Newsletter n° 19 di Antigone

 

Newsletter numero 19 dell'Associazione "Antigone"

a cura di Nunzia Bossa e Patrizio Gonnella

 

L’Editoriale, di Patrizio Gonnella: comunità sedotte dal denaro

L’Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

Detenzione femminile, di Laura Astarita e Susanna Marietti

Regolamento attuativo Bossi-Fini e tutela giurisdizionale, di G. Santoro

Appello di Antigone e Forum Droghe: gli impegni che vi chiediamo

L’Editoriale, di Patrizio Gonnella: comunità sedotte dal denaro

 

Negli Stati Uniti ci sono due milioni di detenuti, in Italia 56 mila. Negli Stati Uniti c’è la Three Strikes Law in Italia viene presentata la proposta di legge Cirielli-Vitaili. Gli Stati Uniti gestiscono Guantanamo e Abu Ghraib, noi Sassari e Bolzaneto. Gli Stati Uniti fanno la war on drugs, il governo italiano presenta la proposta Fini sulle droghe. A New York Rudolph Giuliani diventa lo stratega dello Zero Tolerance, in Italia il ministro Calderoli promette taglie a destra e manca. In America c’è la Corrections Corporation, una multinazionale che da sola gestisce 67 mila detenuti, in Italia da ieri c’è San Patrignano.

Da anni tentiamo di emulare il colosso Usa, ma fortunatamente ci riusciamo solo in modo grossolano. Il nostrano Law and order è affidato ad un miscuglio politico culturale che vede insieme Giovanardi e Castelli, Mantovani e Muccioli.

A Castelfranco viene sperimentata una devoluzione di trattamento terapeutico per detenuti tossicodipendenti a un soggetto privato. La comunità di San Patrignano sarà pure un ente no profit ma è pur sempre un soggetto che risponde a logiche e richiami di tipo economico. Niente si fa per nulla. Nelle carceri italiane il trattamento penitenziario è affidato a educatori assunti con concorso pubblico. Si diceva qualche anno fa, ai tempi della Gozzini, che questa fosse una garanzia di pluralismo politico e culturale. Gli educatori sono coloro i quali devono assicurare il buon esito della funzione rieducativa della pena. Un educatore è giusto, quindi, che sia un funzionario pubblico, che non sia condizionato da ragionamenti di tipo lucrativo, che non abbia conflitti con interessi in corso. La sanità dovrebbe essere di competenza esclusiva del servizio sanitario nazionale, in base al principio della universalità del diritto alla salute. La riforma Bindi è rimasta parzialmente sulla carta.

Non sappiamo bene cosa farà la Comunità di San Patrignano nel carcere emiliano. Probabilmente un misto di trattamento penitenziario e terapeutico, ossia ciò che per legge dovrebbe spettare a educatori pubblici e Servizi delle tossicodipendenze. La vicenda di Muccioli, che segue quella di don Cesare Lodeserto, apre una riflessione sul ruolo complice del privato sociale rispetto a politiche illiberali, repressive, violative dei diritti umani. La lenta e progressiva trasformazione dello stato sociale in stato penale toglie spazio al welfare e a chi di welfare vive.

Qualche anno fa un signore telefonò ad Antigone, diceva di essere un imprenditore interessato a gestire un carcere. Aveva saputo che Antigone si occupava di detenuti. Voleva sapere se eravamo interessati a presentare insieme un progetto all’allora Guardasigilli Fassino per la costruzione e gestione di un istituto penale, lui per la parte architettonica e noi per quella trattamentale. Gli raccontammo chi erano i fondatori di Antigone e che l’associazione nasceva sulle ceneri della omonima rivista che lottava contro la politica dell’emergenza negli anni del terrorismo. Non se ne fece nulla. C’è però sempre qualcuno, nel variegato mondo del terzo settore, pronto a rispondere alle lusinghe del denaro.

 

Osservatorio Parlamentare, a cura di Francesca D’Elia

 

Terza lettura alla Camera per il Mandato d’arresto europeo

 

In data 17 marzo 2004 la Commissione Giustizia del Senato ha approvato, in sede deliberante (con il voto favorevole di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Udc, quello contrario della Lega, e l’astensione di tutto il centrosinistra), il testo sul mandato d’arresto europeo, in particolare ripristinando l’articolo 4 - che individua, nel Ministro della Giustizia, l’autorità centrale competente alla ricezione e trasmissione dei mandati d’arresto europei - a fine febbraio eliminato nel corso dell’esame da parte della Camera dei Deputati.

