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"Eventi critici": maltrattamenti e decessi 2000 - 2001 di Antonio Marchesi
Il clima attuale non è dei migliori per chi abbia a cuore i diritti umani. Dall’11 settembre 2001 siamo stati il bersaglio di un martellante, assordante niente è più come prima. Una frase che può significare tutto e il contrario di tutto a seconda del modo e del contesto in cui la si pronuncia e che, comunque, tende a stravolgere la comprensione degli eventi e a facilitare la confusione e il disorientamento, anche di chi è abituato a ragionare con il proprio cervello. Una frase che alimenta un senso di angoscia continua, di paura di cose che non si afferrano, e che porta l’opinione pubblica ad accettare anche ciò che a mente fredda e con animo sereno solo un’esigua minoranza accetterebbe di buon grado. Nel campo dei diritti fondamentali il niente è più come prima contribuisce a giustificare l’idea che questi non siano poi così fondamentali, che possano essere derogati per una "buona causa". E infatti, puntualmente, sulla stampa americana, qualcuno ha pensato di riaprire il vecchio discorso sulla liceità della tortura in situazioni eccezionali (l’emergenza, ancora lei, utile a rimettere in discussione ciò che veniva dato per indiscutibile e a giustificare l’ingiustificabile).
Lasciamo da parte la discussione sulle ragioni che portano a un conflitto, che giustificano o meno il riscorso alla forza armata in date circostanze. Quale che sia l’opinione di ciascuno di noi in proposito, non si può non guardare con preoccupazione agli effetti (mi riferisco ora agli effetti "concreti", del clima già si è detto) che la guerra produce, dentro ma anche fuori dal teatro delle operazioni militari. Vale la pena di ricordare come sull’idea per cui anche in guerra debbano e possano essere rispettate certe regole di condotta si fondi l’esistenza stessa del diritto internazionale umanitario. E che a una logica in parte simile s’ispira il diritto internazionale dei diritti umani quando esclude tassativamente che si possa venire meno, utilizzando la copertura della "guerra totale al terrorismo" o di qualunque altra situazione di vero o presunto "pericolo eccezionale", al rispetto di regole inderogabili e di diritti inviolabili.
Il diritto a non subire torture o altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (ma anche il diritto a essere giudicati nel rispetto di certi standard minimi di giustizia e, a nostro avviso, il diritto a non essere condannati a morte) costituisce uno di quei diritti la cui violazione non può essere mai, in nessun caso, giustificata. Una barriera invalicabile, uno scudo impenetrabile deve proteggere l’integrità fisica e psichica di ognuno di noi. Purtroppo, l’invalicabilità di quella barriera, l’impenetrabilità di quello scudo non sono affatto garantiti. Gli strumenti internazionali di protezione, ormai numerosi e sulla carta piuttosto avanzati, anche se certamente producono risultati utili, non sono in grado in quanto tali di sradicare il fenomeno. E la protezione interna, sempre precaria in molti stati, sembra diventarlo, in certe situazioni e quando prevale un certo clima, anche dove in genere funziona in maniera soddisfacente. E dunque la tortura, universalmente condannata (ma fino a un certo punto, se vi è chi, negli Stati Uniti, ha sostenuto la sua legittimità nella situazione attuale), è un fenomeno presente in moltissimi paesi, non confinato a situazioni geograficamente e storicamente lontane. Un fenomeno di cui sono cambiati in parte i metodi, gli scopi, le vittime, ma che, rinnovandosi, continua ad esistere. Un fenomeno antico e moderno, dunque, multiforme e complesso, un miscela di brutalità medievali e di tortura "pulita", che si avvale dei progressi della tecnologia e della medicina, che talvolta non si propone più neanche di provocare dolore in chi la subisce, bensì di distruggere le proprie vittime, annientandole, rendendole incapaci di pensare liberamente e di resistere in nome dei propri ideali o anche, semplicemente, di conservare la propria identità, di essere se stessi. Una prassi, quella della tortura, per lo più nascosta ma anche una prassi che qualcuno crede talvolta di potere presentare, utilizzando argomenti di facile presa su un’opinione pubblica opportunamente preparata, come il male minore.
Per quanto riguarda la situazione italiana, i fatti accaduti a margine del G8 di Genova avrebbero dovuto, già prima dell’11 settembre, mostrare pure a chi è normalmente poco attento a questi problemi come il rispetto assoluto dell’integrità della persona umana, anche se per la maggioranza dei nostri agenti di polizia e dei nostri carabinieri è fuori discussione, non sia parte del patrimonio genetico delle nostre forze dell’ordine. E avrebbe dovuto rendere evidente, credo, anche l’arretratezza culturale di parte significativa delle nostre forze politiche italiane, le quali non hanno compreso l’importanza di una reazione forte (e al tempo stesso equa: non si chiede, ovviamente, di generalizzare le colpe o di colpire nel mucchio) di fronte a quelle che solo se avvengono altrove, magari nei "paesi meno sviluppati del nostro", vengono chiamate con il loro nome: gravi violazioni dei diritti umani. È questo aspetto, al di là dei fatti specifici sui quali esiste ormai in libreria e su internet (si veda, tra gli altri, il sito di Amnesty International) un’abbondante letteratura, che deve mettere in guardia chiunque abbia a cuore in diritti umani, che deve spingere gli attivisti, proprio perché il clima non è favorevole, a portare avanti la loro azione e a far sentire la loro voce.
