Newsletter n° 34 di Antigone

 

Newsletter numero 34 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’editoriale di Patrizio Gonnella: le carceri dopo l’indulto

L’Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

Il Vaso di Pandora, a cura del Coordinamento Nazionale

Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura di Patrizio Gonnella

Le Iniziative di Antigone a cura della Redazione 

L’Editoriale: le carceri dopo l’indulto, di Patrizio Gonnella

 

Le carceri non sono sovraffollate. Questa è una buona notizia. I detenuti sono circa 38 mila, qualche migliaio in meno rispetto alla capienza regolamentare. Non capitava dal 1992. L’occasione è ghiotta per programmare politiche penali e penitenziarie che non riproducano la situazione pre-indulto. C’è qualche chance, oggi, per chi entra in galera di vedere rispettati i propri diritti umani. L’intervista di ieri sul Manifesto del sottosegretario Luigi Manconi segna una discontinuità rispetto al passato. Se ne doglierà Marco Travaglio. Vanno abrogate la ex Cirielli sulla recidiva, la Fini-Giovanardi sulle droghe, la Bossi-Fini.

Va riscritto il codice penale. Giuliano Pisapia è stato incaricato di farlo. Le premesse ci sono per una riforma nel segno della minimizzazione dei reati e delle pene. Aspettiamo che vi sia una anticipazione sui tempi di lavoro. L’amministrazione penitenziaria, nel frattempo, ha una occasione storica: mettere mano al sistema, applicare finalmente le leggi inattuate (sanità, lavoro, regolamento sugli standard di vita interni), restituire senso al trattamento penitenziario, assicurare il rispetto dei diritti e una condizione di detenzione conforme alle norme internazionali e interne. Un obiettivo di tale portata non può però essere lasciato nelle mani di chi è stato nominato dall’ex ministro Castelli per non governare il sistema penitenziario e lasciarlo decadere nell’oblio, di chi non ha fiatato quando le carceri venivano definite provocatoriamente dal ministro leghista hotel a 5 stelle, di chi non ha fatto nulla - e dico nulla - per ripristinare la legalità penitenziaria, di chi ha creato organismi oscuri di intelligence carceraria, infine, di chi ha definito noi di Antigone contigui agli anarco-insurrezionalisti e quindi pericolosi per la sicurezza interna. Giovanni Tinebra tra qualche settimana dovrebbe tornare a fare il procuratore. Lui non può essere il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) dell’Unione al governo. Ma non può neanche esserlo chi ha condiviso le sue politiche. Sono circolati vari nomi in questi mesi. Si parla di ritorni illustri, di illustri sconosciuti, di persone da sistemare. Il metodo non può essere questo.

Con l’unica eccezione di Alessandro Margara, nominato dal ministro Flick nel 1997, i capi Dap si sono divisi in due categorie: magistrati a cui bisognava trovare una collocazione e magistrati amici mai interessatisi in alcun modo alla questione penitenziaria. E i risultati si sono visti. Le carceri sono fuorilegge e nessuno si è preoccupato di applicare le leggi in vigore, come se l’illegalità fosse funzionale alla sicurezza. Oggi l’indulto offre una occasione storica che non va vanificata. Nominare la persona sbagliata significa gettare all’aria questa occasione, dando argomenti forti a chi ha contrastato il provvedimento di clemenza.

Non abbiamo bisogno di un capo Dap che tolleri a fatica l’articolo 27 della Costituzione secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Non abbiamo bisogno di un capo Dap che sia per forza magistrato. Qualunque sia la sua provenienza - giudice, procuratore, manager, professore universitario, funzionario, esperto - deve usare la Costituzione e le leggi come il vangelo, deve avere uno staff che non remi contro, deve essere capace di governare una organizzazione complessa come non poche. La legislatura berlusconiana si è aperta con i fatti di Genova e con le violenze tollerate (dai capi) dei poliziotti penitenziari a Bolzaneto. Speriamo che in questa legislatura cose del genere non accadano. Speriamo che la tortura divenga reato e chi da anni lotta per contrastarla non sia considerato un nemico. La teoria delle mele marce è una teoria auto-assolutoria. Una mela diventa marcia quando qualcuno l’ha fatta maturare troppo.