Dunque, il Ministero della Giustizia torna a essere l’autorità centrale responsabile di smistare le richieste di esecuzione dei mandati. Non solo. È stata anche approvata una modifica all’ultimo comma della norma: perché i giudici dialoghino direttamente saranno necessari accordi bilaterali che stabiliscano le condizioni di effettiva reciprocità. Si specifica, infatti, "la reciprocità deve essere frutto di specifici accordi internazionali tra Stati" (nel precedente testo, invece, si prevedeva solo il rapporto diretto tra autorità giudiziarie in caso di reciprocità).

Il provvedimento è ora all’esame della commissione Giustizia della Camera e, a partire da lunedì 11 aprile, si prevede l’inizio esame da parte dell’Assemblea.

 

A rischio l’ingresso dei volontari nelle carceri: dolo, oppure una svista del legislatore?

 

L’Assemblea di Montecitorio ha iniziato l’esame della proposta di legge n. 5141 in tema di "Delega al governo per la disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria"; anche in questo caso, si è corso il rischio che in proposte di legge su temi apparentemente "neutri", come può essere il riordino delle carriere nel settore penitenziario, venissero invece introdotte modifiche normative di estrema rilevanza… dolo, o mera svista del legislatore?

Il testo, infatti, oltre a configurare un’ autonoma disciplina di diritto pubblico per la carriera dirigenziale penitenziaria, interviene anche sull’ordinamento penitenziario attraverso la riformulazione dell’art. 72 della legge 354/1975 sull’Ordinamento Penitenziario, che, in particolare, disciplina i Centri di Servizio Sociale per Adulti (C.S.S.A.). A questi, destinati a diventare uffici locali di esecuzione esterna, viene affidato un ruolo di mero controllo dell’esecuzione della pena, mentre scompare ogni riferimento ad un ruolo propulsivo per il reinserimento delle persone condannate nella vita libera, con ciò determinando la valorizzazione del carattere retributivo della pena a discapito di quello rieducativo.

Ma la previsione realmente sconcertante del provvedimento riguardava l’articolo 3 del testo: si prevedeva, infatti, l’intera sostituzione del Capo III del Titolo II della legge 26 luglio 1975, n. 354 con il solo art. 72, con ciò comportando l’ abrogazione delle norme che prevedono, tra l’altro, la presenza del volontariato in carcere (art. 78), la cassa per il soccorso e l’assistenza delle vittime del delitto (art. 73), il consiglio di aiuto sociale (art. 74) - istituiti, questi ultimi, che invece necessiterebbero di reale attuazione, e non di una estromissione dall’ordinamento.

In particolare, l’abrogazione dell’articolo 78 – che, come detto, disciplina l’ingresso dei volontari negli istituti di pena - avrebbe determinato quindi l’impossibilità per i volontari di accedere alle carceri italiane.

Dopo gli appelli di numerose associazioni di volontariato, la Commissione Affari Costituzionali ha quindi ritenuto opportuno, anche in accoglimento di apposite condizioni espresse in proposito dal Comitato per la legislazione e dalla commissione Giustizia, rendere esplicito che la modifica proposta riguarderebbe il "solo" art. 72 , senza incidere in alcun modo sugli articoli compresi dal 73 al 78.

Resta, in ogni caso, il problema della modifica dell’art. 72 che, al di là di una questione meramente nominalistica, tende a cancellare la specificità dei Centri di Servizio Sociale per Adulti, eliminando ogni riferimento all’idea stessa di servizio sociale e trasmettendo quindi alla collettività l’immagine di un carcere destinato a tornare luogo separato dalla società, attraverso l’eliminazione delle figure di sostegno e raccordo con l’esterno, e lo svuotamento progressivo delle misure alternative alla detenzione.

