Newsletter n° 21 di Antigone

 

Newsletter numero 21 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’Editoriale: per una nuova giustizia penale, di Patrizio Gonnella

L’Osservatorio Parlamentare a cura di Francesca D’Elia

Le Recensioni di Antigone: Il silenzio dell’allodola, di David Ballerini

Modifiche al Testo Unico sugli stupefacenti

Speciale Assemblea Nazionale: ordini del giorno approvati e nuovo organigramma

Le iniziative di Antigone a cura della Redazione

L’Editoriale: per una nuova giustizia penale, di Patrizio Gonnella

 

"Per una nuova giustizia penale" è un titolo che seppur apparentemente ambizioso, è però il più efficace per indicare una via, una direzione da intraprendere. È il titolo che abbiamo scelto per la nostra assemblea nazionale che si è tenuta lo scorso 20 maggio a Roma. Da Bertinotti a Brutti passando per Pecoraro Scanio, Fanfani e Capezzone tutti hanno più o meno condiviso, salvo qualche distinguo sull’abolizione dell’ergastolo, le nostre idee sulla giustizia penale. È nostro obiettivo andare oltre, e cercare di influenzare efficacemente le scelte programmatiche dell’Unione, proprio a partire dal consenso ricevuto. Un consenso che va capitalizzato, ricordato, consolidato. Per questo è importante ribadire quali sono i punti cardine delle nostre proposte in materia di giustizia penale.

I 75 anni di vita del codice Rocco sono lì a ricordare che la nostra giustizia penale si fonda su radici, reati e valori pre-costituzionali. La giustizia penale è stretta e costretta dalle corporazioni e dai conflitti di interesse in un angolo poco e male illuminato. Va rilanciato un progetto politico che ne ridefinisca i confini e i contenuti. Il diritto penale deve essere capace di tenere insieme istanze di libertà e sicurezza, diritti individuali e interessi collettivi. Oggi sempre più invece il sistema penale e della giustizia criminale si allontana dalla protezione di beni e diritti costituzionalmente garantiti. Il pendolo della giustizia è visibilmente spostato verso l’estremo repressivo. Da 15 anni il sistema penale non trova in un provvedimento di amnistia-indulto lo sfogo necessario a contenere gli effetti della ipertrofia normativa e del panpenalismo imperante. Il numero enorme delle prescrizioni annue e la quota record di persone sottoposte a controllo penale sono i due poli di una giustizia penale fortemente selettiva e iniqua. Diritto e ragione vanno riposizionati insieme e coerentemente. Dal punto di vista strettamente politico questo è un momento importante. Manca meno di un anno alle prossime elezioni politiche e si ha quindi il tempo per elaborare un programma in tema di giustizia penale capace di uscire fuori dall’emergenzialismo, dall’opportunismo, dal securitarismo.

Va riscritto il codice penale, e va riscritto sia nella sua parte generale che nella sua parte speciale. La filosofia che deve ispirare il codice che verrà dovrebbe essere quella di una giustizia mite e equilibrata. Il diritto penale minimo da slogan deve diventare bussola per il legislatore. Vanno ridotti i reati e diversificate le sanzioni, superando l’esclusività della pena carceraria. La abolizione della pena dell’ergastolo – che democrazie più giovani della nostra quali Spagna e Portogallo hanno già realizzato attraverso una previsione ad hoc in Costituzione - porterebbe con sé la riduzione di tutti i massimi sanzionatori. La gran massa di imputati e di condannati è sotto processo o in carcere per reati contro il patrimonio e per violazione della legge sugli stupefacenti. Le sanzioni per questi reati sono tra le più alte d’Europa. Si può arrivare sino a oltre 15 anni di carcere per traffico di droga e a quasi 10 per furto pluri-aggravato. Agendo su un paio di fattispecie di reato – attraverso politiche di depenalizzazione e decarcerizzazione – si potrebbe far calare di molto la popolazione detenuta in Italia. Il penale non deve debordare nel sociale. L’immigrazione e le tossicodipendenze vanno trattate come questioni sociali e non di ordine pubblico. Bisogna decriminalizzare gli status e gli stili di vita. Va inoltre superato il sistema binario sanzionatorio pene-misure di sicurezza, vanno introdotte nel codice penale pene principali diverse dalla reclusione, vanno abolite le pene accessorie, in particolare quelle interdittive che rendono molto complicato un eventuale percorso di reintegrazione sociale. Una volta scontata in via definitiva la pena carceraria vanno ripristinati tutti i diritti civili, politici (vedasi il diritto di voto attivo e passivo) ed economici. La commissione che andrà a riformare il codice penale, per evitare quanto accaduto oramai troppe volte nel passato, deve avere tempi contingentati e forse, sarebbe bene che fosse già incardinata in una sede parlamentare.

A un nuovo codice va affiancato un più equo sistema di garanzie processuali. Va restituita piena centralità al diritto di difesa, anche attraverso l’istituzione di un sistema di difesa pubblica, paritario rispetto alla pubblica accusa e complementare rispetto al gratuito patrocinio. In ogni tribunale dovrebbe esserci un albo di difensori pubblici, tra cui ogni cittadino potrebbe scegliere il proprio legale pubblico di fiducia. Così come esiste il medico del servizio sanitario nazionale esisterebbe l’avvocato del tribunale. In tal modo, senza intaccare il sistema di difesa privata e il rapporto fiduciario che lo sottende, il diritto di difesa riacquisterebbe la sua natura di diritto irrinunciabile e universale. Il gratuito patrocinio non è sufficiente a assicurare questo obiettivo, sia per i limiti troppo bassi di reddito previsti per potervi accedere, sia perché le parcelle non troppo alte non costituiscono un incentivo per gli avvocati più esperti.

Il diritto di difesa va garantito a tutti i livelli, senza limitazioni, e quindi anche a livello sovra-nazionale. Il costituente diritto penale europeo, oggi principalmente ispirato a logiche repressive e di cooperazione di polizia, deve invece in modo chiaro e inequivoco garantire i diritti fondamentali delle persone che incrociano il sistema penale. Tutta la legislazione penale europea null’altro dovrebbe essere che la sintesi dei massimi comuni denominatori tra gli standard di garanzia nazionali. Il processo di costituzionalizzazione deve essere una occasione per livellare verso l’alto i diritti e non uno strumento per comprimerli verso il basso, alla ricerca del minimo comune denominatore.