 

L’Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

Garante dei detenuti: adottato il testo base in Commissione affari costituzionali

 

Procede l’iter parlamentare della proposta di legge che istituisce il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Una figura su cui (già da tempo, sin dal 2003) si è pronunciato anche il Parlamento europeo, sottolineandone l’utilità e la necessità, anche in base alla esperienza positiva registrata dai Paesi europei che l’hanno già istituzionalizzato. In data 26 settembre, infatti, la commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati ha adottato il testo base sul tema proposto dalla relatrice, l’on. Graziella Mascia (Rifondazione Comunista- Sinistra Europea). Sono complessivamente tre le proposte di legge depositate alla Camera sull’argomento, firmate rispettivamente dall’on. Mazzoni dell’Udc (A.C. 626), l’on. Boato dei Verdi (A.C. 1441), e la stessa Mascia ( A.C. 1090).

In base al testo adottato dalla commissione, il Garante, in carica per quattro anni (salvo il regime di prorogatio), è costituito da un Presidente, nominato d’intesa dai presidenti di Repubblica, Senato e Camera e da quattro membri eletti a maggioranza assoluta dei componenti (due da Montecitorio e due da Palazzo Madama). I componenti del Garante devono avere esperienza pluriennale nel campo dei diritti umani, delle persone detenute o private della libertà personale e formazione nel campo giuridico o in quello dei diritti umani. È prevista l’incompatibilità con cariche elettive, governative e istituzionali e con qualsiasi altra attività lavorativa o ricoprire incarichi per conto di associazioni o partiti. Tutti detenuti, senza vincoli di forma, possono rivolgersi a questo organismo che ha l’obbligo di presentare rapporto all’autorità giudiziaria competente ogni volta venga a conoscenza di fatti che possano costituire reato. In relazione ai poteri e alle funzioni dell’organismo, in particolare, si prevede (articolo 7 del provvedimento) che il garante:

"a) esercita la vigilanza diretta ad assicurare che l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale, sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti;

b) adotta le proprie determinazioni in ordine alle istanze e ai reclami che gli sono rivolti dagli internati e dai detenuti ai sensi dell’articolo 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dall’articolo 8, comma 2, della presente legge;

c) verifica che le strutture edilizie pubbliche adibite alla restrizione della libertà delle persone siano idonee a salvaguardarne la dignità con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali

d) verifica le procedure seguite nei confronti dei trattenuti e le condizioni di trattenimento dei medesimi presso le camere di sicurezza eventualmente esistenti presso le caserme dell’Arma dei carabinieri, le caserme del Corpo della guardia di finanza ed i commissariati di pubblica sicurezza;

e) verifica il rispetto degli adempimenti e delle procedure previste agli articoli 20, 21, 22 e 23 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, successive modificazioni presso i centri di permanenza temporanea e assistenza previsti dall’articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, e successive modificazioni."

È importante sottolineare che il Garante può anche visitare, senza necessità di autorizzazione o di preavviso e in condizioni di sicurezza, e senza accompagnamento qualora ne faccia richiesta, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e gli istituti penali e le comunità per minori, accedendo, senza restrizione alcuna, in qualunque locale e incontrando liberamente chiunque vi sia privato della libertà. Prende inoltre visione - previo consenso anche verbale dell’interessato - degli atti e dei documenti contenuti nel fascicolo della persona privata della libertà, fatta eccezione per quelli coperti da segreto relativi alle indagini e al procedimento penale. Può richiedere inoltre alle amministrazioni responsabili delle strutture le informazioni e i documenti che ritenga necessari. Nel caso in cui l’amministrazione responsabile non fornisca risposta nel termine di trenta giorni alla richiesta, informa il magistrato di sorveglianza territorialmente competente e può richiedergli di emettere ordine di esibizione dei documenti richiesti.

"Nell’esercizio della funzione indicata al comma 1, lettere c), d) ed e), il Garante dei diritti, senza necessità di autorizzazione o di preavviso, visita, in condizioni di sicurezza, i centri di permanenza temporanea e assistenza previsti dall’articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive e modificazioni, accedendo senza restrizione alcuna in qualunque locale, nonché visita, senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative in corso, le camere di sicurezza eventualmente esistenti presso le caserme dell’Arma dei carabinieri, le caserme del Corpo della guardia di finanza ed i commissariati di pubblica sicurezza."