 

Detenzione femminile, di Laura Astarita e Susanna Marietti

 

In Italia sono 2.578, e cioè solo il 4,6% sul totale della popolazione detenuta. A causa di una presenza così bassa, le donne in carcere sono una questione lontana, marginale nel marginale mondo del carcere. Non solo: per paradosso, soffrono dei mali cronici del sistema carcerario in maniera ancora più acuta. Sistema carcerario fatto dagli uomini, costruito sui bisogni e le caratteristiche del detenuto medio, maschio. E ancora: i detenuti maschi affollano in soprannumero il nostro sistema carcerario, ma le conseguenti mancanze - di risorse, di personale, di attività, di attenzioni individuali - ricadono altrettanto brutalmente sulle poche donne in prigione.

E se qualcuno si aspettava che tutti gli stereotipi e la moltiplicazione all’infinito della discriminazione donna/uomo esistessero solo in un paese così tradizionalmente tradizionalista come l’Italia, ci siamo resi – purtroppo – conto che anche nel resto d’Europa non si scherza. Abbiamo, infatti condotto una ricerca, negli ultimi 2 anni e mezzo, con altri 5 partner europei, che aveva come finalità lo studio della condizione detentiva e post-detentiva femminile, la descrizione delle attuali politiche di reinserimento socio-lavorativo delle donne detenute ed ex-detenute e la formulazione di proposte all’Unione europea di politiche da attuare. Ebbene, molti dei problemi che le donne, a differenza degli uomini, si trovano ad affrontare all’uscita dal carcere sono dovuti alla forte stigmatizzazione alla quale la società le sottopone. Si vuole una donna che risponda al ruolo storico che la tradizione le ha dato e che ancora nessuno le ha in fondo tolto del tutto: non si vuole reintegrare in un contesto sociale un’autrice abituale di piccoli furti, spesso tossicodipendente, magari prostituta e immigrata clandestina, o madre single poco capace di badare ai figli avuti in età troppo giovane. Sì, perché è questo l’identikit della detenuta media in Europa. Donne con vite caratterizzate da multipli svantaggi, che si incrociano e si sovrappongono reclamando un intervento politico mirato su di loro, per andare incontro alla risoluzione di quei problemi che non possono venire affrontati in una logica maschile. Questo, più di ogni cosa, ha dimostrato il nostro lavoro: in tutta Europa, i problemi della detenzione femminile e del successivo reinserimento socio-lavorativo delle donne ex-detenute necessitano di strumenti specifici, non possono essere assimilati ai problemi affrontati dagli uomini in condizioni analoghe, non possono essere trattati senza tenere conto della specificità della situazione di chi ha la responsabilità della prole, di chi ha figli dentro e fuori dal carcere, di chi proviene da contesti di illegalità maschile e non ha mai svolto ruoli determinanti nel compimento del reato, di chi vede la società richiudersi alle proprie spalle quando affronta un periodo di detenzione. La diffusa mancanza di questi strumenti specifici si ripercuote, con evidente ingiustizia, non soltanto sui soggetti direttamente coinvolti, ma anche sui loro figli.

Ciò che emerso da questa ricerca è che la questione della donna in carcere, così come diciamo ormai da anni, non è legata ad uno specifico contesto sociale, politico o economico: la questione della donna in carcere è sradicata da qualsiasi contesto poiché appartiene alle questioni più generali legate alla femminilità e a quelle legate alla detenzione come pena.

Anche nel resto d’Europa le donne in carcere sono poche. Un po’ di numeri: Germania 4,8%, Spagna 8%, Ungheria 6%, Inghilterra e Galles 6%, Francia 4%. E, così come in Italia, un gran numero di esse è ancora in attesa di giudizio (Italia 40,6%, Francia 50%, Inghilterra e Galles 25%). Quelle condannate hanno pene molto brevi da scontare, e la situazione italiana, che vede la maggior parte delle donne scontare condanne al di sotto dei 5 anni, non è neanche la più eclatante, se si pensa che in Germania il 48% delle donne sconta pene inferiori ai 9 mesi e in Inghilterra il 71% di donne nel 2002 ha scontato pene inferiori a un anno. Anche negli altri paesi le donne sono sparse prevalentemente in sezioni femminili di carceri maschili: in Italia, addirittura i due terzi della popolazione detenuta femminile sono distribuiti in 62 sezioni di istituti maschili, arrivando alle situazioni limite di carceri nelle quali sono presenti anche 3-4 donne in tutto. Queste, in Italia e in Europa le condizioni materiali di vita delle donne in carcere.