I diritti devono essere altresì il barometro di un nuovo ordinamento penitenziario che, come suggerisce Alessandro Margara, riqualifichi l’ordinamento penitenziario vigente in un vero e proprio codice dei diritti delle persone private della libertà. Il diritto alla vita, il diritto all’integrità personale, il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione, il diritto alla professione del credo religioso vanno assicurati in carcere senza mediazioni o restringimenti. La sicurezza si fonda sul riconoscimento e sull’effettività dei diritti. La carcerazione non è altro che una temporanea sospensione della libertà di movimento. Invece manca in Italia, nonostante i solleciti provenienti dagli organismi internazionali, un apparato a tutela dei diritti delle persone private della libertà. Il nostro è un sistema doppiamente monco. Va istituita una figura nazionale di garanzia delle persone private della libertà che raccordi i garanti meritoriamente istituiti dagli enti locali in giro per l’Italia. Va data applicazione alla sentenza della Corte Costituzionale che, occupandosi incidentalmente di diritto all’informazione del detenuto, suggeriva al legislatore di giurisdizionalizzare il diritto al reclamo in modo da renderlo effettivo. Tutto ciò, se anche non riuscirà a trasformare le prigioni in spazi del diritto e dei diritti, quanto meno potrà avere un effetto positivo in termini di umanizzazione delle condizioni di detenzione. A questo stesso obiettivo potrebbe concorrere un nuovo ruolo diretto degli enti locali nella programmazione e nella gestione del trattamento interno alle carceri e nella organizzazione del servizio sociale penitenziario. Vanno evitati sdoppiamenti di intervento, vanno massimizzate le risorse. Senza l’impegno di comuni, province, regioni oggi detenuti e operatori penitenziari sarebbero più soli e avrebbero meno opportunità.

Questi sono solo alcuni spunti per un programma politico di governo in materia di giustizia penale per la prossima legislatura. Nel frattempo, cioè in questo anno che ci separa dalle prossime elezioni, va evitato in tutti i modi che passino due proposte di legge che, qualora approvate, renderebbero tutto drammaticamente più difficile. Mi riferisco alla ex Cirielli sulla recidiva e alla Fini sulle droghe. Insieme esse potrebbero in pochi mesi raddoppiare la popolazione detenuta italiana togliendo ogni speranza di riforma per il sistema, di vita per chi sta dentro o fa uso di droghe.

 

Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Passo indietro sulla proposta in tema di lotta alla pedofilia (A.C. 4599): alla Camera, in sede legislativa, slitta il voto sul testo

 

Nella seduta legislativa della Commissione Giustizia che si è tenuta il 25 maggio scorso, il Presidente, l’on. Pecorella, rallentando sull’iter "veloce" -e quasi concluso- del provvedimento, ha rilevato l’opportunità di approfondire alcuni aspetti del testo, in particolare segnalando la possibilità di introdurre modifiche in tema di iscrizione nel casellario giudiziario della pena accessoria dell’ interdizione per i condannati dei reati di prostituzione minorile, di pedofilia e di pedopornografia anche nel caso di patteggiamento. Proposta sulla quale si è mostrata d’accordo anche il Ministro per le Pari Opportunità, l’on. Prestigiacomo, presente alla seduta, che -a seguito del dibattito poi innescatosi sulle pene previste per questi reati (a parere di molti, eccessivamente miti) e sull’ opportunità di patteggiarli- ha sottolineato l’esigenza di modificare l’articolo 12 del testo, nella parte in cui non esclude la possibilità di "patteggiare" per reati estremamente gravi, quali quelli di prostituzione minorile nel caso in cui il cliente sia maggiorenne. La relatrice del provvedimento, l’on. Lucidi, che come relatrice ha seguito per mesi la messa a punto del testo in un costruttivo confronto tra gruppi di maggioranza e opposizione, ha segnalato che già in sede referente era emersa la possibilità di aggravare alcune pene previste nel provvedimento e ha confermato la disponibilità ad approfondire alcune modifiche.

Nel testo al vaglio della commissione, che prevede un generale inasprimento delle pene, si prevede anche la reclusione per chi realizza immagini pedopornografiche virtuali e per i "turisti del sesso". Tra le disposizioni: "Prostituzione minorile": l’adulto che, pagando, compie atti sessuali con minori tra i 14 e i 18 anni (il nostro codice attualmente considera tra i 14 ed i 16 anni) rischia la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa non inferiore a 6 mila euro. "Pornografia minorile": carcere (da 6 a 12 anni) e multa (da 25.822 a 258.228 euro) anche per chi, utilizzando minori, realizza esibizioni pornografiche o produce materiale pornografico. Reclusione (fino a 3 anni) e multa (non meno di 1.549 euro) anche a coloro che offrono o cedono materiale pedopornografico e a coloro che se lo procurano o lo detengono. Peraltro, se il minore ha più di 16 anni, l’adulto non è punibile nel caso vi sia il consenso e il materiale resti nell’esclusiva disponibilità del minore. "Pornografia virtuale": identiche sanzioni si applicano anche se il materiale pornografico consiste in immagini virtuali, ossia in elaborazioni grafiche che facciano apparire come vere situazioni non reali. "Turismo sessuale": oltre agli organizzatori, verrà punito anche chi partecipa ai viaggi verso i paradisi della prostituzione minorile: da uno a 3 anni di carcere e da 2.500 a 40 mila euro di multa. Pene che potrebbero venire ulteriormente ritoccate: lunedì 30 maggio è previsto il termine per presentare nuovi emendamenti al testo.