Di fronte a questo stato di cose, ci permettiamo di suggerire, senza alcuna pretesa che non sia quella di stimolare la riflessione e la discussione, alcuni elementi di una possibile strategia. In primo luogo, occorre lavorare perché nel nostro paese, in particolare nelle istituzioni e nella pubblica amministrazione del nostro paese, vi sia una migliore conoscenza dei sistemi di protezione internazionale dei diritti umani e, auspicabilmente, un maggiore rispetto per il ruolo che questi, autorevolmente, svolgono. Occorre far comprendere, innanzitutto, che i sistemi di controllo internazionale sul rispetto dei diritti umani sono un elemento fondante dell’idea stessa di diritti umani universali. Il significato epocale della Dichiarazione del 1948, che in mezzo secolo è stata almeno in parte superata nei suoi contenuti specifici, sta proprio nell’idea secondo la quale i diritti che spettano a ciascuno di noi in quanto esseri umani, e non in quanto cittadini di questo o quello stato, devono essere protetti a livello dell’umanità intera. E, allora, affermare, come spesso abbiamo sentito fare, che uno stato come il nostro potrebbe anche fare a meno di un controllo internazionale, di questa specie di "grado ulteriore di giudizio", in quanto già rispettoso, in virtù delle sue leggi e della sua Costituzione, dei diritti fondamentali, significa non aver capito il significato più vero di quei controlli: significa, in particolare, non avere capito che una verifica internazionale sistematica del rispetto dei diritti umani ovunque nel mondo non è un fatto tecnico-organizzativo, più o meno utile o necessario. Quella verifica è l’espressione concreta di un principio: del principio per cui i diritti umani di tutti riguardano tutti. E quel principio, per cui uno stato deve rendere conto a tutti gli altri stati del modo in cui tratta ogni essere umano, a cominciare dai propri cittadini, è la vera grande innovazione della Dichiarazione del 1948. Per quanto riguarda la dimensione europea vi è un ulteriore aspetto. Nel Preambolo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 i Governi firmatari si dichiarano "risoluti, in quanto governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune di tradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e di preminenza del diritto", nell’adottare misure di "garanzia collettiva" dei diritti umani. Ebbene, ci sembra che, soprattutto in momenti in cui anche certi valori irrinunciabili sembrano correre qualche rischio, si debba rafforzare la nostra identità europea fondandola innanzitutto su quel patrimonio comune di cui si legge nel Preambolo della Convenzione. Nella consapevolezza che non è possibile, a pena di tradire quella identità e di rinnegare quel patrimonio, indebolire certi valori fondamentali, neppure in nome del comune impegno dei paesi occidentali contro il terrorismo. Un esempio concreto di come ciò possa essere fatto: rifiutando di estradare verso gli Stati Uniti chi sia imputato di reati punibili con la pena di morte, anche se si tratta di reati di terrorismo. La lotta al terrorismo va evidentemente condotta con determinazione e rigore, ma con strumenti diversi dalla sedia elettrica o dall’iniezione letale (soprattutto se inflitta da tribunali speciali e senza appello, come previsto nell’ordine militare del Presidente Bush del 13 settembre 2001). Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico italiano, mi limito a ricordare ancora una volta, avendo già trattato la questione in altra sede (si veda, ad esempio, Limiti alla costrizione, Quaderno di Antigone n.2), l’insufficienza della legislazione in materia. Nonostante ripetute raccomandazioni del Comitato dei diritti umani e del Comitato contro la tortura delle Nazioni Unite, non esiste ancora nel nostro sistema penale un reato specifico di tortura. Ciò non comporta che gli atti di tortura non siano in linea di massima punibili nel nostro paese. Ma non lo sono certo in maniera adeguata alla loro gravità, come dimostrano le pene lievi inflitte ai colpevoli nei relativamente pochi casi in cui si è arrivati a celebrare un processo. E’ auspicabile che le proposte di legge in materia presentate anche in questa legislatura ricevano finalmente dal Parlamento quel po’ di attenzione che il problema sicuramente merita.