Molte le conseguenze negative di questa situazione. E non è dunque un mero cavillo di forma se noi chiediamo, come primo punto delle nostre proposte politiche all’Unione Europea, che la categoria delle donne detenute venga riconosciuta ufficialmente come una categoria sociale a sé, non più assimilabile alla sua controparte maschile. È solo con questo primo passo che si potrà dare l’avvio alla creazione di una strumentazione politica e istituzionale segnatamente mirata sulle donne che incrociano il sistema penale. Da nessuna parte, nei recenti documenti programmatici europei in materia di politiche sociali, si fa menzione delle donne detenute come di una specifica categoria svantaggiata. Noi proponiamo inoltre, come ovvio riflesso istituzionale di una situazione di fatto, che le amministrazioni penitenziarie di ogni Paese si dotino, al proprio interno, di un’unità apposita preposta a occuparsi della detenzione femminile.

La prima conseguenza negativa della condizione di vita delle donne sopra delineata è senz’altro il limitato accesso alle attività trattamentali, come dicono gli operatori "sia perché a volte più lunghe della stessa pena da scontare, sia perché se la sentenza definitiva ancora non c’è…conviene aspettare". E intanto? Intanto le pene brevi e ripetute distruggono quei pochi legami sociali, affettivi e lavorativi ancora rimasti. Intanto l’amministrazione penitenziaria preferisce aspettare perché non ha le forze, le risorse per farsi carico di tutti e quindi scarta quelli che può.

C’è inoltre – sempre motivata dalla mancanza di fondi sufficienti – la palese discriminazione per tutte le donne detenute nelle piccole sezioni femminili di istituti maschili: la stragrande maggioranza delle attività trattamentali sono organizzate esclusivamente nelle sezioni maschili, le poche forze vengono concentrate sulla fetta più rappresentativa della popolazione detenuta. E così ritroviamo anche negli altri paesi la questione evidente in Italia, di quanto sia più accessibile il trattamento per le donne detenute negli istituti esclusivamente femminili. Ma, d’altra parte, l’eventuale abolizione delle sezioni femminili comporterebbe non inferiori problemi. In ogni Paese, ci troveremmo di fronte a uno scenario in cui i pochi istituti femminili ospitano inevitabilmente molte donne spedite a espiare la pena lontano da casa, rendendo ancor più profonda la frattura con la società esterna e mettendo ancora più a rischio i legami familiari. Di fronte a questa alternativa impraticabile, noi proponiamo che le sezioni femminili all’interno di carceri maschili restino in vita, ma che le donne possano avere libero accesso alle attività trattamentali organizzate in ciascun istituto per la più numerosa popolazione maschile.

Molte ancora le proposte che sono emerse come risposta allo stato di cose da noi esaminato in questi anni di lavoro, e chi fosse interessato può consultare l’indirizzo www.surt.org, dove troverà i rapporti completi del nostro progetto MIP. Per ora basti sottolineare l’importanza di una ricerca di questo genere, che intende assumere una prospettiva culturale quasi interamente nuova in Europa. Tra i Paesi coinvolti nella ricerca, il solo Regno Unito vanta una tradizione sufficientemente consolidata di studi penitenziari di genere. In Italia, singoli lavori significativi risalgono ormai a decine di anni fa. Ci auguriamo dunque - e ci impegneremo in prima persona affinché questo non rimanga soltanto un augurio – che la fine del progetto MIP sia solo l’inizio di un nuovo sguardo al carcere femminile e a tutto ciò che esso comporta.

 

Regolamento attuativo Bossi-Fini e tutela giurisdizionale, di Gennaro Santoro

 

La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale in data 22 dicembre 2004 del regolamento attuativo della legge 189/2002 ha plausibilmente innescato forti critiche da parte di chi da tempo cerca di sopperire alla deriva istituzionale della politica italiana in tema di immigrazione (vedi com. stampa www.associazioneantigone.it/cpta/documenti/regolamentoricasilo.htm e www.associazioneantigone.it/cpta/documenti/regolamentoasilo.htm), specie quando i bersagli delle politiche repressive del Governo sono i richiedenti asilo che fuggono da situazioni di pericolo e certo non si augurerebbero respingimenti coatti immediati e zero garanzie. Come se non bastasse, nella Finanziaria 2004 il 92% circa delle risorse messe a disposizione in materia di immigrazione, sono destinate ad azioni di repressione del fenomeno (percentuale calcolata dai dati forniti dalla mozione Martone, vedi www.associazioneantigone.it/cpta/documenti/mozionemart.htm).