 

Battuta d’arresto al Senato sulla proposta che modifica la legittima difesa (A.S. 1899)

 

Forse sarà di breve durata, comunque sia, al Senato, si è registrata una battuta d’arresto sull’A.S. 1899 che riforma la legittima difesa e, in particolare, modifica l’articolo 52 c.p. in materia di auto tutela in privato domicilio. Il progetto normativo che è stato messo a punto dal sen. Danieli di Alleanza Nazionale in relazione ai casi di cronaca nei quali la reazione dell’aggredito nei confronti del rapinatore è sfociata in gravi fatti di sangue, con conseguente imputazione a carico di chi ha reagito all’aggressione armata nella propria abitazione o nel proprio esercizio commerciale.

In base al testo, la difesa viene considerata legittima se c’è forte pericolo non solo per l’incolumità dell’offeso o dei suoi familiari, ma anche per la tutela dei propri beni, purché il rischio sia effettivo e la reazione avvenga nel luogo in cui si è verificata la minaccia grave. Il provvedimento, esaminato a lungo dalla Commissione Giustizia -e criticato da quasi tutta l’opposizione in quanto garantirebbe il diritto all’autotutela fino alla reazione estrema anche per difendere beni- ha avuto un rapidissimo iter nell’Aula di Palazzo Madama poiché il 19 maggio scorso l’esame del primo ed unico articolo del testo è stato bloccato per la mancanza del numero legale e per una successiva inversione dell’ordine del giorno.

 

Ordinamento giudiziario: manca numero legale, riforma slitta ancora

 

Fermo (ancora prima di partire!) l’ esame della riforma dell’ ordinamento giudiziario da parte dell’ Aula di Palazzo Madama: l’esame della riforma era prevista nel calendario dei lavori dell’assemblea del 24 maggio scorso. Tuttavia, le mancanze continue del numero legale hanno impedito la discussione. Durissimo il giudizio di Castelli che, non sorpreso delle assenze particolarmente evidenti nei banchi di Forza Italia e di An, se l’è presa direttamente con i suoi alleati: non consentirà uno slittamento sine die della sua riforma. Nel frattempo l’Associazione Nazionale Magistrati conferma una grande mobilitazione contro la riforma, ma considerato quanto accaduto al Senato, ha deciso di rinviare le decisioni sulle proteste.

A questo punto, è molto probabile che la riforma dell’ ordinamento non potrà essere esaminata prima della ripresa del 14 giugno, dopo il referendum sulla procreazione assistita.

 

Le Recensioni di Antigone: Il silenzio dell’allodola, di David Ballerini

(Italia 2005, 96’). Con Ivan Franek, Marco Baliani, Flavio Bucci, Anna Maria Gherardi, Pietro Ragusa, Augusto Zucchi.

 

Quando ho saputo dell’esistenza di questo film, che uscirà tra breve nelle sale cinematografiche, mi è venuto spontaneo di chiedermi perché mai un regista italiano avesse voluto trattare vicende irlandesi di venticinque anni fa. Ultimamente, al nostro cinema non capita spesso di volersi fare i fatti degli altri. Di "Battaglie di Algeri" se ne sono viste poche, abituati come siamo a prime pagine di giornali che raccontano in titoli di secondo piano i cinquecento morti della rivolta uzbeka.

Bobby Sands è rimasto il simbolo della protesta estrema portata avanti dai detenuti dell’IRA nelle galere inglesi. A diciotto anni, nel 1972, Bobby viene arrestato per possesso di armi («su un’auto avevamo una pistola in quattro», scriverà nei suoi Diari). Trascorre tre anni e mezzo in carcere, e ne esce per soli sei mesi prima di venire arrestato nuovamente a seguito di uno scontro a fuoco. Lo condanneranno ad altri quindici anni di reclusione. Bobby protesta contro i maltrattamenti ricevuti e le condizioni di detenzione inumane alle quali lui e suoi compagni sono sottoposti, chiede che venga loro riconosciuto lo status di prigionieri politici, siede nudo per giorni interi al freddo della cella rifiutando di indossare le uniformi del penitenziario, offre il proprio corpo fino allo stremo alle torture delle guardie. Nel marzo del 1981, seguito poco dopo dai suoi compagni, comincia lo sciopero della fame che farà parlare di lui in tutto il mondo. Per 17 giorni, utilizzando come supporto dei fogli di carta igienica, scrive di nascosto un diario che riuscirà a superare le mura del carcere. Il mese successivo, Bobby viene eletto al Parlamento britannico nelle liste del Sinn Fein. La Thatcher non deroga alla linea dura, e rifiuta di trattare con i detenuti. Bobby Sands muore dopo due mesi di astinenza dal cibo, e nove altri prigionieri moriranno dopo di lui. La Corte Europea condannerà l’Inghilterra per il trattamento riservato ai detenuti politici irlandesi.

C’è poca traccia di questa storia nel film di David Ballerini, al suo esordio nel lungometraggio, la cui sceneggiatura ha vinto un premio della Presidenza del Consiglio e ha ottenuto l’Interesse Culturale Nazionale. Il Bobby Sands che ci viene raccontato è, in un certo senso, solamente un uomo recluso, che oppone il proprio corpo ai suoi carcerieri torturatori. In un certo senso, ci sono eventi che accadono fuori dalla storia, acquistando una qual forma di assolutezza che li rende indifferenti al loro scenario reale. Il film comincia con l’arresto di Bobby e finisce con la sua morte. Poco si sa della sua vita fuori, pubblica o privata che sia. L’esterno non entra in carcere, se non per qualche breve titolo di giornale e una rapida visita della madre (nella realtà, Bobby ha una moglie che è incinta di quattro mesi al momento dell’arresto). Per un verso, la tortura è sempre tortura, chiunque sia a praticarla. Ballerini usa evidenti ambientazioni naziste a sottolinearlo. Eppure, per un altro verso, il contesto storico è costantemente presente a noi spettatori del film. Sappiamo in ogni momento dove ci troviamo, sappiamo che non potremmo essere in Cile, né in Argentina, né in Iraq. È parte del film la sorpresa di sapere che quegli uomini in uniforme sono inglesi.