No man is an island, nessun uomo è un’isola, scriveva John Donne, poeta metafisico inglese. Chi viola i diritti del tuo vicino, anche se quel vicino non ti assomiglia, anche se non lo conosci o non ti piace, indebolisce anche i tuoi diritti. E’ anche su questa semplice verità che si fonda la cultura dei diritti umani, che sono di tutti o non sono di nessuno. E nessuna emergenza, nessuna guerra totale contro il terrorismo, nessuno scontro di civiltà può consentire il superamento di quel limite invalicabile rappresentato dal rispetto per l’integrità e la dignità di ogni essere umano. Sarebbe una sconfitta per l’umanità intera. Ascoli Piceno, Casa Circondariale
Il 28 settembre 2000 un detenuto comune, Giovanni Costantini, di anni 40, tossicodipendente, con fine pena a novembre 2000 per tentato furto, è morto dopo essere stato di urgenza ricoverato in ospedale con una prima prognosi di addome acuto e retto sfondato. Gli esiti dell’autopsia non hanno confermato questa diagnosi. Il sostituto procuratore della Repubblica Umberto Monti ha aperto un inchiesta per atti relativi al decesso. Il PM ha già fatto interrogare alcuni detenuti e agenti di polizia penitenziaria ma, riferisce il direttore facente funzione Salvatore Ricotta, "nessuno ha visto niente". Il Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria ha chiesto alla direzione del carcere una relazione dettagliata. Molte le testimonianze dal carcere riguardanti i pestaggi che il Costantini avrebbe subito durante la detenzione. Antigone si è costituita parte civile il 9 ottobre del 2000. A fine dicembre c’e stata la chiusura delle indagini con la richiesta di rinvio a giudizio per omicidio colposo per tre medici dell’amministrazione penitenziaria. C’è un procedimento penale pendente per lesioni a carico di alcuni agenti di polizia penitenziaria.
Bari, Casa Circondariale
Il 15 gennaio 2001 centocinquanta detenuti presentano un reclamo al magistrato di sorveglianza nel quale descrivono un quadro drammatico delle condizioni di vita nel carcere. Assenza totale del servizio sanitario, servizio farmaceutico inesistente, mancanza di acqua calda, carenze igieniche. Analoga protesta era avvenuta nel mese di giugno 2000.
Biella, Casa Circondariale
Il 22 luglio del 2000 ventitre agenti di polizia penitenziaria e due medici sono stati messi sotto inchiesta per presunti episodi di violenza su alcuni detenuti. L’esposto era stato presentato una settimana prima dal detenuto Gian Luca Filippi. Questi ha affermato che durante la traduzione dal carcere al tribunale si sarebbe lamentato con la scorta di polizia penitenziaria che le manette gli erano state strette eccessivamente. Una volta rientrato in carcere sarebbe stato spintonato per terra e picchiato a sangue con calci in faccia. Successivamente sarebbe stato rinchiuso nella cosiddetta cella liscia (in quanto non ci sono mobili) dove normalmente avvengono le perquisizioni. C’era già una indagine pendente presso la procura della Repubblica di Biella a seguito di un esposto presentato da un gruppo di detenuti. Il procuratore Ugo Adinolfi ha immediatamente raccolto le testimonianze di una decina di detenuti riguardanti episodi verificatisi a giugno durante le manifestazioni di protesta dei detenuti a favore dell’amnistia e dell’indulto. Secondo quanto affermato dai detenuti alcuni di loro sarebbero stati puniti con ripetute percosse. Gli agenti avrebbero fatto ricorso alla cosiddetta cella liscia. Le indagini sono al momento in corso. Tutti i detenuti coinvolti nel pestaggio vengono trasferiti in altre carceri.
Bologna, Dozza
Il 29 aprile 2001 Milan Nikolic, 23 anni, serbo, condannato all’ergastolo in primo grado per l’omicidio di una bambina di 9 anni, denuncia alla Procura della repubblica di essere stato picchiato da due agenti di polizia penitenziaria. Il detenuto viene prontamente trasferito in altro istituto penitenziario.
Bolzano, Casa Circondariale
Il 20 settembre 2000 25 agenti di polizia penitenziaria ed un medico sono indagati dalla procura di Bolzano per lesioni gravi e per abuso e omissioni in atti di ufficio in relazione ad una serie di denunce per maltrattamenti presentate da detenuti. Secondo l’accusa, gli indagati avrebbero picchiato i detenuti dopo averli rinchiusi nella cosiddetta cella "x", destinata ufficialmente all’isolamento e che invece, secondo quanto affermato dai detenuti, sarebbe stata usata per compiervi atti di violenza. La Procura avrebbe verificato con un incidente probatorio lo stato della cella. Altri sei agenti sono indagati per fatti accaduti nel 1994 e nel 1999. Per dieci agenti di polizia penitenziaria il procuratore della Repubblica Cuno Tarfusser ha chiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di lesioni personali e abuso in atti di ufficio. Il cappellano e un assistente sociale confermano davanti ai giudici gli episodi di violenza. Incerta ancora la posizione del medico indagato per falso ideologico in quanto avrebbe certificato la condizione di ebbrezza di un detenuto, invece sobrio, al fine di giustificare l’intervento degli agenti.