Il regolamento entrerà in vigore il prossimo 21 aprile e consentirà di applicare anche le disposizioni degli articoli sull’asilo - artt. 31 e 32 - della 189/2002 finora rimaste inapplicate. Il regolamento entrerà in vigore nonostante il fatto che il Consiglio di Stato il 26 gennaio 2004 abbia espresso preoccupazione relativamente all’accoglienza dei rifugiati per la mancanza di garanzie elementari, individuando in ben 11 punti restrizioni ancora più estese rispetto allo stesso art. 32 della legge Bossi-Fini.

Secondo la nuova procedura, in caso di diniego dello status da parte delle Commissioni Territoriali, per il richiedente asilo trattenuto nei centri di identificazione è prevista la possibilità di un riesame della domanda da parte della stessa Commissione Territoriale, semplicemente integrata da un membro della Commissione Nazionale; è inoltre previsto anche un ricorso giurisdizionale, che però non ha effetto sospensivo del provvedimento di espulsione. Il richiedente asilo può essere quindi espulso o rimpatriato prima che si sia pervenuti ad una decisione in seconda istanza.

In questa ipotesi il prefetto ordina l’espatrio salvo che, arbitrariamente e in casi ‘eccezionali’, decida di concedere un permesso provvisorio di attesa di giudizio: in altre parole si attribuisce al prefetto un peculiare potere di grazia che vanifica la (formale) tutela giurisdizionale. Se si tiene conto che in Italia nel 2003 e nel 2004 i rigetti delle domande di asilo hanno interessato il 95% dei casi e che in alcuni paesi dell’Unione Europea una percentuale compresa tra il 30 e il 60% dei richiedenti asilo ottiene il riconoscimento dello status solo dopo il ricorso, è facile prevedere che il regolamento in questione permetterà di espellere, in beffa al principio di non refoulment e senza nessuna forma di garanzia, soggetti che nel paese di origine potrebbero subire violenze di tale entità da rendere superflua la ‘possibilità’ di beneficare di tutela giurisdizionale in seconda istanza. La norma suscita dunque fondati dubbi di legittimità costituzionale, quanto meno perché non attribuisce potere sospensivo del provvedimento d’espulsione all’interposizione del ricorso giurisdizionale, quasi che il diritto all’integrità fisica del migrante fosse un interesse legittimo sottoposto a "grazia" prefettizia, e non un diritto soggettivo come riconosciuto a favore degli autoctoni.

In sintonia con tale scelta, si collocano le ultime dichiarazioni di esponenti della maggioranza a proposito del disegno di legge organica sempre in tema di diritto d’asilo: "Il Consiglio Italiano per i Rifugiati esprime grave preoccupazione per le recenti dichiarazioni di vari esponenti politici appartenenti alla maggioranza, con le quali è stato messo in discussione il testo della proposta di legge sul diritto d’asilo attualmente in esame alla Camera dei Deputati. La norma è stata definita dal Vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Pietro Fontanini, come ‘troppo aperta’ perché garantisce il diritto di asilo agli stranieri che nel loro Paese si vedono negato l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana" (vedi com. stampa CIR www.associazioneantigone.it/cpta/rassegnastampa/read.asp?newsID=369 ).

Prime di queste dichiarazioni, un gruppo di associazioni europee - per l’Italia, Arci, Asgi e Ics - ha presentato un esposto alla Commissione dell’Unione Europea, in cui si chiede di aprire una procedura di infrazione contro il governo italiano per le prassi adottate in occasione dei rimpatri dell’ottobre 2004 e reiterati fino ad oggi. Le associazioni citano l’Italia per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio; violazione del divieto di infliggere trattamenti inumani e degradanti; violazione del divieto di praticare espulsioni collettive; violazione del principio di non respingimento (vedi www.associazioneantigone.it/cpta/rassegnastampa/read.asp?newsID=351).

