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La Circolare n° 4 - 2002 del Ministero del lavoro (A cura dell'avvocato Marco Paggi - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione)
Parliamo della circolare del Ministero del Lavoro che riguarda il blocco della ricezione delle domande di autorizzazione di assunzione dall’estero dei lavoratori immigrati. Per l’appunto, con la circolare n°4 del 2002, che viene allegata, si dispone che le Direzioni Provinciali del Lavoro rifiutino il ricevimento delle nuove domande e non tengano conto delle domande già presentate a partire dal 2 gennaio 2002. Per quanto riguarda le ipotesi di sanatoria o regolarizzazione abbiamo già delle notizie più precise sulle intenzioni del governo: pochi giorni fa è stata raggiunta un intesa a livello governativo sulla possibilità di una "mini-sanatoria" riferita soltanto alle collaboratrici domestiche o forse, in termini più restrittivi, alle cosiddette badanti (coloro che assistono anziani non autosufficienti o persone inferme). Nel trattare questi due argomenti, risponderemo a due quesiti che sono direttamente connessi alle difficoltà di assumere lavoratori immigrati: il primo riguarda un’impresa, il secondo un lavoro domestico.
Ci ha scritto, via mail, un imprenditore di Torino che segnala la sua vicenda, una vera e propria odissea, nel tentativo di assumere un lavoratore straniero che è iniziata addirittura nel 2000 e che non si è ancora conclusa. È un caso emblematico che selezioniamo tra i tanti perché si tratta di situazioni che invece di risolversi nel corso del tempo trovano ulteriori complicazioni, grazie alle ultime decisioni del Ministero del Lavoro. L’imprenditore che ci scrive spiega che da oltre due anni la sua piccola impresa sta cercando di ottenere l’autorizzazione al lavoro per un cittadino non comunitario (qualche giorno fa ha letto delle code davanti alle DPL). A partire dal 16 novembre 2000 la ditta presenta alla Direzione Provinciale del Lavoro di Torino la richiesta di autorizzazione per un cittadino rumeno. Nel gennaio 2001 telefona alla DPL per avere notizie e gli viene risposto che avrebbe dovuto ancora attendere e l’esito gli sarebbe stato comunicato tramite raccomandata. Il 25 marzo 2001 arriva dalla Direzione Provinciale del Lavoro una raccomandata con la quale si comunica il mancato accoglimento della domanda per esaurimento delle quote assegnate per il 2000 e viene invitato, nel caso in cui fosse ancora interessato a presentare la domanda, a trasmettere con raccomandata una nuova domanda di autorizzazione in bollo sulla base dei flussi d’ingresso per il 2001, facendo riferimento alla documentazione che era già stata presentata, il tutto con avvertimento che tale nuova istanza avrebbe dovuto essere inviata entro 15 giorni dal ricevimento della raccomandata perché altrimenti la pratica sarebbe stata archiviata. Il 26 marzo 2001 il datore di lavoro inviava subito la raccomandata ribadendo la richiesta di autorizzazione. Nel maggio 2001, munito del tagliando di prenotazione rilasciatogli nel mese di febbraio precedente, si recava presso l’ufficio competente e l’impiegato spiegava che la domanda non era stata accolta in quanto le quote disponibili per l’anno 2001 erano state esaurite. In data 4 gennaio 2002 , come tantissime altre persone, presentava nuovamente la domanda presso la Direzione Provinciale del Lavoro (sempre a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno). Il 10 gennaio 2002, non avendo ancora ricevuto l’avviso del ricevimento della domanda l’imprenditore si recava presso la Direzione Provinciale del Lavoro di Torino per avere informazioni. Con sorpresa trovava il protone principale chiuso e una serie di fogli affissi al muro su cui era scritto: non si accettano domande di autorizzazione al lavoro fino alla pubblicazione del decreto sui flussi e le domande, inviate tramite raccomandata, non saranno prese in considerazione. Ora, la richiesta di chiarimenti tentata da questo imprenditore, che rappresenta una situazione purtroppo molto diffusa, trova una risposta nella circolare del Ministero del Lavoro in data 21 gennaio 2002, che era stata preannunciata dal Ministro Maroni.