Cagliari, Buoncammino, Casa Circondariale
È in corso il processo nei confronti di 3 agenti di polizia penitenziaria per lesioni ad un detenuto (danni ad un timpano). I fatti risalgono al 1999.
Catanzaro, Casa Circondariale
Due agenti di polizia penitenziaria sono indagati dalla Procura della Repubblica catanzarese per lesioni aggravate dall’abuso dei propri poteri e abuso di autorità. L’inchiesta è stata avviata nel novembre del 2001 a seguito di denunce di maltrattamenti e violenze presentate da persone detenute per reati di pedofilia. In un caso la stessa direzione del carcere avrebbe avallato le accuse dei detenuti. Secondo quanto emerso dalle indagini i detenuti sarebbero stati malmenati e sottoposti a pressioni psicologiche, ad esempio sarebbe stato impedito loro di dormire.
Enna, Casa Circondariale
C.G., 59 anni, di professione ambulante e in carcere da meno di due mesi per un vecchia condanna, muore il 18 maggio 2001 in carcere. I legali preannunciano una doppia denuncia contro il direttore sanitario del carcere e contro il magistrato di sorveglianza di Caltanisetta in quanto, a dire del legale, tutti e due erano a conoscenza delle gravi condizioni di salute del detenuto. Il 13 aprile era stata presentata la prima richiesta di sospensione della pena. Il provvedimento di ricovero all’esterno disposto dal magistrato di sorveglianza è giunto la mattina del decesso.
Genova, Marassi
Il 5 gennaio 2001 la Procura della Repubblica di Genova iscrive nel registro degli indagati 3 agenti di polizia penitenziaria, accusati di avere picchiato A.C. di 25 anni in quanto aveva insistentemente richiesto una terapia medica.
Lecce, Casa Circondariale
Alcuni detenuti hanno inviato ai giudici una lettera nella quale denunciano le presunte violenze subite dal giovane diciottenne detenuto Carlo Pastore. Nella lettera inviata ai giornali nel gennaio 2001 affermano che sarebbe stato sottoposto a violenze fisiche e morali. Alcuni familiari di detenuti sostengono che durante le perquisizioni le donne in visita sarebbero costrette a perquisizioni umilianti con sostituzione obbligatoria dell’assorbente igienico, persino durante il ciclo mestruale.
Livorno, Casa Circondariale, Le Sughere
Roberto Guadagnolo, 40 anni, calciatore, dopo aver minacciato un agente con un punteruolo, sarebbe stato picchiato da un gruppo di poliziotti. Dieci agenti di polizia penitenziaria sono accusati di averlo selvaggiamente pestato nel luglio del 2000. 5 agenti sono stati sospesi dall’amministrazione penitenziaria. L’accusa è di insubordinazione, lesioni aggravate e abuso di ufficio. Il sostituto procuratore Mario Profeta ha depositato il 3 ottobre del 2000 gli atti di indagine. Undici gli indagati, dieci agenti più il direttore. Quest’ultimo per favoreggiamento.
Messina, Casa Circondariale
Il 16 gennaio 2001 A.C. si impicca in cella. Il 31 luglio 2001 il sostituto procuratore Vincenzo Cefalo ha sentito 4 agenti di polizia penitenziaria a seguito di un esposto che allargava l’inchiesta a presunte irregolarità all’interno dell’istituto e a presunti pestaggi a carico di 3 detenuti. A.C. si è suicidato dopo essersi barricato in cella per 3 giorni.
Milano, Opera Casa di Reclusione
Milano, San Vittore
Negli ultimi giorni di ottobre 2001 viene attivata una indagine della Procura su un gravissimo episodio di violenze fra detenuti. Un detenuto imputato per pedofilia è stato di fatto sequestrato da altri detenuti che per una settimana gli hanno impedito di uscire dalla cella, di ricevere le medicine e il cibo, lo hanno praticamente torturato bruciandogli le piante dei piedi, seviziato e sodomizzato con un manico di scopa. Il tutto si è svolto nell’indifferenza collettiva.
Modena, Casa Circondariale
Sabato 10 novembre 2001 Antonio Zara è stato trovato morto nella sua cella con un sacchetto in testa. Due giorni prima era stato trasferito d’urgenza dal carcere di Bologna. Era stato arrestato a luglio con le accuse di sequestro di persona e violenza sessuale. I familiari non credono all’ipotesi del suicidio.
