Percorsi di regolarizzazione?

 

Ma esistono davvero dei percorsi di regolarizzazione

  per gli immigrati detenuti?  

(Documento scritto nel maggio 2000)

 

Aurora d’Agostino e Marco Paggi sono due avvocati che di stranieri immigrati si occupano da anni, noi li abbiamo coinvolti in questo incontro in Redazione per cercare di studiare con loro ogni piccola possibilità di regolarizzazione per quegli stranieri che sono un po’ gli ultimi della terra, cioè gli stranieri che sono finiti in carcere. E le nostre domande sono andate subito al cuore del problema.

Ha un senso, secondo voi, cercare di lavorare a delle proposte di modifica della attuale legge sull’immigrazione, che prendano in considerazione finalmente anche per gli stranieri detenuti la possibilità di un percorso di risocializzazione in carcere, che li porti poi a regolarizzare la loro posizione a fine pena?

Aurora d’Agostino: Uno dei temi sollevati da voi è quello della cosiddetta regolarizzazione permanente, una proposta già avanzata  dall’A.S.G.I. e da Magistratura Democratica, che legava la possibilità di regolarizzarsi, per lo straniero presente in Italia come clandestino, non al fatto di avere una richiesta di lavoro, e di dover uscire dall’Italia e poi rientrare munito di un visto, e così ottenere il permesso di soggiorno, ma piuttosto alla sua appartenenza e al suo inserimento nel tessuto sociale ed economico del territorio in cui si trova a vivere.

Uno straniero che non ha il visto d’ingresso per motivi di lavoro, e non ha il permesso di soggiorno, ma in Italia ha trovato un lavoro e un datore di lavoro intenzionato a metterlo in regola, potrebbe cioè avere immediatamente la possibilità di regolarizzarsi, con il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

A cosa mira questa proposta?

Questa proposta mira ad attuare una regolarizzazione che non sia legata a sanatorie ad hoc, come è accaduto più volte, nel 1987, nel 1990, nel 1995 e, l’ultima volta, nel 1998, ma che sia invece in rapporto molto più diretto con l’inserimento sociale e lavorativo.

Lo straniero che aveva il permesso di soggiorno quando è stato arrestato, che in carcere ha mantenuto una condotta tale per cui ha potuto essere ammesso alle misure alternative alla detenzione, che all’esterno del carcere lavora in regola, è in una situazione che può costituire una delle prime “leve forti” su cui ragionare per una possibile regolarizzazione. Perché non c’è alcun motivo, anche etico, per poter dire che questo straniero non ha diritto, una volta terminata la pena, quando ormai la sua vita sociale è legata a questo territorio, ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Per chi era irregolare prima dell’arresto, che situazione si prospetta invece?

Diversa è la posizione dello straniero che era irregolare prima di entrare in carcere, che è rimasto irregolare durante la detenzione, che comunque può essere ammesso a misure alternative ed avere la possibilità di lavorare.  Ma che, solo per questo, possa chiedere il permesso di soggiorno, magari anche in deroga alle quote, costituisce una proposta non immediatamente comprensibile a tutti. Si tratta comunque di una domanda assolutamente legittima, nell’ambito del principio di rieducazione del detenuto sancito dalla Costituzione e quindi del fatto che una persona, all’uscita dal carcere, debba essere un’altra rispetto a quella che vi è entrata, ma, nel clima generale che si vive oggi in Italia sul problema degli immigrati, questa proposta è più difficile da far comprendere.

La proposta, su cui invece nessuno può discutere, se non è in malafede assoluta, è quella di rendere utilizzabile il permesso di soggiorno per motivi di giustizia per svolgere un lavoro regolare.

Questa è una proposta realmente seria, che riguarda, da una parte, i detenuti e gli ex detenuti, dall’altra, molto più spesso, gli stranieri che non sono stati detenuti, ma hanno il permesso per motivi di giustizia perché sono in attesa della decisione del T.A.R. sul ricorso contro il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno, che hanno avuto la sospensiva in quanto il T.A.R. gli ha riconosciuto buone ragioni per presentare ricorso.