In pratica, si dispone che tutte le domande già presentate presso tutte le Direzioni Provinciali del Lavoro in Italia e anche tutte quelle che dovessero essere presentate successivamente NON VERRANNO CONSIDERATE VALIDE; si sostiene infatti che, per essere considerate valide, dovranno attendere la pubblicazione del decreto di programmazione dei flussi migratori per l’anno 2002 e che solo a partire dalla pubblicazione del decreto potranno essere presentate le domande e inserite in una graduatoria. Su questo argomento ci eravamo già soffermati nelle scorse puntate, richiamando il contenuto dell’art. 3 comma 4 del Testo Unico sull’Immigrazione che è ancora in vigore anzi, non è nemmeno stata proposta una sostanziale modifica di questo articolo nemmeno nell’ambito del disegno di legge Bossi-Fini, tant’è vero che lo stesso ddl del governo riproduce sostanzialmente questa disposizione. Per l’appunto, l’ultima parte del comma 4 dell’art. 3 del T.U. dispone che "in caso di mancata pubblicazione dei decreti di programmazione annuale, la determinazione delle quote è disciplinata in conformità con gli ultimi decreti pubblicati ai sensi del presente testo unico nell’anno precedente". In buona sostanza, la norma dice che se il governo ritarda nello stabilire i flussi migratori per l’anno in corso, quindi non provvede a pubblicare il decreto in tempo utile (vale a dire sin dall’inizio dell’anno), provvisoriamente si continuano ad applicare le quote dell’anno precedente. Questo significa ovviamente che le Direzioni Provinciali del Lavoro, in mancanza del decreto per l’anno in corso, dovranno comunque accettare le domande, ma non solo, dovranno addirittura esaminarle (come si suol dire, dovranno istruire le pratiche) e rilasciare le autorizzazioni in base alle quote stabilite per l’anno precedente. Se poi, nel corso dell’anno (si spera il più presto possibile perché altrimenti non avrebbe senso l’intervento del decreto a metà anno) viene pubblicato il decreto, eventualmente le autorizzazioni potrebbero essere rilasciate in quantità maggiore o minore (se il decreto lo prevede). Questa norma, così come formulata nel Testo Unico sull’Immigrazione, evidentemente mette nel conto la possibilità che il governo (per motivi politici, come in questo momento) ritardi nell’emanazione del decreto. Probabilmente, quando la norma è stata concepita, si pensava magari ad un ritardo di pochi giorni, anche perché si confida sempre che ciascuno faccia il suo lavoro e quindi si deve presumere che anche il Governo, rispettando la legge, faccia il suo lavoro e provveda a determinare le quote per l’anno in corso. Così non è stato, ma ciò non significa che si tratti di una condotta lecita, perché è giusto ricordare che anche il Governo, anche il Ministro del Lavoro è soggetto alla legge. La circolare emanata dal Ministero del Lavoro dimostra l’esatto contrario, cioè che il governo non si sente vincolato alla legge e che ritiene, con una semplice circolare (non è atto avente valore di legge, è un atto interno dell’amministrazione) di disapplicare la legge. Dire disapplicare è un delicato eufemismo perché in questo caso bisognerebbe parlare decisamente di violazione della legge, poiché essa è chiara al riguardo, al punto da non lasciare dubbi interpretativi, ed ha lo scopo di garantire un minimo di ordine, di continuità e di adeguatezza rispetto alle necessità delle imprese, che non possono certo fare i conti con gli umori della politica per far fronte alle necessità di manodopera; infatti, un impresa non può tenere bloccato un posto di lavoro per chissà quanti mesi, perché dal punto di vista aziendale ed economico si tratta di un problema molto serio. Certo è che fino a quando nessuno metterà in discussione l’illegittimità del comportamento del Ministero del Lavoro queste decisioni --di fatto-- saranno destinate a valere. È chiaro che le Direzioni Provinciali del Lavoro sulla base di questa circolare rifiuteranno di ricevere le domande, anche quelle tramite raccomandata, e ciò significa che le code, i sacrifici notevoli fatti nei primi giorni dell’anno, sono stati inutili. Tuttavia, la legge è molto chiara e forse varrebbe la pena sottoporre all’unica autorità che ha il compito, in base alla Costituzione, di garantire la corretta applicazione e interpretazione della legge, cioè la magistratura, la valutazione sulla