Nei prossimi giorni si apriranno i termini per la presentazione di eventuali emendamenti al testo che, in ogni caso, dovrebbe arrivare all’approvazione definitiva, stante l’impegno dell’Unione sul punto, inserito esplicitamente nel programma elettorale.

 

Il Vaso di Pandora, a cura del Coordinamento Osservatorio Nazionale

L’Osservatorio Regionale della Sicilia, di Anna Federico, Mimma Dominici, Rosalba Razzano

 

L’umanizzazione della pena: prima nella coscienza poi nelle leggi. Io ci provo a cambiare le carte in tavola a guardare i presupposti a curare il corpo ad affinare la mente ad amarmi ad onorare il debito ad acquistare credito a vendere merito ad abbattere il muro a metter su casa ad imparare l’arte a non metterla da parte a svegliarmi contento ad essere coerente ad ascoltare il silenzio ad ingranare la marcia a governare l’energia a cambiare la strada a mantenere l’impegno a raggiungere il traguardo a meritare fiducia a ridere a piangere ad anticipare l’alba. Io ci provo a risalire la china a colmare il vuoto a masticare il mondo a digerire il tempo... io ci provo!

Queste sono le parole di una poesia scritta da un detenuto dell’Istituto a Custodia attenuata di Giarre. Svariate sono le attività che si organizzano in funzione del trattamento risocializzante. Oltre a quelle attinenti alla gestione di una comunità quali pulizia, manutenzione e cucina, i detenuti partecipano ad altri progetti. Ognuna delle attività portate avanti negli istituti penitenziari, che il più delle volte sono gestite da enti di formazione professionale o da volontari, fornisce ai detenuti un contributo diversificato.

Negli istituti della Sicilia che abbiamo visitato fino ad oggi, siamo riuscite a cogliere l’intenzione di molti operatori di rendere meno tragica la condizione detentiva e la pena da scontare, utilizzando tutte le risorse (anche se sono realmente esigue) intramurarie ed extramurarie, coinvolgendo Enti Locali, associazioni, volontariato. Ci ha molto colpito questo senso di umanità che accomuna una buona parte degli operatori, a volte superiore a quello presente all’esterno. Abbiamo riscontrato, sia da parte delle direzioni carcerarie che dell’area educativa, una motivazione che resiste alle difficoltà, nonché volontà di sfruttare al massimo le risorse che a volte sono quasi inesistenti. Abbiamo avuto modo di cogliere la particolarità del ruolo svolto dagli agenti di polizia penitenziaria. Tutti sappiamo che la scelta di tale professione è mirata al "posto fisso" nel senso letterale del termine. Pochi scelgono questa professione per passione o perché ritenuta dotata di prestigio sociale. Alcuni si aggiungono al lavoro di ascolto e di accoglienza all’interno del muro di cinta che sarebbe tipico degli educatori. In tutto il territorio siciliano gli educatori sono in numero molto esiguo, in media uno ogni 100 detenuti. Capite bene che la proporzione non regge ed è qui che entra in campo la "guardia carceraria" (come dicono i detenuti). Va quindi sottolineata la "fuoriuscita dal ruolo" di guardia per passare a quello di chi accoglie, raccoglie ed avanza richieste per nome e per conto dei detenuti.

In carcere ci siamo quasi sentite noi stesse in gabbia, manipolate; ma eravamo solo prigioniere delle immagini che ci eravamo costruite. Quando ci è stato proposto di far parte dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione della nostra regione non pensavamo che con la visita nelle carceri avremmo trovato un mondo così articolato, così ingiustamente rimosso.

Spesso in carcere si parla di potenzialità di riabilitazione del condannato. La radice della parola "riabilitazione" significa "rendere di nuovo abile" cioè, in pratica, "mettere di nuovo in stato di funzionalità". Al carcere si assegna un compito arduo, utopico. L’ingresso in carcere, invece, è accompagnato da un cerimoniale di privazione della dignità.