Napoli, Casa circondariale Secondigliano
Dopo le prime denunce e i primi procedimenti penali all’inizio degli anni Novanta, nel 1997 viene aperta una nuova inchiesta su presunti maltrattamenti in danno dei detenuti a Secondigliano. Nel 1999 sono stati interrogati oltre 100 testimoni, fra cui assistenti sociali, psicologi, medici ed il direttore del carcere e il 23 ottobre 1999 venti poliziotti penitenziari del carcere di Secondigliano, fra cui alcuni con posizioni gerarchiche di rilievo, sono stati rinviati a giudizio dalla Procura di Napoli. I reati contestati sono quelli di abuso di autorità sui detenuti, lesioni personali, minacce a testimoni avvenute nel corso delle indagini. I fatti contestati riguardano il periodo intercorrente fra il giugno del 1995 ed il febbraio del 1999. Gli imputati sinora si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Le prime udienze si sono svolte nell’aprile del 2000. Il processo è ancora in corso.
Nuoro, casa Circondariale
Luigi Acquaviva muore nel carcere di Nuoro il 23 gennaio 2000. Le prime informazioni parlavano di suicidio. Acquaviva era stato protagonista qualche giorno prima di una protesta in cui aveva preso in ostaggio per quattro ore un agente di polizia penitenziaria. La procura della Repubblica ha iscritto nel registro degli indagati il direttore, poi rimosso, e alcuni agenti. Acquaviva, secondo gli esami necroscopici, nelle ore precedenti la morte avrebbe subito una brutale aggressione. Nel corpo del detenuto sono riscontrate una infinità di ecchimosi e contusioni. Anche il Comandante di reparto viene rimosso. Nei mesi successivi i detenuti denunciano un aggravarsi del clima interno. I familiari dei detenuti e l’intero consiglio comunale di Nuoro nei primi mesi del 2001 protestano duramente contro quella che chiamano deportazione dei loro parenti detenuti. I parlamentari locali lamentano i trattamenti di eccessivo rigore presenti nel carcere. Il 7 giugno 2001 il procuratore della Repubblica di Nuoro Roberto Faceva e il sostituto Maria Grazia Genovese hanno richiesto il rinvio a giudizio di 8 agenti di polizia penitenziaria. Per uno di essi l’accusa è di omicidio colposo, per gli altri sette di lesioni.
Padova, Casa di reclusione Due Palazzi
Lunedì 5 novembre 2001 il detenuto C.G. sarebbe stato picchiato da alcuni agenti di polizia penitenziaria. I legali del detenuto e il consigliere regionale Gianfranco Bettin che lo ha visitato nei giorni successivi riferiscono che C.G. presenterebbe evidenti segni di violenze. Lo stesso C.G scrive al Mattino di Padova raccontando l’episodio: "Vengo chiamato al casellario per il ritiro di un pacco...All’interno di quel pacco a me destinato c’erano anche due paia di scarpe, uno di ginnastica e uno di stoffa. Queste ultime non me le volevano dare. Di fronte al no dell’assistente ho fatto chiamare il superiore in carica in quel momento. Parlarono tra di loro un po’, poi si rivolsero verso di me in modo provocatorio dandomi anche delle spinte verso i tavoli. A quel punto, vista la mala parata, mi sono rivolto verso l’uscita... Il superiore iniziò a gridare "Ti porto in isolamento". Alle grida si unirono altri agenti usandomi come un sacco di boxe. Le ho prese gratuitamente, così tante da mandarmi direttamente all’ospedale perché il dottore della struttura non si è presa la responsabilità di tenermi. Specifico che gli agenti che mi hanno picchiato alla vista del sangue si sono fermati".
Palermo, Pagliarelli
Il 18 gennaio 2001 5 medici vengono indagati dalla procura della Repubblica per la morte di A.L.B., morto dopo un intervento chirurgico. Il detenuto aveva precedentemente tentato di suicidarsi. L’autopsia ha evidenziato un errore nell’uso della sonda per l’anestesia.
Pavia, casa circondariale
A marzo 2001 il Tribunale di Pavia condanna 4 agenti di polizia penitenziaria per avere malmenato un detenuto nell’aprile del 1995. I poliziotti usavano coprirsi con il passamontagna.