Questi stranieri possono risiedere regolarmente in Italia, ma attualmente non possono lavorare ed evidentemente questa condizione costituisce un’autentica istigazione a delinquere.

E cosa può fare un detenuto a cui il permesso di soggiorno è scaduto?

Per i detenuti, il rinnovo del permesso di soggiorno dovrebbe essere possibile ed il luogo deputato per chiederlo dovrebbe essere l’Ufficio Matricola. Uso il condizionale perché, poi, di fatto questo non accade ed io finora non ho mai visto un permesso di soggiorno rinnovato ad uno straniero detenuto.

Quando lo straniero esce dal carcere, se è in grado di provare che non ha potuto rinnovarlo a causa della detenzione, è ancora in tempo per chiederne il rinnovo, in quanto l’essersi trovato in carcere può costituire causa di forza maggiore che gli ha impedito di effettuare il rinnovo.

Le proposte che noi facciamo perché il percorso “virtuoso” di un detenuto straniero porti poi a una regolarizzazione, le vorremmo fare anche come Coordinamento dei giornali del carcere, perché se a occuparsene fossero le quasi cinquanta testate attive nelle carceri italiane, crescerebbe naturalmente la nostra forza. Alla società poi, che in questo momento in larga parte ha un atteggiamento di diffidenza e paura verso gli immigrati, vorremmo proporre un discorso anche utilitaristico, di “riduzione del danno”, a partire da una domanda elementare: è più pericoloso uno straniero che, a fine pena, viene riassorbito subito dai circuiti della criminalità di strada, o uno straniero che, una volta avviato in carcere un percorso di reinserimento sociale, abbia la possibilità poi di portarlo a termine fuori con una regolarizzazione della sua posizione?

Marco Paggi: Io vorrei proprio riallacciarmi a questa mobilitazione dei giornali carcerari, di cui voi avete parlato, ed al principio di riduzione del danno, in base al quale pensate di avanzare certe proposte.

Tanto per cominciare, ci potrebbe essere un collegamento tra le varie associazioni che si occupano di immigrati per raccogliere dati, con un monitoraggio a livello nazionale, sulla situazione degli stranieri scarcerati per fine pena. Io sono convinto  (ma non ho a disposizione i dati per provarlo e, del resto, nessuno li ha, tranne il Ministero dell’Interno e  le questure, che non li rendono pubblici) che poche volte gli stranieri scarcerati vengono effettivamente accompagnati alla frontiera: accade solamente quando c’è una comunicazione rapida tra il Ministero di Giustizia e le forze di polizia e queste ultime hanno a disposizione immediatamente le risorse per eseguire l’espulsione.

Molto più spesso accade che lo straniero, che ha terminato di espiare la pena e dovrebbe essere espulso, rimanga in circolo nel territorio, e per di più come clandestino, quindi spinto nuovamente a delinquere per procurarsi da vivere.

Nell’ambito di una strategia di riduzione del danno, è possibile allora fare anche questo discorso: occupiamoci di ciò che è concretamente realizzabile e non di quello che è destinato a rimanere sulla carta, perché questa sarebbe pura ipocrisia.

Finché in Italia abbiamo, o produciamo, un numero così alto di clandestini, il governo effettivo della situazione è molto difficile, se non impossibile.  Se invece siamo realisti e ci limitiamo a reprimere le situazioni che rappresentano un reale pericolo per l’ordine pubblico, creando nel contempo dei percorsi che permettano la regolarizzazione di coloro che non potrebbero essere espulsi, per mancanza di risorse e di organizzazione, nella logica dei grandi numeri facciamo un’opera di buon governo, di ordine e di integrazione per la società.

Uno straniero che si trovi in Italia per turismo o per motivi di giustizia, trovando un lavoro può sperare in un permesso di soggiorno per motivi di  lavoro?

Con un’interpretazione intelligente della normativa potrebbe essere consentito che uno straniero regolarmente presente in Italia per motivi di turismo, o anche per motivi di giustizia, trovi un datore di lavoro che lo assuma e presenti l’apposita richiesta per il suo ingresso nel territorio dello stato.