Non con un cerimoniale, ma con strumenti effettivi di reintegrazione sociale deve compiersi il percorso del detenuto. L’Amministrazione penitenziaria ha oggi, in Sicilia come nel resto d’Italia, un’occasione storica per operare in questa direzione, seppur nell’attesa che il legislatore intervenga con riforme normative. L’indulto votato lo scorso 29 luglio ha infatti svuotato le galere in maniera che pareva impensabile solo poche settimane fa. La Sicilia è la regione con il maggior numero di istituti penitenziari delle venti regioni italiane. Il sistema penitenziario siciliano costituisce di per sé un sistema complesso, che riproduce in scala ridotta le stesse difficoltà di gestione e di interrelazione che si riscontrano a livello nazionale. Oggi il numero dei detenuti permette di amministrare questo sistema con uno sguardo più duraturo di quanto fosse possibile in passato. Se il sovraffollamento e la conseguente carenza di risorse costringevano le carceri siciliane a vivere in uno stato di continua emergenza, volto a tamponare solamente i problemi immediati, adesso i 14 detenuti rimasti a Castelvetrano, i 9 di Giarre, i 23 di Enna Piazza Armerina, i 209 di Messina (101 gli usciti), i 227 di Siracusa (124 gli usciti) e via dicendo consentono finalmente una gestione della vita penitenziaria nella quale quella sinergia di forze disponibili che noi abbiamo potuto cogliere durante le nostre visite sia davvero convogliata in un serio programma di reintegrazione sociale delle persone detenute. Per contattare l’Osservatorio Regionale della Sicilia: osservatoriosicilia@associazioneantigone.it

 

Entrato in vigore il Protocollo opzionale alla

Convenzione Onu contro la tortura, di Patrizio Gonnella

 

È finalmente entrato in vigore il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura che prevede un meccanismo universale di controllo dei luoghi di detenzione. Dopo le ratifiche di Bolivia e Honduras, il Protocollo, adottato dall’ONU nel dicembre 2002, ha raggiunto la soglia delle 20 ratifiche necessaria alla sua entrata in vigore. Altre tre ratifiche si sono successivamente aggiunte, quella della Repubblica Ceca, quella della Repubblica Moldova, e per ultima, quella della Repubblica di Macedonia avvenuta il primo settembre 2006. Sale dunque a 23 il numero dei Paesi impegnati dal Protocollo, già ratificato in passato da Albania, Argentina, Costa Rica, Croazia, Danimarca, Georgia, Liberia, Maldive, Mali, Malta, Mauritius, Messico, Paraguay, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svezia e Uruguay.

Il Protocollo opzionale ONU fa compiere allo strumentario normativo sopranazionale di lotta alla tortura un fondamentale passo avanti. La Convenzione del 1984, che imponeva agli Stati parte l’adozione di misure legislative e giuridiche per perseguire internamente gli atti di tortura ed escludeva esplicitamente la possibilità di invocare lo stato di guerra quale loro possibile giustificazione, mancava di prevedere strumenti efficaci di controllo della propria applicazione. Il Committee against Torture (CAT) istituito dalla Convenzione ha un valore più simbolico che operativo, limitandosi a ricevere rapporti periodici dagli Stati e potendo effettuare visite dirette solo in casi particolari, e comunque mai senza l’accordo dello Stato ricevente. Come recita invece l’articolo 1 del Protocollo opzionale, il suo obiettivo è quello "di creare un sistema di visite regolari in tutti i luoghi di privazione della libertà effettuate da organismi indipendenti internazionali e nazionali, al fine di prevenire la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti".

A livello internazionale, a un Sottocomitato del Comitato contro la tortura, che lavorerà in collaborazione con le istituzioni nazionali, saranno attribuiti poteri ispettivi universali dei luoghi di detenzione, senza alcuna esclusione neanche per quanto riguarda le aree di guerra. Il prossimo 18 dicembre si terrà un incontro fra i rappresentanti degli Stati parte durante il quale saranno eletti i primi 10 componenti del Sottocomitato.

A livello nazionale, ogni Stato parte è oggi tenuto a creare un meccanismo interno di controllo, dando vita a un organismo indipendente i cui compiti e poteri saranno regolamentati dalla legislazione nazionale. Esso avrà tuttavia facoltà di visitare liberamente carceri, stazioni di polizia, caserme dei carabinieri, centri di permanenza per stranieri, vale a dire tutti quei luoghi dove le persone vivono private o limitate nella propria libertà di movimento.