Pianosa, Casa di reclusione
Il 18 ottobre 2001 l’Italia ha nuovamente rasentato l’umiliante condanna per tortura e maltrattamenti davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani. Il caso è quello di Rosario Indelicato che lamentava i maltrattamenti subiti a Pianosa nei primi anni ‘90. Molte le accuse circostanziate, alcune particolarmente crudeli: essere svegliati di colpo nella notte e portati con la forza sotto una doccia fredda, essere costretti a correre fra due fila di agenti a colpi di manganello. Le denunce giungono davanti alla magistratura di sorveglianza e alla procura di Livorno. Il 2 febbraio del 1999 due poliziotti penitenziari sono condannati ad una pena di 1 mese e 15 giorni per "abuso di autorità contro arrestati o detenuti". A seguito dell’appello presentato dai due agenti, la Corte di Firenze riqualifica i fatti definendoli in modo più grave, ossia "violenza privata con l’aggravante dell’abuso delle funzioni pubbliche". Pertanto annulla la sentenza di condanna e rinvia gli atti alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Livorno, dove allo stato giacciono gli atti. La Corte di Strasburgo ritiene di non poter condannare l’Italia per tortura, ma solo perché non dispone di prove sufficienti. Manca una idonea certificazione medica che attesti le violenze subite. Tutto ciò non è colpa dell’Indelicato, bensì di chi non gli ha prestato cura o attenzione. Ossia delle autorità italiane, che, secondo i giudici della Corte europea, sono state negligenti nel condurre l’inchiesta a seguito delle denunce per maltrattamenti. 70 milioni il risarcimento dovuto a Rosario Indelicato, che era in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Potenza, casa circondariale
Il 20 febbraio 2001 dieci fra agenti di polizia penitenziaria e operatori sanitari sono indagati dal sostituto procuratore della Repubblica Henry John Woodcock per i maltrattamenti inferti ad un detenuto tunisino. L’inchiesta era cominciata il 3 agosto 2000 quando Tbini Ama, un giovane tunisino di 21 anni era salito sui tetti del carcere per protestare contro le percosse subite il giorno prima. Un consulente nominato dal PM avrebbe accertato la compatibilità delle lesioni riportate dal detenuto con i maltrattamenti denunciati. Le ipotesi di reato contestate sono: lesioni gravi e gravissime, falsa certificazione medica. Il giovane tunisino si suicida il 17 aprile 2001. Per due mesi è rimasto nello stesso carcere e con le stesse guardie che lui aveva denunciato per maltrattamenti.
Prato, Casa Circondariale
Il Tribunale di Prato il 9 novembre 2001 ha condannato una infermiera del carcere per omicidio colposo in quanto il 5 settembre del 1998 non avrebbe soccorso un detenuto spagnolo di 45 anni colpito da infarto.
Reggio Calabria, Casa Circondariale
Francesco Romeo, 28 anni, muore il 29 settembre 1997 nel carcere di Reggio Calabria. Dagli atti giudiziari emerge che Romeo sarebbe stato aggredito da almeno 5 persone; successivamente il corpo sarebbe stato trasportato sotto un muro per simulare un tentativo di evasione. La messinscena è stata smascherata dopo la consulenza medico - legale che ha dichiarato la assoluta incompatibilità delle lesioni con la precipitazione dall’altezza di 3/4 metri. La causa diretta della morte sarebbe invece una serie di colpi di bastone o manganello che avrebbero provocato la frattura del cranio. Le lesioni alle braccia hanno invece evidenziato un tentativo di protezione del volto. Risultano lesioni allo scroto ed al coccige. Il PM, dopo due anni di indagini, ha rinviato a giudizio 24 agenti di polizia penitenziaria, di cui 12 per omicidio volontario e 12 per favoreggiamento. Il gip di Reggio Calabria ha fissato la prima udienza preliminare il 5 febbraio 2000. Quasi tutti gli imputati negano la propria assenza al momento e sul luogo del fatto. I registri delle presenze risultano alterati con il bianchetto. Nessuno ha attivato l’allarme. Intercettazioni ambientali dimostrerebbero che tutti gli escussi in qualche modo sono a conoscenza di come sono andati i fatti il giorno della morte di Romeo. Le intercettazioni hanno evidenziato, secondo quanto chiesto dal Pm nel rinvio a giudizio «una naturale tendenza al pestaggio all’interno della struttura carceraria (anche) da parte del personale di polizia penitenziaria». Il processo è attualmente in corso.
Roma, Rebibbia Femminile
A fine settembre 2001 S.P. afferma di essere stata selvaggiamente pestata solo perché non voleva essere messa in isolamento. A novembre 2001 M.C. sostiene che, a solo 1 mese dal suo ingresso in carcere, è stata malmenata e poi trasferita.
Roma, Rebibbia Nuovo Complesso
Due albanesi residenti in provincia di Ravenna sono indebitamente trattenuti dal 5 novembre 2001 per circa due settimane presso il carcere di Rebibbia nonostante il giudice della udienza preliminare abbia loro concesso gli arresti domiciliari in Romagna. La ragione addotta dalle autorità: mancanza di personale per effettuare la traduzione.