Questa richiesta deve passare l’approvazione dell’Ispettorato al Lavoro, che può autorizzare l’assunzione solo se questa rientra nelle quote stabilite per gli ingressi per lavoro subordinato.

Inoltre deve passare per la Questura, che potrebbe bloccare tutta la procedura, se si accorge che nei confronti dello straniero è pendente un provvedimento di espulsione.

Ma la difficoltà maggiore, stando all’attuale normativa, è costituita dalla necessità del rilascio del visto d’ingresso, che lo straniero può avere soltanto recandosi di persona all’Ambasciata italiana nel suo paese di provenienza.

Ci vorrebbe una disposizione che esonerasse gli stranieri, già residenti in Italia per motivi diversi dal lavoro, dal doversi per forza recare all’Ambasciata italiana del loro paese di provenienza a ritirare il visto d’ingresso.

La possibilità di convertire il permesso di soggiorno, da motivi di turismo, o di giustizia, a motivi di lavoro potrebbe essere data se il posto di lavoro offerto è compatibile con i flussi migratori, o anche al di fuori delle quote stabilite per i flussi: l’ideale è che fosse data fuori dalle quote ma, dal punto di vista pratico, temo sia più sostenibile una proposta che preveda questa conversione all’interno delle quote stabilite.

Una possibilità subordinata potrebbe essere quella di chiedere una regolarizzazione fuori dalle quote per gli stranieri che entrano a far parte delle cooperative sociali in qualità di soci lavoratori, quindi divenendo lavoratori autonomi, in considerazione del fatto che le quote previste per l’ingresso per lavoro autonomo sono molto limitate, di circa duemila persone per l’anno in corso, su tutto il territorio nazionale.

Nel complesso di queste proposte, va sottolineato che l’immigrato, che abbia commesso dei reati, ha più possibilità di essere “rieducato” , rispetto al criminale italiano, perché mediamente i suoi reati sono meno gravi e meno professionali, quindi è più credibile che costituiscano soltanto un “incidente di percorso”.

Ma va anche detto, in conclusione, che queste sono solamente ipotesi, perché sulla base del diritto vigente i clandestini non hanno pressoché alcuna possibilità di regolarizzarsi.

Rinnovo dei documenti scaduti

 

Marco Paggi: Il passaporto, anche se scaduto, a mio parere continua ad essere un documento d’identità perfettamente valido, perché la sua scadenza è unicamente un fatto di rapporto tra il cittadino e le autorità del suo paese di provenienza. Sul piano internazionale, una volta che il passaporto è stato rilasciato, si considera identificata la persona che lo possiede: la Convenzione di New York, vigente in tema di riconoscimento internazionale dei passaporti, non fa alcun riferimento alle date di scadenza dei documenti. Quindi, il permesso di soggiorno dovrebbe essere rinnovato agli stranieri che si presentano in questura con il passaporto scaduto, anche se va detto che la nuova legge è più restrittiva rispetto alla precedente, la Legge Martelli, poiché prevede che per entrare in Italia lo straniero sia in possesso di un documento d’identità in corso di validità e, al momento del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, sono richiamate le stesse condizioni richieste per l’ingresso nel territorio dello stato.

Aurora d’Agostino: In molti casi è difficile, per gli stranieri, rinnovare il passaporto, perché le loro autorità non collaborano e si rifiutano addirittura, a volte, di rilasciare nuovi passaporti: ottenere il rilascio o il rinnovo, per gli stranieri detenuti, è praticamente impossibile e, su questo problema, anche volendo, la legislazione italiana non potrebbe intervenire, perché è di competenza delle autorità straniere.Invece è possibile avanzare una proposta per quanto riguarda il rinnovo del permesso di soggiorno agli stranieri che abbiano un passaporto scaduto: si potrebbe chiedere che venga rinnovato a quanti dimostrino di aver richiesto il rilascio o il rinnovo del passaporto alle autorità competenti e, dopo un certo tempo, queste non abbiano soddisfatto la loro richiesta.