Accanto a una storia piccola e meno conosciuta, che passa nei tanti luoghi di detenzione lontani dalle luci dei media, la grande storia di galere note a tutto il mondo ci ha costretti a constatare l’attualità del tema della tortura. Guantanamo e Abu Ghraib, prigioni gestite da paesi democratici, si sarebbero potute evitare se fosse esistito un meccanismo di ispezione volto a rendere effettivo quel diritto a non subire atti di tortura che la Convenzione dell’’84 si limita a sancire. Ma il Protocollo opzionale - che è uno di quegli accordi internazionali che rendono evidente il passaggio da un diritto internazionale dei diritti umani generico e poco invadente a un diritto che impone invece ai singoli Paesi procedure specifiche limitanti la propria sovranità interna - fu approvato dall’Assemblea Generale dell’ONU dopo anni di travagliate discussioni. È stato firmato fino a ora da 51 Paesi (tra i primi, l’Italia ha apposto la sua firma nell’agosto 2003, senza però averlo a tutto oggi ratificato), e ancora non vede l’adesione di Stati quali Cina, Cuba, Iraq e Stati Uniti. Una rosa di Paesi che tende a ripetersi ogni volta che si tratta di rafforzare gli strumenti sopranazionali sui diritti umani, a partire proprio dai cosiddetti monitoring bodies, gli organismi internazionali di controllo con i quali gli Stati parte sono tenuti a collaborare.

 

Le iniziative di Antigone, a cura della Redazione

 

Giovedì 12 ottobre 2006 ore 17-20, presso la Sala Tevere della Regione Lazio, Via Cristoforo Colombo, 212 Roma, in occasione della pubblicazione del secondo numero della rivista di Antigone "Disonesti o criminali?", si terrà l’incontro dal titolo "Da Calciopoli agli scandali nel Lazio".

 

Introduce

Claudio Sarzotti - Università di Torino

 

Storie di criminalità bianca

Francesco di Frischia - Giornalista

Oliviero Beha - Scrittore

 

Tavola rotonda

 

Coordina

Patrizio Gonnella - Presidente Associazione Antigone

 

Partecipano

Giuseppe Cascini - Sostituto Procuratore Roma

Giusy Gabriele - Direttore Generale Asl Roma D

Alessandro Messina - Direttore Autopromozione sociale, Comune di Roma

Luigi Nieri - Assessore al Bilancio, Regione Lazio

Carlo Petrini - Scrittore ed ex calciatore

Vincenzo Ruggiero - Middlesex University

 

Martedì 17 ottobre 2006 ore 10.00 presso la Camera dei deputati, Sala del refettorio, Palazzo del Seminario, Via del Seminario, 76 a Roma, si terrà il convegno "Diritto alla difesa e tutela dei meno abbienti: l’esperienza della Defensoria publica argentina e le prospettive di riforma in Italia", promosso da Antigone e Questione Giustizia.

 

Ore 10.00

 

Presiede

Giovanni Conso - Presidente Accademia dei Lincei

 

Introduce

Luigi Ferrajoli - Università di Roma Tre

 

Ore 11.00

 

Presiede

Alberto Filippi - Dipartimento di scienze giuridiche e politiche, Università di Camerino

 

Relazioni

Stella Maris Martines - Defensora general de la Nacion de la Repùblica argentina

Paolo Ferrua - Docente di Procedura penale, Università di Torino

 

Intervengono

Livio Pepino - Consiglio superiore della magistratura

Luis Niño - Juez de Cámara de los Tribunales Orales en lo Criminal del Poder Judicial de la Nación Argentina

 

Ore 15.00

 

Presiede

Stefano Anastasia

 

Intervengono

Guido Calvi - Senatore Commissione giustizia

Maria Fernanda Lopez Puleio - Defensora publica Oficial de la Nacion, incaricata della Segretaria di Politica Istituzionale

Joaquin Pedro Da Rocha - Director del Instituto de Derecho Penal del Colegio Público de Abogados de la Capital Federal. Integrante de la Comisión para la elaboración del proyecto de ley de reforma y actualización integral del Código Penal

Patrizio Gonnella - Presidente dell’Associazione Antigone

Lorenzo Trucco - Avv.to, Associazione studi giuridici sull’immigrazione

Arturo Salerni - Avv.to, Associazione Progetto diritti

 

Conclusioni

Alejandro Slokar - Secretario de Política Criminal del Minsitero de Justicia y derechos umanos de la Nación Argentina

Luigi Manconi - Sottosegretario alla Giustizia

 

Per l’ingresso alla Sala del convegno è necessario l’accredito al numero 06. 44363191. Per gli uomini è necessaria la giacca.

 

 

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