legittimità di questi comportamenti. Molte imprese e datori di lavoro privati –questi ultimi per quanto riguarda le assunzioni di collaboratori domestici, soprattutto quelli destinati all’assistenza delle persone non autosufficienti-- hanno l’urgente necessità di sistemare il rapporto di lavoro entro un tempo breve ed è evidente che se non riusciranno a farlo avranno un notevole danno. In situazioni di questo genere penso che qualcuno potrebbe trovare anche il coraggio di sottoporre alla magistratura la questione, chiedendo qual’è la corretta interpretazione e applicazione della legge: deve interpretarsi nel senso che le Direzioni Provinciali del Lavoro devono comunque rilasciare le autorizzazioni in base alle quote dello scorso anno, fino a quando non sarà pubblicato il decreto, oppure vale la circolare del ministero del Lavoro? Personalmente credo alla prima interpretazione per cui credo che varrebbe la pena sottoporre la questione alla magistratura, altrimenti varrà di fatto l’imposizione arbitraria del Ministero del Lavoro. Peraltro, facendo valere il pericolo di un grave danno nel tempo necessario alla normale definizione di un processo, gli interessati potranno anche, nel sottoporre la questione alla magistratura, chiedere un provvedimento di urgenza, che abbia la funzione di evitare il protrarsi della situazione dannosa fino alla sentenza vera e propria. L’invito, la provocazione che lanciamo dallo sportello radiofonico ai datori di lavoro interessati è di tentare quantomeno la strada del contenzioso giudiziario per ottenere la risposta che attualmente le Direzioni Provinciali del Lavoro stanno rifiutando. E’ doveroso avvertire che nessuno può garantire il risultato, poiché non è detto che vari uffici giudiziari la pensino allo stesso modo, certamente però bisogna ricordare un dato di esperienza: i diritti a questo mondo non sono mai stati regalati, per essere affermati hanno sempre avuto bisogno di essere conquistati con delle battaglie civili e democratiche.
Secondo quesito
Parliamo ora di un altro quesito, che di fatto è collegato a quanto sinora trattato ma anche alla prospettata "minisanatoria": ci viene segnalata la situazione di una signora che ha necessità di assumere una collaboratrice non comunitaria che si occupi della madre anziana, tuttavia ha molta difficoltà nel perfezionare la normale domanda di autorizzazione all’assunzione dall’estero (non solo a causa del "blocco" di cui si è detto sopra ma anche) perché la Direzione Provinciale del Lavoro dispone che il datore di lavoro debba dimostrare un reddito minimo annuale di oltre 90 milioni di lire (in ogni provincia questo reddito minimo varia, sempre di poco superiore alla soglia indicata). La signora spiega che, nonostante la prevista possibilità di cumulo dei redditi dei familiari conviventi (o anche dei prossimi congiunti non conviventi, nel caso di assistenza a persone sole), tra la pensione di sua madre e il suo reddito arrivano solo a metà dell’importo minimo, quindi chiede se c’è qualche altro modo per ottenere l’autorizzazione, data l’urgente necessità di disporre di una collaborazione domestica e di assistenza. Situazioni come questa sono molto diffuse: in effetti, l’assistenza alle persone non autosufficienti non è più un lusso che si possono permettere le persone benestanti ma è una necessità per molte famiglie, che sono costrette ad utilizzarla pur dovendo fare dei sacrifici. Come si vede, stando alle disposizioni vigenti, dovremmo dire che quand’anche fosse pubblicato il decreto flussi questa signora non ce la farebbe comunque ad ottenere l’autorizzazione, perché senz’altro si può prevedere che la direzione provinciale del lavoro competente rifiuterà il rilascio dell’autorizzazione. La prospettiva potrebbe cambiare se fosse approvata la "minisanatoria" di cui parla il Governo. Non so se la collaboratrice domestica interessata all’assunzione sia già in Italia e stia già lavorando, in condizioni ovviamente irregolari, presso la signora in questione, ma possiamo ritenere in base all’esperienza che ciò sia molto probabile (o comunque che la maggior parte dei casi del genere riguardi persone che sono già qui): se questo fosse, ecco che forse potrebbe essere utilizzata l’opportunità di regolarizzazione che è stata definita, giovedì 24 gennaio, seppure in termini ancora molto generici, da parte del governo.