Ballerini coglie bene questo limite di soglia tra evento storico e fatto assoluto. Il film vuole riprodurre il più fedelmente possibile le condizioni materiali di prigionia di Bobby Sands e dei suoi compagni, e tuttavia non rinuncia a un’impronta di regia estremamente marcata, che solo raramente sale un po’ troppo di tono. La scenografia è volutamente teatrale, e dal teatro proviene infatti la maggior parte degli attori impegnati in questo film. È un film poco arredato, che costruisce le sue scene sui primi piani dei protagonisti tra le linee rette della prigione. Anche in ciò, il regista sa mantenersi sopra un bilico sottile. Nonostante l’ambientazione sia completamente interna al carcere, le inquadrature non sono mai claustrofobiche. La scena è aperta, è un emiciclo che, come a teatro, integra il pubblico dentro sé, e si chiude ad anello solamente con noi che guardiamo. Si tratta di una precisa scelta stilistica: la denuncia del film e l’attualità tematica che esso continua a presentare, sembra dirci la cinepresa, trovano espressione soltanto se decidiamo di continuare a guardare dentro le galere del mondo. Ben venga dunque il film di Ballerini, bello e poco consueto, che ci auguriamo di veder superare i confini di quei circuiti periferici di distribuzione cui solitamente questo genere di film viene relegato.

 

Modifiche al T.U. sugli stupefacenti secondo la nuova definizione del c.d. D.d.L. Fini-Mantovano, di Gennaro Santoro

 

Prosegue la definizione del ddl 2953 (c.d. Fini - Mantovano) di modifica al testo unico del 1990 sugli stupefacenti. Il 24 Maggio si è tenuta la tredicesima seduta congiunta delle Commissioni Giustizia e Sanità al fine di continuare a valutare le circa 250 proposte di emendamenti al ddl presentate da rappresentanti dell’opposizione e dalla maggioranza. Si prospetta la necessità di altre sedute - è stato esaminato finora circa metà dell’articolato - prima che il ddl possa passare al vaglio del Senato per poi, eventualmente, giungere all’altro ramo del Parlamento. Lo ‘zoccolo duro’ della maggioranza di governo vuole a tutti i costi varare questa legge prima della fine della legislatura, ragion per cui un gruppo di senatori dell’opposizione sta cercando in tutti i modi di argomentare e far approvare gli emendamenti necessari a non far slittare l’Italia ai tempi bui dei primi anni ‘90, prima che il d.p.r. n. 171 del 5 giugno 1993 - che aveva positivizzato la volontà referendaria manifestasi nell’aprile dello stesso anno - stralciasse le previsioni del T.U. che formalizzavano il "divieto di drogarsi" (art.72.1), l’assimilazione tra spacciatore e consumatore in possesso di una quantità di sostanza superiore alla dose media giornaliera (artt.73.1 e 75.1), le sanzioni penali previste in seconda battuta anche per il consumatore che non possedesse una quantità di stupefacente superiore alla dose media giornaliera (art.76). Ebbene queste ultime disposizioni sono state integralmente riproposte e addirittura inasprite dal disegno legge de quo.

La volontà dell’opposizione è quella di arginare il rischio degli aumenti delle carcerizzazioni cui condurrebbe inevitabilmente l’approvazione del ddl nella sua versione originale, ponendo il Belpaese in controtendenza rispetto ai percorsi già intrapresi in numerosi Stati, dove la lotta alla droga si basa giustamente sulla lotta al traffico, sulla prevenzione, cura, e riduzione del danno, con esiti estremamente positivi, ad esempio la riduzione fino ad un terzo della mortalità per eroina. Le disposizioni previste dalla Fini-Mantovano, peraltro, sono in controtendenza anche rispetto alle linee guida assunte dal Parlamento Europeo in tema di politiche sulle droghe nella raccomandazione del 15 Dicembre scorso.

Il maggior numero delle proposte dell’opposizione, naturalmente, ha avuto la caratteristica comune di tentare di mantenere in vita l’attuale disciplina differenziata rispetto alle droghe c.d. leggere e le droghe c.d. pesanti e di circoscrivere l’area della illiceità penale alle sole condotte dirette al commercio di stupefacenti e sostanze psicotrope escludendo, quindi, la punibilità del possesso ai fini personali. Il senatore Di Girolamo (DS) ha manifestato la sua preoccupazione riguardo la compresenza nella medesima tabella di sostanze così diverse, quali gli oppiacei e la canapa, e la conseguente mancata distinzione ai fini sanzionatori di tali sostanze; mancata differenziazione che rischia di arrecare effetti distorsivi nei confronti dei consumatori delle sostanze medesime, i quali potrebbero essere indotti all’erronea convinzione della loro sostanziale equivalenza. Di Girolamo ricorda, inoltre, come la relazione introduttiva al disegno di legge n. 2953 affermi che nella tabella sono indicate soltanto sostanze prive di effetti terapeutici, ma anche questo costituisce un errore scientifico. A partire dagli anni ‘80, infatti, la comunità scientifica ha dimostrato che la cannabis e le sostanze derivate hanno effetti benefici rispetto a diversi stati patologici, ad esempio il contrasto della nausea nei soggetti sottoposti a chemioterapia o altri effetti terapeutici in relazione a patologie causate dall’AIDS, o, ancora, in relazione alla sclerosi e alle spasticità muscolari. Il Governo, al contrario, ha inteso attuare una equiparazione tra sostanze assai diverse su una base esclusivamente ideologica, senza considerare il rischio di ottenere in tal modo il paradossale effetto di incentivare il ricorso alle droghe pesanti, accreditando un’artificiosa equiparazione tra sostanze del tutto diverse. Ancora, le stime disponibili smentiscono anche il dato mitologico che dalla ‘canna’ si passi alle droghe pesanti, le stime infatti indicano che la percentuale dei consumatori di cannabinoidi che passano al consumo di oppiacei si aggira intorno al 5%. Vengono poi citati i risultati di alcuni interessanti studi commissionati dalla Camera dei Lord britannica, dal Dipartimento di Stato americano, e dal Senato canadese: quest’ultimo, in particolare, afferma che la gran parte dei consumatori di cannabinoidi fa un uso saltuario di tali sostanze per poi smettere spontaneamente, mentre per i consumatori abituali, normalmente in grado di mantenere un accettabile livello di integrazione sociale, non si rileva un significativo numero di passaggi al consumo di droghe pesanti. Il citato rapporto canadese auspica, inoltre, la legalizzazione della produzione e della vendita dei derivati della canapa indiana, lo studio degli usi terapeutici della canapa e la revisione delle convenzioni internazionali riguardanti tale prodotto, nonché l’adozione di politiche integrate sugli stupefacenti che tengano in debita considerazione anche i problemi connessi al consumo di alcool e di tabacco. Il suddetto rapporto si conclude con la proposta di continuare a mantenere la distinzione tra droghe c.d. leggere e c.d. pesanti. Alle evidenze scientifiche illustrate il rappresentante del Governo, On. Mantovano, ha risposto semplicemente esprimendo parere sfavorevole all’emendamento presentato.