Sassari, Casa Circondariale San Sebastiano
Il 27 marzo 2000 i detenuti iniziano una protesta pacifica rumoreggiando con le sbarre delle celle a mezzanotte meno un quarto. Battono con le posate sulle grate, danno fuoco alle lenzuola e fanno esplodere le bombolette di gas. La protesta scaturisce dallo sciopero dei direttori che si lamentano del numero scarso di funzionari rispetto alle necessità operative. A causa dello sciopero i detenuti sono stati lasciati senza viveri, senza acqua minerale, senza il sopravvitto e senza sigarette. Nei giorni successivi viene rimosso il comandante degli agenti, sostituito da Ettore Tomassi, proveniente da Benevento. Il 10 aprile viene organizzato uno sfollamento generale dei detenuti da trasferire in altre carceri dell’isola. A gestire l’operazione vi sono almeno cento agenti di polizia penitenziaria. E durante la traduzione più o meno trenta detenuti comuni vengono brutalmente picchiati. Gran parte di essi sono tossicodipendenti. I parenti dei detenuti protestano a lungo per quanto accaduto e scattano le prime denunce alla procura della repubblica. Il 18 aprile l’associazione Antigone incontra i responsabili del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria segnalando la gravità degli episodi sassaresi. Il 20 aprile le madri dei detenuti picchiati organizzano una fiaccolata contro le violenze subite dai loro figli. Il 3 maggio i primi sviluppi dell’inchiesta. La Procura emette 82 provvedimenti di custodia cautelare, di cui 22 in carcere e 60 agli arresti domiciliari. Coinvolti la direttrice del carcere Cristina Di Marzio, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Giuseppe Dalla Vecchia, il comandante di reparto Ettore Tomassi. L’amministrazione penitenziaria trasferisce in altre sedi i tre responsabili coinvolti e molti degli agenti. L’accusa: pestaggi selvaggi, detenuti costretti a denudarsi, trascinati per terra ammanettati, colpiti con calci e pugni alla schiena e alle gambe, lanciati da un agente all’altro. Il 9 marzo 2001 il sostituto procuratore del Tribunale di Sassari, Gianni Caria, ha depositato al giudice delle indagini preliminari la richiesta di rinvio a giudizio per 95 fra agenti e dirigenti dell’amministrazione penitenziaria coinvolti nel pestaggio, ivi compresi alcuni medici delle carceri di Sassari, Oristano e Macomer, e i direttori delle carceri di Macomer e Oristano (Monteverde e Farci), questi ultimi accusati di aver omesso di denunciare la condizione dei reclusi al momento dell’arrivo nei loro penitenziari. Le accuse contestate agli agenti variano dalle lesioni personali gravi, all’abuso di ufficio sino alla violenza privata. Nel corso dell’inchiesta - secondo l’accusa - è emerso il coinvolgimento anche di agenti in servizio nel carcere "San Sebastiano"‘ la notte del pestaggio e che i detenuti che avrebbero subito pestaggi e vessazioni sarebbero 46. Le posizioni più gravi sono quelle del provveditore Giuseppe Della Vecchia, dell’ex direttrice Maria Cristina Di Marzio, e di Ettore Tomassi, il capo degli agenti, accusati insieme di aver "organizzato e diretto" il pestaggio. A Tomassi vengono mosse le accuse più pesanti, con una serie di aggravanti che vanno dall’aver adoperato sevizie e aver agito con crudeltà (un detenuto sarebbe stato caricato sul cellulare ferito e ricoperto di escrementi, con addosso solo un sacco per l’immondizia), non aver provveduto a medicare i detenuti per le lesioni subite, ad aver abusato di potere e di autorità. A Tomassi, inoltre, viene contestato di aver esercitato pressioni, minacciando i detenuti, anche nei giorni dopo il pestaggio per evitare che denunciassero i fatti. A novembre 2001 iniziano le udienze davanti al giudice dell’udienza preliminare. Il Gup Antonio Luigi Demuro ha sciolto la propria riserva e ha decretato l’incompetenza territoriale per 5 indagati (i direttori delle carceri di Macomer e Oristano Monteverde e Farci, il comandante degli agenti di Macomer, i medici di Macomer Oristano) rinviando gli atti alla Procura della Repubblica di Oristano. Una grande fetta di imputati (circa 50) ha chiesto il rito abbreviato semplice o condizionato. Il 28 gennaio 2002 si sono tenute le prime udienze degli imputati che hanno chiesto il rito abbreviato per evitare aggravamenti alla posizione processuale.
Vercelli, Casa Circondariale
L.V. arrestato i primi di novembre 2001, secondo quanto raccontato dai suoi difensori, afferma di essere stato malmenato da alcuni agenti di polizia penitenziaria che gli avrebbero rotto un polso solo per avere chiesto dei tranquillanti. Il direttore del carcere sostiene che si sia trattato di un incidente e che la porta blindata gli sarebbe stata chiusa sul braccio involontariamente.
Vigevano, Casa Circondariale
Un detenuto di 60 anni G.D.D. muore per emorragia il primo agosto del 2000. Due medici vengono indagati il 10 novembre 2001 per omicidio colposo dalla Procura della Repubblica di Pavia. Non avrebbero tempestivamente disposto il ricovero in ospedale del detenuto. Il detenuto era stato arrestato per furto di auto.