Dal dispaccio di agenzia si capisce che il Governo ha raggiunto un accordo interno alla maggioranza per l’approvazione di una mini-sanatoria limitata soltanto alle collaborazioni domestiche. Ancora non si capisce se riguarderà qualsiasi tipo di collaborazione domestica o soltanto (ipotesi ancora più restrittiva) la collaborazione domestica finalizzata all’assistenza di persone non autosufficienti. Immagino già la corsa alle certificazioni mediche per documentare che la persona che dovrà assumere il collaboratore/ce domestica è una persona bisognosa di assistenza. Come immagino la corsa alla ricerca di uno pseudo datore di lavoro. Visto le sanatorie degli ultimi anni c’è da immaginare che moltissimi si attiveranno per rientrare in questa possibilità ristrettissima di regolarizzazione, a costo di fare o –più spesso— comprare "carte false". Con questo non si vuole certo suggerire l’utilizzo abusivo o fraudolento di eventuali opportunità di regolarizzazione, ma soltanto far comprendere, come ci insegna l’esperienza, che più restrittivi e cavillosi sono i criteri per concedere la regolarizzazione e più si inducono le persone all’ulteriore violazione della legge. È bene ricordare che in questo momento non c’è ancora una regolarizzazione in corso, operativa, nemmeno per la ristretta categoria delle "badanti" o colf: c’è solo una dichiarazione di intenzioni da parte del Governo, il quale annuncia che la mini-sanatoria sarà inserita all’interno del disegno di legge sull’immigrazione. Si comprende perciò che solamente quando l’iter legislativo si sarà completato sarà possibile applicarla, salvo vedere come saranno ulteriormente definiti i dettagli del provvedimento. In questo momento, in pratica, non c’è niente da chiedere né alle direzioni provinciali del lavoro né alle questure (che, anzi, sarebbero tenute ad applicare l’espulsione agli irregolari che dovessero incautamente presentarsi a chiedere informazioni) e invito quindi tutti gli interessati a rimanere in attesa di notizie più precise che daremo quanto prima. Non è ancora chiarito se questa mini-sanatoria poi potrà essere utilizzata da persone che, in passato o magari nei giorni precedenti all’entrata in vigore, hanno riportato un provvedimento di espulsione, semplicemente perché privi di un regolare permesso di soggiorno. Inoltre, non si potrà capire fino all’ultimo se verrà anche questa volta richiesta agli interessati la prova "diabolica" della presenza in Italia prima di una certa data (ma se qualcuno degli interessati dispone già di prove attendibili non farà male a conservarle con cura, non si sa mai…). Dunque, stiamo ad attendere quali saranno le determinazioni del governo. il che non vuole dire, naturalmente, che non si debba porre la questione in termini più corretti, ovvero almeno tentare di rivendicare una sanatoria che sia sensata. Non si vede perché le sole cosiddette badanti possano rientrare in una possibilità di regolarizzazione quando poi le esigenze di molti settori del nostro mercato del lavoro non sono meno drammatiche di quelle di datori di lavoro che hanno bisogno di assistenza domiciliare.
Ultime considerazioni
Non sarebbe necessario pensare continuamente a sanatorie se la politica di gestione dei flussi migratori fosse amministrata con un minimo di realismo, quindi con tempi accettabili, pubblicando i decreti-flussi in tempi brevi e con procedure veloci per l’esame delle domande ed il rilascio delle autorizzazioni. Proporre una sanatoria limitata soltanto alle cosiddette badanti o forse al più ampio settore della collaborazione domestica significa indurre tutti i lavoratori che sono già qui in condizione irregolare, a tentare in qualsiasi modo di regolarizzarsi a costo di produrre carte false. La realtà e l’esperienza ci fanno pensare che questo sarà quello che succederà, e non sarà certo la minaccia di sanzioni penali per le eventuali dichiarazioni false che fermerà tutto questo. Credo ci sia ancora spazio per richiamare il governo e le organizzazioni di categoria (soprattutto associazioni imprenditoriali) a un minimo di senso della realtà e quindi per rivendicare non solo la pubblicazione tempestiva di un decreto flussi, che tenga conto delle esigenze reali, ma una regolarizzazione destinata a tutti i settori del mercato del lavoro, sia pure a condizione di verificare la effettiva sussistenza di un rapporto di lavoro.
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