli albanesi, gli ex jugoslavi e i nigeriani incentivano la prostituzione. I piccoli furti, gli scippi e i borseggi sono praticati dai minori stranieri. Si rivela curioso il fatto che dal tipo di crimine si possa risalire alla nazionalità del detenuto. Gli italiani monopolizzano invece varie forme di corruzione, concussione, di appropriazione indebita e di operazioni in borsa su base di informazioni riservate. Molte sono le persone che incontro in carcere vittime di un'industria della criminalità che ha un giro d'affari attorno ai 15mila miliardi l'anno. Sull'intera popolazione carceraria italiana (al 1 gennaio 2001 si aggirava sulle 55mila persone) i 14.550 detenuti stranieri costituiscono il 26%.

 

Tuttavia, l'impressione è che a volte la popolazione carceraria sia costituita più da vittime che da operatori di criminalità.

 

Sì. Ecco un caso emblematico. Ho fatto visita a un detenuto ecuadoregno, in carcere perché costretto a fare il corriere di droga per pochi soldi. All'aeroporto è stato fermato e la droga che aveva inghiottito è stata scoperta. E’ analfabeta e povero. Non sente la famiglia da mesi e i tentativi che io faccio per raggiungerla sono stati finora inutili, perché non mi sa dare il numero di telefono e gli indirizzi giusti (o magari non vuole far sapere ai suoi che si trova in carcere a Milano). In carcere ho incontrato maghrebini, slavi, albanesi, senegalesi, rom, sudamericani: di solito vengono arrestati per furto o spaccio. 1 rom non "rubano" ma "prendono". Il senso del reato è più presente nei sudamericani. Non c'è integrazione nei gruppi, anzi: purtroppo le risse sono all'ordine del giorno. Per i detenuti italiani la reintegrazione sociale è difficile, per gli stranieri quasi impossibile.

 

Che cosa si può fare per restituire ai detenuti la loro dignità umana?

La dignità umana non l'hanno mai perduta, ma purtroppo spesso non sono consapevoli di possederla ancora. Noi gesuiti tentiamo anche il recupero e l'inserimento del detenuto nella nostra società e ci troviamo in sintonia con la nostra Costituzione e con la legge (n. 354/75). Però gli obiettivi del legislatore avevano come parametro il cittadino che, una volta scontata la pena, sarebbe tornato a far parte della società. Tale legge è difficilmente applicabile ai clandestini che , specialmente nelle grandi città del centro-nord, arrivano a toccare punte dell'80% degli stranieri detenuti. Ovvio quindi l'alto tasso di recidività.

 

 C'è qualche aspetto specifico che caratterizza il vostro impegno in quanto gesuiti?

 Tutti noi gesuiti lavoriamo per riconoscere la dignità della persona umana con i suoi diritti e doveri fondamentali e per individuare soluzioni in grado di gestire i rapporti, per abbassare il livello di conflittualità possibile entro le carceri.

Svolgiamo i compiti più diversi: celebrare Messa, ascoltare confessioni, aiutare nella redazione dei giornali interni, partecipare alle trasmissioni della radio interna, tenere i contatti con gli avvocati e i familiari dei detenuti, formare i volontari, promuovere incontri e dibattiti e, soprattutto, dedicarci ai colloqui personali con i detenuti.

Oltre all'impegno diretto, noi gesuiti di Milano seguiamo un gruppo che si chiama "Sesta Opera San Fedele": la sesta opera dì misericordia è appunto quella di visitare i carcerati. L'associazione, che ha quasi cento volontari, con sede in piazza San Fedele 4, è sorta nel 1923, e quindi è una delle più antiche opere di assistenza ai detenuti in Italia. Sostiene materialmente e moralmente i carcerati; ha aperto un centro d'ascolto per i familiari dei detenuti; gestisce un appartamento di accoglienza per ex detenuti. Chi desidera fare volontariato, servendo il Signore in questo modo, sarà il benvenuto.

 

 

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