Il senatore Fassone (DS) ha presentato emendamenti volti alla depenalizzazione del consumo e ha censurato il combinato disposto del nuovo comma 1-bis dell’articolo 73 e del nuovo comma 1 dell’articolo 75 dai quali discende da un lato, la neo re-introduzione come illecito penale della detenzione di sostanze stupefacenti in una quantità superiore alla soglia indicata dal ddl per non essere automaticamente etichettati come spacciatori (circa 2,5g di cannabinoidi contro 5g di cocaina – sic! -) e, dall’altro, la neo re-introduzione di un incisivo impianto sanzionatorio di tipo amministrativo per l’ipotesi di detenzione di sostanze stupefacenti al di sotto della predetta soglia. Bisogna rammentare infatti che l’art. 75 sancisce l’aumento del limite massimo - in tema di sanzioni amministrative comminate al consumatore ‘pizzicato’ per la prima volta - ad un anno; il nuovo articolo 75 bis, sempre in relazione alle condotte di illecita detenzione amministrativa e nel caso in cui dalle stesse possa derivare un non ulteriormente delimitato pericolo per la sicurezza pubblica, prevede che l’interessato - il quale risulti già condannato anche non definitivamente per reati contro la persona, contro il patrimonio o in materia di tossicodipendenza, oppure sanzionato per violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o destinatario di misure di prevenzione o di sicurezza - potrà essere sottoposto ad ulteriori misure amministrative, ad esempio l’obbligo di non allontanarsi dal comune di residenza fino a 2 anni, misure che verranno applicate dall’autorità amministrativa per poi essere comunicate entro 48 ore al Giudice di pace e dallo stesso convalidate entro le successive 48 ore. In proposito va richiamata l’attenzione sul carattere estremamente incisivo delle misure previste dal citato articolo 75- bis, il contenuto delle quali è sostanzialmente corrispondente sia ad alcune misure cautelari, sia al contenuto della misura di prevenzione della sorveglianza speciale. A ciò si aggiunge l’impatto del disposto del comma 6 dello stesso articolo il quale prevede che il contravventore alle prescrizioni imposte sia punibile con l’arresto da tre a diciotto mesi. Tali disposizioni, oltre a concretare il rischio di una "carcerizzazione di massa", prospettano soluzioni procedurali che non possono non suscitare forti perplessità dal punto di vista della loro legittimità costituzionale. Deve infatti sottolinearsi che l’articolo 13 della Costituzione prevede la possibilità di limitazioni della libertà personale sulla base di provvedimenti dell’autorità di pubblica sicurezza da sottoporre alla successiva convalida da parte dell’autorità giudiziaria, solo in casi eccezionali di necessità ed urgenza: è evidente che nell’ipotesi qui considerata viene prevista come soluzione procedurale ordinaria quella che invece dovrebbe, appunto, avere carattere eccezionale.

Debole la risposta per il Governo attraverso il senatore Bobbio (AN). Si cita di seguito il resoconto del suo intervento nella seduta del 18 Maggio così come riportato sul sito ufficiale del Senato "Interviene il senatore Bobbio (AN), il quale considera le opinioni espresse dai rappresentanti dell’opposizione nel corso del dibattito sintomatiche di una persistente mentalità eccessivamente tollerante nei confronti della criminalità comune, che ha indotto in passato a demolire il sistema penalistico di lotta alla droga, senza predisporre alcuna valida alternativa. In particolare, osserva come le forze di opposizione continuino a muoversi nella prospettiva di sacrificare la funzione general-preventiva della pena immolandola sull’altare della finalità rieducativa della medesima, ponendo in tal modo l’attenzione unicamente sui consumatori attuali di droga e trascurando il più importante aspetto della prevenzione, che riguarda specificamente le fasce di età più giovani. Proprio la previsione di una sanzione penale, a suo parere, comporta l’effetto di scoraggiare i giovani dall’iniziare a fare uso di stupefacenti. Sostiene quindi che ai fini di un’efficace lotta al commercio di stupefacenti l’ordinamento deve contemplare mezzi repressivi destinati tanto ai trafficanti quanto ai consumatori, senza discriminare tra consumatori di sostanze di diverso tipo, al fine di porre in evidenza l’illiceità dell’uso di qualsiasi droga, restando al giudice, posto di fronte al caso concreto, il compito di graduare con ragionevolezza le pene. Osserva infine che la precisione e la coerenza caratterizzanti il disegno di legge in esame, rispetto alla questione del possesso e delle quantità, sono volte a correggere le perniciose tendenze di certa giurisprudenza che, esorbitando dal proprio ufficio, non ha riconosciuto la sussistenza della colpevolezza in casi di detenzione di rilevanti quantità di sostanze stupefacenti in mancanza di prova di destinazione ad uso di terzi."

Se qualcuno nutriva ancora dubbi sulla valenza puramente ideologica nonché antiscientifica del ddl in questione, questo breve riassunto degli interventi susseguitisi nelle sedute congiunte delle commissioni Giustizia e Sanità del mese di maggio può contribuire a far ravvedere gli incerti.

Le prossime sedute avranno per oggetto le proposte di modifica agli artt. 75 e ss. La novità più sconcertante della seconda parte del ddl, ai sensi della nuova formulazione dell’116 (lettera d, co. 6), riguarda l’attribuzione agli stessi enti privati che effettuano il trattamento dei tossicodipendenti del potere di diagnosticare e attestare lo stato di tossicodipendenza - vale a dire, il privato che eroga il servizio è lo stesso che definisce chi è l’utente del servizio che gli permette l’introito di una retta statale! La recente inaugurazione in pompa magna del carcere a gestione mista pubblico-privato di Castelfranco Emilia, quindi, sembra rappresentare soltanto il primo passo verso la privatizzazione del carcere per tossicodipendenti e dimostra la ferma volontà del Governo di mantenere in vita la lucrosa disposizione sopra menzionata.