 

Libretto di Lavoro ed iscrizione al Collocamento

 

Marco Paggi: Il permesso di soggiorno viene prima del libretto di lavoro e, comunque, prima del perfezionamento del rapporto di lavoro, quindi, riepilogando: lo straniero prospetta al Magistrato di Sorveglianza che avrebbe un lavoro, e lo documenta con una sorta di contratto preliminare, che diverrà effettivo solo al verificarsi della scarcerazione; il Magistrato valuterà se autorizzare il provvedimento di beneficio richiesto dallo straniero, a quel punto lo straniero esce, va in questura e chiede un permesso di soggiorno per motivi di giustizia e poi, con il datore di lavoro, va all’Ispettorato del Lavoro e, finalmente, può essere avviato al lavoro. L’avviamento al lavoro può avvenire con una preventiva iscrizione al Collocamento, ma anche in questo caso la norma è sfornita di sanzione. Ci sarebbe sempre l’obbligo di iscrizione prima di iniziare a lavorare, ma non c’è una sanzione per chi va a lavorare senza prima essere iscritto al Collocamento. Il datore di lavoro, volendo, può assumere la persona con il libretto di lavoro e comunicare entro cinque giorni l’avvenuto avviamento al lavoro al Collocamento: con questo, non incorre in alcuna sanzione.

Aurora d’Agostino: Su questo problema, una soluzione potrebbe essere quella di prevedere che il libretto di lavoro possa essere riconsegnato allo straniero al termine del rapporto di lavoro, come accade per tutti i lavoratori italiani, eliminando così quella che appare come una chiara discriminazione.

 

Patrocinio a spese dello Stato ed autocertificazione

 

Marco Paggi: Il gratuito patrocinio riguarda la tutela in sede penale e, per estensione espressa dalla norma prevista dall’art. 13 del Testo Unico, la tutela avverso il provvedimento di espulsione. Il problema riguarda la dimostrazione dei presupposti per il gratuito patrocinio, perché se uno è sedicente, non può certificare che è privo di redditi, di beni patrimoniali, o di rendite, nel proprio paese di origine. Normalmente lo straniero dovrebbe dimostrare, con una dichiarazione fatta all’autorità del suo paese e autenticata da questa autorità, di avere i presupposti per essere ammesso al gratuito patrocinio. In altre parole si traspone l’autocertificazione presso l’autorità del paese che detiene i dati autocertificati. Il problema è, da un lato, che le ambasciate dei paesi di maggiore immigrazione collaborano poco, hanno tempi e un grado di efficienza che sono sconsolanti. Peggio ancora quando si tratta di detenuti, perché le autorità consolari dovrebbero interessarsi dei propri connazionali, in teoria dovrebbero prestare ogni collaborazione utile alla identificazione, dovrebbero rapportarsi allo straniero come terminale amministrativo per tutti gli adempimenti, ma tutto questo non lo fanno e non mandano neanche i propri delegati presso le carceri per incontrare i detenuti. Magari, lo fanno alcuni stati tra quelli con un avanzato grado di civiltà, come ad esempio la Gran Bretagna, ma altri non lo fanno. Questo, comunque, è un problema che non può essere risolto dalle autorità italiane perché dipende dalla autorità di paesi diversi, che godono di tutte le garanzie di indipendenza e sovranità.

Aurora d’Agostino: Gli stranieri che fanno ricorso al T.A.R. contro il rifiuto del rinnovo o la revoca del permesso di soggiorno oggi hanno solo la possibilità di ottenere il pagamento delle spese di bollo da parte dello stato, mentre le spese legali devono pagarle di persona. Invece, per quanto riguarda l’espulsione, la competenza con la nuova legge è passata ai tribunali penali e, in quelle sedi, il gratuito patrocinio comprende anche le spese legali e possono esservi ammessi anche i clandestini. Il problema, semmai, per gli stranieri irregolari è quello di autocertificare l’assenza di reddito, o comunque un reddito inferiore ai dieci milioni, condizione per essere ammessi al gratuito patrocinio.

 

  

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