 

Appello di Antigone e Forum Droghe: gli impegni che vi chiediamo

 

Siamo a un passaggio difficile della vicenda politica del nostro Paese. Tra qualche giorno si rinnovano i Consigli e gli organi di governo di quattordici regioni italiane. Tra un anno il popolo italiano sarà chiamato a rinnovare il parlamento nazionale. Intanto, la maggioranza e il Governo accelerano su proposte illiberali e propagandistiche che credono di poter sfruttare nella lunga campagna elettorale che abbiamo di fronte, solleticando gli umori peggiori di un Paese in sofferenza.

La proposta di legge Fini sulle droghe da un lato e il disegno di legge Cirielli-Vitali sulla recidiva dall’altro rischiano di farci tornare indietro anni luce. Entrambe auspicano una svolta repressiva su temi che hanno una prioritaria rilevanza sociale. Da una parte il consumo di droghe verrebbe nuovamente considerato illecito, in spregio del referendum del 1993; verrebbero aumentate le pene e parificate le droghe leggere a quelle pesanti. Dall’altra la cosiddetta "legge Cirielli" oltre a voler salvare Previti sembra voglia cancellare la riforma penitenziaria e portare al collasso l’intero sistema penitenziario italiano. Vengono infatti previsti aumenti di pena e riduzioni di benefici per i recidivi, come se non si sapesse che le galere sono già piene di tossicodipendenti e immigrati, che vivono di piccoli espedienti illegali che li espongono naturalmente alla recidiva. Contro di loro si abbattono le scelte illiberali del nostro Governo.

D’altro canto, il welfare è oggi in gran parte nelle mani delle Regioni. La recente conferenza di Bologna sulle droghe organizzata da alcune regioni insieme ad un vasto cartello di associazioni dimostra che nel territorio esiste una diversa sensibilità nei confronti della prevenzione delle tossicodipendenze e delle politiche penitenziarie. È nelle Regioni e negli enti locali che si può sperimentare quello slogan "dal penale al sociale" che abbiamo posto a fondamento della nostra opposizione alle politiche della "tolleranza zero". Per questo, a chi oggi si candida al governo delle Regioni italiane chiediamo alcuni imprescindibili impegni:

il rilancio di una rete di servizi con offerte differenziate rispetto alle varie esigenze delle persone tossicodipendenti;

un incremento dei servizi a bassa soglia e nuove sperimentazioni nel campo della riduzione del danno, sulla scia di molti paesi europei;

il sostegno alle comunità che condividono tale filosofia;

l’attuazione della riforma Bindi sulla sanità penitenziaria, con relativa assunzione di responsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale;

la definizione di politiche per il reinserimento delle persone private della libertà;

l’esercizio costante delle proprie prerogative ispettive delle strutture penitenziarie;

l’istituzione di un Garante regionale per i diritti dei detenuti.

 

Prime adesioni

 

Maurizio Acerbo (Rifondazione-Abruzzo-Pescara), Tanino Basti (Verdi-Abruzzo-Chieti), Gianfranco Bettin (Verdi-Veneto-Venezia), Gianluca Borghi (Verdi-EmiliaRomagna-Bologna), Paolo Buccolieri (indipendente Rifondazione-Lazio-Roma), Beppe Caccia (Verdi-Veneto-Venezia), Pasquale Capellupo (Ds-Calabria-Catanzaro), Aurora D’Agostino (Verdi-Veneto-Padova), Athos De Luca (Margherita-Lazio-Roma) Renato Di Nicola (Rifondazione-Abruzzo-Chieti), Filippo Fossati (Ds-Toscana-Firenze), Loredana Mezzabotta (Ds-Lazio-Roma), Luigi Nieri (Rifondazione-Lazio-Roma), Anna Pizzo (indipendente Rifondazione-Lazio-listino Marrazzo) Fabio Roggiolani (Verdi-Toscana), Enrico Rossi (Ds-Toscana-Pisa), Marcello Saponaro (Verdi-Lombardia-Bergamo), Aligi Taschera (Verdi-Lombardia-Milano)

 

 

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