I suicidi in carcere sono stati 51 nel 1999, 56 nel 2000, 70 nel 2001. Violenze e maltrattamenti in questure, commissariati, stazioni dei carabinieri
Bari, Questura
Genova
Durante lo svolgimento del vertice internazionale del G8 a Genova il 20-22 luglio 2001 le forze dell’ordine vengono accusate, con ampia documentazione dei media, di pestaggi, violenze, brutalità nei confronti dei manifestanti sia durante lo svolgimento del corteo sia durante la perquisizione straordinaria nella scuola dive risiedevano gruppi dei manifestanti. Un ragazzo, Carlo Giuliani, viene ucciso da un carabiniere durante il primo giorno di manifestazione. Le violenze sono continuate drammaticamente nelle caserme Bolzaneto e Diaz, utilizzate per l’immatricolazione dei fermati. La procura della Repubblica di Genova ha aperto 8 inchieste. Coinvolti anche diversi funzionari di polizia. Viene sciolto il reparto celere di Roma coinvolto nei fatti. Antigone si è ricolta al Comitato europeo per la prevenzione della tortura. Amnesty International ha chiesto una commissione internazionale indipendente che indaghi sui fatti. Ecco le 8 inchieste: 1) per l’uccisione di Carlo Giuliani in Piazza Alimonia due i carabinieri indagati per omicidio volontario, M.P. che ha sparato e l’autista, la cui posizione però è stata già derubricata; 2) per il blitz notturno nella sede del Global social forum sono coinvolti quei poliziotti che hanno commesso reati ai danni di chi occupava le due scuole; 3) per i pestaggi nella scuola Diaz l’inchiesta riguarda gli abusi e le lesioni ad opera delle forze dell’ordine intervenute nella scuola; 4) per i pestaggi durante il corteo la procura ha istituito uno sportello per raccogliere foto, film e testimonianze su pestaggi e violenze durante gli scontri di piazza e il corteo; 5) per quanto riguarda il ritardo dell’intervento delle forze dell’ordine a seguito di denunce di cittadini per danneggiamenti a cose e negozi è stato aperto un fascicolo processuale; 6) per quanto riguarda le violenze dei Black Bloc nel mirino della magistratura, ovviamente, ci sono anche gli episodi di violenza e devastazione da parte dei manifestanti; 7) per quanto concerne le violenze nella caserma di Bolzaneto una inchiesta è stata predisposta sui pestaggi e le violenze da parte di alcuni esponenti delle forze dell’ordine accadute nella caserma, destinata a luogo di smistamento e immatricolazioni di fermati e di arrestati; 8) per quanto riguarda le violenze contro i carabinieri un fascicolo è stato aperto per indagare sulle violenze da parte di alcuni manifestanti contro l’autoblinda dei carabinieri da cui partì il colpo mortale.
Matera, Commissariato di Polizia
Il 19 marzo 1999 alle ore 23,30 Angelo Raffaele De Palo, 31 anni, viene fermato nel centro di Matera da una pattuglia di polizia mentre, in stato di ubriachezza, infastidisce alcuni passanti. È condotto in Questura. Alle ore 23.50 è ricoverato nell’ospedale cittadino: gli viene diagnosticata la frattura del setto nasale, muore alle 9.30 del giorno dopo. Il decesso risulta causato da trauma cranico ed emorragia cerebrale. Secondo i verbali dell’autopsia, il De Palo riportò un trauma contusivo cranico con doppia frattura in regione parieto-occipitale sinistra, una frattura della piramide nasale, con escoriazione del dorso del naso e la lussazione con frattura degli incisivi mediali superiori. Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta giudiziaria condotta dal procuratore della Repubblica Giovanni Leonardi. A gennaio 2001 si è tenuta la prima udienza preliminare nei confronti dell’ispettore F.A. accusato di omicidio preterintenzionale. Il poliziotto ha richiesto il rito abbreviato, per evitare di dare pubblicità al caso. Dall’esame autoptico sarebbe emerso che la morte fu dovuta a shock emorragico interno, per le lesioni contusive craniche presenti nella zona occipitale sinistra. L’ispettore sotto accusa continua a prestare servizio presso la questura di Matera. Il 17 aprile 2001 si è concluso il processo di primo grado. L’ispettore di polizia F.A. è stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale, interdizione perpetua dai pubblici uffici e un risarcimento di 250 milioni di danni a favore dei familiari della vittima.
Napoli
Durante le proteste per il Global Forum tenutosi a Napoli nel mese di marzo 2001 alcuni ragazzi denunciano i violenti pestaggi subiti ed in particolare un poliziotto che li avrebbe costretti a inginocchiarsi e baciare una medaglia raffigurante Mussolini.
Pistoia, Questura
Il 21 marzo 2001 vengono arrestati tre agenti della polizia di stato, precedentemente sospesi dal servizio, per avere pestato in Questura cinque ragazzi a seguito di controlli di routine. L’accusa è di lesioni gravi, falso e calunnia.
Roma, Carabinieri
Roma, Questura
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