L’esame del ddl, insomma, non ha apportato nessuna modifica sostanziale al disegno repressivo del governo. La speranza della società civile è, naturalmente, che tale aberrazione giuridica non venga mai approvata. A questo fine, l’Associazione Antigone e tutti gli altri soggetti riuniti nei cartelli Confinizero e Non incarcerate il nostro crescere hanno deciso di disertare la prossima Conferenza nazionale sulle droghe, che si terrà a settembre a Pescara, se il Governo porterà aventi l’iter del disegno di legge. D’altronde è proprio l’attuale normativa (art. 1,co.15, L. 309/90) – disattesa dal governo - che prospetta tra le finalità della sopra menzionata Conferenza quella di suggerire al Governo eventuali correzioni da apportare alla legislazione vigente, recitando testualmente "Le conclusioni di tali conferenze sono comunicate al Parlamento anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza applicativa."

 

Speciale Assemblea Nazionale: ordini del giorno approvati, a cura della Redazione

 

Ordine del giorno n. 1

 

Premesso che:

l’art. 27 della nostra Costituzione, comma 3, stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato";

l’art. 1 dell’Ordinamento Penitenziario prevede che "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità delle persone";

attualmente, nei 205 istituti di pena italiani, sono presenti 56.068 detenuti a fronte di una capienza regolamentare "ufficiale"di 41.324 detenuti (dati DAP del 31.12.04);

la situazione di grave sovraffollamento delle carceri italiane – insostenibile, considerate le circa 15.000 presenze in più rispetto alla capienza regolamentare - non può che incidere fortemente sulle condizioni di vivibilità all’interno degli istituti di pena, arrivando addirittura a rappresentare una potenziale condizione di maltrattamento per i detenuti, come più volte ribadito dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura;

i dati sono sconfortanti : in carcere, nel 2004, si sono verificati 52 suicidi, 1.100 tentati suicidi, 4850 casi di autolesionismo; a soli 5 mesi dall’inizio del 2005, i casi di suicidio sarebbero già 22;

al fine di garantire la piena attuazione del dettato costituzionale in tema di funzione rieducativa della pena, il presupposto indispensabile (ed ormai urgente) non può che essere l’approvazione di un provvedimento di clemenza, al quale dovrebbero poi ovviamente accompagnarsi importanti riforme strutturali del sistema penitenziario;

migliorando con un atto di clemenza le condizioni di vivibilità all’interno delle carceri, si offrirebbe intanto un primo ed importante segnale per rendere "umana" la pena e possibile (in concreto) la rieducazione del condannato;

la necessità di assicurare standard elevati di tutela dei diritti delle persone private o limitate nella libertà personale, ha portato di recente a nuove iniziative a livello internazionale: l’ONU, nel 2002, ha adottato un Protocollo opzionale alla Convenzione sulla prevenzione contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani e degradanti del 1984;

tale Protocollo, firmato dal nostro Paese sin dal 2003, oltre all’istituzione di un comitato internazionale di esperti indipendenti con facoltà di verifica ispettiva degli istituti di detenzione e dei posti di polizia dei Paesi membri, prevede anche che ogni Stato debba istituire un "sistema" interno di controllo affidato ad un’autorità indipendente che abbia accesso ad ogni luogo di privazione della libertà: carceri, stazioni di polizia, centri di detenzione per immigrati, ospedali psichiatrici, etc.;

il trattato entrerà in vigore al deposito della 20° ratifica e, da quel momento, il riflesso nella legislazione interna di ogni paese sarà immediato (essendo, infatti, pari ad un anno il termine entro il quale gli Stati dovranno istituire la citata figura indipendente di controllo);

l’auspicata ratifica del citato Protocollo da parte del nostro Paese si "salderebbe" perfettamente alla discussione, avviata nel luglio 2003 in Commissione Affari Costituzionali alla Camera dei Deputati e non ancora conclusa, sul difensore civico nazionale delle persone private della libertà personale, in tal modo accelerandone la conclusione dell’iter parlamentare;

è evidente, sia per la situazione nazionale, sia per quella internazionale, l’urgenza di arrivare al più presto all’obiettivo della ventesima ratifica;

 

si impegna a:

 

sollecitare in tutte le sedi l’approvazione urgente di un provvedimento di clemenza e di riforme strutturali del sistema penitenziario in grado di assicurare l’effettivo rispetto del dettato costituzionale sul tema della funzione rieducativa della pena;

sollecitare l’inizio della discussione e l’approvazione delle proposte di legge, assegnate alle commissioni "Affari esteri e comunitari" di Camera e Senato già dal 1° luglio 2004, in tema di "Ratifica ed esecuzione del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti, fatto a New York il 18 dicembre 2002";

sollecitare l’approvazione definitiva della proposta di legge tesa all’istituzione del difensore civico nazionale delle persone private della libertà personale, in discussione presso la Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati sin dal luglio 2003.

 

Ordine del giorno n. 2

 

Premesso che

l’Italia ha firmato e ratificato la Convenzione Onu contro la tortura del 1984 che impone agli Stati l’introduzione del reato di tortura nel proprio ordinamento giuridico penale;

l’Italia ha firmato e ratificato lo Statuto della Corte Penale Internazionale che prevede al proprio interno, tra i crimini contro l’umanità per i quali ha competenza la Corte, quello di tortura;

l’Italia è stata più volte richiamata a livello internazionale per non aver introdotto nel proprio codice il reato di tortura,

da tempo pende in Parlamento una proposta di legge che ripropone il testo di cui all’articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite;

le fattispecie criminali presenti nel codice penale non sono sufficienti a ricomprendere l’ipotesi di tortura;

i fatti recenti accaduti ad Abu Ghraib e a Genova, con il rinvio a giudizio per le violenze a Bolzaneto, rendono evidente come nessuno Stato è esente dal rischio di tortura e che questa non riguarda solo il terzo mondo;

l’assemblea dell’associazione Antigone dà mandato al Direttivo di impegnarsi nel sensibilizzare le forze politiche affinché approvino, senza ulteriori dilazioni, in Parlamento una legge che introduca il crimine di tortura riproducendo la definizione Onu.

 

Ordine del giorno n. 3

 

Premesso che

il trattenimento nei CPT è previsto non quale forma sanzionatoria di fatti di reato, bensì di status anagrafici, e costituisce, quindi, un’indebita politica di contenimento dei flussi migratori, compromettendo i principi generali dello stato di diritto e i diritti fondamentali delle persone ivi ristrette;

i CPT sono istituzioni totali peggiori delle patrie galere poiché si caratterizzano per un maggiore grado di separatezza con il mondo libero, dove ogni possibilità di interazione fra gli "ospiti" e il mondo libero non è regolata da alcuna norma o disposizione conosciuta ed è relegata alla discrezionalità assoluta del Ministero dell’interno e dei singoli prefetti;

gli immigrati sono costretti ad una permanenza sul territorio italiano caratterizzata da una insostenibile esposizione alla commissione di illeciti amministrativi e penali (oggi inaspriti dalla L.271/04) e sono sottoposti ad un diritto speciale ed (eternamente) emergenziale che affida alla discrezionalità assoluta delle forze dell’ordine decisioni attinenti al nucleo essenziale dei diritti basici della persona,

la Corte europea dei diritti dell’uomo ha adottato il 10/5/05 un provvedimento cautelare d’urgenza ex art.39 (Reg. proc. della Corte) al fine di impedire che il Governo italiano respingesse 11 immigrati ristretti nel CPT di Crotone, censurando l’autorità italiana non soltanto in riferimento alla prassi interna di identificazione e di espulsione collettiva dei migranti – contraria al diritto internazionale e non assistita da nessuna garanzia giurisdizionale - ma anche avendo riguardo all’accordo (segreto) di riammissione con un paese quale la Libia che non ha ancora firmato la Convenzione di Ginevra e che non rispetta i diritti fondamentali della persona;

l’Assemblea delega il Direttivo dell’Associazione a partecipare attivamente alle iniziative dei cartelli istituiti dalla società civile che propongono l’abrogazione delle aberrazioni legislative in tema di diritti dei migranti (in primis, la chiusura dei CPT), l’immediata cessazione delle deportazioni collettive verso la Libia, e la promozione di politiche attive che favoriscano la reale integrazione di cittadini di differenti culture.[1]

 

L’Assemblea, in particolare, dà mandato al Direttivo di aderire al cartello promosso dall’Arci, cui partecipano parlamentari, avvocati, medici, per la costituzione di un’unità di crisi a Lampedusa per monitorare le modalità di rimpatrio forzato dall’isola a seguito degli sbarchi.

 

Premesso che

nonostante la recessione economica et similia, il Senato sembra non desistere dalla volontà di discutere il ddl 2953 (Fini-Mantovano) concernente modifiche sulla legge 309/90 (TU stupefacenti) e che detto ddl è opinabile poiché:

ripristina - contra legem - sia i principi ispiratori, sia la dizione formale del TU parzialmente abrogato dal referendum del ‘93 - formalizzazione del "divieto di drogarsi" (art.72.1), assimilazione tra spacciatore e consumatore in possesso di una quantità di sostanza superiore alla dose media giornaliera (artt.73.1 e 75.1), sanzioni penali previste in seconda battuta anche per il consumatore che non possegga una quantità di stupefacente superiore alla dose media giornaliera (art.76) ;

attribuisce agli stessi enti privati che effettuano il trattamento dei tossicodipendenti il potere di diagnosticare e attestare lo stato di tossicodipendenza, motivo per cui la recente inaugurazione in pompa magna del carcere a gestione mista pubblico-privato di Castelfranco Emilia sembra rappresentare soltanto il primo passo verso la privatizzazione del carcere per tossicodipendenti;

abolisce la differenziazione tra droghe leggere e pesanti cui consegue l’uniformazione del trattamento penale verso l’alto delle pene edittali previste per il reato di produzione e traffico illecito delle sostanze stupefacenti tout court e un forte inasprimento delle sanzioni amministrative (che, nei confronti di una eterogenea categoria di soggetti possono trasformarsi in sanzioni penali come il divieto di allontanarsi dal comune di residenza fino a 2 anni -sic! -) specie in riferimento alle droghe c.d. leggere;

è in aperta antitesi con la raccomandazione del 15 Dicembre scorso adottata dal Parlamento europeo - e indirizzata al Consiglio - sulla strategia antidroga (2005-2012), dove viene dato ampio spazio alla riduzione del danno e alla prevenzione piuttosto che alla repressione anche di condotte inoffensive quale è il mero consumo di stupefacenti (specie della cannabis),

l’Assemblea delega il Direttivo dell’Associazione a continuare a partecipare attivamente alle iniziative[2] dei cartelli Confinizero e Non incarcerate il nostro crescere per continuare ad opporsi all’approvazione del ddl 2953 e per promuovere il superamento dell’attuale disciplina sugli stupefacenti così come previsto dalla proposta di legge (AC4208) firmata da un ampio schieramento di centro sinistra e che prospetta, inter alia, pene più basse per lo spaccio, nessuna sanzione per il consumo, interventi di riduzione del danno, semplificazione della possibilità di accedere agli interventi alternativi alla detenzione. L’Assemblea, in particolare, decide che l’Associazione debba rinunciare a partecipare alla prossima Conferenza nazionale sulle droghe, che si terrà a settembre 2005 a Pescara, se il Governo porterà aventi l’iter del disegno di legge Fini-Mantovano.

 

[1] In agenda è prevista l’organizzazione, in collaborazione con l’associazione Progetto e diritti, di un convegno nazionale in tema di diritto d’asilo.

[2] In particolare, degna di menzione è la creazione di sportelli di informazione legale gratuita sulla 309/90 (a Bologna e presto anche a Roma).

 

Nuovo organigramma dell’Associazione Antigone

 

Presidente nazionale: Patrizio Gonnella

Presidenti onorari: Mauro Palma, Stefano Anastasia

Comitato Direttivo: Mauro Palma, Stefano Anastasia, Patrizio Gonnella, Alessandra Naldi, Annamaria Alborghetti, Arturo Salerni, Claudio Sarzotti, Cristiana Bianco, Dario Stefano Dell’Aquila, Donatella Panzieri, Fiorentina Barbieri, Francesca D’Elia, Francesca Vianello, Giorgio Bertazzini, Giuseppe Mosconi, Laura Astarita, Luca Bresciani, Luca Colaiacomo, Massimiliano Bagaglini, Matilde Napoleone, Monica Vitali, Nunzia Bossa, Paola Bonatelli, Piero Caroleo, Scilla Berardi, Susanna Marietti, Vincenzo Scalia, Laura Panciroli

Comitato Scientifico: Antonio Marchesi, Claudio Sarzotti, Dario Melossi, Francesco Maisto, Giuseppe Mosconi, Luca Bresciani, Luigi Ferrajoli, Luigi Saraceni, Marco Ruotolo, Massimo Pavarini Mauro Palma, Paolo Ferrua, Silvia Berti, Tamar Pitch, Valeria Giordano

Collegio dei Probiviri: Mario Angelelli, Cecilia D’Elia, Lorena Orazi, Rosa Maria Loretelli (membro supplente), Carla Nespolo (membro supplente)

 

Le iniziative di Antigone, a cura della redazione

 

Mercoledì 1 giugno, ore 9.30 - 14.00, presso il Carcere di Trani si terrà il convegno dal titolo: "Amministrazione della giustizia tra salvaguardia dei diritti e carenza di risorse", con la partecipazione degli operatori di giustizia, lavoratori e dirigenti della pubblica Amministrazione, docenti e studenti universitari del settore giustizia.

Introduce: Giuseppe Gesmundo, Segretario Provinciale Cgil Fp Bari

Modera: Giuseppe Catucci, Segretario Generale Cgil Fp Bari

Intervengono:

Nichi Vendola, Presidente Regione Puglia; On. Francesco Carboni, Presidente Commissione Parlamentare Carceri; Giacinto De Marco, Presidente Corte di Appello di Bari; Emilio Di Somma, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria; Patrizio Gonnella, Presidente Nazionale Associazione Antigone; Teodoro Lamonica, Segretario Generale Cgil Fp Sicilia; Antonella Morga, Segretaria Generale Cgil Fp Puglia; Domenico Pantaleo, Segretario Generale Cgil Puglia; Onofrio Sisto, Assessore Lavoro Provincia di Bari. Conclude: Carlo Podda, segretario nazionale cgil FP.

Sono stati invitati e hanno assicurato la propria presenza: Nicola Barbera Procuratore della Repubblica Trani; Marco Camilli Dirigente Generale Inpdap Sardegna; Rosario Cardillo Provveditore Reg. Amm. Penitenziaria; Francesco Cocco Avvocato Ditrettuale Bari; Filomena Colamussi Cooperativa Sociale "l’obiettivo"; Ernestina De Leonardis Ass. " Insieme per ricominciare"; Giovanni D’Innella Presidente Ordine degli Avvocati Bari; Michele Ferrandina Direttore Istituti Penali Trani; Giuseppe Illuzzi Presidente Tribunale di sorveglianza Bari; Francesca Lamalfa Associazione Nazionale Magistrati Bari; Antonio Ligorio coordinatore Giudici di Pace Trani; Bruno Logoluso Presidente Ordine degli Avvocati Trani; Emilio Marzano Procuratore della Repubblica Bari; Saverio Nanna Presidente Tribunale Bari; Francesco Paolo Occhiogrosso Pres. Trib. Minori Bari; Antonio Palumbieri Coordinatore Giudici di Pace Bari; Giulia Pavese Associazione Nazionale Magistrati Trani; Eustacchio Vincenzo Petralla Dir. Area Pen. Esterna PRAP Bari; Antonio Ressa Cooperativa sociale Esedra; Carla Ricco Direttore Casa di Reclusione Turi; Fabrizio Rossetti Responsabile Nazionale CGIL Giustizia; Piero Rossi Cooperativa " Vita Nuova"; Vito Savino Presidente Tribunale Trani.

 

Lunedì 6 giugno, ore 12.30, a Roma, presso la Sala Fernando Santi della Cgil in Corso d’Italia, 25, presentazione del Rapporto sui Diritti Globali 2005, promosso da Cgil, Arci, Antigone, Forum Ambientalista, Coordinamento Nazionale Comunità d’Accoglienza, Legambiente, realizzato dall’Associazione Società INformazione.

Intervengono: Lucio Babolin, presidente nazionale CnCa; Paolo Beni, presidente nazionale Arci; Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil; Patrizio Gonnella, presidente nazionale Antigone; Maurizio Gubbiotti, segreteria nazionale Legambiente; Ciro Pesacane, presidente nazionale Forum Ambientalista; Sergio Segio, curatore del Rapporto.

 

Venerdì 10 giugno, ore 21.00, Valmontone (Rm), Palazzo Doria Pamphili, nell’ambito della ‘Festa Umanitaria 2005’, si terrà, presso lo stand di Antigone, la presentazione del libro Vito il recluso, una questione di diritti umani: gli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia.

Intervengono: Dario Stefano dell’Aquila e Francesco Maranta, autori del libro; Nicola Valentino, Casa Editrice Sensibile alle Foglie. Coordina: Patrizio Gonnella

 

Lunedì 13 giugno, dalle ore 17.00 alle 19.00, a Roma, presso la Sala Blu dell’Assessorato alle Politiche per le Periferie, lo Sviluppo Locale, il Lavoro del Comune di Roma, Lungotevere dei Cenci 5, si terrà un seminario dal titolo: "Corte Europea e tutela dei diritti umani fondamentali in carcere. Spunti di riflessione sulla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di detenzione". Introduce: Mauro Palma. Interviene: Cristiana Bianco

 

Precedente Home Su Successiva